21 aprile 1990
Nina è in camera sua, da sola. Ripensa alla giornata di ieri, il compleanno di Adrien, il sintetizzatore, le parole di Marie-Laure: «Marion era simpatica, carina, chiacchierona... di un biondo tendente al rosso, con gli occhi verdi... quand’è morta tua nonna si è murata nel silenzio».
Sente qualcuno spingere il cancellino. Riconosce il passo pesante di Étienne, il rumore delle ruote dello skate che lascia sulla soglia, inoltre se Paola non abbaia vuol dire che conosce la persona penetrata nel suo territorio.
Nina si riscuote, nasconde la lettera sotto il cuscino. La cosa che l’ha incuriosita frugando nella borsa del nonno è che il nome e l’indirizzo del destinatario sono composti da lettere di giornale ritagliate. Come nel Corvo, il vecchio film di Clouzot.
Si era rapidamente infilata in tasca la busta mentre Pierre Beau era di spalle, poi l’aveva letta e riletta.
TU JEAN-LUC IDIOTA CORNUTO, VERGOGNIA DEL QARTIERE ALTO, TAMMAZZO, AI GIORNI CONTATI, TUTTI CREDRERANNO ALLINCIDENTE NESSUNO CAPIRÀ APPARTE TE, PAGHERAI PER QUELLO CHE HAI FATO LO SAI E MI SCOPO LA TUA VEDOVA.
Tutto quell’odio la colpisce. Decide di bruciare la lettera, è la prima volta. Di non rimetterla tra la posta da consegnare.
O deve avvertire la polizia? No, arresterebbero lei e le poste licenzierebbero il nonno. E se ci trovano sopra le sue impronte digitali e la accusano? Ma se la distrugge, e quelle non sono parole al vento, magari succede qualcosa al destinatario... Jean-Luc Morand, 12 place Charles-de-Gaulle, La Comelle. Chi è Jean-Luc Morand?
In attesa di prendere una decisione scende di sotto per accogliere Étienne. “Ha detto che vuole fare il poliziotto” pensa Nina andando ad aprire la porta, “e se chiedessi consiglio a lui?”.
Étienne ha una faccia strana. La saluta, le chiede come va e le dice che ha una cosa per lei. Di colpo Nina si scorda della lettera anonima.
«Prima che te la faccia vedere vai a prendere il Ventolin» le dice con aria seria.
«Perché?».
«Perché ti conosco».
«Ma...».
«Ubbidisci» fa lui, perentorio.
Nina sale in camera a prendere la medicina alzando gli occhi al cielo. Certe volte Étienne la fa uscire dai gangheri, lo strozzerebbe. Decide di non fargli vedere la lettera, vuole troppo comandare tutto.
Lo raggiunge in cucina. Étienne ha posato lo zainetto sul tavolo e si sta riempiendo un bicchiere d’acqua dal rubinetto.
Il suo amico cambia di giorno in giorno. Di loro tre è quello che cresce più in fretta. Una leggera peluria gli copre il labbro superiore, ma la trova talmente brutta che se la rade ogni mattina. Diversamente da Adrien non ha acne, e se per caso sul viso gli appare un brufolo o una minima imperfezione ci dà dentro con creme e lozioni di tutti i generi. Non fa che guardarsi allo specchio. Anche la voce gli sta cambiando. Dimostra diciassette anni, ma non ha ancora spento le sue quattordici candeline.
Nina inala il Ventolin con un colpo secco davanti a lui.
Étienne prende dallo zainetto una busta con tre fotografie.
«Tieni, me le ha date mia madre per te... Sono fotografie di tua madre che ha ritrovato».
Nina vede una foto di classe in bianco e nero. Bambine in grembiule. Quella al centro ha in mano una lavagnetta su cui si legge: Scuola elementare Danton, 1966-1967. Nina sgrana gli occhi. Le scolarette sono tante. Prima di cercare di individuare la madre guarda le altre due fotografie. Sembrano più recenti. Sono quasi identiche: un gruppetto di sette alunne di liceo in posa e sorridenti. Sul retro c’è scritto: Abbazia di Cluny 1973. Si capisce che c’è vento, tutte e sette si tengono i capelli e strizzano gli occhi per via del sole.
«È una gita scolastica che hanno fatto al liceo, ha detto mia madre». Étienne indica due ragazze. «Questa è mia madre e questa accanto la tua».
Nina guarda la quindicenne, un fantasma dagli occhi chiari. Marion Beau sorride, sembra che abbia i denti un po’ in fuori, ha i capelli legati a coda di cavallo, indossa una gonna corta, golfino e calzettoni bianchi. Osserva anche Marie-Laure accanto a lei. Ha la stessa faccia di oggi, un po’ più paffuta.
«Sei sicuro che sia Marion?» mormora Nina.
«Sì. Quella con i calzettoni bianchi».
«Non le somiglio».
«Per niente...».
«A chi assomiglio, allora?».
«Boh, probabilmente a tuo padre... Puoi tenerle, mamma te le regala».
«Me ne frego. Mi ha abbandonato».
Étienne è a disagio. Certe volte Nina ha reazioni strane. È troppo imprevedibile. È stata lei a chiedere a sua madre se conoscesse Marion, e ora non ne vuole più sapere. Dio, quanto sono complicate le donne!
«Che fai oggi?» le chiede tanto per cambiare discorso.
«Non lo so. Studio un po’. Adrien ci aspetta a casa sua alle quattro per vedere un film. Resti qui intanto?».
«No, ci vediamo da lui».
Étienne se ne va con un certo sollievo. Non chiude la porta. Una corrente d’aria attraversa la casa e le tre foto lasciate sul tavolo della cucina cadono a terra.
Nina chiude la porta, le raccoglie e torna in camera sua.
*
Il lunedì successivo Pierre Beau lavora solo di pomeriggio, dunque è giorno di bucato. Toglie le lenzuola dal letto, apre la finestra, fa prendere aria al materasso, poi va in camera di Nina. Di solito bussa, ma in quel momento la nipote è a scuola.
Mucchio di vestiti per terra, puliti e sporchi mischiati, con due gatti che ci dormono sopra. Vedendolo entrare, uno dei due si stiracchia pigramente. Tazze di cioccolata vuote. Libri di scuola e quaderni uno sull’altro. Centinaia di schizzi su carta da disegno, sul pavimento, in scatole di cartone, alcuni attaccati sopra la scrivania, soprattutto animali e naturalmente i due amici. Però, quanto disegna bene! Forse un giorno diventerà famosa e il mondo intero si contenderà le sue opere.
Nel frattempo sarà meglio mettere un po’ in ordine. Pierre Beau sospira. Non è facile crescere una bambina da solo. Pensa a Odile, la moglie. Se fosse ancora viva non ci sarebbe quel bordello. Tutto sarebbe stato diverso, con lei.
Le pareti sono tappezzate di poster fissati con le puntine: Indochine, The Cure, Depeche Mode... A Odile piaceva solo Joe Dassin, Pierre ne era anche un po’ geloso. Quand’è morta non ha buttato i trentatré giri. Avrebbe potuto regalarli, ma non sopportava l’idea che li ascoltasse qualcun altro. Cinque anni dopo Odile era morto anche Joe Dassin. “La ritroverà lassù” aveva pensato Pierre, “e stavolta l’ho definitivamente persa, non posso certo competere con Joe Dassin”.
E se tu non esistessi
Dimmi perché dovrei esistere io...4
Lui almeno era pettinato ed elegante, sempre in completo bianco, non come quei beceri che Nina espone in camera sua, con i capelli dritti sulla testa e le pose dinoccolate. Uomini che si truccano, non c’è più religione. Che razza di epoca.
Una mattina i genitori di Odile si erano trasferiti nella casa di fronte alla sua. Per parlare con lei Pierre non aveva trovato di meglio che rubarle la bicicletta un giovedì pomeriggio e riportargliela il sabato. In quei tre giorni l’aveva tenuta nascosta. «Ciao, credo che sia tua, l’ho trovata nel quartiere alto appoggiata a una palizzata». Odile aveva fatto finta di crederci. Si erano sposati a diciassette anni. Dal matrimonio era nata Marion, poi nessun altro figlio. Pierre ne avrebbe voluti tre: femmina, maschio, femmina. Odile si era fermata alla prima.
Pierre Beau scavalca il disordine di Nina, toglie la fodera del piumino, le lenzuola e la federa del cuscino. Tre buste cadono a terra, tra cui una lettera.
TU JEAN-LUC IDIOTA CORNUTO, VERGOGNIA DEL QARTIERE ALTO, TAMMAZZO, AI GIORNI CONTATI, TUTTI CREDRERANNO ALLINCIDENTE NESSUNO CAPIRÀ APPARTE TE, PAGHERAI PER QUELLO CHE HAI FATO LO SAI E MI SCOPO LA TUA VEDOVA.
Pierre Beau legge i nomi dei destinatari sulle buste. Ci mette qualche secondo a capire che Nina apre la posta. Ne aveva avuto il vago sospetto, ma si rifiutava di ammetterlo. Un giorno l’aveva trovata che gironzolava intorno alla sua borsa con una strana espressione, un’espressione colpevole, come quando portava a casa un gattino randagio e lo nascondeva perché lui non se ne accorgesse. Fino a che prima o poi diceva: «Ti prego, nonno, teniamolo, comunque è già un sacco di tempo che vive con noi».
Va nel panico. Lancia fulmini dagli occhi. Gli torna subito in mente Marion, la sua disgrazia. Nina è come lei. Nelle loro vene scorre qualcosa di sciagurato. La madre ha contaminato la figlia. Madre e figlia. Una condanna.
Trema dalla rabbia. Abbandona per terra buste e lenzuola ed esce senza chiudere la porta.
Durante il tragitto vede rosso. Voglia di uccidere. Dopo tutto quel che ha fatto per lei! Rimanere vivo, sgobbare per mantenerla. Alzarsi, lavarsi, fare colazione, andare al lavoro, tornare, prepararle la cena. Stringere la cinghia per lei. Solo per lei, perché non le mancasse niente. La rivede piccolissima, i biberon, il latte Gallia di tipo 1 e poi quello di proseguimento, i primi dentini, i vaccini, i primi passi. Comprarle i vestiti e le scarpe sbagliando le misure. Ogni mattina Nina è lì e quasi non ci crede, la vede crescere e non si capacita di essere lui a crescerla.
Nina apre la posta di nascosto. Alto tradimento. Da quanto tempo lo fa? Se qualcuno viene a saperlo perderà il lavoro, verrà licenziato per colpa grave. Non è autorizzato a portarsi la posta a casa. Verrà giudicato da un tribunale, sicuramente condannato. Forse con la condizionale, forse in prigione, e Nina che fine farà? Chi se ne occuperà? Che dirà la gente? Lo denunceranno. Aprire la posta altrui è un reato grave. Nina finirà in affido, il terrore di Pierre fin da quando è nata. “Se muoio dove andrà? La madre non verrà certo a riprendersela”.
Dirà che è stato lui ad aprire la posta, che Nina non c’entra niente, è innocente, che lui solo è lo scriteriato.
Parcheggia davanti alla scuola. È mezzogiorno. Grappoli di giovani stanno cominciando a uscire. Nina mangia a mensa. Pierre entra in cortile travolgendo qualche scolaro, ha l’aria da pazzo, strizza gli occhi con un tic incontrollabile. Vede Adrien, poi Étienne, poi lei. I tre inseparabili stanno parlando all’interno di un altro gruppo, un cerchio di tre circondato da una quindicina di compagni.
Nina è in felpa. Non si è messa la giacca di lana. Pierre le raccomanda sempre di coprirsi bene per via dell’asma, ma la nipote fa di testa sua. Fine aprile è proprio il momento di non scoprirsi, lo dice anche un proverbio, invece lei è lì con la gola al vento. A che servono i proverbi se uno non li mette in pratica? Il preferito di Odile era: “Vale più un dono di una promessa”. Adrien deve aver detto a Nina che c’è suo nonno, perché lei solleva la testa, lo guarda e accenna un sorriso che significa: “Che ci fai qua? Mi sono scordata qualcosa a casa?”.
A vedere la rabbia che gli accende gli occhi e gli altera l’espressione, a vedere i suoi pugni stretti con le nocche bianche, Nina capisce immediatamente che si tratta delle lettere rubate e nel giro di due secondi cambia colore. Il nonno le dà uno schiaffo, poi un altro. Un rumore sordo che tuttavia risuona. Il silenzio si diffonde in cortile con la velocità di una folata di polvere. Gli altri ragazzi sono esterrefatti, ma non gridano, sono paralizzati, non capiscono cosa stia succedendo, un grande che aggredisce una compagna dentro la scuola...
È la prima volta che Pierre Beau picchia Nina, a parte un calcio nel sedere quando aveva sei anni perché aveva dipinto di blu le verdure dell’orto.
La prende per il colletto, la solleva da terra, la scuote e dice con un tono gelido e allo stesso tempo implorante:
«Ti rendi conto di cosa hai fatto? Te ne rendi conto o no?».
Potrebbe ucciderla sul posto, disintegrarla. A farlo tornare sulla terra è il silenzio tutto intorno a sé. Si riprende.
“Ma che sto facendo?”.
Rimette lentamente giù la nipote, come se avesse i gesti rallentati dal suo stesso stupore. Nina è un pupazzo con le guance rosse e i segni delle dita di chi l’ha sollevata. Ha le lacrime agli occhi, come riflessi febbricitanti. Pierre Beau si rende conto che tutti lo stanno guardando. Si avvicina un bidello di una ventina d’anni: «Che succede qui?».
«Scusa» mormora Nina al nonno.
Smarrito, Pierre Beau fa dietrofront e scappa come un ladro. Salito in macchina si aggrappa al volante e scoppia a piangere scosso da tremiti nervosi. Immagina Odile che lo osserva da dove sta, con Joe Dassin che le ronza intorno. Immagina che non lo perdonerà mai per ciò che ha fatto alla nipote.
«Ammetti però che se l’è cercata!».
Odile non risponde. Gli tiene il broncio. Di sicuro quello stronzo di Joe Dassin approfitterà della situazione.
4 Joe Dassin, Et si tu n’existais pas.