di Marco Di Branco
In seno al dibattito teologico sul rapporto esistente tra Dio Padre e Figlio, che ha animato la Chiesa delle origini, si innesta la riflessione di Teofilo, sesto patriarca di Antiochia, che introduce nel tradizionale paradigma binario Dio/Logos la Sapienza, intesa come Sophia, e dà il via al processo di formazione della dottrina trinitaria. Qualche anno dopo Ario, un presbitero di Alessandria, afferma pubblicamente la non consustanzialità di Dio Padre e Figlio/Logos, determinando una scissione dell’oikoumene cristiana. A dirimere la questione interverrà il concilio di Nicea, il primo della storia della Chiesa, che condannerà definitivamente la dottrina ariana formulando con chiarezza il dogma trinitario.
La “nascita” della Trinità
Uno dei primi problemi che si presentano ai cristiani dei primi secoli è quello di definire in maniera rigorosa il rapporto fra Dio e suo Figlio. Inizialmente, all’interno della Chiesa cattolica, la questione è affrontata elaborando una dottrina che strutturi tale relazione su un asse verticale avente ai due vertici – alto e basso – Dio e il mondo, e, in posizione intermedia, Cristo, Sapienza (Sophia) e Parola (Logos) di Dio, immanente in lui ab aeterno. Secondo tale visione, elaborata nel corso del II secolo, Cristo sarebbe stato generato, o meglio, “esteriorizzato” da Dio ante tempus, come entità divina da lui distinta, in funzione di reggente della creazione e di mediatore con il mondo e con l’uomo. Questa formula non è però universalmente accettata, perché ad alcuni sembra che essa metta in discussione il concetto dell’unicità di Dio, mentre per altri l’enfasi con cui è rilevata la natura divina di Cristo finisce per lederne la sua umanità. Sono comunque queste le basi su cui si innesta la riflessione di Teofilo, sesto patriarca di Antiochia, morto intorno al 183. Per Teofilo all’opera creatrice di Dio collaborano sia il Logos sia la Sapienza, e quest’ultima, in alcuni casi, non si identifica totalmente con il Logos. Ne deriva uno “schema triangolare”, dove al Dio creatore si affiancano appunto le sue “mani”, Logos e Sapienza. Di conseguenza, la riflessione dottrinale di Teofilo supera il paradigma binario del rapporto Dio/Logos, rendendolo ternario: Dio/Logos/Sophia. Non a caso, il patriarca di Antiochia è il primo autore cattolico a utilizzare il termine “trinità” (in greco, trias). Poco tempo dopo, un vescovo di nome Ippolito, proponendo una sua personale rielaborazione della dottrina di Teofilo, utilizza per la prima volta il termine tecnico di “persona” (in greco prósopon) per designare il Padre e il Figlio (non ancora lo Spirito Santo), vocabolo destinato a uno straordinario successo nel lessico teologico. Tra i principali risultati di questo fervore interpretativo può annoverarsi la determinazione della formula di fede della Chiesa romana – il Credo più antico a noi noto: “Credo in Dio onnipotente e in Cristo Gesù figlio di Lui, unigenito, Signore nostro, generato da Spirito Santo e da Maria Vergine, sotto Ponzio Pilato crocifisso, sepolto, risuscitato il terzo giorno dai morti, salito al Cielo e assiso alla destra del Padre, donde viene a giudicare i vivi e i morti, e nello Spirito Santo, la Santa Chiesa, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna”.
Una tappa fondamentale nel processo di formazione della dottrina trinitaria è costituita dalla cosiddetta “questione dei due Dionigi” – il patriarca di Alessandria e il vescovo di Roma – che ha luogo intorno alla metà del III secolo. In effetti, Dionigi di Alessandria, per reazione contro la dottrina origeniana che afferma l’esistenza di una sola ipostasi trinitaria, una sorta di monade divina che si presenta sotto aspetti diversi, si spinge a sostenere che il Figlio sia “creatura” del Padre. A questa formulazione risponde duramente il Dionigi romano, accusando il collega di predicare tre ipostasi separate della divinità, e, di conseguenza, tre divinità. Di fronte a una tale imputazione, l’alessandrino ritratta ciò che ha affermato a proposito del Figlio, ma mantiene ferma la posizione trinitaria, ribadendo che se si eliminano le ipostasi si elimina la Trinità e che vada professata sia la dilatazione della monade nella triade sia la contrazione della triade nella monade. Inoltre, egli dichiara che il Figlio è “consustanziale” al Padre (in greco, homooúsios), cioè dello stesso suo genere e della stessa sua natura. È questa la prima sicura attestazione di questo termine fondamentale – di derivazione platonico-aristotelica – nell’ambito della teologia trinitaria.
Ario, prete sovversivo
Intorno al 320 la pace della Chiesa stabilita da Costantino con il suo editto di tolleranza del 313 viene turbata da una controversia destinata a sconvolgere in breve tempo l’intera oikouméne cristiana. Tutto comincia quando un anziano presbitero di Alessandria, di nome Ario (256-336), giunge ad affermare pubblicamente che il Figlio/Logos divino è estraneo alla sostanza (in greco ousía) del Padre e non coeterno a lui (“ci fu un tempo in cui il Logos non era”, sono soliti ripetere gli ariani), ma fattura e fondazione di Dio Padre, anche se artefice della creazione insieme al Padre. Il Figlio/Logos, che secondo Ario si è incarnato ma non fatto uomo, è dunque Dio, in quanto creatore, ma di una divinità diversa e inferiore, subordinata a quella del Padre. In un dibattito tenutosi in presenza del patriarca Alessandro e del clero cittadino, la dottrina ariana è sconfessata. Ario però resta fermo sulle sue posizioni: di conseguenza viene scomunicato, e la condanna della sua dottrina viene ratificata da un concilio delle Chiese di Egitto e Libia tenutosi nel 318 ad Alessandria. Non domo, il presbitero si rifugia a Cesarea, presso Eusebio, vescovo della città e biografo ufficiale dell’imperatore Costantino, che mostra simpatia per le sue tesi. In poco tempo, tutto l’Oriente cristiano è coinvolto nella polemica e fra i due partiti, quello favorevole ad Ario e quello a lui contrario, comincia un intenso scambio epistolare che ha il fine di propagandare o rinforzare le contrapposte interpretazioni teologiche. Tutto questo accade mentre la pars orientale dell’impero è ancora controllata da Licinio (250-324 ca.); ma nel 324 Costantino lo sconfigge nella battaglia di Crisopoli divenendo l’unico sovrano delle due partes dell’impero. È allora che decide di intervenire per mettere fine alla controversia ariana, che rischia di minare alla radice l’unità dell’oikouméne cristiana.
Il concilio di Nicea
Il concilio di Nicea (maggio-giugno 325), primo concilio ecumenico della storia della Chiesa, è convocato e presieduto da Costantino in qualità di “vescovo dei laici” (in greco, episkopos ton ektós). Come è stato giustamente sottolineato, questa espressione è la pietra angolare per l’interpretazione di tutto l’atteggiamento costantiniano nei confronti della Chiesa. È infatti evidente come al potere dei vescovi sulle Chiese si giustapponga qui il potere di Costantino su quelli che sono al di fuori dell’organizzazione ecclesiastica; l’imperatore riconosce però di non avere autorità ecclesiastica, ma solo secolare, e lascia i vescovi liberi di prendere le loro decisioni. Costantino invita a Nicea (l’odierna Iznik, circa 130 km a sud-est di Istanbul) tutti i 1800 vescovi della Chiesa cristiana (circa 1000 in Oriente e 800 in Occidente). Tuttavia, solo da 250 a 320 vescovi sono in grado di prendere effettivamente parte ai lavori. Riguardo al numero esatto di partecipanti, le fonti coeve non sono concordi, ma la maggioranza dei Padri della Chiesa parla di 318 Padri conciliari. Il punto cruciale che questi ultimi devono affrontare è ancora una volta legato al problema cristologico: com’è possibile, da un punto di vista razionale, che il Cristo /Logos patisca la Passione e “senta” la Resurrezione? Può il Logos/Dio patire e percepire come un uomo? E, d’altra parte, quali sono i rapporti fra Cristo /Logos e l’unico Dio? A Nicea, il concilio ecumenico condanna definitivamente Ario e stabilisce il cosiddetto “Simbolo Niceno”, una formula di fede che, integrata con quella elaborata a Calcedonia nel 451, è ancora oggi il principale punto di riferimento dottrinale della Chiesa cattolica. Nelle deliberazioni conciliari, al concetto ariano del Logos “incarnato ma non fatto uomo” si oppone il concetto del Logos “incarnato e fatto uomo”, e quindi all’idea di Cristo come “fattura e fondazione” di Dio si sostituisce quella di Cristo unigenito “generato, non fatto”, coeterno al Padre e consustanziale con Lui. Si aggiunge poi il “credo” nello Spirito Santo: in questo modo, il dogma trinitario è chiaramente e stabilmente formulato.
“Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore, Gesù Cristo, figlio di Dio, generato, unigenito, dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre, mediante il quale sono state fatte tutte le cose, sia quelle che sono in cielo, che quelle che sono sulla terra. Per noi uomini e per la nostra salvezza egli discese dal cielo, si è incarnato, si è fatto uomo, ha sofferto e risorse il terzo giorno, salì nei cieli, verrà per giudicare i vivi e i morti. Crediamo nello Spirito Santo.
Ma quelli che dicono: vi fu un tempo in cui egli non esisteva; e: prima che nascesse non era; e che non nacque da ciò che esisteva, o da un’altra ipostasi o sostanza che il Padre, o che affermano che il Figlio di Dio possa cambiare o mutare, questi la Chiesa cattolica e apostolica li condanna”.
I difensori della tradizione ecclesiastica hanno così la meglio sia sui seguaci di Ario sia su quelli di Origene (185-253 ca.). Lo stesso Eusebio di Cesarea, che ha a lungo guardato con simpatia alle dottrine origeniane, si piega alle decisioni dei Padri conciliari.
Il concilio prende anche importanti decisioni relative all’organizzazione episcopale della Chiesa, affidando ai seggi episcopali di Roma, Alessandria e Antiochia la giurisdizione sugli ecclesiastici d’Occidente, di Egitto e della diocesi orientale.
Il 25 giugno del 325, il concilio si conclude e i Padri convenuti celebrano il ventesimo anniversario di regno di Costantino. Nel discorso conclusivo, l’imperatore conferma la sua preoccupazione per le controversie cristologiche e ribadisce fortemente il suo desiderio che la Chiesa universale viva in armonia e in pace.
Vedi anche
I Giulio-Claudii: il consolidamento dell’impero e le origini del cristianesimo
I Flavi: il primato dell’amministrazione
L’età degli Antonini, ovvero della scoperta dell’interiorità
Un dittico imperiale: Oriente e Occidente dopo il 395
Riflessioni filosofiche sul cristianesimo: Clemente e Origene
I Padri cappadoci
L’ultimo Agostino: la grazia, il potere e le due città
Il cristianesimo
La dialettica tra paganesimo e cristianesimo
Agostino, mediatore culturale e maestro di inquietudine