Tredici

Martedì mattina, Bishop si alzò tardi, pieno di entusiasmo. Intendeva fare molte cose quel suo primo giorno a New York. Nel suo narcisismo vedeva la città giacere davanti a lui come un'estensione del suo stesso corpo, spalancata, in attesa di essere toccata, carezzata nello splendore caldo dell'autogratificazione. Avrebbe passeggiato in quelle strade per sentire il sangue che scorreva nelle sue vene, nelle arterie, si sarebbe fermato agli incroci affollati per ascoltare il battito del suo cuore. Nelle facce senza nome e nei corpi senza faccia dei suoi abitanti avrebbe trovato l'estremo brivido onanistico di sapere che l'Energia era tra loro. Lui era quell'Energia, e solo lui sapeva di avere il potere assoluto di vita e di morte su tutti quelli che lo circondavano. In ogni momento, anche solo per soddisfare un capriccio, poteva abbattere chiunque di loro, o quanti ne voleva, senza alcun progetto e senza sforzo, mentre si affannavano con i loro ridicoli lavori e con le loro inutili vite. Il pensiero lo deliziava. Avrebbe guardato le donne di New York, e nei loro occhi avrebbe visto ciò che desideravano tanto disperatamente e per cui lavoravano tanto diligentemente. Grazie a lui avrebbero trovato sollievo dal tormento e dalla follia. Avrebbe dato loro ciò che meritavano: la morte. E loro lo avrebbero onorato per la sua benevolenza prendendo per l'ultima volta nel loro corpo abietto il seme della vita che bramavano e paventavano. Nel momento del dolore finale sarebbero diventate parte di lui e lui parte di loro, e mentre lui rinasceva nell'agonia dell'orgasmo loro sarebbero state liberate dall'estasi della morte.

Solo lui poteva scegliere a chi concedere quell'ultima benedizione. Non si sarebbe fermato, non poteva essere fermato. Lo aspettavano a milioni, senza sapere chi fosse né quando avrebbe colpito, ma lo aspettavano comunque in un'affannosa speranza. Non le avrebbe deluse. Anche se era una ricerca apparentemente senza fine e la vittoria sembrava impossibile, avrebbe perseverato nella sua missione, perché, in verità, non poteva farne a meno. Sua era l'Energia che dominava e lui poteva sopravvivere solo esercitandola. Ora, a New York, luogo a cui pensava di appartenere da sempre e dove intendeva fermarsi a lungo, Bishop non dubitava che avrebbe continuato a godere di un felice anonimato mentre andava a caccia nella città più grande del mondo. Che non lo fosse davvero non lo infastidiva affatto, era sufficientemente grande. Né dubitava che avrebbe trovato abbastanza da fare per tenersi occupato. Aveva già notato, dalle sue prime ore, che dappertutto c'erano donne. A dozzine, a centinaia, a migliaia, a milioni. Erano davvero ovunque, e aspettavano solo lui. Dappertutto.

Intanto, la città giaceva di fronte a lui. Avrebbe cercato un posto in cui vivere, un quartiere affollato di giovani squattrinati, dove nessuno l'avrebbe notato. Si sarebbe trovato ancora un'altra identità, virtualmente insospettabile. Avrebbe versato i biglietti da cento dollari che teneva nella valigetta nera in conti legittimi, in modo da poter operare senza rischi. Avrebbe creato una nuova identità e una nuova storia partendo dalle radici, nel caso qualcuno fosse diventato sospettoso nei suoi confronti. Poi, avrebbe creato un'attività commerciale di facciata per dimostrare una legittima fonte di reddito, certo un'attività ai limiti della sopravvivenza, ma sufficiente a dissipare gli eventuali sospetti sulle sue fonti di guadagno.

Poiché non intendeva viaggiare, almeno non subito, né mostrarsi nelle stazioni dei treni e degli autobus dove la polizia era in allerta, decise di farsi crescere la barba. Tra i giovani era di moda e gli avrebbe permesso di passare inosservato. Nell'improbabile ipotesi che la sua vera identità fosse scoperta, la barba lo avrebbe protetto. Le autorità non avevano più nessuna delle sue fotografie, ma avrebbero potuto ottenere un buon identikit. Aggiungere una barba all'identikit avrebbe potuto renderlo inservibile, e lui poteva sempre modificare la forma della propria barba. Era meglio della chirurgia plastica, che aveva scartato comunque, anche se aveva il denaro necessario, perché troppo rischiosa. Il chirurgo si sarebbe insospettito e avrebbe avvertito la polizia. Anche se si reputava immortale, Bishop sapeva di non essere immune ai proiettili di una pistola.

Avrebbe fatto tutto questo e anche di più nei giorni a venire. Doveva comprarsi dei vestiti invernali, forse anche della mobilia, coperte e un materasso. Avrebbe letto libri su New York, avrebbe suddiviso la città in zone e l'avrebbe studiata. Con una residenza e un'identità ufficiale, con un nuovo volto e col denaro necessario, sarebbe stato del tutto invisibile. E con l'invisibilità sarebbe arrivata l'invincibilità. Una faccia tra la folla, perso nella massa, un lavoratore, capace di scivolare dentro e fuori, di apparire e scomparire, indistinguibile, irriconoscibile, invisibile.

Intoccabile.

Non come la lebbra, lenta e globale.

Ma come la peste, rapida e mortale.

Col cuore e nella sua mente distorta, Bishop sapeva che tutto questo sarebbe accaduto. Ma prima…

Prima avrebbe fatto un sacrificio come celebrazione.

Avrebbe celebrato quel rito come ringraziamento per essere giunto al sicuro su quelle sponde. Per ora intendeva continuare a muoversi perché rimanere fermo era troppo rischioso. Mentre attraversava le montagne e le pianure, le città e i paesi dell'America, aveva finito per capire che New York era la sua vera destinazione, la sua stella d'Oriente. Lui, per sua stessa definizione il più saggio tra gli uomini, non si sarebbe opposto a ciò che lo spingeva a seguire la sua stella. Diversamente dagli altri, era consapevole del proprio destino e lo accettava senza rimpianti.

Ora che aveva raggiunto facilmente la destinazione e la sua stella brillava su di lui, era tempo di festeggiare.

Alle 8,30 di martedì mattina era già fuori dello squallido albergo dove aveva trascorso la notte. Svoltò sulla Broadway all'altezza del numero 80 e si diresse verso il centro. L'aria era fresca e frizzante, l'inizio di una di quelle splendide giornate di ottobre per cui New York è famosa. Thomas Bishop rabbrividì per il freddo; la sua giacca gli sembrò improvvisamente inadeguata per quel clima, così decise che sarebbe stato prudente comprare subito qualcosa di più caldo. Forse una camicia pesante e un cappello. Notò che gli uomini, certamente diretti al lavoro, indossavano dei completi e quasi tutti avevano anche il soprabito. Quelli più giovani vestivano come tutti i giovani, in jeans di velluto a coste e giubbotti di ogni genere e provenienza. Stivali di pelle o di plastica, di solito vecchi e consunti sotto i pantaloni a zampa di elefante, erano le calzature più diffuse per entrambi i sessi. Si guardò le scarpe, logore oltre ogni possibile tentativo di recupero, e prese mentalmente un appunto. Avrebbe dovuto cambiarle.

All'incrocio tra la Broadway e la Settantatreesima il freddo lo spinse a entrare in un piccolo ristorante, dove ordinò uova al prosciutto e caffè nero. La vita passata in un istituto lo aveva abituato a fare colazione e cena di buon'ora e, anche se aveva modificato le sue abitudini alimentari per adeguarle alla sua nuova libertà, l'idea di fare colazione gli sembrò ragionevole. Il tavolo, una lastra quadrata di legno posata su un supporto centrale e rivestita di formica rossa, era vicino alla vetrina. Le quattro sedie erano con lo schienale rigido, una aveva un buco che attraversava la seduta ovale. Lui si sedette in quella accanto alla vetrina.

Sorseggiando il caffè bollente, osservò la moltitudine di persone, tutte prese dal loro viaggio individuale. Con le facce serie e i corpi rigidi, passavano veloci o aspettavano l'autobus, oppure si precipitavano tra le auto in controluce. Si comportavano en masse come se avessero disperatamente bisogno di arrivare da qualche parte e avessero pochissimo tempo per farlo e, dopo essere stato un po' a guardare, Bishop cominciò a sentirsi a disagio. Infine voltò le spalle alla vetrina mentre nella sua mente passava un'immagine, che aveva visto una volta in televisione, di un nugulo di topi frenetici in un labirinto. Non avevano niente da fare, né dove andare, ma continuavano la loro attività incessante. Si chiese cosa facesse tutta quella gente e dove corresse. In cinque minuti aveva incontrato più gente di quanta ne avesse vista in cinque mesi a Willows. Lo spaventava ancora, e fu felice di non essercisi scontrato nel suo primo giorno di libertà.

Gli portarono le uova col prosciutto e le divorò avidamente, guardando nel piatto. Tenne il toast per ultimo, per accompagnare la seconda tazza di caffè.

Quando alzò gli occhi dal piatto vuoto, vide la ragazza al tavolo accanto. Era seduta da sola con una tazza col manico sbreccato davanti a sé. Aveva i capelli arruffati, gli occhi vacui. Sedeva immobile, a parte un leggero dondolio del capo. Anche se lei guardava nella sua direzione, nulla suggeriva che lo avesse notato. Per un attimo pensò che stesse male, ma poi ricordò tutte le trasmissioni che aveva visto sui tossicomani. Avevano tutti lo stesso aspetto della ragazza al tavolo accanto. Lo stesso tipo di sguardo vuoto, lo stesso oscillare del capo. Continuò a guardarla, affascinato.

Un uomo venne infine da dietro il banco e le disse che doveva andarsene. Lei non lo udì. Lui lo ripeté. Ancora nessuna reazione. Lui la prese delicatamente per un braccio e la fece alzare, poi l'accompagnò lentamente alla porta. L'aprì con una spinta e la portò sul marciapiede, fino a un palo metallico sul bordo della strada. La ragazza sembrava indifferente a tutto.

Tornato nel ristorante, l'uomo si fregò energicamente le mani e riprese il suo posto dietro al banco. Era un newyorkese, pratico dei tanti stili di vita e del vicinato. Sapeva che non doveva spaventare un tossico o prenderlo di sorpresa. Potevano reagire in qualunque maniera. I tossici erano dei malati che avevano bisogno di un aiuto che non trovavano. La cosa migliore era toccarli gentilmente e guidarli con fermezza. Gli facevano pena, anche se molti di loro erano dei porci. Come la ragazza che aveva appena portato fuori. Non si sarebbe mai fidato di un tossico, neanche per una tazza di caffè. Senza denaro, erano i più poveri tra i poveri, e questo era il peccato peggiore a New York. Così come al Polo Sud.

Bishop aveva osservato attentamente. L'uomo era stato molto delicato con lei, molto premuroso. Il che significava che gli piaceva e che era dispiaciuto che fosse una drogata. Era triste, e Bishop ridacchiò tra sé. Stava cominciando a conoscere New York.

Tornò al toast e al caffè. La gente stava ancora sgambettando in tutte le direzioni. Il traffico si andava congestionando, i clacson suonavano. Qualcuno si lanciò attraverso la strada, tra le auto, i freni stridettero nella corsia veloce. Altri sembrava sfidassero le auto a investirli.

Una tossica. Pensò alle possibilità. Qui, a Broadway, a New York, una donna dagli occhi spenti si stava uccidendo con droghe malvagie, cercando di porre fine all'orrore della sua esistenza. Probabilmente molte altre stavano facendo la stessa cosa. Donne che non riuscivano più a sopportare quell'orrendo dolore e che nella loro follia si affidavano alle droghe mortali. Donne troppo vecchie, troppo malate o pazze per distruggere altri uomini. Donne pronte a morire, che volevano morire, che supplicavano di morire.

Forse avrebbe potuto aiutarne qualcuna.

Stava ancora pensando a come farlo, quando un giovane si avvicinò al suo tavolo. Prese la sedia rotta e ci si lasciò cadere sopra. Le mani andarono ai suoi occhiali da sole. «Ce l'hai?».

«Cosa?», domandò Bishop.

«Il tuo uccello», rispose l'altro esasperato. «Di cosa credi che parli? Polvere. Compri o vendi?».

«Che polvere?», chiese Bishop. Pensò che il ragazzo in jeans rosa e camicia di flanella lo avesse scambiato per qualcun altro. Qualcuno che parlava un altro linguaggio.

«Sei uno della narco, o qualcosa del genere?».

«Non proprio».

«Sei della mafia?».

«Non proprio».

«E allora cosa?».

«Non so».

«Sei solo venuto a farti una tazza di caffè, giusto?».

Bishop non capiva cosa ci fosse di strano. Era un ristorante, no? Perché la gente andava nei ristoranti se non per mangiare? Ma forse a New York era diverso. Forse esistevano ristoranti dove nessuno andava a prendere solo un caffè, o forse dove nessuno andava a mangiare. Ma allora perché andare al ristorante? Avrebbe cercato di imparare più che poteva.

«Ho preso anche le uova col prosciutto», disse gentilmente. Pensava che quello avrebbe chiarito le cose.

«Ma davvero?», disse il giovane disgustato.

«Davvero», rispose Bishop, cercando di capire che cosa l'altro si aspettasse da lui.

Jeans-rosa-con-camicia-di-flanella lo guardò in faccia per la prima volta. Non vide un poliziotto, né un malavitoso. Allora chi era?

«Sei di qui?», chiese sospettoso.

«No».

«Di dove?».

«Di là».

Il giovane fece un cenno indulgente con la testa. «Un duro».

«Duro abbastanza». Bishop cominciava a credere che il giovane fosse pazzo.

«Quindi vendi?».

«Vendo cosa?».

Quella fu la goccia finale per jeans-e-camicia. Ora vedeva solo un bifolco mezzo scemo che probabilmente non distingueva una droga dall'altra. E lui aveva delle pasticche di zucchero con sé.

«Ho della roba che è dinamite», sussurrò con voce roca. «Ne vuoi dieci dollari?».

«Ho abbastanza soldi, ma grazie lo stesso».

Il giovane borbottò tra sé. «Parlo di eroina. Una bomba. Ce l'ho in pasticche. Due per dieci dollari».

Bishop lo guardò con aria di biasimo. «Non prendo droghe», disse in tono di dignità offesa.

«Allora prendile per un amico».

Mister Dignità guardò fuori dalla finestra. La ragazza era ancora sull'orlo del marciapiede, poggiata al palo. Gli venne un'idea. «Va bene», disse voltandosi verso il ragazzo. «Compro due delle tue pasticche, ma ti do solo cinque dollari». Si era ricordato di una trasmissione televisiva in cui un agente della narcotici spiegava che gli spacciatori vendevano agli sconosciuti la droga al doppio del prezzo. Lui era troppo furbo per una cosa simile.

«Cinque dollari», ripeté. «O non se ne fa niente».

Il giovane non esitò un attimo. Infilò due dita nel taschino della camicia, estrasse due capsule trasparenti piene di polvere bianca e le lasciò cadere nella mano aperta in attesa.

Bishop prese dalla tasca della giacca diverse banconote, stando attento a non mostrare la borsa del denaro che teneva nascosta. Le distese. La più piccola era un pezzo da dieci. Il giovane disse che non gliele avrebbero cambiate al ristorante, ma si offrì di andare dal tabaccaio dall'altro lato della strada, mentre il suo amigo finiva il caffè. Ci sarebbe voluto un attimo.

Bishop pensò che era molto gentile. Osservò lo spacciatore attraversare la Broadway, evitando auto e bus. Da qualche parte dall'altro lato della strada affollata perse di vista i suoi dieci dollari.

Venti minuti più tardi, dopo aver finito la sua seconda tazza di caffè, Bishop si alzò di malavoglia, pagò la colazione e uscì dal ristorante. Rammentò a se stesso di essere più cauto a New York, poteva incontrare dei ladri.

Una volta fuori, si avvicinò alla ragazza. La sua testa dondolava lentamente su e giù. I passanti la guardavano appena, poi proseguivano senza rallentare. E lei sembrava completamente ignara di loro.

«Dove abiti? Vuoi che ti accompagni a casa?». La prese delicatamente per un braccio. La sua unica reazione fu quella di liberarsi dalla presa.

Qualche minuto di conversazione non gli fece ottenere altro che gemiti da parte della ragazza e le occhiate ostili dei passanti. Perfino l'accenno alla droga non la scosse. Decise che era troppo pericoloso rimanerle accanto. Avrebbe voluto accompagnarla a casa, presumendo che vivesse da sola, per darle la droga e porre fine alla sua sofferenza, per festeggiare il suo arrivo a New York. Capì che gli sarebbe stato impossibile.

Dispiaciuto, lasciò scivolare le due capsule nella tasca della giacca logora della ragazza. Con tutta probabilità, le avrebbe prese non appena le avesse trovate. Lui sapeva che l'eroina poteva uccidere. La chiamavano overdose. Sperava che morisse.

Si allontanò senza nemmeno guardarsi indietro, rammaricandosi di non aver comprato più capsule.

Per diverse ore passeggiò intorno al Lincoln Center, che gli ricordò Willows, e poi fino all'ingresso di Central Park, a Columbus Circle. Si sedette su una panchina e mangiò un sacchetto di caldarroste. Vagò attraverso la parte sud-ovest del parco fino alla pista dei cavalli. C'era poca gente in giro a quell'ora del giorno, e lui provò una strana eccitazione nel trovarsi praticamente da solo nel cuore della grande città. Il parco era molto diverso dal Grant Park di Chicago curato come un giardino all'inglese, piatto e aperto. Qui il terreno si innalzava in colline e sprofondava in vallate, era vario e alla mano selvaggia della natura era concessa una notevole libertà. A Bishop piacque quello che vide di Central Park e si ripromise di tornarci. Forse con una donna da portare all'interno del bosco…

A mezzogiorno era di nuovo a Broadway. Sulla Cinquantaquattresima Strada passò davanti a un concessionario d'auto e si fermò ad ammirare le macchine straniere. La vide riflessa sul vetro quando gli si avvicinò.

«Cerchi un po' d'amore, dolcezza?».

Si voltò a guardarla, incerto. «Dici a me?».

Lei sorrise spietata. «Non vedo altri qui, e tu?».

«Non puoi dirlo a me, perché io sono invisibile», le rispose. Non gli piacque il suo sorriso.

«E io sono una verginella di dodici anni», rispose lei. «Vuoi farti una sveltina?».

«Non credo».

«Un pompino?».

«Non credo».

«Una cosa a tre entrate?».

«Non credo».

Lei lo guardò esasperata. «Ma pensi a qualcosa?».

«Penso che tu non sia una verginella di dodici anni».

Lei socchiuse gli occhi. «Non solo sei invisibile», sussurrò con un tono sgradevole. «Ma non esisti proprio».

La guardò allontanarsi, con le lunghe gambe scure che si muovevano come giganteschi pistoni. Prima di svoltare l'angolo lei si voltò. «Frocio», gli urlò.

Con la mente la sezionò in quattro parti, e poi in pezzi più piccoli. Gli sarebbe piaciuto dedicarsi a lei a Central Park, non sarebbero rimaste altro che ossa spolpate.

Finalmente trovò ciò che cercava sulla Ottava Strada tra la Quarantaseiesima e la Quarantasettesima. Era giovane, morbida e piacevolmente rotonda. Era sola e in attesa di clienti. Disse che gli sarebbe interessato, ma solo se potevano andare a casa di lei. Non voleva andare in un albergo, e avrebbe aggiunto il costo della camera alla sua normale tariffa. Prendere o lasciare.

Lei aveva bisogno di soldi e lui di privacy. E le sembrò abbastanza tranquillo, ben vestito, un altro uomo d'affari che voleva togliersi uno sfizio durante la pausa pranzo. Decise di accettare.

Nel vicino appartamentino di una stanza e mezza, lui la strangolò velocemente. Poi, mise il corpo nella vasca da bagno, le tagliò la gola e la lasciò lì a dissanguarsi. Ora riusciva a percepire la propria astuzia animalesca che trasudava dai suoi sensi attraverso i pori. Quando ebbe finito, riempì la vasca d'acqua tiepida e si lavò accuratamente.

Come il lupo che si monda del sangue dell'agnello.

Era il viaggiatore che aveva fatto un sacrificio per esprimere la sua gratitudine per essere arrivato salvo alla fine del viaggio.

Era il cacciatore di demoni che eseguiva il compito a cui era destinato.

Su uno specchietto da trucco il lupo lasciò il segno della sua zampa insanguinata. Sotto, il cacciatore di demoni scrisse una parola col sangue.

Verso le sei di sera, il viaggiatore aveva trovato anche un rifugio. Aveva passato il pomeriggio in città, ma prima aveva deciso che la Lower East Side e Soho rispondevano meglio alla sua esigenza di vivere in un luogo pieno di giovani squattrinati. Gli piacevano la varietà del Lower East Side, la sua energia, il colore, la vitalità, i suoi negozietti e la sua gente. Ma molti sembravano stranieri e questo non andava bene per il suo indispensabile bisogno di anonimato. Aveva bisogno di fondersi per diventare totalmente invisibile, e poteva farlo solo tra i suoi simili. Dopo aver controllato dei posti tra la Houston e Canal Street, finalmente decise per un grande loft a Soho.

L'edificio a tre piani su Greene Street era un vecchio magazzino ristrutturato. Il pianoterra era utilizzato durante il giorno come deposito da alcuni negozianti, che affittavano lo spazio al metro quadrato. Il primo e il secondo avevano anche un ingresso indipendente. Lui avrebbe occupato il secondo. L'ultimo era stato ristrutturato solo in parte e l'accesso, in cima a una scala stretta, era parzialmente ostruito da tavole di legno. Quindi lui aveva solo la chiave del portone principale. In effetti godeva di una privacy quasi totale, dato che sarebbe stato solo nell'edificio per la maggior parte del giorno, della notte e di tutti i weekend. Ma era circondato da migliaia di giovani che abitavano in appartamenti simili.

Il loft era perfetto per le sue esigenze e Bishop lo affittò subito, anche se non aveva pensato di spendere così tanto. L'affitto mensile ammontava a centonovantacinque dollari e aveva dovuto versare al padrone di casa un mese anticipato come garanzia. Intendeva vivere a lungo col denaro che aveva e non voleva spendere più del necessario.

Ufficialmente il loft era il suo studio, perché le norme urbanistiche della zona non prevedevano alloggi, e anche quell'edificio non aveva la licenza di abitabilità. Ma in pratica, di fatto, tutte quelle migliaia di affittuari risiedevano nei loro spazi lavorativi, anche se legalmente non esistevano. Cosa che nel quartiere non dava fastidio a nessuno, tantomeno a Bishop, a cui piaceva l'idea di vivere circondato da persone che per legge non esistevano, metà delle quali sognava di far scomparire.

La sua casa aveva il riscaldamento a gas, un doppio lavandino e un piccolo bagno con vasca. Il padrone di casa si offrì di affittargli un frigorifero e una piccola macchina a gas che erano già sul posto, per un extra una tantum di settantacinque dollari. Accettò, perché capì che rifiutare gli avrebbe fatto perdere la casa. Una branda pieghevole e qualche mobile lasciati dall'inquilino precedente, che si era dovuto trasferire improvvisamente per lavoro, gli furono lasciati gratuitamente.

A Canal Street acquistò un materasso, delle coperte e alcuni asciugamani, una lampada, le lampadine e una prolunga elettrica. Prese anche una caffettiera, un tegame e una radio a transistor. Esaminò attentamente i lucenti set di coltelli esposti in diverse vetrine, ma decise che il suo era ancora abbastanza affilato. Aveva dentro ancora molta vita, e anche molta morte.

Quella notte Bishop dormì nella nuova casa, comodamente avvolto nelle lenzuola pulite e in una coperta calda, con la radio portatile che suonava piano sul tavolino vicino alla brandina. Si sentiva euforico per i suoi progressi ed era elettrizzato alla prospettiva del futuro. Sarebbe rimasto a New York fin quando poteva svolgere il suo compito. Certamente tutto l'inverno, salvo imprevisti. Forse anche più a lungo, molto più a lungo, forse addirittura per sempre. La città era grande abbastanza per soddisfare le sue particolari esigenze. Gli piaceva tutto di quella città, come istintivamente aveva sempre saputo.

Più di ogni altra cosa adorava come le persone si accettavano reciprocamente per il proprio valore di facciata. Col denaro potevi essere chiunque! Sospettava che avendo abbastanza soldi, a New York si poteva diventare chiunque si volesse. Era un gioco folle a cui giocavano tutti ma nessuno usava il fischietto. Per il padrone di casa lui veniva dall'Ohio e se n'era andato di casa per vivere da solo. Voleva dipingere ed era venuto a New York. Aveva con sé dei risparmi e avrebbe cercato un lavoro mentre inseguiva il suo sogno. Si chiamava Jay Cooper e aveva ventitré anni.

Tutto lì. Nessuno aveva fatto domande, perché aveva i soldi.

Bishop trovava che l'idea fosse assolutamente incredibile. Aveva abbastanza denaro per poter essere chiunque. Ma voleva essere solo il figlio di Caryl Chessman e un famoso assassino di donne. E lo era! Quindi non aveva bisogno del denaro. Gli serviva solo per fingere di essere qualcuno che non voleva essere, per nascondere ciò che invece voleva essere davvero. E lo era!

Si addormentò, deliziato, sorridendo.

Il mercoledì mattina lesse le notizie su di sé mentre beveva il caffè in un bar vicino. La donna aveva vent'anni ed era una prostituta. Il corpo era stato trovato orrendamente mutilato e completamente dissanguato. Nessuno era stato visto entrare o uscire dalla casa popolare dove lei viveva nella Quarantanovesima Strada Ovest. Non c'era traccia di rapina, né alcun tipo di movente se non la più totale follia. Cosa che fece subito pensare a Vincent Mungo.

Il giornale dedicava molto spazio alla parola tracciata col sangue sullo specchio: «Chess». Ovviamente stava per "Chessman" e altrettanto ovviamente significava che Vincent Mungo, il cosiddetto figlio di Caryl Chessman, era l'autore del massacro. Qualcuno fece notare che ai suoi tempi Caryl Chessman si faceva chiamare Chess. Lo chiamavano tutti con quel nome ed era l'unico che usasse. Un redattore furbo intitolò il suo articolo "Chess Man colpisce ancora".

Quel nome sarebbe rimasto.

La stessa mattina Bishop lesse l'articolo e pensò che il nome nel titolo era interessante. Lo legava ancor più a filo stretto a suo padre ed era corretto per parecchi motivi. Lo preoccupava, però, che si stessero avvicinando troppo alla verità, anche senza rendersene conto. Sperava che la barba gli crescesse in fretta. Fino ad allora avrebbe continuato a mettersi quella finta ogni qualvolta usciva, come aveva fatto per affittare il loft.

Dopo colazione trovò una banca nella zona del centro e aprì un libretto di risparmio come Jay Cooper con un deposito iniziale di duemila dollari. Non troppi, per non attirare l'attenzione. Altri seimila dollari sarebbero stati versati poco per volta nelle settimane successive. L'indirizzo postale dato alla banca era quello di un negozio di Lafayette Street che, per una piccola cifra mensile, da pagare in anticipo, fungeva da fermoposta. Un'altra cosa che aveva scoperto guardando la TV. L'indirizzo dato al proprietario del negozio, come previsto dalla legge, era l'indirizzo di Jay Cooper a Chicago riportato sulla patente. Tutto era perfettamente in regola.

Secondo i suoi piani, altri ottomila dollari sarebbero stati versati con cautela in un'altra banca quando si fosse assicurato una nuova identità con i relativi documenti. Questi due conti bancari in due depositi diversi sarebbero stati immediatamente disponibili in caso di emergenza. Anche se fosse saltata una copertura, ci sarebbe sempre stata l'altra. Date le circostanze, finché non otteneva una carta di credito, oltre ai libretti bancari locali, per il momento doveva bastargli questo.

Il resto del denaro era nascosto in casa; lo avrebbe utilizzato per le spese quotidiane e tenuto pronto in caso di un'emergenza assoluta. Il libretto di risparmio attestava la sua solvibilità e testimoniava un'attività di facciata che intendeva avviare presso il proprio domicilio. Sarebbe stata la prova della sua legittimità.

Uscito dalla banca, si avviò giù per la Lower Broadway fino al Municipio, dove si fermò da Modell's per comprarsi dei vestiti invernali. Una camicia di flanella pesante, calze di lana, biancheria calda, pantaloni di denim pesante e un cappello da cacciatore con i paraorecchie. E, più importante di tutto, una giacca a tre quarti di pelle scamosciata con un'imbottitura di fibra sintetica. Al piano inferiore acquistò un paio di stivali di pelle marrone con le suole di gomma. Una torcia e alcune batterie extra, un apriscatole di metallo, uno spazzolino da denti con l'astuccio di plastica e alcuni utensili.

Nel pomeriggio comprò un televisore portatile in un negozietto di riparazioni vicino alla sua nuova casa. Lo pagò quaranta dollari, con una garanzia di trenta giorni. Dopodiché, per un anno, il negoziante avrebbe solo fatto pagare i pezzi di ricambio. Bishop pensò che fosse conveniente. Allo stesso negoziante pagò centocinquanta dollari per una macchina fotografica Nikon da 35mm, un treppiede e altro equipaggiamento fotografico, il tutto di seconda mano ma funzionante. La considerò una spesa eccessiva, ma necessaria ai suoi scopi.

Una breve ricerca nei negozi dell'usato del quartiere gli fruttò una dozzina di vecchie riviste di fotografia e di moda, piene di modelle. Da un grossista di Canal Street prese due enormi rotoli di carta da parati bianca, ciascuno largo un metro. In fondo alla strada trovò una sparapunti e un rotolo di nastro adesivo coprente. L'ultima sosta fu al supermercato locale dove acquistò i suoi cibi preferiti: gelato al cioccolato, una bistecca che intendeva mangiare cruda, pane e mortadella e un barattolo di ananas a fette. Quella sera si ingozzò fino allo stordimento e si addormentò guardando uno spettacolo televisivo che mostrava un doppio stupro da parte di una banda di teppisti, un omicidio con pozze di sangue inquadrate a distanza ravvicinata, un bambino che veniva gettato dalla finestra di un quinto piano da uno dei genitori e una sparatoria tra la polizia e un rapinatore che aveva preso degli ostaggi. Tutto questo nei primi quindici minuti di trasmissione. Il programma si chiamava Eleven O'Clock Evening News. 

La mattina del giovedì, Bishop si svegliò presto come al solito. Avrebbe voluto stare sveglio gran parte della notte e dormire fino a tardi come facevano tutti, ma sapeva che gli ci sarebbe voluto del tempo per adeguarsi a quel tipo di orari. Aveva passato troppi anni in un istituto con la sua monotona routine del "presto a letto" e "presto svegli". I cambiamenti esigevano del tempo, ma lui ne aveva in abbondanza o così gli piaceva credere. Tutto ciò che voleva, tutto ciò di cui aveva bisogno, gli sarebbe stato dato al momento giusto. Di questo era certo. Intanto avrebbe sfruttato le mattinate per far quello che andava fatto.

Andò in una falegnameria sulla Bowery e ordinò una dozzina di fogli di compensato da due metri e mezzo di altezza insieme a una libbra di chiodi.

La piccola attività commerciale che Bishop aveva deciso di intraprendere era la fotografia. Gli offriva l'opportunità di lavorare in casa senza nessuna supervisione e senza orari e gli permetteva di dimostrare un'apparente fonte di reddito. Se necessario, la macchina fotografica professionale che aveva acquistato sarebbe stata la prova del suo lavoro. Inoltre, avrebbe acquisito degli assegni da banche diverse che avrebbe girato a se stesso ogni mese, inventandosi i nomi degli acquirenti. Avrebbe così dimostrato di avere un lavoro legittimo che gli assicurava delle entrate anche se minime, al limite della sopravvivenza.

Disposti i fogli di compensato su una parete del loft a un metro di distanza l'uno dall'altro, con la busta dei chiodi, un martello dall'impugnatura in plastica e i due rotoli di carta da parati, Bishop si mise al lavoro. Con calma, inchiodò con cura i fogli di compensato alla parete, piantando i chiodi da cinque centimetri nella malta tra i mattoni. Continuò a martellare, ora dopo ora, finché tutti i dodici fogli di compensato non furono solidamente inchiodati nella parete di dieci metri.

Le tavole di legno davano l'idea di una grande intelaiatura sulla parete, incompleta e abbandonata. Ma non a lungo. I fogli di carta da parati furono fissati sulle tavole con la sparapunti, dall'alto in basso, in sezioni da cinquanta centimetri. I bordi si sovrapponevano l'uno all'altro, finché l'intera struttura non fu rivestita da undici fogli di carta da parati bianca.

Un'altra lunga striscia di dieci metri fu graffettata orizzontalmente sulla base delle lastre di legno e sopra ai precedenti strati di bianco. Una seconda striscia fu messa sopra a questa e infine una terza che andava a coprire l'intera superficie dell'intelaiatura, alta oltre due metri e mezzo.

Quando finì era già pomeriggio inoltrato, lo stomaco gli brontolava per la fame e le gambe erano indolenzite per tutto il salire e scendere dalla sedia per completare in alto il suo lavoro. Ma la parte più difficile era stata fatta. Almeno metà del muro del loft adesso era adatto a uno studio fotografico, come una tela per dipinti o uno sfondo per film.

Dopo un panino con la mortadella tornò all'opera, sfogliando le vecchie riviste per cercare le foto delle modelle. Ne scelse diverse che gli piacevano particolarmente. Con un rotolo di nastro adesivo le incollò accuratamente dall'alto in basso sulla sua tela in modo artistico. L'effetto fu straordinario. La parete sembrò prendere improvvisamente vita, trasformata da una distesa di bianco in qualcosa di allegro e brillante. Molto professionale.

Davanti al suo nuovo sfondo, montò il treppiedi con la Nikon. Su una bassa cassettiera, malconcia ma funzionale, sistemò il resto dell'equipaggiamento fotografico, compresi gli obiettivi e l'esposimetro. Finalmente era tutto pronto. Ora gli serviva solo una modella per una seduta, anche se lui non aveva mai scattato una foto e non sapeva come funzionava una macchina fotografica.

Ma aveva intenzione di conoscere intimamente la modella. Tutte le modelle.

Quella sera cenò ancora con pane e mortadella e un quarto di latte mentre osservava un notiziario speciale su Vincent Mungo. Il servizio iniziava con delle fotografie dell'ospedale di Willows, poi attraversava velocemente le città colpite, soffermandosi a lungo su Chicago. L'ultima era New York, naturalmente, e il giornalista si domandò retoricamente quali altri orrori aveva in serbo Vincent Mungo per la città.

Nel tranquillo studio fotografico Thomas Bishop sorrise in silenzio, con il sandwich alla mortadella in mano.

Venerdì mattina gettò via la branda pieghevole. Era scomoda e non abbastanza solida. Al suo posto acquistò un grosso pezzo da un metro e ottanta per un metro e venti di polistirolo espanso, alto dieci centimetri, e un coprimaterasso a fiori. Quello sarebbe stato il suo letto. Lo avrebbe messo per terra, il modo migliore per dormire. Come tutti, aveva bisogno di una buona giornata di riposo per svolgere al meglio il suo lavoro notturno.

Il pomeriggio successivo andò da Barnes and Noble6 e scelse cinque libri su New York. Uno s'intitolava The Insider's Guide to New York e solo il tenerlo in mano lo fece sentire uno del posto. La cosa lo fece stare bene, perché era stanco di essere un outsider. Voleva far parte della sua città adottiva. Almeno per ora.

Un altro libro si intitolava New York at Your Fingertips. Proprio lì lesse che la Grand Central Station, che lui pensava fosse il più bel posto del mondo, era alta dieci piani. Una stanza enorme alta dieci piani! Si ricordò della prima volta che l'aveva vista, quando era arrivato circa una settimana prima; non era preparato a una tale meraviglia, e non avrebbe mai potuto immaginare simili dimensioni e un tale splendore. L'aveva anche sognata. Nei suoi sogni si trovava solo in quella stanza enorme e correva nudo sul pavimento di marmo. Era solo – le grandi luci danzavano soltanto per lui, una voce invisibile gli parlava. I cancelli che portavano ai binari si aprivano di colpo e migliaia di donne, nude, indifese, con le teste ornate di fiori chine in posizione di sottomissione, i lunghi capelli fluenti sulle spalle muscolose, entravano riempendo in silenzio la sua "stanza". Erano migliaia. I visi febbrili in attesa, gli occhi ardenti privi di senno, si fondevano tutte dolcemente in un grande arcobaleno luminescente mentre la lama argentata lampeggiava più volte nella sua mano infuocata…

In un altro libro scoprì che a New York c'erano diversi club degli scacchi, dove, con una spesa minima, i giocatori potevano incontrarsi per giocare e chi era solo poteva trovare qualcuno con cui organizzare le partite.

Alla cassa la ragazza gli chiese se era nuovo della città.

«Abito qui da sempre».

«Cinque libri su New York?».

«Sono nato proprio in fondo alla strada».

«Le piace leggere, allora».

«Ora vivo nell'Empire State Building».

«Nessuno ci vive».

«All'ultimo piano».

Lei sorrise incredula.

«Posso vedere la finestra della tua camera da letto».

«Lei non sa dove vivo».

«La sera ti guardo mentre ti togli i vestiti».

Il sorriso di lei scomparve.

«Riesco a vedere tutto quello che fai a letto e quanto ti piace…».

«Sono dieci e sessantacinque, le do il resto».

La ragazza mise il resto sul banco e senza guardarlo si rivolse al cliente successivo.

Lui prese il resto e la busta con i libri.

«A più tardi», le sussurrò uscendo.

Quando tornò a casa, Bishop si riscaldò un barattolo di minestra e divorò un sandwich, poi disseminò i libri sul suo nuovo giaciglio e iniziò a leggere. Si addormentò prima di aver finito il primo.

La domenica cominciò con una splendida alba luminosa, una perfetta giornata di ottobre. Bishop passò la mattinata a passeggiare per le strade deserte, arrivando fino a Battery Park all'estremità sud di Manhattan. Nella zona di Wall Street non c'era nessuno. Si sentì come l'ultimo uomo sulla Terra e si chiese se da dietro le finestre chiuse lo stessero osservando occhi estranei. Ma non c'erano alieni oltre a lui e le finestre erano vuote.

La zona di Soho, come quasi tutto il centro di New York, di domenica era quasi deserta e mentre lui passeggiava lungo gli isolati, nel primo pomeriggio, quel senso di vuoto aleggiava pesantemente nell'aria. Gli ricordò Willows, non gli edifici dove c'erano le persone, ma le zone selvagge, dove la solitudine era insopportabile. Una volta gli piaceva stare da solo, ma era tanto tempo fa. Ora desiderava essere circondato da greggi di persone. Erano come pecore, le vedeva come le sue pecore e lui era il lupo travestito da agnello. Finché si trovava tra loro era al sicuro.

Infine entrò in un bar tra Broome Street e West Broadway, con piante sui davanzali delle finestre e il menù scritto su una lavagna col gesso colorato. Si sedette a un tavolo per due. Una trentina di giovani se la spassavano attorno a lui, ai tavoli e al bancone del bar, e si chiese perché si divertissero tanto. Per lui i bar erano luoghi dove andare con uno scopo preciso, e guardandosi attorno ne vide ben poco nell'atteggiamento degli altri. Le donne lo interessavano in modo particolare e le guardò con grandi occhi da agnello. Alcune di loro notarono la sua attenzione e, inconsapevoli delle sinistre possibilità, divennero più civettuole. Un comportamento istintivo, naturalmente, programmato dalla natura nel linguaggio dell'amore. Che era anche quello della sopravvivenza della specie.

In quel senso anche Bishop poteva essere visto come parte di un disegno naturale: eliminava i deboli e i derelitti. Simile al camaleonte di fronte alla preda, si fondeva con l'ambiente fino a essere invisibile. E come per la splendida Dionea pigliamosche, la natura gli aveva donato un aspetto desiderabile per la sua preda.

Sorrise alla cameriera e ordinò una birra e un hamburger. Quando lei gli portò la birra, lui le disse che era nuovo della zona. Si era trasferito a Greene Street dopo aver trascorso sei mesi nella parte alta della città. Non gli piaceva. Nessun rapporto coi vicini, se lei capiva cosa intendeva dire. Lei fece di sì col capo, evasiva come sempre con gli sconosciuti. Un sorriso e un cenno della testa, tutto lì. Quella era la sua difesa.

Quando gli portò l'hamburger le disse che era un fotografo e lavorava nel suo nuovo loft. Aveva mai posato per artisti? Aveva una struttura ossea classica, e un bellissimo viso, molto sensibile.

Lei sorrise e fece un cenno col capo. No, non aveva mai fatto la modella. Non le interessava. Ma gli rivolse un sorriso extra in cambio del complimento. Un attimo dopo, occupata a un altro tavolo, lo aveva già dimenticato. Solo un altro arrapato in cerca di una scopata o di un pompino. Chi lo voleva? Lei era in un periodo di calma dopo la fine di una relazione importante. Ci sarebbe voluto un po' prima che le interessasse di nuovo l'amore.

Quando pagò il conto lui le chiese di dove fosse. Lei disse Boston e lui disse Missouri. Veniva dal Missouri e sperava di rincontrarla. Lasciò un dollaro sul tavolo.

Più tardi, a casa, si controllò la barba allo specchio. Non era male per essere solo di una settimana. Più fitta di quanto pensasse. Aveva già un aspetto diverso, più brillante e insieme più sensibile. Certamente più interessante. Ancora una settimana e sarebbe stata perfetta. Aveva smesso di portare la barba finta, non ne aveva più bisogno. Ancora una settimana e sarebbe stato al sicuro. Una persona diversa, la somma di tutte le persone che era stato o che avrebbe potuto essere.

Osservandosi allo specchio del bagno, Bishop non sapeva, né avrebbe mai saputo, che quasi tutti i più grandi assassini seriali moderni avevano la barba o barba e baffi oppure, a volte, solamente i baffi: Lüdke, Vacher, Karl Denke, Albert Fish, Ludwig Tessnow, Peter Kürten, Adolph Seefeld, Béla Kiss, tra gli altri. Una strana parentesi della storia, qualunque fosse il suo significato.

Jack lo Squartatore?

Anche se non fu mai catturato, alcune persone potrebbero averlo notato prima o dopo alcuni dei suoi orrendi omicidi a Whitechapel, a Londra, nel 1888. Le descrizioni degli uomini visti con alcune delle donne uccise sono tutte diverse ma quasi tutte fanno cenno a barba o baffi. Forse la più importante di queste testimonianze, fornita da un certo George Hutchinson dopo lo spaventoso omicidio con mutilazioni di Mary Kelly, parla di un paio di baffi arricciati in punta. E naturalmente tutti i maggiori candidati all'identità di Jack lo Squartatore – il dottor Neil Cream, il duca di Clarence, Montagne Druitt, George Chapman – avevano la barba o i baffi.

Quando Thomas Bishop andò a letto quella domenica sera, senza pensare a Jack lo Squartatore o agli altri, ebbe il presentimento che quella per lui sarebbe stata una bella settimana. Si era sistemato nei suoi quartieri d'inverno e ora poteva progettare la sua campagna. Come un generale prima della battaglia, avrebbe schierato le sue forze per l'attacco.

Si sarebbe svegliato il mattino e sarebbe stato un lunedì. Un lunedì che sarebbe stato l'inizio di una nuova settimana e di una nuova vita.