Il contesto militare

di Tommaso Braccini

Lo strapotere dell’esercito nel corso del III secolo è spiegabile anche con la maggiore pericolosità dei nemici esterni, che si fanno sempre più organizzati e minacciosi; la stessa struttura militare è costretta ad adeguarsi al mutamento della situazione. Si individuano alcune tendenze importanti: aumento dell’importanza della cavalleria, dicotomia fra truppe trincerate ai confini ed esercito mobile al seguito dell’imperatore, esautorazione progressiva della classe senatoria.

La dicotomia tra truppe confinarie e vexillationes

Quando si giunge a parlare della crisi del III secolo, sia che si utilizzi la tradizionale etichetta (ora messa in discussione) di “anarchia militare”, sia che ci si limiti a prendere atto dell’origine di molti degli imperatori e degli usurpatori che si succedono da Massimino (170 ca. - 238) a Diocleziano (243-313), quasi tutti provenienti dai ranghi dell’esercito, risulta evidente che il contesto militare riveste un’importanza del tutto particolare. Sicuramente nel III secolo (ma le prime avvisaglie si erano avute già sotto Marco Aurelio, 121-180), la pressione esterna sui confini imperiali si fa sempre più intensa, e questo, per reazione, comporta una serie di innovazioni e cambiamenti nell’organizzazione e nell’armamento delle truppe, destinati ad essere sistematizzati definitivamente da Diocleziano. La situazione dell’epoca dei Severi si pone in sostanziale continuità con il periodo precedente: il grosso delle truppe è schierato sui fronti più a rischio. I concentramenti più imponenti sono localizzati lungo la frontiera renano-danubiana, ben contraddistinta da elementi fisici (il corso dei fiumi, i Carpazi), e lungo quella orientale, molto meno evidente soprattutto nella parte meridionale, desertica. Si tratta dunque di un sistema statico, caratterizzato inoltre dalla mancanza di concentrazioni significative di truppe nelle retrovie (si potrebbe usare il termine di “riserva strategica centrale”) in grado di tamponare gli eventuali sfondamenti delle frontiere. È il caso, ad esempio, dell’invasione dei Marcomanni nel 170: superata la resistenza dell’esercito attestato sui confini, i barbari possono spingersi fino in Italia. Per venire incontro alla necessità di disporre di un esercito mobile, spesso condotto direttamente dall’imperatore (diviene sempre più frequente l’uso del termine comitatus per indicarlo), in grado di intervenire nelle zone di confine maggiormente sotto pressione o di intercettare i nemici penetrati nel cuore dell’impero (se non di procedere a vere e proprie spedizioni di conquista), si ricorre sempre più alle cosiddette vexillationes.

Se una legione intera può essere spostata con difficoltà, sia per il rischio di lasciare sguarnita la frontiera, sia per la relativa lentezza dei suoi movimenti, molto più semplice risulta invece prelevarne un singolo distaccamento (vexillatio) che poi viene innestato nell’esercito al seguito dell’imperatore. Inizialmente si tratta di una soluzione episodica e momentanea (al termine del periodo di necessità, la vexillatio è restituita alla legione di origine), ma con il passare del tempo il ricorso alle unità distaccate si fa sempre più strutturale, innescando un vero e proprio circolo vizioso.

Le necessità belliche (civili o esterne) e le lunghe campagne militari fanno sì che le vexillationes restino lontane anche molto a lungo, e soprattutto che una singola legione possa essere sottoposta più e più volte a questo prelievo che ne depaupera gli effettivi. Ciò comporta un indebolimento del fronte, accrescendo il rischio di sfondamenti, che a loro volta, per essere tamponati, incentivano ancora di più il ricorso a distaccamenti.

Allo stesso modo, si rende necessario coordinare in maniera migliore la difesa di macrosettori della frontiera, caratterizzati da problematiche simili che travalicano i confini di una singola provincia. In una fase iniziale si tratta perlopiù di soluzioni temporanee: si possono raggruppare in questa categoria la nomina di Odenato a corrector totius Orientis da parte di Gallieno, quella a corrector Orientis di Marcellino da parte di Aureliano e infine quella a dux totius Orientis di Probo da parte di Claudio Tacito. In epoca tetrarchica questo tipo di organizzazione finisce poi per essere istituzionalizzata.

Le riforme attribuite a Gallieno

Le fonti antiche e bizantine e la storiografia meno recente individuano poi in Gallieno l’autore di importanti riforme nella struttura stessa dell’esercito. A questo imperatore viene attribuita, infatti, la creazione di squadroni composti esclusivamente da cavalieri (ricordiamo che la struttura “classica” della legione prevedeva la compresenza di fanteria e, in misura minore, cavalleria). Oggi si avanzano dubbi sul fatto che sia avvenuta una vera e propria “riforma” in tal senso, ma è un dato di fatto che l’importanza della cavalleria, anche per esigenze tattiche, va crescendo e che effettivamente, sotto Gallieno e negli anni seguenti, pare essere in vigore la carica di “comandante di tutta la cavalleria”, ricoperta tra l’altro da due dei suoi successori, Claudio e Aureliano. Sempre Gallieno sarebbe il fautore della presenza di grandi concentrazioni di truppe mobili alle spalle della frontiera balcanica (a Petovio in particolare) e, soprattutto, di un imponente acquartieramento di cavalleria presso Milano. Piuttosto che a una prefigurazione dell’esercito mobile di età tetrarchica e costantiniana, come spesso è stato sostenuto, oggi si preferisce pensare a un provvedimento episodico dovuto alle esigenze del momento: la necessità di disporre di una forza di intervento rapido nell’Italia settentrionale, per cautelarsi contro le attività di Postumo nelle Gallie e soprattutto degli Alamanni a settentrione.

Sotto Gallieno, infine, sarebbe giunta a compimento anche l’estromissione della classe senatoria dagli alti comandi dell’esercito, che in precedenza le erano riservati in via esclusiva. A dire il vero già da tempo, almeno dall’epoca flavia, si fa ricorso all’adlectio, la cooptazione all’interno dell’ordine senatorio di ufficiali di rango equestre (raggiungibile anche dai soldati di carriera), per far sì che agli elementi di maggior valore non siano preclusi gli alti comandi, che altrimenti rischiano di finire nelle mani di personalità di scarsa esperienza.

Le nuove legioni fondate da Settimio Severo, significativamente, non sono comandate da legati di ambito senatorio, ma da praefecti dell’ordine equestre. Secondo Aurelio Vittore (IV sec.), Gallieno emana addirittura un editto per escludere i senatori dall’esercito; su questo sono stati avanzati dei dubbi, ma si può comunque ritenere che, de facto o de iure, alla fine del III secolo la connessione del senato (e dunque anche di molti governatori provinciali) con il comando delle truppe appartenga ormai al passato.

Le principali minacce esterne

I gravi problemi attraversati dallo stato romano nel III secolo sono acuiti dalla comparsa ai suoi confini di nemici significativamente più organizzati che nel periodo precedente. Sul fronte germanico, per esempio, emergono alcune entità sovratribali, spesso definite “confederazioni”, che sono in grado di esercitare una pressione molto più intensa e coordinata, riuscendo tra l’altro a sfruttare in maniera implacabile tutte le falle nel sistema difensivo imperiale, fatalmente causate dalle discordie interne e dal continuo drenaggio di uomini imposto dal ricorso alle vexillationes.

Nel 213, ad esempio, compare per la prima volta il nome degli Alamanni, nei quali erano probabilmente confluiti gli Ermunduri, i Semnoni e i Suebi (Svevi); i Franchi (“liberi” o “coraggiosi”) sono menzionati a partire dal 253: all’epoca costituiscono ancora l’unione di bande guerriere (Brutteri, Sugambri, Catti e altri) stanziate lungo il basso Reno, in una situazione piuttosto fluida che solo successivamente si andrà caratterizzando come una monarchia compatta e organizzata. Non ancora perfettamente definiti dal punto di vista etnico e politico appaiono anche i grandi raggruppamenti che iniziano a premere con sempre maggior forza dall’Europa orientale, ovvero i Vandali e soprattutto i Goti, che nei secoli successivi arriveranno a condizionare profondamente le vicende dell’impero.

Anche a Oriente è in atto un cambiamento importante: la monarchia partica, indebolita da discordie interne, nel 224 viene rapidamente rimpiazzata da un impero che si richiama alla gloriosa Persia degli Achemenidi e che assume caratteristiche molto più centralizzate e aggressive rispetto allo stato che l’aveva preceduta. Il fondatore dell’impero dei Sasanidi (con riferimento alla dinastia regnante) è Ardashir I (?-241); suo figlio Sapore I (?-272) invade l’Oriente romano e arriva addirittura a fare prigioniero l’imperatore Valeriano (?- 260 ca.), anche se le conseguenze di quest’evento clamoroso sono poi limitate dalla controffensiva coadiuvata da Odenato di Palmira. Lo stato sasanide, pur con momenti di relativa tranquillità, è destinato a rimanere il maggiore e più pericoloso nemico dell’impero romano fino all’inizio del VII secolo.

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