Il 1978 termina con un lavoro rimasto inedito, un album realizzato da un progetto, Cigarettes, molto voluto da Angelo Carrara, il nuovo produttore di Battiato che ha preso il posto di Pino Massara. La band è composta da Franco Battiato, Giusto Pio, Juri Camisasca e Fabio Pianigiani. Camisasca: “C’erano alcune canzoni mie e altre di Franco. Abbiamo provato a proporlo in giro ma nessuna casa discografica lo ha voluto”. Giusto Pio, parlando del suo disco NOTE, dichiara: “È il mio ultimo album di musica leggera e comprende brani strumentali per violino e archi. Vi ho recuperato due improvvisazioni, Halley e Capitano Nemo, dall’inedito CIGARETTES”.
Il 12 giugno 2021 sul sito di Rolling Stone Pianigiani, intervistato da Fabio Zuffanti, conferma l’esistenza di questo inedito e aggiunge qualche informazione in più. Nel 1978 Angelo Carrara lo chiamò perché lo voleva in un gruppo e desiderava presentargli qualcuno. Si recarono in uno studio di registrazione vicino a via San Vittore e incontrarono Battiato, Camisasca e Pio; Carrara voleva fare con loro un progetto e chiamarlo Cigarettes. Poco dopo iniziarono a suonare regolarmente in studio: molta improvvisazione mescolata a elettronica, classica, etnica… non era musica pop. Il lavorò durò parecchi giorni e alla fine registrarono un album; Carrara lo presentò a varie case discografiche ma nessuna era interessata: era un lavoro troppo avanti per quei tempi. Le canzoni in parte erano cantate da Juri in latino, in parte da Franco in tedesco. Battiato suonava le tastiere ma il grosso del lavoro strumentale era affidato a Pianigiani e a Pio. C’era anche Lino Capra Vaccina alle percussioni. Le canzoni uscite dalle lunghe ore di registrazione erano otto o nove, tutte molto lunghe, sicuramente più di sei minuti l’una. Pianigiani afferma anche che nel 1988, un pomeriggio in cui si trovava nell’ufficio di Carrara, lui gli fece vedere che in una cassaforte conservava le bobine a 24 piste con il disco e tutte le improvvisazioni. Carrara vendette poi i nastri, non si sa a chi.
Termina un biennio in cui la sperimentazione è ancora la firma di Battiato ma, a differenza che negli anni precedenti, in cui era basata sull’improvvisazione, nell’ultimo periodo si fonda sul rigore, sulla partitura. Un Battiato che anche nei modi appare più serio e composto, sebbene solo in apparenza: in realtà il suo lato pop in campo musicale continua a ripresentarsi, è una costante. Dopo Gulliver e il lavoro sull’album di Alfredo Cohen COME BARCHETTE DENTRO UN TRAM, lo troviamo di nuovo alle prese con un 45 giri molto particolare, per il quale userà un doppio pseudonimo, Albert Kui come autore (della musica con Michele Pecora e del testo con Giusto Pio) e Astra come interprete. Il lato A è Adieu; il lato B San Marco. Neanche la copertina svela il vero nome dell’autore e interprete: il ragazzo che ritrae non è altri che Stefano, il figlio di Giusto Pio, che in una trasmissione televisiva canterà in playback fingendosi Astra. La produzione è firmata Luigi Mantovani. Il 45 giri verrà pubblicato anche in Portogallo per Rádio Triunfo.
Altra collaborazione che torna è quella con Ombretta Colli, in due nuovi 45 giri. Il primo – pubblicato dalla Fonit Cetra – è Pop star/La solfa del destino; i testi sono scritti dalla Colli, la musica è di Fabio Pianigiani; Battiato e Pio, non accreditati, collaborano agli arrangiamenti, alla musica e ai testi. Nel 1983 La solfa del destino finirà sul lato B di un nuovo 45 giri, con titolo cambiato: Evaristo; sul lato A ci sarà Cocco fresco cocco bello, scritta da Battiato insieme a Pio per la musica, insieme a Ombretta Colli e Francesco Messina per il testo. La singolarità di Evaristo è che non è più firmata Colli-Pianigiani ma Colli-Kui-Pio. La produzione è di Angelo Carrara. Il secondo 45 giri è Non ci sono più uomini/Sono ancora viva, di cui Franco cura gli arrangiamenti; musica e testi sono di Giorgio Gaber e Sandro Luporini.
Battiato collabora anche con Catherine Spaak, per la quale riadatta Adieu, con testo italiano di Michele Pecora e un nuovo titolo: Canterai se canterò. Il tema musicale sarà ripreso qualche anno dopo per Una storia inventata, interpretata da Milva. Nell’archivio SIAE è presente anche la canzone Dormirai canterai ballerò, con musiche attribuite a Battiato e Pio e testi di Battiato e Michele Pecora. Si può supporre che sia una sorta di versione alternativa di Canterai se canterò.
Franco Battiato: voce • Giusto Pio: violino, direzione d’orchestra • Roberto Colombo, Antonio Ballista, Danilo Lorenzini, Michele Fedrigotti: tastiere, pianoforte • Alberto Radius: chitarre • Julius Farmer: basso • Tullio De Piscopo: batteria e percussioni
Registrazione: Studio Radius, Milano
Produttore: Angelo Carrara
Fonico: Enzo “Titti” Denna
Pubblicazione: EMI, 10 settembre 1979
Secondo Alberto Radius, la nascita di questo disco è stata un po’ travagliata: inizialmente Carrara chiede a Battiato di registrare nello studio di Alberto, ricavato nello scantinato della sua casa milanese, però Franco e Angelo non trovano un accordo economico; allora registrano in un altro studio ma il lavoro non piace alla EMI, così tornano da Radius e iniziano a registrare da capo. Battiato ha accanto Giusto Pio, che lavora con lui agli arrangiamenti, dirige l’orchestra e suona il violino; il tecnico del suono è Enzo “Titti” Denna. Si lavora in un clima frenetico, c’è la consapevolezza che sta nascendo qualcosa di nuovo ma ancora non si è capito dove porterà quella strada. Battiato: “In ogni carriera ci sono molti momenti professionalmente importanti e alcuni magici e decisivi: i giorni del CINGHIALE BIANCO erano di quest’ultimo tipo. Avevo la precisa sensazione che quello che stavamo facendo avrebbe cambiato la mia esistenza”.1
La nuova registrazione viene ripresentata alla EMI, che si dimostra ancora molto perplessa; alla fine il direttore artistico Bruno Tibaldi – dando prova di notevole lungimiranza – decide di pubblicare il disco, nonostante non gli piaccia.
L’ERA DEL CINGHIALE BIANCO sancisce un passaggio fondamentale nella carriera dell’artista. Da un periodo sperimentale che, per ammissione dello stesso Battiato, lo stava ingabbiando, lo aveva reso poco propenso al contatto con le persone e gli aveva fatto produrre dischi non accessibili a tutti, passa a un linguaggio e a sonorità più semplici e comunicative. Inizialmente per lui è quasi un mettersi alla prova, poi inizia a divertirsi: “Ho deciso che volevo cominciare a divertirmi, fare canzoni di tre minuti, che la musica sperimentale è una parte del tutto, non è tutto, e poi di fatto non comunica con la realtà di tutti i giorni”.2 Divertimento che però non lo porta a comporre banali canzonette; il suo bagaglio culturale, la sua esperienza e la continua ricerca non si limitano a raccontare banalmente il quotidiano riducendolo a un semplice racconto di amori e fallimenti: “Non ho cantato il loro mondo. Ho cantato il mio mondo con il loro linguaggio, usando la cornice della ‘canzonetta’”.3
Con questo spirito e realizzando una mediazione tra classico e leggero, tra brano popolare e ricerca sonora, Franco dà vita a una nuova forma canzone che diventerà la sua firma personale e riconoscibile, e incredibilmente riesce a introdurre tematiche alte e importanti all’interno di una musica di stampo più commerciale, che diviene veicolo di diffusione. Tutto è nuovo in questo disco: gli arrangiamenti; la voce di Battiato, che lui modula perfettamente richiamando il canto arabo e i raga; la musica, che evoca certe atmosfere arabeggianti; infine i testi, dove compaiono molti riferimenti all’Oriente, che giocano un ruolo importante e sono un’anticipazione dell’evoluzione futura. Infatti Franco inserisce nei testi alcuni concetti provenienti dai suoi studi, che per ora affiorano in maniera abbastanza velata.
Un Battiato che sorprende, perché riesce ad amalgamare culture diverse creando uno stile contemporaneo e unico. Caratteristica dell’album è infatti il saper condurre l’ascoltatore in luoghi per lui inesplorati: “Inviare, grazie al testo di una canzone, suggestioni autentiche di tutto l’universo, in maniera centrifuga e continuando a spostarsi da un continente all’altro, da un’epoca all’altra, dà a chi ascolta la possibilità di immaginare luoghi e tempi diversi”.4 Sulla base del responso di una giuria musicale, il mensile Nuovo Sound definisce L’ERA DEL CINGHIALE BIANCO “l’album italiano più bello dell’anno”.
La copertina di Francesco Messina ritrae una figura femminile che suona un organo a canne; intorno si vedono alcune piramidi, un elefante e simboli esoterici di varie culture; dal cielo notturno scende un raggio luminoso. Sul retro si vede Franco bambino seduto accanto a una palma con la chitarra in mano. Graficamente la copertina – che trae ispirazione dai lavori dell’illustratore giapponese Tadanori Yokoo, in particolare dalla sua Divina Commedia – è stata eseguita partendo da una tavola in bianco e nero, colorata successivamente ad aerografo e inchiostri all’anilina. Sul retro troviamo anche un curioso testo, abbastanza lungo, di Francesco Messina, che ironizza sui suoni che arriveranno nelle case degli ascoltatori e sulla descrizione che dovrebbe fare di quelle musiche. Messina: “Franco per la prima volta mi disse: ‘Perché non scrivi qualcosa per il retro della copertina? Così, come se fossero delle istruzioni per l’uso’. Fregato. Non avevo scampo. Mi divertii a farlo, e non poco; anzi, ci divertimmo perché le bozze, come potete immaginare, suscitarono commenti esilaranti. La cosa divertente venne dopo. Alla pubblicazione, tra i nuovissimi fan di Franco si diffuse l’idea che quei testi erano stati scritti da lui con uno pseudonimo!”.5
Nel gennaio 1980, durante un’apparizione promozionale a Discoring, Battiato anticipa qualcosa sul tour in partenza il mese successivo (che vede l’arrivo di un nuovo musicista che rimarrà al fianco di Battiato per circa vent’anni, il tastierista Filippo Destrieri): sul palco c’è anche un mimo, Maurizio Piazza, che Franco definisce “uno di quegli elementi che i cinesi dell’agopuntura chiamano ‘geometria esistenziale’”. Geometria esistenziale che ritroveremo alla fine dell’anno successivo in una delle canzoni più amate e popolari del nostro. Il tour conta una quindicina di date, e Battiato lo ricorda così: “La prima rappresentazione dal vivo la facemmo in un paesino dell’hinterland milanese, lo spettacolo era notevolmente diverso da quello che il grosso pubblico conosce: si trattava infatti di musica e teatro, dove una parte non secondaria era affidata a un mimo. Era chiaramente uno spettacolo di transizione”.6
Il tour non ha nulla di simile a quelli del periodo di FETUS e POLLUTION: sul palco vengono messi in scena solo pochi effetti, ottenuti in maniera artigianale. Pio: “Nel buio muovevamo delle pile generando così tracce luminose. Non avevamo grandi mezzi: erano questi i nostri effetti speciali”. Battiato: “Userò delle basi del disco sulle quali canterò. Non voglio suonare nessuno strumento perché mi interessa impegnare tutta la mia attenzione nella parte vocale, che io considero estremamente interessante”.
Il 19 luglio 2019, per il quarantesimo anniversario dell’album, esce un’edizione – con una nuova copertina rielaborata da Francesco Messina – che contiene le versioni della prima registrazione dell’album di Strade dell’Est, Il re del mondo e Stranizza d’amuri.
Messina: “Chiariamo innanzitutto che esistono due versioni del disco. Una è quella che tutti conoscono, l’altra è quella fatta in prima battuta senza basso e batteria. Abbiamo messo alcuni di quei pezzi nella ristampa, ero coinvolto pure io nell’operazione. Andai giù da Franco in Sicilia per dirgli: ‘Senti, alla Universal hanno questi nastri, vediamo che farne’. Ci siamo messi ad ascoltare quattro brani: uno non funzionava granché, gli altri sì. Per farla breve, è esistita una versione alternativa, completa, del CINGHIALE BIANCO; tra l’altro, mi pare che in origine ci fosse scritto da qualche parte ‘canzoni d’avanguardia’, una scemenza del genere. Alla EMI dissero: ‘Bello, c’è del potenziale, però ci vogliono basso e batteria’. Anche se le stesure non sono cambiate moltissimo”.7
La canzone parte con un assolo di violino, che Giusto Pio dichiara trattarsi di un provino fatto in casa durante una delle lezioni che impartiva a Franco. Battiato descrive così il testo: “Nella canzone si respira un’aria che chiamerei di regressione futura, di regressione iperrealista. Nonostante nella canzone aleggi un’atmosfera di cultura che mi appartiene moltissimo, io dico che spero che ritorni l’era del cinghiale bianco perché rappresenta una situazione superiore ai piaceri della vita”. Il rimando è alla cultura celtica, in cui l’era del cinghiale bianco indicava un periodo remoto di splendore e di grande consapevolezza. Il cinghiale per i celti era un simbolo di vitalità e di forza, spesso simboleggiava la Dea Madre ed era considerato un animale sacro ed emblema dell’autorità spirituale, antitetico all’orso (o Orsa Maggiore), che rappresenta l’immagine del potere temporale. Battiato ne offre anche una spiegazione più semplice e immediata: “L’era del cinghiale bianco è l’era della conoscenza immediata. Scendere in strada e vedere le cose per quello che sono e non come gli altri vogliono fartele vedere”.8
La voce di Franco trasporta subito l’ascoltatore in un ambiente esotico, e il cantato in arabo fa quasi sentire i profumi e vedere i colori di luoghi lontani. Con questo brano inizia anche il gioco – caro a Battiato – dei frammenti; il testo non è lineare: c’è un racconto di base ma vi si inseriscono divagazioni, frasi che stimolano la fantasia e spunti che invitano a individuare collegamenti e a ricercare “altre” verità e informazioni.
La canzone, che gira molto sulle radio, esce anche su 45 giri, con Luna indiana sul lato B. Inoltre vengono girati due video, uno in Turchia, l’altro in studio; la regia è affidata a Emilio Uberti. Battiato, per completare la metamorfosi, cambia abito e si veste con cappottone nero e colbacco. Filippo Destrieri ha raccontato a chi scrive che il cappotto era pesantissimo ma Franco era bravo a non curarsene e a girare i video con disinvoltura.
Nell’album NÓMADAS del 1987 troveremo una versione in spagnolo del brano, La era del jabalí blanco. Ritroveremo L’era del cinghiale bianco in GIUBBE ROSSE (1989), live registrato durante un tour in Italia, Francia e Spagna, e ancora in UNPROTECTED, album live del 1994.
Una canzone ancora attualissima dopo oltre quarant’anni, una denuncia del consumismo, di come per apparire o per moda si mescolino sacro e profano, di quanto le persone siano più interessate alle chiacchiere da salotto che allo studio e di come molte cose vengano valutate e interpretate solo a proprio uso e consumo. La canzone non è un’invettiva ma una semplice constatazione di quello che è il mondo che ci circonda.
Qui, ancora più che in L’era del cinghiale bianco, il testo è frammentato e mette insieme quasi un elenco di voci, tutte però con un loro legame. Uno dei passi più curiosi dice: “…per fare i cori nelle Messe tipo Amanda Lear”. Battiato lo spiegherà alla stessa cantante durante un’intervista: “All’epoca di questa mia canzone c’era, e continua ancora oggi, il brutto vizietto di cantare nelle chiese con modelli che appartengono alla musica leggera: quindi la liturgia viene, come dire, devastata”. Un altro passo interessante è: “Deduco da una frase del Vangelo che un imbianchino è meglio di Le Corbusier”. Il riferimento pare a Matteo 20, 1-16, la cosiddetta parabola dei lavoratori della vigna.
Nel testo compare anche René Guénon, che ritroveremo più volte nel disco, e c’è un riferimento a Gurdjieff quando viene citato il corpo astrale. La canzone è stata inserita nel live LAST SUMMER DANCE (2003) e nella raccolta THE PLATINUM COLLECTION 2 (2006).
Un racconto di decadenza, la descrizione di un paesaggio che potrebbe essere quello delle Mille e una notte ma in assoluto declino. Battiato ci fa viaggiare tra Albania, Russia, Cina, India… Nella canzone trova omaggio anche il leader nazionalista curdo Mustafà Mullah Barazani (in realtà il nome esatto è Barzani), fondatore del Partito Democratico Curdo e capo della rivoluzione curda contro la dittatura irachena, morto nel marzo 1979. Curiosamente, Suphan Barzani è lo pseudonimo con cui negli anni successivi Battiato firmerà i suoi quadri. Di Strade dell’Est viene girato anche un video in studio.
Composizione musicale, struggente notturno interpretato dal violino di Giusto Pio e da due pianoforti, uno acustico e uno elettrico, suonati da Michele Fedrigotti e Danilo Lorenzini; nel finale la voce di Battiato vocalizza in modo molto simile a un raga. Un intermezzo godibile che lega Oriente e Occidente. Alice la reinterpreterà con un testo inedito nel suo album GIOIELLI RUBATI del 1985.
Un chiaro riferimento al libro omonimo di René Guénon che prende spunto da uno scritto di Ferdynand Ossendowski, in cui questi racconta di un suo viaggio nell’Asia centrale; qui era venuto in contatto con un centro iniziatico con ramificazioni in ogni luogo, a dominio del quale c’era un misterioso Re del Mondo. Guénon vuole mostrare come leggende e miti – ad esempio, i racconti su regni misteriosi e città perdute come Agartha, Salem e Atlantide – rimangano impressi per tempo immemorabile nella mente dell’uomo. Il Re del Mondo non è un personaggio reale ma un’intelligenza cosmica che riflette le azioni dell’uomo e lo tiene prigioniero: “Molti studiosi di religioni hanno il dubbio che il nostro pianeta sia governato da forze oscure. Il Re del Mondo è proprio questo: una forza che determina di nascosto le sorti del pianeta. Come un burattinaio invisibile, è causa del nostro dolore e ‘ci tiene prigioniero il cuore’”.9 Come esseri umani non siamo completamente consapevoli di quello che ci circonda e tendiamo a vedere solo ciò che è tangibile: “Noi conosciamo solo una minuscola parte della realtà e delle forze che vi si combattono. Crediamo di essere artefici della nostra fortuna, ma non è così. Esistono forze del bene e forze del male. L’uomo può offrirsi al bene o può offrirsi al male. Ecco cosa intendevo dire scrivendo ‘ma il Re del Mondo ci tiene prigioniero il cuore’”.
Le immagini di questa canzone evocano vecchi ricordi e momenti malinconici, rimandano allo scorrere lento del tempo mentre intorno si agita la guerra, con i sufi vestiti di bianco che ruotano e Battiato che ricorda l’impermanenza (anithya), ovvero la transitorietà dei fenomeni: tutto è passeggero, tutto muta, niente è eterno. La permanenza è un’illusione, e l’accettazione di questa verità – o meglio, la sua concreta e costante percezione – permette uno sguardo sereno sul fluire delle cose.
Il re del mondo verrà ripubblicata nell’album MONDI LONTANISSIMI (1985) con l’arrangiamento fatto per l’album in inglese ECHOES OF SUFI DANCES. Di questa canzone verrà anche registrato un video in Turchia. Il re del mondo sarà ripresa anche da Alice nel suo GIOIELLI RUBATI.
Battiato intona la prima parte della Messa da Requiem in latino e in greco antico mentre il suono di un oboe fa da sottofondo, accompagnato dal suono intimista del pianoforte.
Dopo essere stata presentata più volte in concerto come inedito negli anni precedenti, Stranizza d’amuri trova qui la versione definitiva. È un gioiello in dialetto siciliano, che torna a raccontare il quotidiano e la vita familiare: il bambino che guardava passare le navi è ora alle prese con il primo amore e lo narra con accenti quasi dissacranti, tra i bisogni dei carrettieri, i saggi ginnici e la caccia alle lucertole. Nonostante la povertà e la guerra che imperversa, l’amore è pura magia, ogni volta una scossa al cuore.
Tra la melodia del violino e una grandissima sezione ritmica, la musica è perfetta. Peppo Delconte testimonia la nascita di questa canzone: “Sono entrato nella squadra della Bla Bla insieme al collega Giacomo Pellicciotti proprio mentre Franco stava preparando il suo terzo album, SULLE CORDE DI ARIES. Dovevamo occuparci del coordinamento artistico e della promozione; ma soprattutto ci siamo goduti uno dei periodi più stimolanti e anche più divertenti della carriera dell’artista siciliano. Dopo i primi due album, concepiti ancora all’interno del clima del prog italiano, con ARIES e il successivo CLIC è iniziata la stagione sperimentale, che era destinata a durare fino al 1978, cioè al ritorno alla canzone pop. Franco era un vulcano in eruzione: ogni giorno trovava qualcosa di nuovo da esplorare. Ma in quei giorni ha messo a punto anche una memorabile canzone in dialetto: Stranizza d’amuri. Ritengo che questo brano inauguri la sua vena più lirica, quella forse più amata da molti fan, che proseguirà con capolavori come Gli uccelli, La stagione dell’amore, L’animale, Secondo imbrunire, L’oceano di silenzio, Veni l’autunnu, La cura e altri ancora. Ed è questa la migliore prova del fatto che in Battiato la forma canzone ha sempre convissuto con lo sperimentalismo”.
Il provino verrà inserito nel 2002 nella raccolta LA CONVENZIONE.
Angelo Carrara presenta a Battiato la giovane cantautrice Carla Bissi, che si firma con lo pseudonimo di Alice Visconti. Ha alle spalle discrete esperienze, tra le quali una partecipazione al Festival di Sanremo del 1972 con la canzone Il mio cuore se ne va. Carrara chiede a Battiato di scrivere qualcosa per lei. Nasce così Il vento caldo dell’estate, un brano che esula dai modelli abituali. Franco e Alice firmano il testo, mentre la musica è di Battiato, Giusto Pio e Francesco Messina.
Pio: “I musicisti che dovevano eseguire Il vento caldo dell’estate erano molto perplessi perché io e Franco avevamo pensato la struttura della canzone in un modo alquanto originale e fuori dagli schemi comuni, cioè fermando la ritmica durante l’inciso e aggiungendo accordi d’organo”. Nonostante (o forse grazie a) questa caratteristica, unita alla forte personalità di Alice – che Franco persuaderà a togliere “Visconti” dal nome d’arte –, la canzone diventa il primo vero successo pop di Battiato, la sua prima grande affermazione, e costituisce una novità importante per la musica italiana.
Il brano verrà incluso nell’album del 1980 CAPO NORD: i brani dell’LP sono di Alice ma Battiato e Pio collaborano a tutti tranne Sarà e Una sera di novembre; gli arrangiamenti sono di Battiato e Pio. Esistono altre due versioni del brano, arrangiate diversamente: una è contenuta nel disco ELISIR del 1987, l’altra in PERSONAL JUKE BOX del 2000. IL VENTO CALDO DELL’ESTATE è anche il titolo di una raccolta di successi di Alice pubblicata nel 1994 dalla EMI.
Franco Battiato: voce, sintetizzatore • Eugenio Spanò: voce recitante • Filippo Destrieri: sintetizzatore, tastiera, ARP, organo Hammond • Antonio Ballista: pianoforte • Gianfranco D’Adda: percussioni • Gigi Cappellotto: basso • Flaviano Cuffari: batteria • Alberto Radius: chitarra • Giusto Pio: violino
Registrazione: Studio Radius, Milano; luglio 1980
Produttore: Angelo Carrara
Fonico: Enzo “Titti” Denna
Pubblicazione: EMI, ottobre 1980
Nel luglio 1980 Battiato entra nuovamente in sala di registrazione, accompagnato anche questa volta da Giusto Pio, Antonio Ballista e Alberto Radius, ai quali si aggiunge Filippo Destrieri, che ha iniziato a collaborare con lui durante il tour di L’ERA DEL CINGHIALE BIANCO. Ritorna Gianfranco D’Adda e si aggiungono Gigi Cappellotto e Flaviano Cuffari. Si registra nuovamente allo Studio Radius e il tecnico del suono è sempre Enzo Titti Denna. Titolo provvisorio del disco: I TELEGRAFI DEL MARTEDÌ GRASSO.
Prima dell’uscita Battiato dichiara: “Sarà un disco nel quale scompariranno del tutto i riferimenti all’Oriente”. L’album verrà pubblicato in ottobre con un titolo diverso, PATRIOTS, e davvero – nonostante alcuni vocalizzi, l’arabo e Istanbul – si respira Europa. Alcuni considerano PATRIOTS una sorta di trait d’union tra L’ERA DEL CINGHIALE BIANCO e l’album successivo, LA VOCE DEL PADRONE; ma non è davvero il caso di sminuire un lavoro che contiene già tutte le caratteristiche che Battiato svilupperà negli anni a venire: l’ironia, l’uso delle lingue straniere e soprattutto i testi frammentati, le citazioni colte unite al linguaggio popolare, la poesia e i luoghi comuni, il sacro e il profano.
I detrattori considerano Battiato un provocatore di modesta levatura e ritengono che dietro al suo profluvio di parole e citazioni si nasconda solo un finto intellettualismo. Altri invece lo vedono alla stregua di un guru impegnato a trasmettere grandi verità. Forse Franco è entrambe le cose: divertissements e parole messe lì esclusivamente per la loro sonorità, e allo stesso tempo frasi e citazioni come strumento di cultura, veicoli che offrono al pubblico uno spunto di ricerca e di analisi. Una colta e allo stesso tempo leggera complessità. È lui stesso a confermarlo: “‘Le tue canzoni sono da prendere alla lettera?’. ‘Certe volte no. Altre volte sì’”.10
Ancora Battiato: “Una ragazza di quindici anni mi ha scritto dicendo che non le frega niente di quello che dico, che comunque le piace da pazzi. In effetti per me questo è il massimo, perché io non voglio dire niente, oppure voglio dire tutto! L’interessante è che la cosa arrivi. Non necessariamente una citazione – per essere capita come la uso io – deve avere bisogno del modello originale”. “C’è nelle canzoni anche un livello consumistico e orecchiabile ma sta a te cogliere solo quello oppure percepire gli altri livelli di comunicazione”.11 “Credo, al contrario di quelli che non hanno capito niente dei miei testi e li giudicano una accozzaglia di parole in libertà un po’ gratuite, che nei miei testi ci sia sempre qualcosa dietro o più in profondità. Non sono mai testi rivolti soltanto all’esterno di un individuo. Nascono invece da un bisogno preciso di comunicare qualcosa”.
Insomma, Franco regala la possibilità di interpretare quello che canta in funzione di ciò di cui si ha bisogno in un preciso momento. La canzone rimane la stessa ma cambia con noi, e cambia anche in base agli stimoli che offre e che decidiamo se rincorrere o meno. I testi inevitabilmente sono scritti anche in funzione della musica, che ha una ritmica facile ma non lineare: ci sono cambi continui di sonorità e anche le melodie sono atipiche, per cui le frasi vengono inserite semplicemente per il loro suono. “Io sono un musicista che lavora più sul suono che sul significato: a volte i miei versi non corrispondono a quello che realmente penso ma al ritmo, al calore, al disegno della musica”.12 Per questo è importante ascoltare i testi insieme alla musica e non limitarsi a leggerli: ponendo attenzione alla loro sonorità e all’armonia diventa facile capire il perché di certe scelte. “Il suono esprime il significato profondo delle parole, differente dal senso imposto dalle consuetudini. Per capire bisogna ascoltare, serve animo sgombro: abbandonarsi, immergersi. E chi pretende di sapere già, rimane sordo”.13
Sulla copertina di PATRIOTS, ancora una volta di Francesco Messina, si vede Battiato vestito di nero con cravatta, che porta dietro le spalle una chitarra come fosse un fucile ad armacollo, mescolando le figure del patriota e del musicista. Un’altra immagine in secondo piano lo vede seduto a fianco di Pio; Franco con la macchina da scrivere sulle ginocchia e Giusto con il sintetizzatore. Le foto sono di Roberto Masotti. Sullo sfondo si vede una palma, che nel retrocopertina diventa un pino; sempre sul retro troviamo la Preghiera del giovane patriota di Francesco Messina (il finale è un chiaro riferimento alle teorie di Gurdjieff):
“Da recitare la sera tardi, con tono assolutamente inespressivo, davanti alla televisione, a volume bassissimo, durante la sigla finale delle trasmissioni:
Oh Grande Guida che ci sostieni nella nostra causa solitaria:
Comunque, per migliorare le cose, propongo, con il vostro luminoso aiuto, di dichiarare guerra all’avversario più temibile che io abbia mai scoperto e che anche adesso mi sta ascoltando con quella sua aria compiaciuta che mantiene tutto il giorno, anche la mattina quando mi spia dallo specchio del bagno”.
L’album ha un discreto successo, sicuramente viene accolto con maggiore entusiasmo rispetto al precedente e, anche nel tour che segue, il pubblico sembra gradire, anche se Battiato non è ancora propriamente a suo agio: “Ho imparato a capire meglio il rapporto con il pubblico. Per me è sempre stato un nodo essenziale: avverto terribilmente la disponibilità degli ascoltatori e se certe sere non mi sento a mio agio lo dico anche con brutalità. Molti affermano che sono ancora rigido e scostante: il fatto è che non so né voglio fare inchini o ruffianerie di nessun genere. Sono certo che la mia non è arroganza ma solo rispetto del pubblico”.14
Nei concerti Battiato si presenta con lo stesso abbigliamento della copertina e sul palco con lui troviamo Giusto Pio, Filippo Destrieri, Gianfranco D’Adda, Donato Scolese e Tony Dresti; Franco suona la chitarra elettrica e il sintetizzatore. La scaletta vede brani tratti sia da PATRIOTS sia da L’ERA DEL CINGHIALE BIANCO, con qualche incursione nel periodo sperimentale. Ogni tanto viene proposta una canzone inedita, una in particolare, con arrangiamenti molto spartani, voce e tastiere (a volte anche il violino) e con testo in siciliano: Bulgarian Song. Il titolo pare provenga da una musica che Franco aveva sentito durante un festival in Bulgaria (a Burgas, sul Mar Nero) che lo aveva visto ospite; quel motivo lo aveva colpito, però non era riuscito a identificarne la fonte. Pensò bene di adattarvi un testo in dialetto siciliano, un misto tra ricordi giovanili e proverbi: “E scinni scinni l’acqua da’ funtana / u focu è già arrivatu a la marina / cu c’avi i scarpi rutti li risola / iu già l’aiu arrisulatu, iu già l’aiu arrisulatu… / Lassu i mo’ cumpagni ri scola, / i mo’ parenti, a mo’ casa / partu senza salutari l’amici… / E lassu tratturie di camiunisti / e di vacanzi in cerca di turisti / partu cu’ du trenu / ca passa li trafora, ca passa li trafora…”.
Il brano non è mai stato pubblicato ufficialmente ma la base della melodia è stata utilizzata per Il sole di Austerlitz, interpretata da Giuni Russo e inserita nel suo album ENERGIE (1981); nell’archivio SIAE la musica di Il sole di Austerlitz è attribuita esclusivamente ad Alberto Radius. Nelle ultime date del tour sbuca un altro inedito: Bandiera bianca. La promozione dell’album prevede anche qualche apparizione televisiva ma Franco non è abituato e sembra scostante; a volte appare superbo e mette in difficoltà l’intervistatore, però non sembra preoccuparsene: “Ho la coscienza di stare al gioco ma senza sentirlo né come una costrizione né come un vizio”.15
La canzone è introdotta da Eugenio Spanò che recita alcune parole in arabo: “Ogni giorno guardiamo le cose insignificanti, guardo tutto e tutto il mondo che vive di speranza, e noi non viviamo”, poi arrivano le note dell’ouverture del Tannhäuser di Richard Wagner (utilizzata anche in Baby Sitter): Battiato si sofferma in particolare sul tema del cosiddetto “coro dei pellegrini”. Poi arrivano le ritmiche e il sintetizzatore, e la voce di Franco incita a superare ogni arretratezza culturale, musicale e umana, sottolineando l’uso puramente commerciale che si fa della musica: una vera denuncia delle contraddizioni della società occidentale e della musica che di quella cultura è espressione.
“Up patriots to arms, engagez-vous!”. Orsù patrioti, alle armi. Impegnatevi! Per il titolo Battiato prende spunto da un cartello che aveva visto nel 1975 in un pub di Birmingham: “All’inizio mi faceva un po’ ridere, poi a distanza ho pensato che una frase del genere, se rivoltata e intesa in senso positivo, può essere un buon inizio per cominciare a fare delle cose nuove, per tentare dei cambiamenti”.
Con pochi mezzi e tanta creatività, Battiato realizza anche un video assolutamente ironico, che molto dice della sua genialità. Nel 2010, in occasione del trentesimo anniversario dell’album, esce un’edizione con l’aggiunta del videoclip di Up Patriots To Arms e quattro tracce bonus. La base strumentale del brano coincide con quella delle versioni in inglese e in spagnolo, uscite originariamente su ECHOES OF SUFI DANCES ed ECOS DE DANZAS SUFI.
Possiamo cogliere la differenza tra Battiato e la comune canzone pop di quel tempo proprio ascoltando questo pezzo: cambi di registro sia nel testo sia nella musica, con citazioni e frammentazioni che portano da una parte all’altra. Venezia-Istanbul parte come un qualsiasi brano che si poteva ascoltare in quegli anni, con le ritmiche e la chitarra che si acquietano con note di violino e pianoforte in sottofondo.
Franco alterna recitato e cantato ed evoca visioni storiche e poetiche, di quotidianità e ricordi d’infanzia, con richiami di etica, facendo riferimento anche alla canzone di Alfredo Cohen Tremila lire, contenuta in COME BARCHETTE DENTRO UN TRAM. La considerazione finale è che l’uomo giustifica i suoi comportamenti in nome del proprio tornaconto, e se necessario non esita a ricorrere alla guerra. E qui Battiato fa il verso al Canto dei lavoratori (o Inno dei lavoratori) scritto nel 1886 da Filippo Turati.
Nel brano Le aquile Battiato riprende un passo del romanzo Le statue d’acqua di Fleur Jaeggy, da cui aveva già tratto frammenti per Hiver e Su scale, brani dell’album del 1977 JUKE BOX. “Sono passati soltanto cinque minuti da quando vidi una cornacchia stagliarsi tra alberi e cielo – dopo un piccolo volo esaltante camminare monca e rapida verso di me. Avrete visto anche voi camminare le aquile nelle voliere, il loro incedere è come un’agonia maestosa e gli occhi levigati d’odio assentono al congedo”.
Battiato fa sua la descrizione di Gogol’ della grande via di San Pietroburgo, in cui vari personaggi e situazioni vengono sublimati a metafora della condizione umana. Racconta di un inverno degli anni ’20, del ballerino Nijinsky e dell’amore provato per lui da Sergej Djagilev (impresario e fondatore della compagnia dei Balletti Russi), di Igor Stravinsky e di Sergej Ejzenstejn. E soprattutto del suo maestro Gurdjieff che, come scrive il discepolo Uspenskij in Frammenti di un insegnamento sconosciuto, era solito incontrarsi con gli allievi proprio su quella strada: “Ricordo un incontro, come sempre in un piccolo caffè, sulla Prospettiva Nevskij”, aggiungendo una carrellata di ricordi, impregnata di dolcezza vocale e musicale.
Il verso finale “…e il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”, forse una delle citazioni più amate di tutta l’opera di Battiato, insegna che non è impossibile trovare un inizio dentro la fine. L’alba è la gioventù e la capacità di cambiare e di evolvere, l’imbrunire è la vecchiaia, e possiamo anche pensarla come la rinascita nella morte o più banalmente la luce nell’oscurità: per “trovare l’alba dentro l’imbrunire” occorre un cammino complesso che richiede impegno e lavoro su se stessi.
Battiato non era molto convinto di questa canzone ma Giusto Pio lo convinse (fortunatamente) a pubblicarla: infatti è un vero capolavoro, in cui la voce, la musica e le parole hanno il potere di immergere l’ascoltatore in una dimensione di magia, calore, amore, ricordi. Il 1º maggio 1992 Battiato partecipa per la prima volta al concerto di piazza San Giovanni a Roma; lo fa con un collegamento video dal Teatro dell’Opera, durante il quale esegue Prospettiva Nevski con l’accompagnamento di Ballista al pianoforte.
Un ritornello in arabo (è la prima volta che Battiato si cimenta in questa lingua) unisce scene domestiche, un’infanzia povera, giochi di bambini e feste in casa, concludendo con una riflessione ironica: “L’uomo è l’animale più domestico e stupido che c’è”.
In questo racconto di vita spiccano piccoli particolari che immergono l’ascoltatore nella dimensione del ricordo e ne fanno quasi sentire il profumo e il calore. Il ritornello non ha un significato particolare, non è funzionale al testo ma è stato scelto solo per la sua musicalità: “Fu un fatto istintivo: da un po’ avevo cominciato a studiare l’arabo e mi venne del tutto spontaneo provare a inserirlo in un brano. Così, per divertimento, senza pensare che in qualche modo stavo realizzando qualcosa di – detto tra virgolette – ‘innovativo’”. Questa la traduzione: “Ha detto il maestro del villaggio / È stata la montagna nella montagna / La pace su di voi su di te / Adesso io abito”.
Frammenti è un tipico collage linguistico alla Battiato: suggestioni e citazioni prese dalla poesia italiana, slegate tra di loro ma capaci di donare al brano una musicalità perfetta. Tutto è in ordine, e i vari flash evocati compongono nella mente un racconto reale, come le pennellate di colore di un impressionista. Troviamo Il sabato del villaggio di Giacomo Leopardi, La spigolatrice di Sapri di Luigi Mercantini – già incontrato in Goûtez e comparez –, Davanti San Guido di Giosuè Carducci, La cavalla storna di Giovanni Pascoli e di nuovo Leopardi con Il passero solitario.
Come non immaginare un vecchio treno nero e rumoroso che viaggia e, come in un film futurista in bianco e nero, al suo passaggio vedere su uno schermo la vita e l’atmosfera di una città dei primi del Novecento, le macchine a vapore, i giochi dei bambini sull’aia e gli sposi in luna di miele… E poi una serie di citazioni, come sempre slegate tra loro ma capaci di infondere un incredibile senso del ritmo. La prima, in francese, proviene da I Guermantes, terzo volume di Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust; questa la traduzione: “La musica, ben diversamente in questo dalla compagnia di Albertine, mi aiutava a scendere in me stesso e a scoprirvi qualcosa di nuovo: la varietà che invano avevo cercato nella vita, nei viaggi…”. Certo qui c’è qualcosa di autobiografico.
Si prosegue poi con Rolling Stones, Trenet, Beach Boys, Galileo, Nietzsche, Kurosawa, Philip Glass con Einstein On The Beach, il classico napoletano ’O sole mio, Lux Aeterna di György Ligeti (brano utilizzato anche da Stanley Kubrick in 2001: Odissea nello spazio), l’amico Roberto Calasso, Sulla carrozzella di Odoardo Spadaro, Cinderella.
Alice partecipa a Sanremo 1981 con Per Elisa, canzone ispirata alla nota bagatella di Beethoven, di cui riprende la melodia di apertura. Il testo è per gran parte della stessa Alice; la musica è di Battiato e Giusto Pio. Nel gruppo di accompagnamento ci sono alcuni musicisti già presenti in PATRIOTS, che in quel periodo sono i più fidati per Battiato: Alberto Radius alla chitarra, Paolo Donnarumma al basso e Filippo Destrieri alle tastiere.
Per Elisa non è una canzone da Sanremo: ha una struttura musicale complessa e inoltre Alice – austera e seria – è poco adatta a quel palco; ma il brano le è cucito addosso in maniera sartoriale, intenso come la sua voce. Inaspettatamente vince il Festival: le qualità di Alice vengono finalmente riconosciute e per Battiato è una grandissima affermazione, la prima di quel 1981 che cambierà la sua vita.
In un’intervista a Rolling Stone Alice racconta: “Franco aveva quel brano che aveva scritto partendo dal titolo e da alcune frasi: ‘Per Elisa / vuoi vedere che perderai anche me’ e ‘Vivere vivere vivere / non è più vivere’; l’introduzione comprendeva un riferimento al celebre pezzo di Beethoven. A me piacque molto e mi aggregai completando il testo. La canzone però non nacque con l’intento di essere presentata a Sanremo, anche perché dopo il mio esordio nel 1972 non avrei più voluto parteciparvi. Ero giovanissima ed ero rimasta talmente traumatizzata da pensare che non vi avrei mai più messo piede: era un posto che non faceva per me. A mia insaputa, la casa discografica presentò Per Elisa e il brano venne accolto. Si scatenò così una vivace discussione col mio manager perché non volevo assolutamente partecipare. Lui allora mi disse: ‘Cos’hai da perdere? Il brano è molto bello, che ti importa del resto?’. Alla fine mi convinse e… andò bene”.
Dopo la vittoria a Sanremo, Alice pensa a un 33 giri (che ovviamente comprenderà anche Per Elisa); i lavori iniziano a casa di Battiato a Milano e ad aprile si entra in sala di registrazione. L’album ALICE è interamente arrangiato da Battiato e Pio, e tutti i brani – tranne A te…, Non ti confondere amico e Non devi avere paura, che sono della sola Alice – portano la loro firma. L’album ha grande successo, anche all’estero. Una notte speciale – che rimarrà in classifica in Germania per ben due anni – è introdotta da un motivo che tornerà svariate volte nel pezzo: è una rielaborazione del Preludio e fuga in Do maggiore del primo libro di Il clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach (motivo piuttosto noto perché ripreso anche da Charles Gounod come tema della sua Ave Maria).
Esiste un’altra versione di Per Elisa, riarrangiata e pubblicata nel disco di Alice PERSONAL JUKE BOX (2000). Nel 2004 Marian Trapassi ne farà una cover.
Nel 2008 un’altra cover eseguita dall’Aram Quartet esce nella raccolta X FACTOR COMPILATION e raggiunge la sesta posizione della Top Singoli. Nel 2013 Per Elisa viene eseguita in duetto da Annalisa ed Emma al Festival di Sanremo, durante la quarta serata, in Sanremo Story.
Dopo Alice, Battiato si dedica a un’altra voce meravigliosa che aveva già “sfiorato” nel 1969 (ai tempi di Daniela Ghibli), quando – col nome di Giusy Romeo – era seguita dal produttore Pino Massara. Ora si fa chiamare Giuni Russo e Franco, grazie ad Alberto Radius, la incontra a casa di Giusto Pio. “Mi colpì la sua voce straordinaria, la vitalità con cui cantava, la sua potenza vocale che andava di pari passo con la sensibilità musicale. Un binomio difficile perché quando hai una voce potente di solito sei anche un po’ grossolano. Ma lei era in grado di unirvi le nuances più raffinate”.16
Da un lavoro collettivo nasce, nel maggio 1981, l’album ENERGIE; Battiato collabora a tutte le tracce e assieme a Giusto Pio cura tutti gli arrangiamenti. Atmosfera e Lettera al governatore della Libia sono firmate Battiato-Pio; come già accennato, Il sole di Austerlitz riprende Bulgarian Song con nuovo testo e nuova musica attribuita ad Alberto Radius; L’attesa, Tappeto volante, Una vipera sarò e Crisi metropolitana sono musicate da Giuni assieme alla sua compagna Maria Antonietta Sisini; L’addio è scritta da Franco con Mino Di Martino e Giusto Pio. In Una vipera sarò compaiono evidenti citazioni del tango La cumparsita di Gerardo Matos Rodríguez (Becho).
Giuni ha grandi doti vocali, la musica è di grande impatto, gli arrangiamenti sono strepitosi e i testi importanti, però il successo non arriva. Forse il prodotto è troppo di qualità, troppo di nicchia e, come spesso accade con Battiato, troppo in anticipo sui tempi.
1 – Intervista con Peppo Delconte, TV Sorrisi e Canzoni, 2002
2 – Annino La Posta, Franco Battiato – Soprattutto il silenzio, Giunti, 2010
3 – Intervista con Carlo Silvestro, King, 1991
4 – Franco Battiato, Tecnica mista su tappeto – Conversazioni autobiografiche con Franco Pulcini, EDT, 1992
5 – Francesco Messina, Ogni tanto passava una nave – Viaggi e soste con Franco Battiato, Bompiani, 2014
6 – Yes Music, 1982
7 – Francesco Messina, Ogni tanto passava una nave – Viaggi e soste con Franco Battiato, Bompiani, 2014
8 – Nuovo Sound n. 1, 1980
9 – Intervista con Carlo Silvestro, Frigidaire, 1985
10 – Franco Battiato, Tecnica mista su tappeto – Conversazioni autobiografiche con Franco Pulcini, EDT, 1992
11 – Franco Battiato, Tecnica mista su tappeto – Conversazioni autobiografiche con Franco Pulcini, EDT, 1992
12 – Intervista con Cesare G. Romana, Il Giornale, 1982
13 – Intervista a Enrico Parodi, La Gazzetta dello Sport, 1986
14 – Intervista con Peppo Delconte, Tutto, 1981
15 – Peppo Delconte, Scena, 1982
16 – Intervista con Gaia Giuliani, La Repubblica, 2006