2. I filosofi e l’amore

TRUONG: L’espressione «L’amore s’ha da reinventare» è presa da Rimbaud e nella sua concezione dell’amore lei fa riferimento a numerosi poeti e scrittori. Tuttavia, prima di rivolgersi alla letteratura bisognerebbe forse interrogare i filosofi. Lei si è detto colpito dal fatto che pochi di voi si siano occupati seriamente dell’amore e, quando l’hanno fatto, si è trovato in disaccordo con la loro posizione. Può spiegarcene le ragioni?

BADIOU: In effetti, la questione del rapporto dei filosofi con l’amore è complessa. Il libro scritto da Aude Lancelin e Marie Lemonnier, I filosofi e l’amore. L’eros da Socrate a Simone de Beauvoir1, lo illustra molto bene. Uno dei pregi maggiori di questo studio consiste nel fatto che – senza mai essere volgare o banale – riesce a combinare l’esame delle dottrine e la biografia dei filosofi; in questo senso, è praticamente unico nel suo genere. Le autrici sottolineano come nella trattazione dell’amore la filosofia oscilli fra due estremi, sebbene esistano anche punti di vista intermedi. Da un lato vi è la filosofia “anti-amore”, il cui esponente più accreditato è Arthur Schopenhauer, il quale sostiene che non perdonerà mai le donne per la passione d’amore, responsabile della perpetuazione di questa specie umana tanto miserabile. Ed è uno degli estremi. All’altro estremo vi sono i filosofi che guardano all’amore come a uno dei supremi stadi dell’esperienza soggettiva, ad esempio Søren Kierkegaard. Secondo Kierkegaard, esistono tre stadi dell’esistenza. Nello stadio estetico, l’esperienza d’amore corrisponde alla vuota seduzione e alla ripetizione; l’egoismo del piacere e l’egoismo di questo egoismo sono ciò che anima gli individui, il cui archetipo è il Don Giovanni di Mozart. Nello stadio etico, l’amore è autentico e sperimenta la propria serietà; si tratta di un impegno eterno, rivolto all’assoluto, di cui Kierkegaard fece esperienza corteggiando lungamente una giovane donna, Regine. Lo stadio etico può condurre allo stadio supremo, lo stadio religioso, qualora il valore assoluto dell’impegno venga sancito dal matrimonio. Il matrimonio è allora concepito non tanto come un consolidamento del legame sociale contro i pericoli del libertinaggio amoroso, ma come ciò che guida l’amore vero verso la sua destinazione essenziale. La possibilità di questa trasfigurazione finale dell’amore si offre quando «l’Io si fonda, trasparente, nella potenza che l’ha posto»2, in altre parole: quando, grazie all’esperienza dell’amore, l’Io si radica nella sua provenienza divina. Al di là della seduzione e all’interno della mediazione seria del matrimonio, l’amore è una via per accedere al sovrumano.

La filosofia è evidentemente attraversata da una grande tensione: da un lato, una sorta di sospetto razionale gettato sull’amore inteso come stravaganza naturale del sesso e, dall’altro, un’apologia dell’amore spesso vicina allo slancio religioso. Sullo sfondo c’è il cristianesimo, che è una religione dell’amore. Si noti che tale tensione è pressoché insostenibile. È per questo che Kierkegaard, non riuscendo a sopportare l’idea di sposare Regine, rompe con lei. In fin dei conti, egli ha incarnato il seduttore estetizzante del primo stadio, la promessa etica del secondo stadio e il fallimento del passaggio al terzo stadio attraverso la serietà esistenziale del matrimonio. In ogni caso, ha attraversato tutte le fasi della riflessione filosofica sull’amore.

TRUONG: L’origine del suo interesse per tale questione non risiede forse nel gesto inaugurale con cui Platone fa dell’amore una delle modalità di accesso al mondo delle idee?

BADIOU: Platone dice una cosa molto precisa sull’amore: afferma che nello slancio amoroso vi è una scintilla dell’universale. L’esperienza amorosa è uno slancio verso qualcosa che egli definisce l’Idea. In questo senso, anche quando sto semplicemente ammirando un bel corpo, che io lo voglia o meno, sono avviato sulla strada che porta all’idea di Bellezza. Penso qualcosa di simile – in termini del tutto diversi, naturalmente – ossia che nell’amore si faccia esperienza del passaggio dalla pura singolarità del caso a un elemento che possiede un valore universale. Muovendo da un punto inaugurale che, preso di per sé, non è nient’altro che un incontro, una cosa da nulla, si impara che è possibile fare esperienza del mondo a partire dalla differenza e non soltanto dall’identità. È per questo che si possono accettare delle prove, che si può accettare di soffrire. Oggi è convinzione diffusa che tutti guardino solo al proprio interesse, e in tal senso l’amore costituisce una controprova: a patto che non sia concepito unicamente come uno scambio di vantaggi reciproci, o programmato come un investimento redditizio, l’amore può essere davvero un gesto di fiducia nei confronti del caso. Ci consente di avvicinarci all’esperienza fondamentale della differenza e, in ultima analisi, all’idea che sia possibile sperimentare il mondo dal punto di vista della differenza. È per questo che ha una portata universale, che implica un’esperienza personale dell’universalità possibile e che è essenziale sul piano filosofico, come intuì Platone per primo.

TRUONG: Dialogando a sua volta con Platone, lo psicanalista Jacques Lacan, che lei ritiene uno dei più grandi teorici dell’amore, ha sostenuto che «il rapporto sessuale non esiste». Cosa intendeva dire?

BADIOU: È una tesi molto interessante che deriva dalla tradizione scettica e moralista ma finisce per giungere al risultato opposto. Jacques Lacan ci ricorda che nell’atto sessuale in realtà ciascuno è concentrato su se stesso, se così si può dire. Vi è la mediazione del corpo dell’altro, certo, ma in fin dei conti il piacere sarà sempre il mio piacere. L’atto sessuale non unisce ma separa. L’essere nudi abbracciati all’altro è un’immagine, una rappresentazione immaginaria. In realtà il piacere porta lontano, lontanissimo dall’altro. Il reale è narcisistico, il legame è immaginario. Quindi, conclude Lacan, il rapporto sessuale non esiste. Affermazione che fece scandalo, perché all’epoca tutti quanti parlavano di “rapporti sessuali”. Se non esiste rapporto sessuale nella sessualità, l’amore è ciò che supplisce a questa mancanza. Lacan non dice affatto che l’amore è la maschera del rapporto sessuale, dice invece che il rapporto sessuale non esiste, e dunque l’amore è ciò che sta al posto di questo non-rapporto. È un’idea molto più interessante che lo conduce a dire che nell’amore il soggetto tenta di raggiungere l’“essere dell’altro”. È nell’amore che il soggetto va oltre se stesso, oltre il narcisismo. Nel sesso, in fin dei conti, si è in rapporto con se stessi per mezzo l’altro. L’altro è un mezzo per scoprire il reale del piacere. Nell’amore invece la mediazione dell’altro vale per se stessa, e l’incontro amoroso è proprio questo: si parte all’attacco dell’altro per farlo esistere insieme a noi così com’è. Si tratta di una concezione molto più profonda di quella – affatto banale – secondo cui l’amore non sarebbe altro che il velo immaginario posto sul reale del sesso.

In realtà, anche Lacan ha contribuito al perdurare degli equivoci filosofici riguardanti l’amore. L’affermazione secondo cui l’amore “supplisce all’inesistenza del rapporto sessuale” può infatti essere intesa in due modi diversi. Il primo, e il più banale, è che l’amore riempie immaginariamente il vuoto della sessualità. Dopo tutto è vero che la sessualità, per quanto sia esaltante (e può esserlo), finisce in una sorta di vuoto, ed è per questa ragione che obbedisce alla legge della ripetizione: bisogna sempre ricominciare. Tutti i giorni quando si è giovani! In tal senso, l’amore sarebbe l’idea che qualche cosa abiti questo vuoto, che gli amanti siano legati da qualcos’altro oltre che da un rapporto che non esiste. Quand’ero molto giovane rimasi colpito, quasi disgustato, da un passo del Secondo sesso di Simone de Beauvoir nel quale descrive il momento successivo all’atto sessuale, quando l’uomo è preso dal sentimento che il corpo della donna sia brutto e flaccido, e la donna prova l’analoga sensazione che il corpo dell’uomo, senza il membro in erezione, sia sgraziato, persino un po’ ridicolo. A teatro, la farsa e il vaudeville fanno ampiamente uso di questi pensieri tristi per strapparci la risata: il desiderio dell’uomo è quello del Fallo comico, panciuto e impotente, e la vecchia sdentata dai seni flaccidi è il futuro che attende inesorabile tutte le belle donne. La tenerezza dell’amore, quando ci si addormenta uno fra le braccia dell’altro, sarebbe dunque una specie di velo pietoso gettato su queste spiacevoli riflessioni. Ma Lacan pensa anche tutto il contrario, vale a dire che l’amore ha una portata si può dire ontologica. Mentre il desiderio è indirizzato all’altro in maniera sempre un po’ feticista, a oggetti d’elezione come il seno, le natiche, il membro... l’amore è rivolto all’essere stesso dell’altro, all’altro che, già tutto armato del suo essere, ha fatto irruzione nella mia vita, frammentata e ricomposta.

TRUONG: Insomma, lei sostiene che, rispetto all’amore, ci sono concezioni filosofiche molto contraddittorie.

BADIOU: Ne individuo principalmente tre. Anzitutto la concezione romantica, incentrata sull’estasi dell’incontro. Poi quella cui abbiamo accennato parlando del sito di incontri Meetic, che potremmo definire la concezione giuridica o commerciale, secondo la quale l’amore non sarebbe altro che un contratto: un contratto fra due individui liberi i quali dichiarano di amarsi, facendo però molta attenzione alla parità del rapporto, al sistema dei vantaggi reciproci e così via. Vi è anche una concezione scettica, che fa dell’amore un’illusione. Quello che io cerco di sostenere nella mia filosofia è che l’amore non può essere ridotto a nessuna di queste definizioni, e che è una costruzione di verità. Verità su cosa, ci si chiederà. Ebbene, verità su una questione molto precisa, ossia: cos’è il mondo quando se ne fa esperienza a partire dal due e non dall’uno? Cos’è il mondo esaminato, esperito e vissuto a partire dalla differenza piuttosto che dall’identità? Sono convinto che l’amore sia esattamente questo, un progetto che include naturalmente il desiderio sessuale e le sue prove, che include la nascita di un bambino, ma egualmente mille altre cose, in realtà qualunque cosa, a condizione che si viva una prova dal punto di vista della differenza.

TRUONG: Dal momento che lei ritiene l’amore un modo di fare esperienza del mondo a partire dalla differenza, perché non condivide la posizione del filosofo Emmanuel Lévinas, secondo la quale l’innamorato ama nella persona amata non «una qualità differente da tutte le altre, ma la qualità stessa della differenza»?3 Perché secondo lei l’amore non è un’esperienza dell’altro?

BADIOU: Credo sia fondamentale capire che la costruzione del mondo a partire da una differenza è una cosa del tutto diversa dall’esperienza della differenza. La visione di Lévinas prende avvio dall’esperienza irriducibile del volto dell’altro, epifania il cui fondamento è in definitiva Dio inteso come “il tutto-Altro”. L’esperienza dell’alterità è fondamentale, perché essa fonda l’etica; da qui, e all’interno di una grande tradizione religiosa, consegue che l’amore è un sentimento etico per eccellenza. A mio parere non vi è nulla di particolarmente “etico” nell’amore come tale, anzi a dire la verità non condivido affatto queste speculazioni teologiche a partire dall’amore, anche se sono consapevole che hanno avuto grande influenza nella storia: secondo me sanciscono la vittoria definitiva dell’Uno sul Due. Esiste l’incontro di un altro, ma un incontro non è esattamente un’esperienza, è un evento che rimane totalmente opaco e la cui realtà consiste solo nelle sue molteplici conseguenze all’interno di un mondo reale. Non penso affatto che l’amore sia un’esperienza “oblativa”, ossia un’esperienza nella quale dimentico me stesso a vantaggio dell’altro, egli stesso, in questo mondo, modello di ciò che alla fine mi mette in relazione al tutto-Altro. Già Goethe diceva, alla fine del Faust, «Femineo eterno ci trae al superno»4. Mi si perdonerà se dico che queste espressioni mi suonano leggermente oscene. L’amore non porta “in alto”, né “in basso”, ma è un proposito esistenziale: costruire un mondo da un punto di vista decentrato rispetto al mio semplice istinto di sopravvivenza, o al mio interesse. Contrappongo qui “costruzione” a “esperienza”: se, appoggiato alla spalla della persona che amo, contemplo la pace del crepuscolo in un luogo di montagna, il pascolo di un verde dorato, l’ombra degli alberi, le pecore dal muso nero immobili tra i cespugli e il sole che sta per tramontare dietro le rocce, e so – non dal suo volto, ma dal mondo così com’è – che la persona che amo contempla il medesimo mondo, e che questa identità fa parte del mondo, e che l’amore in questo preciso momento è esattamente questo, il paradosso di una differenza identica, allora l’amore esiste, e promette di esistere ancora. Io e la persona amata siamo incorporati in quest’unico Soggetto, il Soggetto dell’amore, il quale considera il dispiegarsi del mondo attraverso il prisma della nostra differenza, sicché questo mondo si dà, nasce, invece di essere solo ciò che riempie il mio sguardo. L’amore è sempre la possibilità di assistere alla nascita del mondo. La nascita di un bambino, se avviene nell’amore, è uno degli esempi di questa possibilità.

1 Tr. it. di C. De Marchi, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2008 (N.d.T.).

2 S. Kierkegaard, La malattia mortale, in C. Fabro (a cura di), Opere, Firenze, Sansoni, 1972, p. 692 (N.d.T.).

3 E. Lévinas, Il tempo e l’altro, tr. it. di F.P. Ciglia, Genova, Il Melangolo, 1987, p. 14. Il passo di Lévinas dice: «La femminilità [...] ci è apparsa come una differenza che va al di là delle differenze, non soltanto come una qualità differente da tutte le altre, ma come la qualità, appunto, della differenza» (N.d.T.).

4 J. W. Goethe, Faust, tr. it. di G. Manacorda, Milano, BUR, 2005, p. 909 (N.d.T.).