Sabato 13 agosto 1994
Dolore sordo. Clotilde è preda di un incubo da cui vorrebbe uscire. Conta: “Uno, due, tre e mi sveglio”.
E di nuovo la canzone di Francis Cabrel che in quel periodo viene trasmessa da tutte le radio e le ronza in testa pure quando dorme.
Non vale la pena di essere più precisi
Questa storia è già finita
Faremmo la stessa cosa
Se dovessimo rifarlo
È soltanto, soltanto
Un sabato sera sulla terra...16
“Uno, due, tre, ora mi sveglio e ho dieci anni. Sono la principessa dei miei genitori, la loro unica figlia, mamma ha preparato la colazione in veranda, il cielo è azzurro, la nostra vita sembra una pubblicità in cui tutti sono perfetti, a cominciare da me. Sono bionda e l’imbottitura delle pantofole lilla con le paillettes mi scalda i piedi. Sono in quinta elementare e sono innamorata di un ragazzo, quello seduto in seconda fila accanto a Nina Beau. Si chiama Étienne Beaulieu. Mi metto un po’ di rosa sulle guance e di lucido sulle labbra per farmi notare, ma lui non ha occhi che per i due amici, uno sfigato e una fighetta. Sta sempre appiccicato a loro. Aspetto. Un giorno mi guarderà. Uno, due, tre e mi sveglio. I piedi. Ho freddissimo ai piedi. Sono congelati. Il letto è ricoperto di neve”.
Ora il dolore è così intenso che soffoca un grido.
Apre gli occhi. C’è riuscita. “Uno, due, tre e mi sveglio. Fine della canzone”.
Nella vita reale è ancora notte. Può riaddormentarsi prima di prendere servizio alla pizzeria. Ancora quindici giorni. Non ne può più di fare lo slalom tra i tavoli.
Ieri, mentre lei serviva una pizza ai quattro formaggi, una capricciosa e una porzione di lasagne, la domestica dei Beaulieu deve aver trovato la sua lettera nella cassetta e averla messa sulla scrivania di Étienne. Una bomba a scoppio ritardato in camera del figlio mentre la bella famiglia si abbronza al Sud, una granata che gli scoppierà in faccia fra dieci giorni, quando torneranno.
Clotilde ride da sola, suda, ha sempre più male. Ancora quel fottuto incubo che le torce le budella.
Credeva di essersi svegliata, invece è ancora prigioniera del sonno.
“Uno, due, tre e mi sveglio”.
Eppure pensa ad alta voce: «La lettera sulla scrivania di Étienne...».
Quante volte lei ed Étienne si sono ritrovati in quella camera, in quel letto? Quante volte si è rivestita raccattando le sue cose un po’ ovunque, abbandonate in fretta e furia prima di fare l’amore, cercandole come Pollicino cercava i sassolini bianchi sulla via del ritorno? Diversamente dal bambino della fiaba di Perrault, Clotilde avrebbe voluto perdersi tra le braccia dell’orco, non tornare più a casa.
Quante volte, sollevando i jeans di Étienne posati sul suo golf o sulle scarpe, avrebbe voluto che lui le dicesse: «Rimani»?
Piegata in avanti per cercare il reggiseno, con il corpo ancora fremente di piacere, osservava da dietro la tendina di capelli biondi lui a letto, nudo, con la pelle dorata, che si riaccendeva la canna con gesti aggraziati e disinvolti, sguardo assente e sorriso enigmatico sulle labbra. A che pensava? A chi?
Aveva posato gli occhi su di lei al liceo dopo averla ignorata per tutte le medie, degnandola al massimo di un saluto a mezza bocca quando la incontrava. Poi avevano cominciato l’ultimo anno di liceo, erano passati due mesi, lei si era accorta che finalmente la vedeva, che la guardava con insistenza. Il 3 novembre c’era stata la festa di compleanno di un compagno. «Verrà anche Étienne».
“Verrà anche Étienne”.
Lui non si era disturbato a sedurre Clotilde, non sapeva fare la corte, non sapeva dire belle parole, se ne fregava, si era avvicinato a lei e l’aveva baciata sulla bocca mentre negli altoparlanti risuonava Zombie dei Cranberries e tutti cantavano a squarciagola: In your head! In your heeaadd!
Ecco, il suo sogno di bambina si era realizzato. Quella sera stessa erano stati a letto insieme in camera di Étienne. Perché aspettare? Chi ha detto “Mai la prima sera”? La vita è breve. Il principe aveva l’alito che puzzava di alcol, ma così va la vita.
Da un pezzo Clotilde ha sbolognato le pantofole con le paillettes a un mercatino dell’usato. I ricordi sono come gli armadi, prima o poi vanno svuotati di quello che c’è dentro.
Clotilde l’ha capito, anche se ha solo diciassette anni. Non si fa illusioni. La sua unica ossessione è Étienne Beaulieu, benché dentro di sé sappia che un giorno si stuferà pure di lui.
«È la prima volta che ci provo davvero gusto».
Étienne non fa che dirglielo, come un ritornello. Per Clotilde quel “prima volta” ha il sapore dell’amore.
Altro crampo. Clotilde si contorce dal dolore. “No, no, no. Non è il momento né il posto giusto. Non è possibile. È troppo presto”.
Tenta di venire a patti col sonno. “Uno, due, tre e mi sveglio”.
Accende la luce. Sangue dappertutto. Vorrebbe urlare “Mamma! Papà! Aiuto!”, ma dalla bocca non le esce alcun suono.
Si alza, va in bagno. Fine dei giochi. Dovrà ricominciare tutto da capo. La bomba a scoppio ritardato ha fatto splut. Toglie lenzuola e traversa, imbocca il corridoio, detersivo, varechina, lavatrice a novanta gradi, torna in camera.
Fa la doccia. Il dolore è scomparso. Ha una voglia di spingere che però trattiene. “Non qui”. Piange. Non perché stia perdendo il feto di Étienne Beaulieu, ma perché sono i suoi ultimi sogni che finiscono nel cesso.
“Colpita e affondata”.
Si infila un vecchio vestito nero e bruttino, una cosa che aveva comprato due anni prima perché faceva molto ballerina, ma che non si è mai messa. Cammina nel giorno che sorge, non c’è un cane in quella schifosa città, ha le scarpe bagnate dalla rugiada mattutina. Agisce con un automatismo che fa venire in mente i morti viventi di Michael Jackson o quei film melensi che non le sono mai piaciuti in cui fanciulle fragili e pallide in abiti lunghi, berretti di cotone e zoccoli piangono sulla propria sorte mentre i loro uomini bevono acquavite e si sbellicano dalle risate.
Rivede Étienne sulla spiaggia di Saint-Raphaël, la ragazza bionda stesa su di lui.
Non ha più i crampi.
Si accuccia, espelle in un fosso quel che deve espellere, non sente dolore, non guarda. La cosa non respira, è morta perché ha deciso di essere morta, di uscire da sola, di lasciarla, perché non le andava più di stare dentro di lei.
Non ha mai desiderato essere madre. Chi può averne voglia a diciott’anni? Voleva solo trattenere Étienne, metterlo alla gogna, voleva che si trasformasse in papà chioccia, che il “lieto evento” suscitasse in lui un cambiamento radicale, che diventasse docile e premuroso, un bravo cagnolino che alla fine avrebbe detestato, addirittura odiato.
Si soffia il naso nell’abito da ballerina. “Sto dicendo cazzate. Meno male che è andata così, che ne avrei fatto di un marmocchio? Però devo vendicarmi, e non poco. Rovinargli la vita. Sennò sarebbe troppo facile”.
Torna a casa, sono ancora le sette del mattino, si stende sul materasso avvolta in un plaid.
Sonnecchia fino alle nove, poi sente in basso la voce dei genitori, il rumore delle stoviglie della colazione.
“Devo andare a lavorare. Devo andare a lavorare. Devo andare a lavorare”.
È sfinita. Sanguina ancora, le sono tornate le mestruazioni, la vita normale ha ripreso il suo corso.
Non si è mai fatta visitare da un medico, niente ecografia o altre analisi, nessuno ne ha mai saputo niente. Ha soltanto letto un libro sulla gravidanza come se leggesse un manuale di storia, come un qualcosa che succedeva alle altre, ma non riguardava lei. “Al quarto mese il feto pesa circa duecento grammi ed è lungo quindici centimetri”. Ha calcolato di essere rimasta incinta a metà aprile, un mercoledì pomeriggio, il giorno dei bambini. E non è stato un incidente, come ha sempre sostenuto. Aveva pianificato tutto, aveva bucato la punta del preservativo con l’unghia dell’indice affilata come la lama di un temperino.
Ricorda il giorno in cui ha fatto il test di gravidanza: due tacche sì, una tacca no. Seduta sul gabinetto, aveva esultato scoprendo il risultato. “Étienne è mio”.
Fa un’altra doccia, si mette un vestito diverso con l’abbottonatura davanti e si accorge che ha dimenticato di fasciarsi la pancia, operazione che esegue da circa un mese. Ha ancora una pancia tonda da donna incinta. Perché? Per quanto tempo?
I suoi pensieri sono interrotti dalla madre che bussa alla porta di camera sua.
«Tesoro, è morto il nonno della tua amica».
“Io non ho amiche” pensa Clotilde. “Odio le ragazze. Fosse per me farei il magnaccia, le manderei tutte a prostituirsi sul marciapiede per farmi portare più soldi possibile. La verità è che vorrei giocare a carte con gli altri maschi mentre le mie pollastre battono. La verità è che non mi piace essere una ragazza”.
«Che nonno, mamma? Che amica?».
«La brunetta... Il postino... Pierre Beau è stato travolto da un camion, pover’uomo».
Clotilde si aggrappa alla porta. “Questo vuol dire che Étienne tornerà prima del previsto. Che domani arriverà e leggerà la mia lettera... Forse oggi stesso!”.
«Quand’è successo?».
«Ieri pomeriggio».
Un’ora dopo, come ogni mattina dal primo luglio, Clotilde apparecchia i tavoli, sistema le tovaglie e controlla che le stoviglie siano pulite. I primi clienti arrivano a mezzogiorno in punto e per le due e mezzo tutti hanno finito di mangiare. Durante il pranzo sente qualcuno parlare dell’incidente, del postino sfracellato, del camion che non ha visto arrivare.
Nel pomeriggio è in pausa, riattacca alle sei di sera per preparare la sala. Spesso in quelle poche ore va a stendersi sul prato delle piscine comunali, oggi invece fa un salto in biblioteca e consulta discretamente qualche libro sulla gravidanza. “Dopo un parto o un aborto l’utero ha bisogno di tempo per tornare alle dimensioni iniziali, la cintura addominale è deformata e la pelle della pancia dilatata. Serve qualche settimana per ritrovare la linea”. Clotilde non ha nessuna intenzione di ritrovare la linea. Uscendo dalla biblioteca si mangia due paste senza nemmeno fare caso al sapore che hanno.
Si rende conto di avere ancora due ore di tempo, torna nel giardino della biblioteca e si sdraia su una panchina sotto un alto abete. Non c’è nessuno, le altalene sono deserte, fa caldo, ha sete. Chiude gli occhi.
Non vale la pena di essere più precisi
Questa storia è già finita...
Taci, canzone.
Rivede Étienne e la ragazza sulla spiaggia di Saint-Raphaël. Quand’era? Calcola mentalmente. Sei giorni fa.
Ricorda il giorno in cui il nonno di Nina Beau ha fatto irruzione nel cortile della scuola per prenderla a schiaffi. Lei sarebbe sprofondata dalla vergogna se i suoi genitori avessero fatto una cosa simile, avrebbe preferito morire pur di non rimettere piede a scuola.
Il nonno di Nina morto. Étienne sarà di sicuro tristissimo, tutto ciò che colpisce la sua “migliore amica” lo fa stare male. Basta vedere l’espressione che aveva quel giorno, quando il vecchio aveva assestato un ceffone alla nipote. Étienne aveva sgranato gli occhi, bianco come un lenzuolo.
Clotilde guarda il cielo, le sembra di essere un sacco sgonfio, completamente svuotato dai ladri. Sente scendere le lacrime, chiude gli occhi, ricorda la faccia di Étienne quando a maggio, subito dopo aver fatto l’amore, gli aveva detto di essere incinta. «Oh cazzo... Siamo nella merda» era stata la sua reazione.
Durante il turno serale guarda continuamente la strada per vedere se c’è, se passa, se la cerca con gli occhi. Spera che verrà a prenderla, che le farà una sorpresa. Non riesce a staccare lo sguardo dalle tre grandi finestre che danno sull’esterno, tanto che a un certo punto il titolare le chiede se aspetti qualcuno. Lei lo manda a quel paese.
Tornando a casa fa un giro più lungo per passare dalla via in cui abitano i Beaulieu. Le viene un colpo quando vede la loro macchina parcheggiata.
“Sono tornati”.
Non c’è luce in camera di Étienne. È uscito dopo aver letto la lettera? La sta aspettando sotto casa sua? Fa dietrofront e si mette a camminare pensierosa. “E se cercasse di sbarazzarsi di me?”.
Passa davanti a casa di Nina abbassando gli occhi e accelerando l’andatura. Non c’è anima viva, né dentro né fuori.
Dove diavolo sono quei tre? Dove si nascondono? Dove stanno consolando Nina?
Arriva a casa a mezzanotte, stremata. Ancora non si è visto nessuno. Étienne ha letto la sua lettera? A meno che non abbia riconosciuto la sua scrittura sulla busta e, come tutti i vigliacchi, abbia rimandato il momento di aprirla. Magari l’ha buttata, l’ha strappata senza neanche leggerla.
Sale in camera con la morte nel cuore. Rimane a lungo a guardare la strada per cogliere un segno, un movimento, una presenza. Niente.
Non si spoglia, non va neanche in bagno, si stende sul letto e si addormenta subito.
*
Domenica 14 e lunedì 15 sono giorni festivi. Angoscia assoluta. La Comelle è vuota, oppressa dal caldo. I negozi sono chiusi, le saracinesche abbassate.
Solo le piscine comunali sono aperte, ma Clotilde non ci metterà piede, il pancione la tradirebbe. Non esce, rimane a casa ad aspettare una telefonata o una visita...
La madre la vede angustiata e si preoccupa, cerca invano di farla parlare, le propone di andare a passare quei due giorni di vacanza dove desidera.
«Che ne dici se ci prendessimo una camera in un alberghetto dalle parti di Valence? Papà ha trovato un posto carino con piscina e massaggi, sono due ore di macchina».
«No, grazie, ma andateci voi».
«Ti pare che ti lasciamo sola?».
«Perché no? Io ne ho voglia e bisogno. Così comincio ad abituarmi prima di trasferirmi».
Si è iscritta all’università di Digione, facoltà di scienze motorie. Con diciannove e mezzo su venti alla licenza liceale sarà la migliore del suo corso.
“Come no, la migliore in cretinaggine”.
Non andrà a Digione né altrove, partirà lontano, come aveva deciso di fare nel caso in cui Étienne avesse rifiutato lei e il bambino. Il bambino non c’è più. Anche se lui pensa che sia incinta che altre prospettive le restano? La sua pancia si squaglierà come neve al sole ed Étienne la lascerà per sempre.
Gira in tondo dentro casa. Non ha più progetti, non ha più futuro, non ha più Étienne Beaulieu.
Si ingozza per non sgonfiarsi. Mangia grosse fette di pane coperte di salsa o cioccolato spalmabile.
Suona il telefono. Finalmente Étienne! Macché, è una compagna del liceo.
«Mercoledì c’è il funerale del nonno di Nina Beau, tu ci vai?».
«Sì» risponde senza riflettere.
«Come ti vesti?».
“Deficiente. Non deve mica andare al Club 4 o all’elezione di Miss Francia! Faccio bene a pensare che le ragazze andrebbero tutte mandate al macero...”.
«Non lo so».
«Farà caldo».
«Di sicuro».
«Sarà una cosa tristissima...».
L’altra continua a parlare da sola, Clotilde non la ascolta più. Ora è sicura che fra tre giorni lo vedrà... La deficiente ha ragione, in fondo: come si vestirà, come si truccherà, come si pettinerà? Dovrà fare di tutto per apparire naturale... Torna alla conversazione quando l’altra le chiede:
«Notizie di Étienne?».
«Sì, mi chiama tutti i giorni» mente. «È tornato prima del previsto per stare vicino a Nina, poverina».
«Poverina anche tu, starai male per loro».
«Troppo. Ora ti lascio, c’è qualcuno alla porta, dev’essere Étienne».
E riattacca.
Martedì 16 agosto va a lavorare con la morte nel cuore. Il principale le fa notare che ha una brutta cera.
«Potevi approfittare dei giorni di chiusura per prendere un po’ di sole».
Clotilde non gli risponde, piega i tovaglioli guardando dalla finestra, casomai Étienne venisse. È tornato da tre giorni e non si è fatto vivo.
“Che stronzo. Dicono che tra l’amore e l’odio ci sia solo un passo. Altroché. Un passettino minuscolo”.
La giornata si stiracchia, i clienti rompono le palle, ha voglia di mandare tutti al diavolo. Prima di andarsene avverte:
«Domani non posso venire, ho un funerale».
«Ah, il postino, poveraccio... Ma non durerà mica tutto il giorno, il funerale».
«Per me sì».
Il principale storce il naso con l’aria di dire “E io come faccio?”, ma non insiste, non ha mai avuto una cameriera tanto in gamba. Brava in sala, brava alla cassa, brava con la clientela. Nonostante i suoi strani sbalzi d’umore, se dovesse darle un voto sarebbe dieci e lode. Fosse per lui la terrebbe tutto l’anno, ma non si fa illusioni, sarebbe lei a non voler rimanere, neanche con uno stipendio più generoso del minimo salariale, buoni pasto e premio di fine anno. Una come lei ha altro da fare che servire pizze tutto il santo giorno.
Dopo il lavoro Clotilde torna direttamente a casa sperando di incontrarlo.
Non sanguina più. Si toglie la fascia e si guarda di profilo allo specchio, la pancia non si è mossa. Dato che è magra, si nota ancora di più.
L’ha perso da tre giorni. Chissà se era maschio o femmina. Che importanza può avere, ormai?
Si fa una maschera all’argilla e si idrata il viso. Si passa la matita sul bordo degli occhi, così la mattina dopo l’azzurro risalterà senza che lei abbia l’aria truccata.
Va a dormire ripassando mentalmente le cose che dovrà fare quando si sveglia. Lavarsi i capelli con lo shampoo all’uovo, asciugarli appena applicando il balsamo sulle punte, incurvare bene le ciglia, mettersi il correttore per le occhiaie, un tocco di fard, un lucidalabbra leggermente iridescente da stemperare con un fazzolettino di carta, spalmarsi il corpo di crema, spruzzarsi un po’ di profumo sulle tempie e sui polsi, mettersi una maglietta di cotone grigio e pantaloni abbinati, comodi, eleganti, non appariscenti, e i sandali neri con le cinghiette controllando che la pedicure sia perfetta. Niente uccide il desiderio quanto la pelle morta sotto i piedi.
“Uccide il desiderio”.
Lo ripete ad alta voce: «Uccide il desiderio».
Che sta facendo Étienne? Dov’è? A che pensa? Ha aperto quella maledetta lettera? Quando l’ha ricevuta?
Deve vendicarsi. Capire come farlo e in fretta, prima che lui si renda conto che non è più incinta.
*
Il 17 agosto, quando arriva sul sagrato, c’è già parecchia gente. È contenta di entrare nella frescura della chiesa. Si dà discretamente una pettinata e cerca un posto lungo il corridoio centrale per vederli arrivare. Per sedersi sulla panca quasi spinge via una grossa signora. Sta aspettando da un quarto d’ora, guardandosi intorno e salutando gente, quando tutti si alzano. Musica d’organo, la bara, Nina, Étienne e Adrien dietro, tenendosi per mano come tre orfani che seguano un genitore. In quel momento le si spezza il cuore vedendo quanto si vogliono bene quei tre. Lei non ha mai avuto quel posto nel cuore di Étienne. Agli occhi di Étienne perfino lo sfigato è più importante di lei.
Nina sembra più piccola, rattrappita dal dolore. Adrien è insipido come sempre. Quanto a Étienne, i capelli schiariti dal sole, l’abbronzatura perfetta e l’aria seria che gli conferisce la tristezza lo rendono più bello di quanto sia legale esserlo. Diversamente da Nina, sembra essere diventato ancora più alto.
Étienne non la vede, cammina a testa alta. I tre sono seguiti dalla famiglia Beaulieu, dalla famiglia Damamme e dalla madre di Adrien, a casa della quale hanno festeggiato la fine del liceo poco più di un mese prima, quando tutti erano ancora spensierati. Tutti tranne lei, perché era incinta ed era l’unica a saperlo.
Étienne non si muove per tutta la messa. Ogni tanto guarda Nina con occhi pieni di tristezza. Clotilde lo vede di tre quarti. Vorrebbe toccarlo, dirgli: «Vieni, tagliamo la corda».
Sul sagrato, alla fine della cerimonia, mentre una serie di sconosciuti si avvicinano a Nina per farle le condoglianze, sente qualcuno prenderle il braccio. È come un sogno. Stenta a realizzarlo.
«Ciao, passi da me dopo il cimitero? Mia madre offre un rinfresco per gli amici».
Clotilde fa un cenno con la testa a indicare che verrà. Étienne è già tornato da Nina.
Riprende a sperare. Se le ha chiesto di passare a casa sua vuol dire che niente è finito. Ha forse l’intenzione di ricominciare la loro storia dove l’avevano lasciata prima delle vacanze? Magari la bionda con cui pomiciava a Saint-Raphaël non significa niente per lui. Étienne è così, ancorato nel presente.
Piena di speranza, si trattiene per non mettersi a ridere davanti a tutti. Ha appena il tempo di vedere loro tre salire nella macchina dei Beaulieu che si mette in moto per seguire il carro funebre.
Si volta. Non ha voglia di chiacchierare con quelli che non vanno al cimitero ma restano prostrati davanti al libro delle firme con la penna in mano. Dà un’occhiata a quello che hanno scritto gli altri, e quando legge Siamo affranti dal dolore, non dimenticheremo mai il sorriso del nostro collega, le più sincere condoglianze capisce che deve recuperare la sua lettera. Forse Étienne non l’ha ancora aperta. Ha un po’ di tempo davanti a sé.
Cammina fino a casa dei Beaulieu. Se c’è un rinfresco, ci sarà sicuramente qualcuno che si occupa dei preparativi. “Come si chiama la donna di servizio? La signora... la signora... Dài, sforzati, l’hai vista un sacco di volte andando e venendo da casa di Étienne, quella con un nome buffo... qualcosa tipo risentimento, rancore... Ah sì, la signora Rancœur!”.
Clotilde bussa. Le fa strano tornare in quella casa, non ci mette piede da prima delle vacanze. Dopo il finto aborto si erano immersi entrambi nello studio e l’amore pomeridiano si era diradato fino a scomparire. La sera in cui hanno festeggiato dalla madre di Adrien e poi al lago della foresta aveva dormito da lui. Étienne se l’era scopata in fretta, troppo ubriaco per attardarsi sul suo corpo e accorgersi che pancia e seni si erano arrotondati ancora di più.
Aspetta qualche minuto e, siccome nessuno le apre, entra. Sente rumori in lontananza, la porta del salotto che dà sul giardino è aperta. Clotilde ne approfitta per salire le scale senza incontrare anima viva e si chiude in camera di Étienne. Se qualcuno le chiede qualcosa risponderà che gli ha detto lui di andare ad aspettarla lì “come al solito”.
Si mette a cercare la lettera. Niente in vista. Apre i cassetti della scrivania, sfoglia qualche Rock & Folk, un dizionario, rovista sulle mensole, nessuna traccia di buste. Guarda nel cestino: nient’altro che cicche e una vecchia rivista dei programmi tv. Nell’armadio solo vestiti sulle grucce e biancheria piegata.
Si siede sul letto e riflette. Il suo sguardo è attratto dallo zainetto di Étienne appeso alla maniglia della finestra dietro le tende. È cosparso di scritte. Negli anni di liceo, i vari compagni di classe ci hanno scritto di tutto e di più. Ci sono attaccate due spille, una dei Nirvana e l’altra dei Pearl Jam. Tra le altre, riconosce una frase scritta da lei a pennarello nero su una delle cinghie: Più di ieri e meno di domani.
Lo apre e ci trova dentro compiti ricopiati in fretta e furia su fogli doppi con scrittura caprina, un manuale di lavori pratici e una copia di Best con i Velvet in copertina, ma nessuna lettera. Tira fuori il diario dell’anno scolastico 1993-94 in cui Étienne, anziché scrivere i compiti o le cose da fare, ha disegnato pupazzetti di tutti i tipi quando si annoiava a lezione. Se ne fregava totalmente della scuola, per farsi promuovere gli bastava seguire passo passo Nina Beau o quella nullità di Adrien.
Sfogliando il diario pagina dopo pagina Clotilde trova il biglietto del concerto degli Indochine del 29 aprile 1994 e ricorda che Étienne aveva voluto andarci con gli altri due, senza di lei.
Dov’è quella maledetta lettera? Perché gliel’ha mandata? Si prenderebbe a schiaffi. Forse non l’ha ricevuta. Forse le poste sono in difficoltà dopo la morte del postino.
Eliminato!
Il suo sguardo si sofferma su quella parola scritta da Étienne il 25 maggio 1994. Ci mette qualche secondo a capire. Non capisce se sia più colpita dal termine “eliminato” o dal punto esclamativo.
No, a sconvolgerla è la data. Il 25 maggio è il giorno in cui Étienne l’ha portata all’ospedale di Autun.
Come si è permesso?
Per giunta scritto senza errori di ortografia, cosa rara per lui.
“Stronzo pezzo di merda!”.
Ben gli sta se ha ricevuto la lettera, e comunque lei se ne frega. Sconvolta, butta il diario nel cestino, esce dalla camera e si ritrova faccia a faccia con la signora Rancœur.
«Oh, ciao Clotilde».
«Buongiorno».
«Stai aspettando Étienne?».
«Sì».
«Non ti ho sentito arrivare... Ti ho visto l’altro giorno alla pizzeria. Il lavoro va bene?».
«Sì».
«Che sfortuna, quel povero postino. E la nipote... Che farà adesso? Per fortuna la signora Beaulieu si occupa di tutto. È un bene che Étienne si porti Nina a Parigi, penserà ad altro».
«...».
«Fa troppo caldo fuori. Mi aiuti a portare il tavolo da giardino in salotto?».
«Sì».
«Capiti a proposito, sono in ritardo... Mi darai una mano prima che arrivino tutti».
Mentre la aiuta a ultimare i preparativi Clotilde rivede la parola Eliminato! scritta il 25 maggio. Continua a ronzarle in testa. Muore dalla voglia di salire in bagno per sottrarre medicine dall’armadietto della farmacia e preparare un cocktail mortale da versare nel bicchiere di Étienne. Ha appena finito di disporre vassoi di frutta e rinfreschi quando lui arriva. Intuisce che è lì prima ancora di sentire il suono della sua voce. Questo significa avere qualcuno nella pelle: anticipare la sua presenza.
«Ci vediamo stasera?» le sussurra lui all’orecchio.
“Eliminato!” pensa Clotilde.
«Dove?» chiede.
«Non lo so, in un posto tranquillo».
«Okay».
Clotilde va da Nina, mormora «Ti sono vicina», Nina risponde «Grazie».
Clotilde non lo pensa. Nina non pensa più, parla come un robot.
Clotilde va a sedersi sul divano accanto a Étienne e alla sua “migliore amica”. Non sa che fare delle proprie mani, visto che Étienne tiene quella di Nina. Cerca il suo sguardo, ma lui fissa la parete davanti a sé.
Passa un’ora, Clotilde si alza.
Propone a Étienne di vedersi al lago alle nove di sera nel solito posto, sotto il loro albero. «Okay, a dopo» risponde lui.
E nient’altro.
Esce nella via di casa Beaulieu. I marciapiedi sono bollenti. Torna a casa da sola.
Fra quindici giorni Étienne e Nina andranno a vivere a Parigi. E lei? Che farà lei?
Avrà voglia di vivere o di morire?
Perché Étienne le ha proposto un appuntamento quella sera? Probabilmente vuole mollarla in maniera pulita.
Eliminato!
*
Esce di nuovo verso le sette e mezzo. Si è cambiata, indossa uno chemisier facile da togliere, nero a pois bianchi, con i bottoni davanti a forma di coccinella.
Signorina coccinella
Bestiolina del buon Dio
Signorina coccinella
Vola verso il cielo mio...
Deve farsi un’ora a piedi per arrivare al lago. Non vede l’ora di prendere la patente. I genitori non le hanno mai permesso di avere un motorino, troppo pericoloso secondo loro.
Sempre meno pericoloso che amare Étienne.
Attraversa La Comelle, passa davanti alla chiesa, percorre l’ultima zona residenziale prima della campagna. Una macchina proveniente dal senso opposto rallenta e si ferma alla sua altezza. Non riconosce subito l’uomo al volante che abbassa il finestrino.
«Vuoi un passaggio?».
È Damamme figlio. L’ha visto la mattina al funerale e il pomeriggio a casa dei Beaulieu. È palesemente cotto di Nina. Clotilde si stupisce di incontrarlo in quella strada sperduta, per giunta con una macchina che non è la sua bella automobile sportiva. Non è tipo da frequentare le periferie di La Comelle.
Lui non le dà il tempo di rispondere e fa inversione a U. Dopo un attimo di incertezza, Clotilde prende posto sul sedile del passeggero.
«Vai al lago?» le chiede.
«Sì».
«Più che un lago è una discarica, no?» fa lui con aria ironica.
«Dipende».
«Dipende da cosa?».
«Ci sono punti puliti».
«Che ci vai a fare?».
«Ho appuntamento con Étienne».
«Ah. È tanto che state insieme?».
«Nove mesi. E tu? Stai con Nina?».
«Più o meno».
«Più più o più meno?».
«Meno, ora che è morto il nonno. E poi parte. Il tuo ragazzo se la porta a Parigi».
«Sembra che ti dispiaccia».
«Anche a te. Siamo pari».
«Non c’è posto per noi nella loro storia. Quei tre sono e saranno sempre in tre... Come mai da queste parti se non ti piace il lago?».
«Ho seguito la moto di Étienne».
«E perché?».
«Volevo andargli addosso con la macchina».
«Ma sei matto?».
«Sì e no. A te non piacerebbe accopparlo?».
«Certe volte sì» ammette lei.
«Fa del male a tutti».
«Che male fa a te?».
«Nina».
«Ma non c’è niente fra Nina ed Étienne!» esclama Clotilde.
«Quanto sei ingenua... Ti lascio qui?».
Emmanuel Damamme fa scendere Clotilde Marais a bordo strada, proprio accanto alla moto di Étienne, e riparte subito.
Étienne è steso sulla schiena sotto il loro albero, un albero punto di riferimento con la corteccia costellata da cuori e iniziali incise. Non le loro, troppo banale. È seminascosto dall’erba alta, Clotilde ne indovina i capelli e la maglietta. È immobile, e di colpo lei si domanda se Damamme non gli abbia fatto del male. È un tipo strano, quello lì, non fosse altro perché le ha appena detto di aver seguito Étienne per farlo fuori.
Clotilde si avvicina con prudenza, in forte apprensione, ma non quella che immaginava andando lì. Étienne ha gli occhi chiusi, accanto a lui ci sono un pacchetto di crackers aperto e una bottiglia di whisky cominciata. Si ferma un attimo quando lui apre gli occhi, poi si stende su di lui per dargli un bacio e suo malgrado rivede la bionda di Saint-Raphaël, ha voglia di strappargli la lingua, ma lo rimanda a dopo. Prima vuole giocare, divertirsi un po’.
Gli fa la domanda che le brucia sulle labbra.
«Hai ricevuto la mia lettera?».
«Quale lettera?».
Capisce subito che non sta mentendo.
Étienne la guarda, e ciò che Clotilde legge nei suoi occhi non le piace. Non ha lo sguardo di un ragazzo innamorato, casomai imbarazzato.
Eliminato!
Gli dice che fa troppo caldo, che vuole fare il bagno. Torna sul nonno di Nina. Più parla e più lui la guarda con durezza. Clotilde sente che gli sta sfuggendo, allora sfodera le sue armi, lo accarezza dove sa, nel posto giusto. Lui reagisce subito. Vittoria poco gloriosa, Étienne è un ragazzo semplice. Difficile da tenere, ma facile da accontentare.
Salgono in moto, si infilano nella foresta per allontanarsi dagli sguardi.
Si spogliano insieme, lui rapidamente, lei lentamente, per gestire bene l’effetto sorpresa.
Étienne si tuffa, si allontana dalla riva, va a nuotare lontano, ogni tanto si volta a guardarla. Clotilde gli dà le spalle, si slaccia la fascia, pensa: “E se affogassimo tutti e due? Come in una tragedia greca. Morire con lui sarebbe la fine più bella...”. Immagina già i titoli dei giornali: Tragico incidente, due innamorati perdono la vita.
Verrebbero sepolti insieme. I loro nomi sarebbero incisi fianco a fianco su una lapide, come Giulietta e Romeo: Qui riposano Étienne Beaulieu e Clotilde Marais, 1976-1994.
Ma come trascinare Étienne sott’acqua? È molto più forte di lei. Dovrebbe essere drogato o ubriaco fradicio.
Lo scruta da lontano e aspetta che lui si immerga per entrare in acqua a sua volta. Nuota verso di lui ridendo troppo forte, ne è consapevole, ma non riesce a trattenere singulti nervosi immaginando la faccia che farà quando le vedrà la pancia.
Lo raggiunge in mezzo al lago pensando che forse sarà lui a farla sparire, ad annegarla per sbarazzarsi di lei una volta per tutte. A parte Nina e Damamme, nessuno sa che stasera sono insieme.
“Meglio, così la faccio finita”.
«Ho una sorpresa per te» gli sussurra.
Si immerge, fa qualche bracciata sott’acqua, risale in superficie e si mette sulla schiena, nella posizione del morto. “Il risultato dev’essere spettacolare” pensa gonfiando al massimo la pancia.
Vede Étienne cambiare colore. Intuisce che sta ripensando a tutta velocità alla giornata del 25 maggio e realizzando che si è fatto infinocchiare, che è troppo coglione, che avrebbe dovuto sospettarlo.
Lui non riesce a dire una parola, lei lo sfida con lo sguardo e un sorriso beffardo sulle labbra fingendosi trionfante, sperando che Étienne si lanci su di lei, le infili la testa sott’acqua, la disintegri. Concepisce una seconda ipotesi ancora più terribile: “Mi uccide e finisce in prigione per sempre, la più bella delle vendette”.
Ma niente va mai come uno immagina. Étienne sparisce sott’acqua, lei ha paura, lo chiama, urla il suo nome, e quando lui riappare è già vicino a riva.
“Vigliacco, come al solito scappa”.
Fa appello a tutte le proprie forze per riacchiapparlo nuotando a stile libero: si è pur sempre diplomata con diciannove e mezzo su venti in discipline sportive, specialità nuoto.
In pochi secondi riesce ad afferrargli le caviglie per impedirgli di uscire. Ripensa alle parole di Damamme: «A te non piacerebbe accopparlo?».
Ma Étienne è troppo forte per lei, si divincola e schizza fuori dall’acqua come se avesse il diavolo alle calcagna.
Lei si aggrappa a una radice ed esce a sua volta. Nello sguardo di Étienne c’è solo disprezzo. D’altronde non le guarda più la pancia, la fissa negli occhi con un odio che gli altera il volto.
Clotilde ha perso.
Scoppia a piangere.
«Non ti preoccupare, non voglio niente da te. Non lo sa nessuno, nemmeno i miei».
Prende la borsa e gli fa vedere il denaro del suo libretto di risparmio.
«Guarda, sono piena di soldi. Ho deciso di andarmene».
«Dove?».
«Non lo so ancora... L’appuntamento di stasera era per mollarmi, no?».
Si confonde, è frastornata, capisce che lui non ne può più di lei, che la odia. Se non la smette di piagnucolare se ne andrà e non lo rivedrà più. Deve calmarsi, trovare un modo di trattenerlo, a costo di tramortirlo con una pietra. Sta per confessargli la verità, dirgli che ha perso il feto, che la natura ha risolto la faccenda al posto suo.
«Cazzo, ho solo diciott’anni... Perché l’hai fatto?» geme Étienne dopo aver buttato giù abbondanti sorsate di whisky.
«Non ho avuto il coraggio di abortire».
«Non ci credo. Di’ piuttosto che hai voluto incastrarmi, ma lascia perdere il coraggio».
Clotilde si riveste in fretta. In acqua la pancia fa il suo effetto, ma ora ha paura, si sente vuota.
Seduto sull’erba, lui si rolla una canna. Gli tremano le mani.
Lei gli si siede accanto.
«Quando lo sapranno i nostri genitori scoppierà un casino... Sia a casa tua che a casa mia» dice Étienne leccando la cartina.
«Partirò prima che lo scoprano» lo tranquillizza lei.
«Ma partire per dove, cazzo?».
Clotilde sorride.
«Me la sono sempre cavata».
«Non voglio un marmocchio. Non l’ho mai voluto e mai lo vorrò. Mi hai fregato. È disgustoso».
«Perché, non è disgustoso che volevi lasciarmi?».
Étienne chiude gli occhi. Clotilde lo sente esasperato. Vorrebbe farci l’amore un’ultima volta, guadagnare tempo. In quel momento non le importa di vivere o morire, desidera solo toccarlo, guardarlo godere. Sa di avere un dono che le altre non hanno, è l’unica con cui lui ci provi davvero gusto, sa farlo decollare. Gli fa scorrere una mano agile sul corpo sdraiato, lui la respinge, una, due volte, poi la lascia fare. Lei lo accarezza a lungo, gli osserva il cazzo in erezione, lo maneggia, lui smania, gli si accelera il respiro, viene nelle mani di Clotilde. Non apre gli occhi, non dice niente, resta immobile accanto alla canna spenta e alla bottiglia di whisky semivuota.
“È la fine” pensa Clotilde. Non l’ha neanche guardata, gli fa schifo, il suo corpo deformato dalla gravidanza gli ripugna, ha diciotto anni, gli piacciono le fighette, non le damigiane.
Lo guarda addormentarsi. Gli puzza il fiato di alcol e ha briciole di crackers agli angoli delle labbra. Anche lui le fa schifo.
Fa sempre caldo, ma di colpo le viene freddo. Vuole tornare a casa, in camera sua. “No, non in camera mia. Non quella doccia, non quel cesso”. Non vuole più vedere i suoi genitori né nessun altro.
Si riveste. Ha fango secco sui piedi e sulle gambe. “Sono sporca”.
Cammina nella foresta per trovare la strada sterrata che porta a La Comelle orientandosi con le luci all’orizzonte. Cammina una decina di minuti sotto gli alberi sentendo il rumore dei propri passi sulle foglie e in lontananza, su un’altra riva, voci e musica techno.
Trovata la strada dovrà fare un paio di chilometri prima di incontrare le prime case.
Un chilometro a piedi è dura, è dura un chilometro a piedi... Non vale la pena di essere più precisi, questa storia è già finita...
Non rivedrà più Étienne. Forse fra qualche anno si incontreranno per caso in una corsia del supermercato o davanti al bar tabacchi di La Comelle, si diranno «Ciao», «Toh, ciao, ti presento mio marito», «Tanto piacere, lei è mia moglie... Come stai? Poi che hai fatto?... Ci vediamo».
“È finita. Finita” pensa raggiungendo la strada sterrata.
Scavalca il fosso che separa la foresta dalla strada. Sente una macchina alle sue spalle, una macchina che viene dal lago. Di nuovo Damamme? Se è così li ha seguiti, forse li ha visti in acqua e anche dopo, quando lei... Nella sua testa si fa buio pesto.
Terza ipotesi. La ritrovano morta, investita da una macchina: incidente o suicidio? Come che sia, sarà la rovina della vita di Étienne Beaulieu, si sentirà in colpa. “Ma quando mai? Gli passerà subito”.
Si sente stanchissima.
Faremmo la stessa cosa
Se dovessimo rifarlo
È soltanto, soltanto
Un sabato sera sulla terra...
Lui arriva, lei lo vede, lo vuole
E i suoi occhi fanno il resto
Mette il fuoco
In ogni suo gesto...
“Maledetta canzone... Che giorno è oggi? Ah sì, mercoledì, il giorno dei bambini. Come quando sono rimasta incinta...”.
Sollevando una nuvola di polvere, la macchina sta arrivando alla sua altezza. Clotilde si gira continuando a camminare veloce, calcola la distanza, non distingue il guidatore che di colpo accelera.
È a cinque metri, quattro, tre, due. Clotilde si lancia.
16 Francis Cabrel, Samedi soir sur la terre.