26 dicembre 2017
Marie-Castille rilegge più volte la lettera di Étienne.
Di solito è lei quella che fa domande, che torchia gli accusati, che giudica la patetica esistenza dei fermati, i loro smarrimenti, le loro deviazioni e follie, ma stamattina è lei a sentirsi in arresto e giudicata senza mezzi termini.
È ferma a letto.
Ha sempre saputo che Étienne era di passaggio, che non sarebbe rimasto, ma il suo timore era che se ne andasse con un’altra donna, non che gli venisse un cancro. Ha sempre pensato di doversi battere contro le rivali.
Étienne malato... Com’è partito? La loro macchina è ancora in cortile. Forse con quella di Nina. O sono su un treno, magari su un aereo, probabilmente già lontani.
Marie-Castille trema in tutto il corpo. Ha capito che non vedrà più il marito, che Étienne ha pianificato la partenza. Istintivamente prova a telefonargli. Segreteria.
Com’è possibile che abbia avuto talmente poca fiducia in lei da andarsene lasciandole una lettera di scuse e spiegazioni sul cuscino?
È come quel tipo che vorrebbe che mi curassi
E che d’agosto molla il cane in Spagna...14
Stamattina si sente sola come un cane abbandonato sul ciglio della strada delle vacanze, come un rifiuto, una pila esaurita.
Quando qualcuno domandava da quanto tempo si conoscessero rispondevano sempre: «Dall’epoca degli attentati dell’11 settembre».
Si erano conosciuti davanti a un televisore, quello di uno spacciatore e dei suoi due complici che le loro brigate avevano appena catturato.
Étienne faceva parte del commissariato di Lione VI arrondissement, lei era stata assegnata da poco a quello di Lione I.
Dato che gli individui erano pericolosi e armati, i due commissariati erano intervenuti insieme.
Al momento di lasciare l’appartamento del pusher, Marie-Castille aveva aperto una porta e trovato un uomo seduto davanti alla televisione. Era solo. Portava al braccio la fascia POLIZIA. Lui, ipnotizzato dalle immagini apocalittiche, non l’aveva vista entrare.
Quando l’aveva sentita accanto a sé aveva solo detto: «Ho tolto il volume, è atroce» senza neanche sapere a chi si stesse rivolgendo.
E in quel momento, mentre una parte del mondo andava in frantumi, mentre sullo schermo si vedeva soltanto fumo, Marie-Castille si era innamorata.
Il suo amore era nato nello stesso giorno in cui migliaia di innocenti morivano o stavano per morire in America, in Francia e altrove. Avrebbe dovuto essere vietato da una specie di legge interiore, una deontologia del cuore, era troppo di cattivo auspicio. Brutto karma, brutti inizi, brutto incontro. Il suo amore era sbocciato il giorno degli attentati dell’11 settembre, nel momento in cui avrebbe dovuto essere chiusa a ogni forma di intrusione esterna.
Il telefonino le vibrava nella tasca dei jeans, avrebbe dovuto affrettarsi a rispondere, invece gli si era seduta accanto sul bracciolo della poltrona, quasi attaccata a lui, con la spalla che gli sfiorava il braccio. L’aveva respirato, si era trattenuta dal passargli una mano tra i capelli, l’aveva guardato guardare le immagini mentre il proprietario dei luoghi la aspettava in una cella per essere interrogato.
«Come si chiama?» gli aveva chiesto dopo un po’.
«Tenente Beaulieu».
«Io sono la commissaria Blanc».
«È la nuova?» le aveva domandato lui senza il minimo imbarazzo benché si rivolgesse a una superiore.
«Sì».
Lui parlava senza staccare gli occhi dalla televisione, come un adolescente immerso nel videogioco di uno scenario catastrofico.
Erano usciti verso le nove di sera attanagliati dallo spavento, inebetiti, e avevano trovato le strade deserte.
A Lione sembrava che fosse una domenica di gennaio. Tutti erano tornati a casa. I bar, di solito molto frequentati, erano chiusi o vuoti.
Avevano mangiato un panino e bevuto una birra con gli occhi fissi sullo schermo di un televisore tirato fuori per l’occasione e posato sul bancone di un bar. Tutti i canali trasmettevano a ciclo continuo le immagini dei due aerei che si schiantavano contro le pareti di vetro. Quattro clienti guardavano senza battere ciglio il simbolo della potenza economica degli Stati Uniti che crollava come un castello di carte.
Marie-Castille gli aveva chiesto dove abitava.
«In un appartamentino poco lontano da qui, e lei?».
«Ho affittato un appartamento ammobiliato in sua attesa». Era diventata rossa. «Cioè, in attesa... Ho paura a tornare a casa da sola stasera. Posso restare con lei?».
Étienne non le aveva creduto. Quella donna non aveva paura di niente, lo sentiva dal modo in cui lo guardava di nascosto. Gli era piaciuta. Aveva un lato maschiaccio, ma paradossalmente molto femminile. Qualche anello alle dita, niente fede, una decina d’anni scarsa più di lui. Capelli biondi corti, bocca sensuale, occhi verdi, sguardo mascalzone e curioso.
«La avverto, casa mia è un bordello, tutte le donne di servizio finiscono ad ansiolitici».
Lei l’aveva seguito come un cagnolino. Aveva scoperto la garçonnière di Étienne. Nessuna traccia di moglie e figli.
Scapolo.
Aveva immediatamente deciso che doveva prenderlo nella rete prima che lo facesse qualcun’altra. Con intelligenza, in punta di piedi.
Marie-Castille si infila una vestaglia ed entra in camera di Louise senza bussare. Louise non sta dormendo, beve un tè e fissa la strada seduta sul davanzale della finestra, come se stesse aspettando la cognata.
«È da tanto che è malato?».
«Sì, probabilmente troppo».
«Tu sapevi che stava per partire?».
«Sì».
«È per questo che ieri litigavate?».
«Sì... Volevo che te lo dicesse».
Marie-Castille stringe i pugni e inghiotte le lacrime, sommersa da fiumi di disperazione e rancore.
«Valentin lo sa?».
«Sì. Ha letto uno scambio di messaggi tra Étienne e me».
Marie-Castille incassa pure quest’altro colpo. Sembra che tutti abbiano cospirato alle sue spalle, come se fosse la nemica o l’anello debole della catena, quella che non è in grado di sentire la verità.
«Non c’è davvero più niente da fare?».
Louise crolla, ha l’aria sfinita, come un valoroso guerriero che abbia perso tutte le armi sul campo di battaglia.
«C’è sempre qualcosa da tentare. Non dico che sarebbe guarito, ma una cura avrebbe potuto allungargli la vita».
«Lui lo sa?».
«Non ho fatto che dirglielo, ma non ha voluto sentire ragioni».
«Ha deciso di morire» dice Marie-Castille come rivolta a se stessa.
«Sai dove sono?».
«Nessuna idea».
«Credo di meritare la verità».
«Non lo so, te lo giuro. Sono partiti tutti e tre durante la notte».
*
Siamo passate a prendere Étienne alle quattro del mattino. Ci aspettava in fondo alla via con una borsa da viaggio sulla spalla.
«Di chi è questa macchina?» ha chiesto a Nina.
«Del mio fidanzato».
«Hai un fidanzato?».
«Sì».
«Una persona normale?».
«Sì».
Io non ho fiatato. Seduta dietro, mi sono data un pizzicotto per tenere la bocca chiusa e non rivelare ciò che mi avevano riferito su Grimaldi.
Abbiamo guidato fino a Mâcon. Étienne studiava una carta dell’Europa aperta sulle ginocchia mangiandosi le unghie. Era incerto tra l’Italia e la Grecia.
«Quanto tempo potete restare con me?» ci ha chiesto.
«Da quando lavoro al rifugio non ho preso molte ferie».
«Il che vuol dire?».
«Tutto il tempo che servirà».
Si è voltato verso di me.
«E tu?».
«Uguale».
«Comunque non sarà una cosa lunga...». E prima che la voce gli si spezzasse ha continuato. «Volevo ringraziarvi... E anche chiedervi... perdono».
Io e Nina siamo rimaste zitte mentre col dito tracciava possibili rotte sulla carta. Alla fine si è frugato in tasca e ha preso un euro.
«Testa, andiamo in Grecia. Croce, in Italia».
Ha lanciato la moneta, l’ha capovolta sul dorso della mano.
«Croce».
14 Alain Bashung, Gaby Oh Gaby.