L’autista era separato da una lastra di vetro fumé, l’odore di cuoio degli interni del SUV nero raccontava una storia di lusso full optional. Salendo sull’auto Samuela aveva segnalato a Flavio un’allarmante prerogativa del veicolo: quella di essere blindato. Se ne era resa conto dal rumore prodotto dalle portiere nel chiudersi, un tonfo profondo e un immediato isolamento acustico. Aveva poi trovato conferma picchiando, con le nocche della mano destra, sul vetro.
«È antiproiettile, ma ti rendi conto? Addirittura un’auto blindata».
Flavio si vedeva riflesso nel vetro che isolava l’abitacolo dall’autista, i suoi occhi erano stanchi: «Johannes Maria Clarus, più ci penso e più mi convinco che si tratti di Jean-Marie Leclair».
Samuela sguainò lo smartphone e digitò: Jean-Marie Leclair.
«Non c’è bisogno di Wikipedia, Samuela. Leclair è stato ritrovato morto assassinato il 22 ottobre 1764 in un sobborgo di Parigi, il suo cadavere appariva in stato di avanzata putrefazione» snocciolò preciso Flavio, mentre contrastava con il corpo la potente inclinazione del SUV nell’immettersi sulla Périférique.
Samuela afferrò la custodia del violino, cercò all’interno il frammento che si riferiva alla datazione e, riflettendo ad alta voce, disse:
«Qua dentro c’è scritto ‘22 ottobre 1767’. Tu mi stai dicendo che Jean-Marie Leclair era stato ritrovato morto esattamente tre anni prima… Allora: quale liutaio costruisce un violino per un morto e glielo dedica?»
«Ma soprattutto» incalzò Flavio, «quale liutaio costruisce un violino per un morto, occultando data e dedica nel punto più nascosto della cassa dello strumento, e perché?»
«Per non parlare di tutti quei numeri, poi…» complicò ulteriormente il quadro lei. «Guardiamo meglio… Cazzo, e questo?» urlò mettendogli sotto il naso un frammento che riportava il disegno di un’ala stilizzata, simile a un geroglifico egizio. «Horus, Iside, Osiride, che noia; una loggia deviata del Settecento?» ipotizzò Samuela.
«No!» la interruppe Flavio. «Nessun geroglifico, guarda…»
Il maestro Tondi prese un altro frammento che, aderendo perfettamente al primo, completava il disegno: «Un’aquila, un’aquila a due teste, un’aquila bicipite che sta artigliando un globo».
«Che sta dominando il mondo» completò Samuela.
«Il globo sembra appoggiato su un cartiglio, che contiene a sua volta una scritta, non riesco a leggerla, ci vorrebbe una lente» disse Flavio, «è troppo piccola».
Samuela spostò lo sguardo sulla campagna parigina attraverso il vetro antiproiettile: albeggiava, un chiarore grigio, ostile.
«L’araldica è piena di aquile bicipiti: quella prussiana, quella degli zar…»
«Vero, ma questa non l’ho mai vista prima, guarda: entrambe le teste sono rivolte verso destra ed è inserita in un cerchio formato da dodici corone reali, una diversa dall’altra, come se rappresentasse una coralità di poteri».
«Come le stelle della bandiera europea… qui, però, il centro del cerchio è il nido dell’aquila» visualizzò lei. «Certo che se avessimo una lente…»
«Abbiamo ancora da chiarire la questione dei numeri e delle incisioni» sospirò stanco il maestro, «prova a toccare tu, che hai polpastrelli più sensibili».
«Sembrerebbero numeri anche questi».
«Che numeri?»
Samuela grattò un poco con l’unghia e un poco con il polpastrello:
«1, 1, 3, 3 inciso, 5, 4, 3 inciso, 7 6 5…»
«Sono note, è facile, il numero più alto è il sette» stabilì il maestro.
«E quelli incisi?»
«Sono le note all’ottava superiore».
«Perché quella superiore e non l’inferiore?»
«Perché ne ho cantato un pezzo nella mia testa e funziona se i numeri incisi sono note all’ottava acuta» si vantò con una smorfia compiaciuta Flavio, «per capire poi la tonalità dobbiamo trovare i diesis o i bemolle, cerchiamo all’inizio della serie numerica una ‘b’ minuscola o un cancelletto, dobbiamo assemblare i frammenti per avere l’insieme». Tacque per un attimo, gli occhi chiusi, poi concluse: «Sono identiche, in ogni alterazione cromatica, a quelle dell’Ouverture del Don Giovanni23 di Mozart, dalla battuta 23 fino alla 30: re mi fa sol la si do re re do si la sol fa mi re…» canticchiò.
«Dottoressa Bravermann, maestro Tondi». La voce dell’interfono invase improvvisa l’abitacolo, «vi prego di rilassarvi e riporre i pezzi del violino nella custodia. Siamo arrivati all’aeroporto ed entro un’ora saremo nel Suffolk, dove troverete tutto il necessario per esaminare lo strumento, lente compresa».
«Da quando gli autisti si permettono di ascoltare i discorsi privati dei clienti?» s’indignò Samuela.
Intorno alla storia di questo violino vorticano molteplici vite, numerosi attori, svariate arti. L’alchimia non è una scienza, è una ricerca dell’anima di chi la pratica, è arte per pochi. Ogni arte prevede un approfondimento personale e allontana dal noto per andare verso l’ignoto, porta ad abbandonare il familiare per lo sconosciuto. L’alchimia separa e fa evolvere. Raimondo di Sangro è stato uno dei più grandi alchimisti e Venanzio Rauzzini uno dei suoi esperimenti meglio riusciti.