E allora vieni avanti, disse la voce di Tadeus, ormai la casa la conosci. Chiusi la porta alle mie spalle e avanzai per il corridoio. Il corridoio era al buio, e inciampai in un mucchio di cose che caddero per terra. Mi fermai a raccogliere quel che avevo sparso sul pavimento: libri, un giocattolo di legno di quelli che si comprano nelle fiere, un gallo di Barcelos, la statuetta di un santo, un frate delle Caldas* con un sesso enorme che faceva capolino fuori dalla tonaca. Inciampare è la tua specialità, sentii che diceva la voce di Tadeus dall’altra stanza. E la tua collezionare spazzatura, replicai io, sei senza un soldo e compri frati col cazzo di fuori, quand’è che metti la testa a posto, Tadeus? Sentii una gran risata, poi Tadeus apparve nel vano della porta, controluce. Vieni avanti timidino, disse lui, questa è la mia casa di sempre, qui ci hai mangiato, ci hai dormito, ci hai scopato, stai facendo finta di non riconoscerla? Neanche per idea, protestai, sono venuto a chiarire certe cosette, sei morto senza dirmi niente, sono anni che mi ci sto rodendo, ora è venuto il momento di sapere, sono libero oggi, sto vivendo una libertà estrema, davvero, mi sono persino perduto il Super-Ego, è scaduto come il latte, per davvero, sono libero e liberato, è per questo che sto qui. Hai già pranzato?, domandò Tadeus. No, dissi io, ho preso stamattina un caffè nella casa di campagna dove stavo, da allora non ho preso più niente. Allora andiamo a mangiare, disse Tadeus, andiamo a mangiare qui sotto dal Casimiro, guarda, non puoi immaginare cosa ti aspetta, ieri ho ordinato per me un sarrabulho à moda do Douro, è la fine del mondo, la moglie del Casimiro è del Douro, fa un sarrabulho assolutamente divino, roba da restarci secchi, non so se mi capisci. Non so neanche che cos’è il sarrabulho, dissi, sarà un piatto velenoso come tutti quelli che piacciono a te, di sicuro fatto con la carne di maiale, quanto ti piace la carne di maiale, anche con questo caldo mangi carne di maiale, ma prima che andiamo al ristorante devo parlarti, qui dentro c’è una bottiglia di champagne, ormai sarà caldo ma possiamo mettere nei bicchieri dei cubetti di ghiaccio, ecco, è un Laurent-Perrier, l’ho comprato alla Brasileira do Chiado. Tadeus prese la bottiglia ed andò a prendere i bicchieri. Parliamo al ristorante, se per te è lo stesso, disse dalla cucina, abbi pazienza, è meglio parlare al ristorante delle cose di cui vuoi parlare, qui, con lo champagne, possiamo parlare di letteratura. Tornò con i bicchieri e col ghiaccio. Sediamoci, disse, mica berremo in piedi. Si stese sul sofà e mi fece segno di sedermi sulla poltrona al suo fianco. Come ai vecchi tempi, disse, non rompere con tutte quelle tue storie a proposito di come mangio e della carne di maiale, tanto devo crepare d’infarto tra qualche anno e tu stai ancora qui a farmi dei rimproveri?, lascia perdere, va’, non fare lo scemo. Va bene, dissi io, non voglio fare lo scemo, ma credo che tu mi debba una spiegazione. Tra un po’, disse Tadeus, di fronte a un piatto di sarrabulho, adesso non ti va di parlare di letteratura?, mi sembra più fine. D’accordo, risposi, parliamo di letteratura, cosa stai scrivendo? Un piccolo romanzo in versi, disse lui, la storia della relazione amorosa tra un vescovo e una monaca, si svolge in Portogallo nel Seicento, è una storia fosca, forse anche un po’ torbida, una metafora dell’abiezione, cosa ne pensi? Non so, dissi io, si mangia sarrabulho nella tua storia?, così a prima vista mi sembra una storia che presuppone il sarrabulho. In ogni caso alla tua salute, disse Tadeus alzando il bicchiere, sei tu che hai l’anima, timidino, io ho solo il corpo, e per poco per giunta. Ormai l’anima non ce l’ho più, replicai, adesso ho l’Inconscio, ho preso il virus dell’Inconscio, è per questo che sono qui in casa tua, è per questo che sono stato capace di trovarti. Allora alla salute dell’Inconscio, disse Tadeus riempiendo di nuovo i bicchieri, ancora un sorso soltanto e poi andiamo dal Casimiro. Restammo a bere in silenzio. Dalla caserma, dall’altra parte della strada, venne un suono di tromba. Un orologio, da qualche parte, batté le ore. Bisogna andare, disse Tadeus, se no il Casimiro chiude. Mi alzai e percorsi il corridoio con le gambe molli, era l’effetto dello champagne. Uscimmo sulla strada e scendemmo per la discesa. La piazzetta era piena di piccioni. Un soldato era steso su una panchina a lato della fontana. Camminavamo a braccetto, e i nostri passi battevano lo stesso ritmo. Ora Tadeus appariva più serio, meno disposto a scherzare, come se qualcosa lo preoccupasse. Che cosa c’è, Tadeus?, gli chiesi. Non so, disse lui, forse mi ha preso un attacco di malinconia, ho nostalgia del tempo in cui ce ne andavamo così in giro per la città, ti ricordi?, allora tutto era diverso, tutto molto più brillante, come se fosse più pulito. Era la gioventù, dissi io, erano i nostri occhi. E comunque mi è piaciuto che tu sia venuto a trovarmi, disse lui, è il miglior regalo che tu mi potessi fare, non potevamo lasciarci come ci siamo lasciati, dovevamo parlare sul serio di quella assurda storia che ci è toccata, hai ragione. Mi fermai e obbligai Tadeus a fermarsi anche lui. Senti, Tadeus, dissi, la cosa più misteriosa, quella che più mi intriga, è il biglietto che mi darai il giorno della tua morte, ricordi?, sei quasi in agonia, nel tuo letto di morte, all’ospedale di Santa Maria, di fianco al letto c’è quella macchina mostruosa alla quale sei collegato, hai una sonda nel naso e una flebo nel braccio destro, mi fai segno di avvicinarmi, io mi avvicino, mi accenni con la sinistra che vuoi scrivere qualcosa, io cerco un pezzo di carta e una biro e te li do, tu hai gli occhi spenti e la morte in faccia, fai uno sforzo terribile per scrivere, scrivi con la sinistra e mi dai il biglietto, ed è una frase davvero strana, Tadeus, che vuoi dirmi con questo? Non so, disse lui, non mi ricordo, ero in agonia, come pretendi che me ne possa ricordare? E poi, continuò, non so che frase fosse, perché non me la dici quella frase? Beh, dissi io, la frase era questa: è stata tutta colpa dell’herpes zoster, senti un po’ Tadeus, ti pare una frase di congedo, una frase che si lascia ad un amico quando si è in punto di morte? Ascolta timidino, disse lui, i casi sono due: o sono completamente fuori di me e scrivo cose senza senso, oppure ti sto semplicemente prendendo per i fondelli, sai che ci ho speso una vita a prendere per i fondelli il prossimo, te e il resto del mondo, forse è stata la mia estrema presa in giro, e così Tadeus esce di scena, con una piroetta, olé. Non so perché, Tadeus, dissi io, ma quella frase l’ho sempre collegata a Isabel, è per questo che sono qui, per parlare di lei. Di lei parliamo dopo, disse lui continuando a camminare.
Eravamo arrivati di fronte al ristorante. Il Signor Casimiro se ne stava appoggiato allo stipite della porta, con un grembiule bianco sulla pancia enorme. Buongiorno, Signor Casimiro, lo salutò cordialmente Tadeus, ho una sorpresa per lei, lo riconosce quest’uomo?, non se ne ricorda, vero?, beh, è un vecchio amico che torna dal nulla in questa giornata di canicola, è venuto a trovarmi ancora una volta prima che io me ne vada al diavolo, e l’ho invitato a mangiare il sarrabulho. Il Signor Casimiro si affrettò ad aprirci la porta cedendoci il passo. Eccellente idea, eccellente idea, esclamò seguendoci coi suoi passetti corti nell’ampia sala dove non c’era nessuno, dov’è che vogliono sedersi?, oggi il ristorante è a loro completa disposizione. Tadeus scelse un tavolo d’angolo, accanto al ventilatore. Era proprio gradevole, il ristorante del Signor Casimiro. Aveva il pavimento di losanghe di marmo bianche e nere, e pareti con piastrelle inizio secolo. Dall’altra parte della sala, vicino alla cucina, c’era un pappagallo appollaiato sul suo trespolo che di tanto in tanto gracchiava: meglio così! Il Signor Casimiro arrivò con pane, burro e olive. Col sarrabulho sarebbe d’obbligo un bel rosso, disse, ma non so se il suo amico lo gradisce, ho un Reguengos fresco di cantina che le consiglio vivamente. Per me vada per il Reguengos, decise Tadeus. Io feci cenno di sì con la testa, e sospirai: d’accordo, così sarà la fine.
Il sarrabulho arrivò su un piatto di portata di terraglia marrone con dei fiori gialli in rilievo, di quelli che si vendono al mercato. A prima vista aveva un aspetto repellente. Nel mezzo c’erano le patate, nel loro unto giallastro, e intorno lo spezzatino di maiale e la trippa. Il tutto era immerso in una salsa bruno scuro che doveva essere vino o sangue cotto, non ne avevo l’idea. È la prima volta che mangio una roba del genere, dissi io, conosco il Portogallo da un sacco d’anni ormai, l’ho girato da cima a fondo e non ho mai avuto il coraggio di mangiare questo piatto, oggi per me è la fine, finirò intossicato. Non te ne pentirai, disse Tadeus servendomi, mangia timidino, e non dire stronzate. Infilai la forchetta in uno spezzatino e me lo portai alla bocca quasi ad occhi chiusi. Era una delizia, un sapore di una raffinatezza estrema. Tadeus se ne accorse, ne fu felice e sorrise con gli occhi. È un piatto magnifico, dissi io, hai ragione, una delle cose più buone che ho mai mangiato in vita mia. Meglio così!, gracchiò il pappagallo. Sono d’accordo con lui, disse Tadeus, e mi versò un bicchiere di Reguengos. Restammo a mangiare in silenzio. E così, disse Tadeus, perché sei venuto, timidino? Te l’ho già detto, risposi, per via di quel biglietto che mi scriverai prima di morire, perché quelle parole mi ossessionano, hai capito Tadeus?, e io voglio vivere in pace, ma voglio anche che anche tu riposi in pace, voglio la pace per tutti noi, Tadeus, è per questo che sono qui, ma sono qui per un’altra idea che mi ossessiona anche lei, per via di Isabel, ma questo te lo dico dopo. Va bene, disse Tadeus, e fece un cenno al Signor Casimiro. Mi chiami un po’ sua moglie, Signor Casimiro, disse, dobbiamo farle i complimenti. Il Signor Casimiro sparì nella cucina ed apparì di lì a poco una donna in grembiule bianco. Era grassa, e aveva un’ombra di baffetti. Hanno gradito?, chiese con aria imbarazzata. Ne siamo ammattiti, disse Tadeus, il mio amico dice che è la cosa più buona che abbia mai mangiato in vita sua. Mi guardò e mi disse: vero o no, timidino? Io dissi di sì, e la Moglie del Signor Casimiro ne fu ancora più imbarazzata. È roba semplice, disse, roba che si faceva là al mio paese, me l’ha insegnata mia madre. Semplice un cavolo, replicò Tadeus, non dica sciocchezze, Casimira, questa non è roba semplice, è un’opera d’arte. Il signor Tadeus ha sempre voglia di scherzare, disse la Moglie del Signor Casimiro, gliel’ho detto un sacco di volte che non mi chiamo Casimira, il mio nome è Maria da Conceição. La moglie del Casimiro è la Casimira, ribatté Tadeus, mi scusi Casimira ma glielo dico una volta per tutte, e adesso spieghi un po’ a questo giovanotto come si prepara un sarrabulho à moda do Douro, in modo che quando torna al suo paese possa farselo a casa sua, che là dove sta lui mangiano solo spaghetti. Davvero?, domandò la Moglie del Signor Casimiro. Glielo garantisco, ripeté Tadeus, solo spaghetti. No no, precisò la Moglie del Signor Casimiro sempre più imbarazzata, non volevo dire questo, volevo dire se il suo amico vuole davvero sapere com’è che si fa il sarrabulho. Di sicuro, dissi io, mi farebbe piacere avere la ricetta, se non le è d’incomodo. Allora il signore mi scuserà, disse la Moglie del Signor Casimiro, il vero sarrabulho del mio paese intanto si fa con la polenta, ma oggi non avevo farina gialla così ci ho messo le patate, in ogni caso ora le dico gli ingredienti per un sarrabulho come Dio comanda, io non peso mai niente, faccio sempre a occhio, insomma, guardi, ci vuole lombo di maiale, il suo grasso, lo strutto, fegato di maiale, trippa, una bella tazza di sangue cotto, una testa d’aglio, un bicchiere di vino bianco, una cipolla, olio, sale, pepe e cumino. Oh Casimira si sieda, disse Tadeus, e si faccia un bicchiere di questo Reguengos de Monsaraz, che l’aiuta a spiegarsi meglio. La Moglie del Signor Casimiro si sedette chiedendo permesso ed accettò il bicchiere di vino che Tadeus le offriva. Insomma, disse la Moglie del Signor Casimiro, se il signore vuol fare un buon sarrabulho deve preparare la carne la sera prima, tagliare il lombo a spezzatino, in bocconcini regolari ben bene, e metterlo a marinare con l’aglio schiacciato, vino, sale, pepe e cumino, il giorno dopo si ritroverà una polpa tenera e con un buon profumo, a parte in una casseruola di coccio ci taglia il grasso del centopelli, cioè il grasso che tiene assieme la trippa, e lo fa andare a fuoco dolce, a fiamma bella forte mette a rosolare lo spezzatino nello strutto e poi lo lascia cuocere pian pianino. Una volta che la carne è quasi arrivata a cottura ci versa sopra la marinata della sera prima e lascia evaporare. Intanto taglia a pezzi la trippa e il fegato e li frigge nello strutto fino a che risultano ben dorati. A parte soffrigge nell’olio la cipolla tritata e aggiunge la tazza di sangue cotto. Poi mescola tutto nella casseruola e il sarrabulho è bell’e pronto, se le piace ci mette ancora un po’ di cumino e serve accompagnando con patatine, con polenta o con riso, io per me preferisco la polenta, perché è così che si fa al paese mio, ma non è obbligatorio.
La Moglie del Signor Casimiro sospirò per lo sforzo che aveva fatto e si appoggiò una mano sul suo pettone. Basta lì, disse, da quel momento buon pro le faccia, c’è solo da mangiare. Brava!, esclamò Tadeus battendo le mani, lo sa come si chiama questo, Casimira?, si chiama una raffinata lezione di cultura materiale, per quel che mi riguarda io ho sempre preferito il materiale all’immaginario, o meglio mi è sempre piaciuto ravvivare l’immaginario col materiale, immaginario sì ma con giudizio, anche l’immaginario collettivo, bisognava cantarglielo chiaro al signor Jung, prima dell’immaginario viene la pappa. Non ci capisco niente di quel che sta dicendo il signor Tadeus, disse la Moglie del Signor Casimiro, io non ho studiato come lorsignori, sono cresciuta in campagna e ho fatto appena le elementari. Oh Casimira, è del tutto semplice, disse Tadeus, voglio dire che io sono sì materialista, solo che non sono dialettico, ed è questo che mi distingue dai marxisti, il fatto che non sono un materialista dialettico. Di dialettica il signore ce ne ha eccome, disse timidamente la Moglie del Signor Casimiro, ne ha sempre avuta, fin da quando lo conosco. Questa sì che è buona, rise Tadeus battendosi la mano sul ginocchio, la Casimira si è meritata un altro bicchiere di Reguengos! Non ci pensi, sa, disse la Moglie del Signor Casimiro, non vorrà farmi ubriacare, no? Ah, questo è proprio quel che dovrebbe fare, disse Tadeus, se non le è mai capitato in vita sua, non è vero?, dovrebbe farsi una mezza bottiglia di Reguengos prima di andare a letto col Signor Casimiro, così scoprireste il paradiso, tanto lei che suo marito. La Moglie del Signor Casimiro abbassò gli occhi e arrossì di vergogna. Senta signor Tadeus, disse, finché lei vuole prendersi gioco di me non mi interessa, lei ha studiato e io sono ignorante, ma se comincia a dirmi delle cose sconvenienti è un’altra faccenda, guardi che se mi manca di rispetto vado a dirlo a mio marito. Ma cosa vuole che importi al Signor Casimiro, replicò Tadeus, lui sì che è un bello sporcaccione, non si arrabbi, Casimira, ancora un sorso e poi ci porti il dolce, o quel che le pare, quel che ha preparato per oggi, li apprezziamo tutti i suoi dolci, tutti.
Tadeus si accese un sigaro e me ne offrì uno. No grazie, dissi, troppo forte per me. Dai, timidino, provaci, disse lui, dopo un sarrabulho un sigaro è quel che ci vuole. Ci mettemmo a fumare in silenzio. Il pappagallo sembrava essersi addormentato sul trespolo, si udiva appena il fruscìo del ventilatore. Senti Tadeus, dissi io, perché Isabel si è uccisa?, è questo che voglio sapere. Tadeus aspirò il sigaro e soffiò il fumo nell’aria. Perché non lo chiedi a lei?, disse, come lo stai chiedendo a me potresti chiederlo a lei. Non so se potrei trovarla in questa domenica di luglio, dissi, te sì, ti ho ritrovato, ce l’ho fatta perché mi ha aiutato la zingara, ma Isabel come faccio a ritrovarla? Ti aiuto io, disse Tadeus, forse è più facile di quel che pensi. Ma sei stato tu, insistetti, sei stato tu a convincerla ad abortire?
Arrivò il Signor Casimiro col dolce. Era un piatto di piccole paste gialle, a forma di barchette. Sono papos de anjos de Mirandela, disse orgoglioso il Signor Casimiro, rossi d’uovo e gelatina di frutta, tutta roba genuina, non per vantarmi ma non c’è un ristorante a Lisbona dove si mangino dei papos de anjos come i miei. Il Signor Casimiro tornò in cucina coi suoi passettini corti e Tadeus prese una piccola pasta. E che cosa volevi, timidino, disse rispondendo alla mia domanda di prima, che nascesse un bastardino con due padri? Io non sapevo niente della tua storia con Isabel, dissi, l’ho scoperta solo molto più tardi, mi hai ingannato, Tadeus. E poi chiesi: ma era tuo o mio? Lascia perdere, disse lui, in ogni caso sarebbe stato un infelice. Questo è quel che pensi tu, replicai, quello che penso io è che aveva il diritto di vivere. Sì, disse Tadeus, per creare quattro infelici, io, tu, lui e Isabel. Comunque lei è stata infelice lo stesso, insistetti, è stato in seguito a tutta quella storia che si è presa quella depressione ed è per la depressione che si è uccisa, quello che voglio sapere è se il buon consigliere fosti tu. Ti ho già detto che è a lei che devi chiederlo, si difese Tadeus, io non lo so, te lo giuro, non so niente. Fosti tu il buon consigliere, dissi io, ora lo so. Ma non ha niente a che fare con la sua morte, rispose Tadeus, se vuoi sapere perché si è ammazzata è a lei che devi domandarlo. E dove la posso trovare?, lo interrogai. Vedi tu, disse, sceglilo tu il posto, l’uno o l’altro che differenza vuoi che le faccia. Alla Casa do Alentejo, dissi io, in Rua das Portas de Santo Antão, che ne pensi? Perché no, disse lui ironico, è di sicuro un posto che le sarebbe piaciuto conoscere, non deve averci mai messo piede in vita sua, ma perché no? Perfetto, dissi io, allora alle nove, puoi dirle che l’aspetto nella Casa do Alentejo stasera alle nove. Adesso ci prendiamo un caffè, disse Tadeus, quel che mi ci vuole è un caffè e una grappa. Ma intanto il Signor Casimiro stava arrivando con due caffè e una bottiglia di grappa, una vecchia bottiglia di terracotta. Signor Casimiro, disse Tadeus, tutto questo lo mette in conto a me. Neanche per idea, protestai, il pranzo lo offro io. Il Signor Casimiro fece come se non mi avesse sentito e se ne andò. Non fare lo stupido, disse Tadeus con aria paterna, hai pochi soldi con te, sei partito da Azeitão con pochi soldi, stavi sotto un gelso ed avevi pochi soldi nel portafoglio, io so tutto, devi passare la giornata a Lisbona e i quattrini ti servono, dai, non fare lo stupido. Ci alzammo e raggiungemmo la soglia. Il Signor Casimiro e la moglie si affacciarono alla porta della cucina per salutarci. Senti Tadeus, dissi io, ho bisogno di riposarmi un’oretta o due, sto prendendo una medicina che mi dà sonnolenza e col pranzo che mi hai offerto la sonnolenza è aumentata, se non dormo un’oretta casco per terra. Che stai prendendo?, mi chiese. È un farmaco francese a base di amineptina, dissi io, la mattina è un tranquillante e ti dà una sensazione di benessere, ma poi ti intorpidisce un po’. Tutte le medicine per l’anima sono una porcheria, disse Tadeus, l’anima si cura curando la pancia. Forse, dissi io, beato te che hai di queste certezze, io certezze non ne ho. Non vuoi dormire a casa mia?, mi chiese Tadeus, c’è un bel letto nella stanza degli ospiti. Grazie ma preferisco di no, risposi, è l’ultima volta che ti vedo, ma però, senti, ho davvero pochi soldi, non mi posso permettere un albergo, mi basta una pensioncina economica, una di quelle pensioni dove si può prendere una stanza per un’ora o due, tu devi conoscerne di posti del genere, forse puoi aiutarmi. È facile, disse lui, c’è la pensione Isadora, sta dalle parti di Praça da Ribeira, vacci pure a mio nome e parla con la Isadora, lei ti dà una stanza, puoi prendere il tram per il Cais do Sodré, starà per arrivare.
La fermata del tram era proprio davanti al ristorante, e restammo ad aspettarlo al di qua della porta a vetri per non prenderci tutta la calura. Udimmo arrivare il tram quando stava per svoltare dalla curva, nel silenzio della città ci arrivò il frastuono delle rotaie. Davvero non vuoi dormire a casa mia?, mi chiese un’altra volta Tadeus. Davvero, risposi, addio Tadeus, riposa in pace, non credo che ci vedremo mai più. Meglio così!, strillò il pappagallo. Aprii la porta, attraversai la strada e salii sul tram.
* Barcelos e Caldas da Rainha sono due cittadine del Nord e del Centro del Portogallo, famose per la loro produzione di ceramiche. (N.d.T.)