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12 dicembre 2017

 

Immaginavo che fossi tu a lasciare le buste con i soldi...» dice Nina.
Mi sento presa in castagna, quasi in colpa. Vado alla macchina, spengo i fari e il motore e torno da lei.

Nina apre il cancello con la chiave.

«Sapevi che ero tornata?».

«Sì» risponde.

Nina mi versa un po’ di caffè in una tazza con la scritta I love La Comelle.

Tre neon pallidi illuminano il suo ufficio.

Poster sulla sterilizzazione alle pareti.

L’immagine di un gatto con un occhio cavato: Qui tutti hanno lopportunità di essere adottati.

Foto di cani e gatti attaccate con le puntine su una bacheca. Hanno tutti un nome: Diego, Rosa, Blanquette, Nougat... Mi chiedo se sia Nina a battezzarli.

Nella biblioteca delle medie c’era il dizionario dei nomi. Nina faceva un cerchio a matita intorno a quelli che avrebbe dato ai suoi futuri figli.

Sento che mi guarda. Non oso alzare gli occhi su di lei, le fisso le mani. Da adolescente si metteva lo smalto rosso sulle unghie che dopo un po’ si scrostava, una trascuratezza che mi faceva orrore.

Vorrei alzarmi e abbracciarla, ma dopo quello che le ho fatto l’ultima volta che l’ho vista non ne ho il coraggio.

Già è tanto che mi abbia fatto entrare e offerto la sua brodaglia.

Dopo un bel po’ domando:

«Che fai al rifugio a quest’ora? È tardi».

«Ti aspettavo» risponde lei. «Almeno credo».

 

*

 

15 luglio 1990

 

Saint-Raphaël.

«Stiamo arrivando...». L’hanno detto tutti, ognuno in maniera diversa. Marie-Laure felice, Marc con sollievo, Louise timidamente, Étienne per Nina.

Il cuore di Nina batte in maniera anomala, la felicità lo manda fuori tempo, i suoi occhi scrutano il paesaggio, cercano l’azzurro.

Nell’abitacolo c’è odore di patatine, pacchetti vuoti, ore di viaggio alle spalle, una breve fermata a Valence per fare benzina e prendere un caffè, stanchezza nelle gambe, muscoli indolenziti.

Aprono un po’ i finestrini. Una linea azzurra in lontananza. Il mare è il cielo che si è seduto per terra. A Adrien fa venire in mente una canzone di Alain Souchon.

 

Vedrai che un bel mattino stanco

Andrò a sedermi sul marciapiede di fianco...5

 

«Eccoti il mare, Nina» sussurra Étienne.

Adrien le mette una mano sulla spalla e stringe un po’, come per dire “Eccolo lì, ce l’abbiamo fatta”.

«Ragazzi, aspettateci sulla spiaggia mentre andiamo a prendere le chiavi della casa che abbiamo affittato» dice Marie-Laure.

Louise vuole rimanere in macchina con i genitori. Preferisce lasciare gli altri da soli. Quei tre insieme sono un muro, una barriera invalicabile.

Adrien, Étienne e Nina scendono dalla macchina. Luce accecante. È mezzogiorno, fa caldissimo. Asciugamani e giocattoli da bambini sulla sabbia. E davanti il mare, immenso, infinito, luccicante. “Il mare è acqua che vibra” pensa Nina, “acqua che inspira ed espira”. Il colore non le ricorda niente che abbia già visto. Nella realtà è molto più bello che sulle cartoline o in televisione. È impressionante, paradossale, affascinante e allo stesso tempo inquietante, esattamente come l’idea che si è fatta Nina della libertà. La capra del signor Seguin, la storia più crudelmente mostruosa che abbia letto e che tuttavia continua a rileggere spesso. L’anno scorso, quando il nonno ha dato via un po’ di roba alla raccolta per i poveri, si è ripresa dal sacco il suo Racconti per bambini buoni.

Il nonno. Vorrebbe che ci fosse anche lui, che vedesse quel che vede lei, che respirasse la stessa aria, il vento dall’odore di sole, zucchero e muschio.

Étienne si issa Nina sulla spalla e cammina velocemente sulla sabbia evitando gli asciugamani. Nina ride e lancia gridolini. Adrien li segue guardando allarmato intorno a sé ombrelloni e seni nudi. È la prima volta che vede donne prendere il sole a petto nudo. Le ha viste nei film e sulle riviste, ma mai nella vita vera. Mentre Nina scopre il mare, lui scopre i seni. E fa un sorrisino compiaciuto.

Étienne si toglie le scarpe da ginnastica e le toglie a Nina, che si dibatte gridando: «No, smettila!».

Entra in mare con Nina sempre sulla spalla, fa qualche metro e la getta in acqua tutta vestita. Pizzica, è fresca, salata. Anche Adrien entra in acqua senza togliersi niente. Nuotano tutti e tre vestiti ridendo e schizzandosi. Sono sovreccitati. Étienne urla: «Sono il re del mondo!». Si issa di nuovo Nina sulle spalle per farla tuffare, stavolta di testa.

Da un pezzo Étienne non era così. È come se avesse mollato la presa, come se non controllasse più niente: l’aspetto, lo stile, i vestiti, i capelli, la pelle, i bei voti.

Restano in quello stato a lungo, poi gradualmente si calmano. Fanno penetrare la lentezza nei pori della pelle, leccano l’acqua, la risputano. I loro vestiti sembrano boe di stoffa, ali di farfalle bagnate. Galleggiano sulla schiena, la pelle inghiotte i movimenti dei loro corpi. Si tengono per mano, formano una stella appena scoperta, un astro unico caduto nell’acqua.

Ogni tanto Nina canta Tes yeux noirs mescolando apposta le parole.

 

Vieni qui, vieni con me, non partire più senza di me...

Dài, vieni qui, resta qui, non partire più senza di me...

E appena tornati ci rivedremo tutti i giorni...

E brillano i tuoi occhi neri

Dove vai quando te ne vai verso nessun luogo...

E prendi i tuoi vestiti, te li metti addosso...6

 

Nuotare nel cielo.

 

*

 

Per educazione finisco il caffè disgustoso che ho nella tazza. “Pipì di gatto” penso guardando la foto di un cane da pastore: Banjo, sette anni.

«Ho visto il tuo nome sul Journal de Saône-et-Loire» dice Nina.

«Faccio qualche pezzo quando il corrispondente è in ferie, come adesso... Hai letto la storia del lago della foresta?».

«La macchina, sì... Secondo te è lei? È rimasta là sotto tutti questi anni?».

«Ancora non lo sanno... Hanno trovato uno scheletro...».

«Terribile...».

«L’unica cosa che collega Clotilde alla macchina rubata è la data».

«17 agosto 1994... il giorno del funerale» fa Nina in un soffio.

Segue un lungo silenzio. So che sta pensando a Étienne, come del resto anch’io, ma non pronuncia il suo nome.

«Vuoi un gatto, per caso?» mi chiede.

«Per caso?».

Nina si china e solleva una coperta. Sotto c’è un micino nero che dorme in una scatola da scarpe per uomo misura 43.

Ne approfitto per osservarle le mani, le dita sottili, gracili, con le unghie tagliate corte. Fingo di guardare l’animaletto, ma in realtà respiro lei, cerco il suo odore di vaniglia scomparso. Vorrei chiudere gli occhi, vorrei passare il resto dei miei giorni accanto a lei. Certe volte la nostalgia è una maledizione, un veleno.

«L’abbiamo trovato in uno stanzino per i bidoni della spazzatura. Non ti va di prenderlo tu? Ho difficoltà a piazzare i gatti neri. Sai, per via della superstizione...».

«D’accordo».

«Ti occuperai bene di lui?».

«Sì».

«Meglio che di me?».

«...».

«Étienne l’hai più visto?» mi domanda.

«No».

Si immerge di nuovo nei suoi pensieri. Si toglie un granello di polvere immaginario dal maglione e dopo un po’ chiede:

«E Adrien? Sta bene?».

«Suppongo di sì».

Mi guarda negli occhi. Non è cambiata. Sempre diretta, schietta e senza giri di parole.

«Mi manca» dice.

E, come rimpiangendo di averlo detto, mi mette in mano la scatola da scarpe. Il gattino apre un occhio e lo richiude. Gli annuso il pelo. Ha un odore di paglia.

«È svezzato. Ti do qualche sacchetto di cibo. I primi giorni tienilo al chiuso. Comunque è inverno e non ha niente da fare fuori. Ti do anche una cassetta e un sacco di lettiera. Non dimenticare mai di mettergli a disposizione una ciotola d’acqua fresca».

«Come sapevi che sarei venuta stasera?».

«A fine anno passi sempre tra il 15 e il 20 dicembre, no? Grazie per i soldi».

«Davvero sapevi che ero io?».

«Chi altro avrebbe potuto essere?».

Si mette un giaccone.

«Mi riporti a casa? Christophe è andato dal veterinario con la macchina del rifugio, sono stanca morta, vorrei tornare».

«Christophe è tuo marito?».

«No, è uno che lavora qui. Quello alto con la barba a cui dai i croccantini».

«Sai anche che sono io a portare i croccantini?».

«Sì».

«Okay, ti riporto a casa».

Saliamo in macchina. Appena accendo il motore si sente La vie est belle, degli Indochine. Spengo la radio.

«No, lasciala, per piacere» dice Nina. «Adoro questa canzone».

«Ti piacciono ancora?».

«Certo».

 

Andremmo a fare la vita, riuscire almeno in quello

Andremmo a fare la notte lontano quanto potrai...

La vita è bella e crudele insieme, a volte ci somiglia

Io sono nato per stare solo con te...

 

Nina canticchia fissando la strada come se fosse lei a guidare.

«Come lo chiamerai?».

«Chi?».

«Il gatto».

«È maschio o femmina?».

«Maschio, credo. È troppo piccolo per esserne sicuri».

«Nicola. Come Nicola Sirkis, il cantante».

Per la prima volta Nina sorride.

 

 

 

5 Alain Souchon, S’asseoir par terre.

6 Indochine, Tes yeux noirs.