Vi raccomando la lettura del maestro Paracelso

Versailles, appartamenti di madama la marchesa, novembre 1760

Il violinista Jean-Marie Leclair abbassò l’archetto e s’inchinò mentre gli applausi riempivano risoluti la piccola, deliziosa saletta della musica. Quel pomeriggio, nell’appartamento parigino di Jeanne Antoinette Poisson, marchesa di Pompadour, c’erano solo pochi e selezionatissimi intimi: il padre spirituale di Madame, un poeta profondo conoscitore di Virgilio, uno storico dalla prodigiosa memoria, un nasuto filosofo, una badessa dalle curiose simpatie anticlericali e il conte di Saint-Germain.

«Maestro Leclair, ancora un pezzo, di grazia» tuonò la badessa.

«Magari quel veneziano, quel Vivaldi, antico ma sempre gradevolissimo suonato da voi» suggerì il poeta.

Jean-Marie Leclair scambiò un cenno d’intesa con la marchesa graziosamente seduta al clavicembalo, e le prime note del terzo movimento in presto, concerto in sol minore altresì detto Estate, vibrarono decise. Rapide le nuvole della tempesta invasero la stanza: la virulenza del fulmine, il botto del tuono, la paura del pastore.

La badessa andò subito con la mente a quella novizia che aveva raggiunto nella sua cella la notte precedente. Il padre spirituale credette di avere una visione, una luce straordinaria lo avvolgeva alzandogli le vesti talari. L’uomo altresì noto come conte di Saint-Germain, invece, ricordò un’estate lontana, lui bambino sorpreso dal temporale e la sua balia che lo portava al riparo in una stalla. Il poeta intrecciò mentalmente un paio di efficaci rime che prevedevano le parole «calura» e «acquazzone». Il filosofo si chiese, per l’ennesima volta, il senso della vita. Lo storico, che alla memoria prodigiosa sommava una sordità quasi totale, non fece una piega.

Ancora applausi, ancora inchini, qualche occhio lucido, la marchesa che invitava tutti ad accomodarsi nel salotto dove sarebbero state servite le bevande e i dolci.

Saint-Germain si avvicinò al violinista.

«Caro maestro, grazie, siete sempre la miglior cosa che possa capitarmi in questo salotto».

«Dopo le grazie della nostra marchesa» puntualizzò Leclair.

«Dopo le grazie della nostra marchesa, certo. Ma noi dobbiamo parlare. Ho ricevuto la vostra lettera, purtroppo questa sera lascerò Parigi per qualche tempo, ma se mi fate l’onore di accompagnarmi nel fumoir potremo, intanto, accordarci per un prossimo incontro».

«Vi ringrazio per l’onore».

«Ma quale onore, siete voi che mi onorate con la vostra attenzione» esclamò Saint-Germain.

«Io sono solo un uomo, un uomo che soffre, conte».

«Voi siete Dio» provocò l’altro, lasciandosi cadere sulla sua poltrona preferita.

«Non vi prendete gioco di me, io credo in Dio, la mia Marie-Rose morta prematuramente è con lui, solo questo pensiero mi consola e impedisce alla pazzia di prendermi».

«Anche noi crediamo in Dio! Voi siete Dio, io sono Dio, l’Uomo è Dio» ribadì con enfasi Saint-Germain portando la mano alla tasca destra della giacchetta azzurro scuro.

«Ma l’Uomo è anche il Male, quindi anche Dio può essere Male» provocò Leclair.

«Certo, basta leggere il libro di Giobbe per averne conferma» approvò soddisfatto il conte.

«Ma il male non va forse combattuto?»

«Va combattuto, e per combattere il male l’unica possibilità che abbiamo è riconoscerlo, esserne consapevoli, elevarlo a cognizione e, infine, integrarlo coscientemente» chiarì Saint-Germain, accendendosi un grosso sigaro. «Vi disturba il fumo?»

«No, prego, prego, se fosse qui la mia compianta moglie Marie-Rose dovrei dire di sì, lei soffriva di congestione polmonare…» Leclair si passò una mano sul viso. «Mi manca» sussurrò.

«Voi avete smarrito una parte dell’anima vostra, caro amico, o meglio, una parte dell’anima vostra si è involata, diventando più difficile da raggiungere… o forse più facile, dipende dai punti di vista».

«Io parlo con lei, sapete?»

«Non mi stupisce, anch’io conferisco abitualmente con i morti. Ma tornando al male, l’insegnamento raccomanda solo di digerirlo». Il conte posò il sigaro nel posacenere.

«Digerirlo? Come uno stufato di cervo?»

«Certo, il male va assimilato, il male è ombra, nero, nigredo, materia che soffre, solo con il dileguamento della nigredo e la sua integrazione cosciente è possibile accedere a più alti stadi di evoluzione, all’albedo e poi ancora alla vita infusa dal sangue, la rubedo. Per fare ciò vi sono procedimenti che vanno appresi nell’assenza di paura».

«Io non ho paura».

«Lo sappiamo, è per questo che siamo qui, ma tutto a suo tempo» replicò Saint-Germain.

«Parlate, ve ne prego, ho urgenza, mi sento come Orfeo senza Euridice! Ma sento anche che il vostro insegnamento, avvicinandomi alla consapevolezza, mi avvicinerà a Marie-Rose».

«Eppure sapete bene qual è stata la fine di Orfeo per non aver obbedito, quindi ascoltatemi e obbedite».

«Vi prego».

«L’Uomo va salvato, questo è tutto, siate paziente».

«Ma Cristo Redentore, con il suo sangue versato, non ha forse già lui salvato l’Uomo?» domandò caparbiamente il violinista.

«Insieme all’Uomo va salvato il mondo, è la salvazione integrale di Uomo e Cosmo il fine ultimo dell’alchimia, vi raccomando la lettura del maestro Paracelso».25

«Ma voi questa sera lascerete Parigi e io non saprò! Spiegatemi almeno quella che voi chiamate integrazione del male».

Saint-Germain sospirò.

«No, caro amico, il nostro è lavoro arduo, disseminato d’impedimenti, tanti sono gli scogli contro cui si deve infrangere ma, testardamente, come onda dopo onda il mare corrode la roccia, anche il nostro insegnamento avrà la meglio sulla cecità degli uomini. Fra dieci giorni al mio ritorno vi manderò un messo con le consegne precise di ora e luogo, adesso dovete pazientare». Saint-Germain si alzò deciso.

«Conte! Io…» tentò ancora il povero Leclair.

«Devo congedarmi. Fra un paio d’ore la mia carrozza sarà pronta e non ho ancora cenato. Ci sono casi in cui la materia va assecondata senza troppi rituali, se mi volete scusare…» Il conte di Saint-Germain si avviò verso la porta, lasciando dietro di sé dubbi e afrore di sigaro.

Jean-Marie Leclair si decise al tutto per tutto. Con un balzo da abile danzatore si frappose tra la porta e Saint-Germain.

«Adesso o mai più, conte» proferì, gli occhi arditamente puntati in quelli del nobiluomo.

«Siete determinato, mi piacete. E va bene, potete seguirmi. Vi inizierò questa sera stessa, ma solo dopo una ricca cena innaffiata dai vini di Borgogna. Spero non siate astemio, caro maestro, detesto bere da solo».