1. La latitudine, gli schiavi, la Bibbiaa

Un esperimento di microstoria

«Less is more», il meno è più. Il celebre motto di Mies van der Rohe si applica bene all’esperimento presentato qui (e a qualunque esperimento). Circoscrivendo l’ambito dell’analisi, e riflettendo sui suoi risultati, cerchiamo di capire di più. Questo duplice moto cognitivo, paragonabile al restringersi e dilatarsi di un obiettivo fotografico, è stato evocato per definire la microstoria.9 Su questa definizione tornerò, in una prospettiva diversa, nella conclusione.

 

 

1. Partirò da un passo di Mimesis, il grande libro che Erich Auerbach, cacciato perché ebreo dalle università tedesche, scrisse a Istanbul negli anni ’40. Alla fine di Mimesis Auerbach osservò: «Sotto le lotte, e anche per mezzo di esse, si compie un processo di livellamento economico e culturale; la via è ancora lunga fino a una vita in comune degli uomini sulla terra, ma la mèta comincia ad essere intravista».10

Oggi, più di settant’anni dopo, sarebbe impossibile definire la globalizzazione in atto come un «processo di livellamento economico». Ma il «livellamento culturale», ossia la scomparsa delle specificità alla quale Auerbach guardava con crescente preoccupazione, è una realtà incontestabile, anche se le sue implicazioni sono tutt’altro che chiare. In un saggio del 1952 Auerbach osservò che il concetto di Weltliteratur proposto da Goethe appariva sempre più inadeguato di fronte a una realtà in continua espansione. Come può un filologo formatosi in una tradizione culturale specifica affrontare un mondo in cui interagiscono tante lingue, tante tradizioni culturali? Secondo Auerbach è necessario isolare degli Ansatzpunkte, dei punti di partenza legati a particolari concreti, che consentano di ricostruire in maniera induttiva il processo globale.11 L’unificazione del mondo che è in atto, scrisse Auerbach alla fine di Mimesis, appare «più chiara e concreta ... già adesso nella rappresentazione non intenzionale, precisa, interiore ed esteriore di momenti presi a caso della vita di persone diverse».12

Questa strategia s’ispirava al modello cognitivo che Auerbach aveva identificato nell’opera di Marcel Proust e di Virginia Woolf.13 È una strategia che, come vedremo, può essere utilizzata dalla microstoria.

 

 

2. Qualche tempo fa, mentre lavoravo a un progetto del tutto diverso, mi imbattei in un opuscolo intitolato Mémoire sur le Pais des Cafres, et la Terre de Nuyts. Par raport à l’utilité que la Compagnie des Indes Orientales en pourroit retirer pour son Commerce (P. Humbert, Amsterdam, 1718). Mi fu possibile consultarne una copia – una fotocopia dell’edizione originale – nella Research Library di UCLA, rilegata con un Second mémoire sur le Pais des Cafres, et la Terre de Nuyts, anch’esso stampato ad Amsterdam nel 1718 da Pierre Humbert. Alla fine dei due opuscoli vidi il nome del loro autore: Jean-Pierre Purry, un nome a me sconosciuto. Diedi un’occhiata a quei testi e ne fui immediatamente afferrato. Mi trovai immerso in un progetto di ricerca di cui presento qui i risultati.

 

 

3. Jean-Pierre Purry nacque a Neuchâtel nel 1675, da una famiglia calvinista.14 Il padre, Henry, faceva lo stagnino, a sua volta figlio e nipote di stagnini; morì quando Jean-Pierre aveva un anno. L’anno successivo la vedova di Henry, Marie Hersler, sposò un uomo di condizione sociale più elevata, Louis Quinche. Jean-Pierre, non ancora ventenne, venne nominato esattore delle imposte (receveur) di Boudry, una cittadina non lontana da Neuchâtel; un anno dopo, per motivi non chiari, rinunciò alla propria posizione. Il 26 settembre 1695 Jean-Pierre sposò Lucrèce Chaillet, figlia di Charles Chaillet, pastore di Serrières. Tra il 1696 e il 1710 la coppia ebbe otto figli, quattro dei quali morirono in tenera età.15 Nel 1709 Jean-Pierre venne nominato sindaco di Lignières.16 Due anni dopo, la sua precoce carriera politica terminò bruscamente, per motivi non chiari, e fu costretto a rinunciare alla carica di sindaco. Una serie di sfortune l’aveva colpito: la sua abitazione era stata danneggiata da un incendio; un tentativo di vendere vino in Inghilterra era sfociato in un disastro finanziario.

La scelta di Jean-Pierre non stupisce: da duemila anni le colline che circondano il lago di Neuchâtel sono coperte di vigneti. Altrettanto prevedibile è l’appoggio che Jean-Pierre ricevette dalla propria famiglia e dalla famiglia di sua moglie: dopotutto, i Purry e gli Chaillet erano legati da tre matrimoni.17 Eppure, visti retrospettivamente, questi eventi sembrano delineare un destino: la vita di Jean-Pierre Purry sarebbe stata segnata dal vino, dall’Inghilterra, e dall’impulso a rischiare seguito da dolorose sconfitte.

 

 

4. Secondo un’antica tradizione, gli abitanti di Neuchâtel erano abituati a lasciarsi la città natale dietro le spalle.18 Purry non fece eccezione. Il 26 maggio 1713 s’imbarcò come caporale su una nave di proprietà della Compagnia olandese delle Indie Orientali, lo strumento dell’espansione economica e politica delle Province Unite nell’Asia sud-orientale. Purry, che aveva ai suoi ordini settanta uomini, doveva avere qualche conoscenza del neerlandese. Dopo uno scalo a Città del Capo, la nave raggiunse Batavia (l’odierna Giacarta) il 2 febbraio 1714. Qui Purry passò quattro anni, lavorando come impiegato della Compagnia. L’11 dicembre 1717 lasciò Batavia, e venne assunto come contabile su una nave che, dopo il solito scalo a Città del Capo, arrivò nei Paesi Bassi il 17 luglio.19 L’anno dopo Purry pubblicò ad Amsterdam i due Mémoires sur le Pais des Cafres, et la Terre de Nuyts. Esaminiamoli da vicino.

 

 

5. Nel primo opuscolo Purry presentò all’Assemblea dei Diciassette, l’organo di governo della Compagnia olandese delle Indie Orientali, un progetto di colonizzazione del Kafirland (l’odierno Sudafrica) o, in alternativa, della Terra di Nuyts (l’odierna costa occidentale dell’Australia).20 Nel secondo Mémoire, datato 1° settembre 1718, Purry rispose alle obiezioni sollevate dai suoi oppositori, insistendo sull’opportunità di colonizzare la Terra di Nuyts.

I progetti di Purry s’ispiravano ad una teoria del clima, ampiamente descritta nel primo Mémoire. Purry respingeva termini come «temperato» o «freddo»» perché troppo vaghi, e liquidava come un’assurdità l’elogio tradizionale della collocazione geografica della Francia, posta al centro della zona temperata, tra i 42 e i 51 gradi di latitudine. L’uva che cresce a 51 gradi di latitudine, obiettò Purry, produce del vino imbevibile. Il miglior clima del mondo si trova a 33 gradi di latitudine.

Il giudizio di Purry era quello di un ex mercante di vini, nato in una regione famosa per i suoi vini. Ma quest’osservazione apparentemente banale aveva implicazioni meno evidenti. Purry elencò una serie di paesi situati tra i 30 e i 36 gradi di latitudine: Barberia, Siria, Caldea, Candia, Cipro, Persia, Mongolia, «la parte mediana della Cina», Giappone. Ma quelli che sono più prossimi ai 33 gradi di latitudine, spiegò, «sorpassano di molto la fertilità degli altri, come si vede anche nel paese di Canaan: una delle sue provincie più belle era la Galilea».21

Questa rapida allusione («anche») nascondeva un rinvio decisivo a Numeri, 13: un riferimento che caratterizzava l’argomentazione di Purry in una direzione inaspettata. Vediamo allora il passo della Bibbia, che Purry citò integralmente nel Second mémoire (pp. 26-27).

 

 

6. «Manda uomini» disse il Signore a Mosè «a esplorare il paese di Canaan, che sto per dare agli Israeliti» (Numeri, 13, 2).

Mosè obbedì all’ingiunzione, e mandò uomini da ogni tribù di Israele «a esplorare il paese di Canaan, e disse loro: "Salite attraverso il Negheb, poi salirete alla regione montana, e osserverete che paese sia ... e portate frutti del paese". Era il tempo in cui cominciava a maturare l’uva». Gli esploratori arrivarono a Ebron, e poi «fino alla valle di Escol, dove tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga» (Numeri, 13, 17 sgg.).22

Ancora una volta, uva e vino. L’enorme grappolo portato da due uomini su una stanga simboleggiava la straordinaria ricchezza della terra promessa. Ma l’accenno a Canaan porta alla luce il nucleo nascosto del progetto di Purry.23 Nei suoi due Mémoires ci sono due tipi di citazioni. Da un lato, diciassette rinvii all’Antico Testamento (più due allusioni implicite) e una citazione isolata dalla prima lettera di Paolo ai Corinzi; dall’altro, quindici allusioni a relazioni geografiche e storiche contemporanee. I riferimenti alla Bibbia consentono di decifrare i passi tratti da testi non religiosi. La latitudine perfetta era per Purry, prima di tutto, la latitudine della terra promessa. I suoi progetti di insediamento coloniale erano basati sul libro dell’Esodo –anche se la sua lettura della Bibbia era, come vedremo, abbastanza flessibile da permettergli, per esempio, di rintracciare la latitudine perfetta di 33 gradi tanto nell’emisfero australe quanto nell’emisfero boreale.

 

 

7. Le ripercussioni della narrazione dell’Esodo nel lungo periodo sono note. Molti anni fa Michael Walzer sostenne che il viaggio dei figli di Israele dalla schiavitù verso la libertà, dall’Egitto alla terra promessa, aveva fornito, nel corso dei secoli, un modello rivoluzionario privo di connotazioni messianiche, che aveva ispirato – qui Walzer riecheggiava affermazioni di Gershom Scholem – il movimento sionista moderno.24 Ma Walzer riconobbe che queste interpretazioni rivoluzionarie ignoravano una parte della narrazione dell’Esodo: la conquista e la guerra contro i Cananei che abitavano il paese. Nel rifiutare la lettura dell’Esodo fornita dal sionismo di destra, Walzer fece implicitamente proprio il motto del sionismo liberale: «un popolo senza terra [cioè gli ebrei] trovò una terra senza popolo [cioè la Palestina]». In questa lettura i Cananei venivano silenziosamente espunti dalla narrazione biblica, così come i palestinesi sono stati espunti dalla versione ufficiale della storia d’Israele, poi criticata da una nuova generazione di storici israeliani.25 Da un punto di vista generale, emergono due domande. La prima: è lecito rimuovere la conquista di Canaan dalla narrazione biblica perché non si accetta il modo in cui quella conquista è stata usata simbolicamente nei dibattiti politici contemporanei? La seconda: fino a che punto questa rimozione è compatibile con il discutibile principio che Walzer riprese da Scholem, in base al quale il significato della narrazione biblica coincide in ultima analisi con l’intera gamma delle sue interpretazioni?26

Non c’è dubbio che per Purry sia i Cananei sia la guerra combattuta dai figli di Israele contro di loro erano parti integranti della narrazione biblica. Il viaggio verso la terra promessa divenne per lui un modello, e una giustificazione, della conquista del mondo da parte dell’Europa.27

 

 

8. Purry cercò di convincere la Compagnia olandese delle Indie Orientali a inviare immigranti in Sudafrica o in Australia. Ma il numero relativamente esiguo di europei disposti a emigrare in quelle parti del mondo lo indusse a proporre un’alternativa: «... quando non ci sono a disposizione dei contadini, si può far coltivare la terra da schiavi. I Romani non facevano nulla di diverso».28

Perché Purry giustificava la schiavitù con un precedente non religioso, invece di citare, come era solito, un passo dall’Antico Testamento? Forse perché la maledizione lanciata da Noè sui figli di Cam, che avevano visto la sua nudità, sembrava collegare la schiavitù a uno stigma incancellabile.29 Ma Purry non condivideva affatto l’idea che gli schiavi avessero capacità di apprendimento limitate. A Giava aveva visto schiavi di entrambi i sessi lavorare come sarti, come falegnami, come calzolai; li aveva visti suonare strumenti musicali ai matrimoni, e danzare. Tali attività, osservò, «non sono altro che effetti dell’abitudine e della pratica ininterrotta. Pertanto, non vedo perché degli schiavi non debbano essere in grado d’apprendere la scienza dell’agricoltura». A questo punto un immaginario oppositore formulò un’obiezione più seria: «Ma allora, dirà qualcuno, la giustizia e l’equità non ci permettono d’insediarci nella Terra di Nuyts a dispetto di coloro che sono stati lì, di padre in figlio, da migliaia di anni, cacciando dalla loro terra della gente che non ci ha fatto alcun male».30

 

 

9. Purry respinse questa obiezione alla colonizzazione europea per due motivi. Anzitutto, perché «la terra appartiene a Dio in perpetuo, e noi ne abbiamo soltanto l’usufrutto. Allo stesso modo, un padre di famiglia che fa servire da mangiare ai figli o ai domestici non assegna una porzione a ciascuno: ma ciò di cui ognuno si appropria onestamente gli spetta, anche se prima non aveva su di esso maggiori diritti degli altri, e anche se gli altri non gli hanno dato il permesso di prendere questo o quel pezzo di terra».31

Questa riunione familiare attorno a una tavola, attorniata da bambini e servitori che cercano allegramente di arraffare del cibo, commentava implicitamente Levitico, 25, 23, citato da Purry: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini».32

Ma il passo biblico era filtrato da un testo di tutt’altro genere: Il secondo trattato sul governo di John Locke. «Così all’inizio tutto il mondo era America» scrisse Locke (par. 49); «Dio ha dato il mondo in comune agli uomini» (par. 34). E tuttavia la proprietà, basata sull’industriosità umana, è legittima: altrimenti, argomentò Locke, «se fosse necessario il consenso esplicito di ogni membro della comunità perché ci si possa appropriare di una parte di ciò che è dato in comune, i figli o i servi non potrebbero dividere la carne che il padre o il padrone ha procurato loro in comune senza che fosse assegnata a ciascuno la sua parte particolare» (par. 29).33

Purry avrà letto Il secondo trattato di Locke nella traduzione francese di David Mazel, pubblicata ad Amsterdam nel 1691, un anno dopo la prima edizione inglese, e poi più volte ristampata.34 Ecco come Purry rielaborò le riflessioni di Locke:

«Dato che tutti gli uomini hanno naturalmente gli stessi diritti sui beni del mondo, grazie all’intenzione del Creatore, che ha elargito loro questo diritto comune perché ne facessero uso, è inconcepibile che il mero possesso, anche se risalente a varie migliaia di anni, debba privilegiare un individuo rispetto agli altri, senza il loro consenso, cioè senza qualche accordo tra loro in proposito. E finché ciascuno prende soltanto quello di cui ha bisogno, non danneggia i diritti degli altri, che a loro volta possono far valere, in un modo o nell’altro, il privilegio del primo occupante».35 Purry rispondeva implicitamente a una domanda: la conquista del mondo da parte degli europei era, dal punto di vista legale, giustificata? Formulare una domanda del genere implicava già una presa di distanza, se non addirittura un dubbio. Purry rispose richiamandosi a una legge di natura che faceva derivare da un passo della Bibbia – anche se si potrebbe sostenere l’inverso, e cioè che un’idea di legge di natura derivata dal Secondo trattato di John Locke abbia ispirato la lettura della Bibbia da parte di Purry.36 Il passo in cui Locke parlava del legame umano che connette «nelle foreste americane uno svizzero e un indiano», che sono, «l’uno rispetto all’altro, in un perfetto stato di natura» (par. 14), deve aver avuto un significato speciale per uno svizzero come Purry.37 Di fronte a Dio non esistono gerarchie: ogni essere umano ha lo stesso diritto di usare la terra. I vincoli locali vengono annullati dall’invocazione a Dio: un Dio distante e solitario nella sua unicità. Pretese radicate nell’antichità, magari risalenti a migliaia di anni prima, non hanno alcun valore. Nessuna proprietà può essere mantenuta in perpetuo; ciò che conta è soltanto il presente. La terra è come un pasto in comune, e in linea di principio ciascuno ha diritto a una porzione. Ma non sono previste distribuzioni secondo un ordine; in realtà, non è prevista nessuna distribuzione. Naturalmente, nel pretendere una porzione, i figli di Dio devono comportarsi come si deve (honnêtement). Ma il riferimento ai «diritti degli altri» non suggerisce un rapporto fraterno. I «diritti degli altri» alludono a una legge che governa tutti: la parola biblica «straniero» non si riferisce soltanto ai rapporti tra gli esseri umani e Dio, ma anche ai rapporti tra gli umani. Ognuno, nei confronti di qualsiasi altro, è uno straniero.

Questa condizione condivisa non generava, nella prospettiva globale di Purry, la compassione che aveva ispirato Esodo, 23, 9: «Non opprimerai lo straniero: anche voi conoscete la vita dello straniero, perché siete stati stranieri nella terra d’Egitto».38 Quando tutti «a loro volta possono far valere, in un modo o nell’altro [d’une maniere ou d’autre], il privilegio del primo occupante», quando chiunque ha il diritto di «prendere questo o quel pezzo di terra», la legge di natura, potremmo concludere, diventa un diritto al saccheggio reciproco. La forza diventa diritto. A questo punto, Purry introduce un secondo assioma, e con esso la morale:

«... i popoli selvaggi e rustici amano soprattutto un’esistenza oziosa e ... quanto più un popolo è semplice e volgare tanto meno è dedito al lavoro, mentre una vita di abbondanza e di piaceri richiede molto impegno e molta fatica. Inoltre, i paesi abitati da questo tipo di popolazioni selvagge e oziose non sono mai molto popolati. Perciò, abbiamo motivo di credere che, lungi dal danneggiare gli abitanti della Terra di Nuyts – e non c’è motivo di cacciarli –, la fondazione di una buona colonia europea procurerebbe loro ogni sorta di beni e di vantaggi, perché la loro sarebbe una vita civilizzata e perché apprenderebbero arti e scienze...».39

Ci troviamo di fronte a una serie di contrapposizioni, apparentemente evidenti, che in parte si sovrappongono: a) vita civilizzata e vita selvaggia; b) industriosità e ozio; c) abbondanza e scarsità. La fondazione di «una buona colonia europea» toglierà i selvaggi dal loro colpevole ozio, e darà loro «una vita civilizzata».40 Il cambiamento introdotto dagli europei sarebbe stato buono e utile per tutti, «purché» scrisse Purry «lo si faccia con dolcezza, considerandoli come povere creature che, benché grossolane e ignorantissime, tuttavia fanno parte, come noi, della società umana».41

Gli spagnoli e i portoghesi, che trattavano gli indiani d’America come se fossero animali, erano stati disprezzati, osservò Purry, per la loro crudeltà e la loro barbarie. I suoi progetti di colonizzazione, invece, potevano essere realizzati «senza causare sofferenze agli abitanti del luogo, e senza commettere ingiustizie nei loro confronti. Questo tipo di vantaggi, che non provocano rimorsi, e che si possono conseguire senza danneggiare in alcun modo la propria qualità di honnête homme e di cristiano, sono in verità degni della nostra illustre Compagnia».42

Liquidare quest’argomentazione morale come una maschera dell’avidità o come una menzogna sarebbe semplicistico. Lo sforzo di Purry volto a eliminare il «rimorso» era significativo. La colonizzazione europea, in questa fase e in alcuni ambienti, poteva generare cattiva coscienza: un sentimento che doveva essere messo a tacere in nome della morale, della civiltà, e del profitto. Nel lungo periodo, la tesi, basata sul diritto naturale, secondo cui ogni essere umano è uguale davanti a Dio ed è potenzialmente civilizzabile, avrebbe contribuito alla formazione di movimenti ostili alla schiavitù e al colonialismo. Ma prima che questo si verificasse, un ragionamento del genere poté fornire un’elaborata giustificazione della colonizzazione europea.

 

 

10. Jean-Pierre Purry era abituato a traversare gli oceani. Nato in Europa, passò alcuni anni in Asia, visitò l’Africa e terminò la propria vita, come si vedrà, nell’America settentrionale, dopo essersi battuto invano per la colonizzazione della Nuova Olanda – l’odierna Australia. Purry poté considerare la terra come un tutto. Non molti individui prima di lui raggiunsero una visione altrettanto globale e inclusiva; ancora più rari quelli che ebbero la possibilità, o la capacità, di trasmettere per iscritto le proprie esperienze e le proprie riflessioni. In che modo Purry riuscì a fare tutto questo?

Senza dubbio, era un uomo colto, anche se della sua formazione non sappiamo nulla.43 Soprattutto, pensava con la Bibbia: un’esperienza vissuta da innumerevoli individui prima e dopo di lui.44 La Bibbia gli diede parole, argomentazioni, e narrazioni; Purry proiettò parole, esperienze ed eventi nella Bibbia. Ma altri libri gli diedero una lente attraverso cui leggere la Bibbia, e inversamente.

Pochi esempi basteranno. Di fronte alle obiezioni sollevate contro il suo progetto di fondare una grande colonia in Sudafrica, Purry replicò sdegnosamente: «Affermare che gli uomini non sono in grado di abbandonare i loro rapporti, i loro amici, i loro parenti, è una sciocchezza, un’assurdità e chimere che la gente si mette in testa».45

A sostegno di quest’affermazione Purry ricordò due casi molto diversi: i francesi emigrati in Canada che parlavano con rimpianto «del buon sapore dei loro meloni, delle loro pernici, e di tante altre cose che rendono la vita deliziosa»,46 e i figli di Israele che mormoravano contro Mosè e Aronne: «Fossimo morti per mano del Signore nel paese d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatti uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine» (Esodo, 16, 3).47

Su questo punto Purry era decisamente d’accordo. Il rapido accenno alle «tante altre cose che rendono la vita deliziosa» scaturiva da una profonda avversione nei confronti di ogni sorta di ascetismo. Per lui, la civiltà era sinonimo di abbondanza. Ma qui vediamo profilarsi una contraddizione. Da un lato, Purry sottolineava che l’abbondanza può essere raggiunta soltanto attraverso l’industriosità e il duro lavoro. Dall’altro, aderiva all’antico mito di una terra di illimitata abbondanza. Che cosa s’intende quando si parla di «un buon paese?» chiese Purry, intervenendo nella discussione sulla perfetta latitudine. E rispose: «Per quanto mi riguarda, penso che un buon paese sia ricco non solo di latte e miele, ma di tutto ciò che soddisfa la nostra voluttà e ci fa vivere deliziosamente; un paese di Cuccagna, ricco di cibi, fertile, che produce con facilità, senza troppo lavoro, tutto ciò che è necessario alla vita. Questo, detto in breve e secondo il mio scarso sapere, è un buon paese».48

L’atteggiamento antiascetico di Purry, e il suo elogio dei beni materiali, non erano relitti di utopie contadine, come potrebbe far supporre l’accenno al paese di Cuccagna. Tra gli autori citati nei due opuscoli di Purry troviamo François Bernier, professore di Medicina all’Università di Montpellier, filosofo e viaggiatore, e Sir William Temple, uomo politico, saggista, protettore di Jonathan Swift.49 Sia Temple sia Bernier (che si conoscevano) contribuirono alla riscoperta di Epicuro, innescata da Pierre Gassendi a metà del ’600: un episodio importante nella storia intellettuale europea.50 Partendo dall’elogio del piacere formulato da Epicuro, Temple presentò la civiltà, nel suo saggio Upon the Gardens of Epicurus (Sui giardini di Epicuro, 1685), come una forma di società felicemente regolata dall’ambizione e dall’avarizia: una descrizione ironica e distaccata che Bernard Mandeville riprese, sviluppandola, nella sua celebre Fable of Bees (Favola delle api). I saggi di Temple ebbero un influsso profondo su Purry. Possiamo immaginare le sue reazioni di fronte all’argomentazione di Temple secondo cui «il clima migliore per la produzione dei frutti migliori di ogni genere ... è apparentemente quello compreso all’incirca tra i venticinque e i trentacinque gradi di latitudine».51 La lettura della Bibbia da parte di Purry, filtrata dal saggio di Temple e dai suoi scritti geografici, lo portò a formulare la teoria della perfetta latitudine, situata a 33 gradi.

 

 

11. I progetti di Purry vennero esaminati dai responsabili della Compagnia olandese delle Indie Orientali, che il 17 aprile 1719 li bocciò.52 E una decisione che non stupisce: la Compagnia preferiva il commercio alla colonizzazione. Ciò che sorprende invece è la nomina di Purry, che seguì immediatamente dopo, in circostanze ignote, a direttore generale della Compagnia francese delle Indie.53 Nel 1720 era a Parigi, sconvolta dalla tempesta finanziaria scatenata da John Law, il finanziere scozzese, e dal suo «sistema». Purry investì, inizialmente con qualche successo, il denaro che aveva guadagnato a Batavia.54 Dal racconto di un amico si apprende che Purry perseguì il suo obiettivo con fredda determinazione, dicendo: «Dato che qui tutti parlano di milioni, bisogna arrivare ai milioni; a quel punto incasserò».55 La bolla del Mississippi scoppiò, e Purry perse tutto.

E tuttavia non abbandonò né le sue teorie né i suoi progetti. Il 6 giugno 1724 Purry scrisse a Horatio Walpole, chiedendogli di presentarlo al duca di Newcastle; il giorno dopo Walpole rispose positivamente alla richiesta.56 In uno scritto rivolto al duca, pubblicato a Londra nello stesso anno, Purry propose di inviare parecchie centinaia di protestanti svizzeri per colonizzare la Carolina del Sud. Di fronte al fallimento dei suoi progetti legati all’emisfero australe, Purry li aveva proiettati verso i 33 gradi di latitudine nord.

Dopo una prima, disastrosa spedizione in America, Purry, ridotto in miseria, tornò nella sua città natale.57 La sua famiglia lo relegò in una fattoria in montagna, non lontano da Neuchâtel. Di lì Purry mandava lettere deferenti ai fratellastri, chiedendo soldi per piccole spese: lettere, tabacco. Ma non poteva trattenersi dall’accennare ai suoi progetti americani.58 Purry deve aver trascorso vari anni barcamenandosi tra un presente miserabile e la speranza in un futuro grandioso. Poi accadde qualcosa: arrivò una protezione ufficiale. Il 10 marzo 1731 Giorgio II re di Gran Bretagna firmò una regia patente che autorizzava Jean-Pierre Purry, colonello dell’armata bri-1. tannica, a fondare una città nella Carolina del Sud, chiamata Purrysburg, che sarebbe stata abitata, come Purry aveva proposto, da un insediamento di protestanti svizzeri.59

Una campagna propagandistica organizzata da Purry deve aver rafforzato l’afflusso di immigranti nella nuova colonia. Purry preparò descrizioni particolareggiate della Carolina del Sud che vennero pubblicate in Svizzera, e poi tradotte in tedesco e in inglese.60 Negli Éclaircissemens inseriti nella seconda edizione dell’opuscolo, pubblicato nel 1732, Purry rispose ai mormorii d’insoddisfazione manifestati dai nuovi coloni. Qualcuno di loro si era lamentato per il clima della regione. Purry, sempre pronto a diffondere le sue teorie sulla latitudine, rispose in tono sprezzante: «Sostenere che la regione della Carolina è troppo calda per gli europei, e in particolare per gli svizzeri, è assurdo – così come sarebbe assurdo lamentarsi della Siria, o (come era chiamata anticamente) del paese di Canaan».61

Al pari di Mosè (un paragone che l’avrebbe lusingato) Jean-Pierre Purry non poté vedere la terra promessa della rivoluzione industriale. Morì il 18 agosto 1736, nella città che portava il suo nome.62 Poi Purrysburg andò in rovina, e scomparve. Il figlio maggiore di Jean-Pierre, Charles, venne ucciso nel 1754, in una rivolta di schiavi. Un altro figlio, David, che era rimasto in Europa, diventò enormemente ricco. Alla sua morte, nel 1786, lasciò il proprio denaro, in parte guadagnato attraverso la tratta degli schiavi col Brasile, ai poveri di Neuchâtel. Al centro della piazza principale della città c’è una statua a lui dedicata.

 

 

12. L’avventurosa esistenza di Jean-Pierre Purry merita certamente un racconto particolareggiato; si tratta senza dubbio di una storia avvincente. Ma la domanda che mi sono posto, fin dall’inizio della mia ricerca, era un’altra: un caso individuale, analizzato in profondità, può avere un’importanza teorica?

Quando cominciai a sfogliare i due Mémoires sur les Pais des Cafres di Purry pensai immediatamente a L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber. In quel famoso saggio, pubblicato per la prima volta nel 1904-1905, Weber sostenne che l’emergere di un atteggiamento da lui definito «ascesi intramondana» (innerweltliche Askese), ispirato al calvinismo e alla sua elaborazione puritana, aveva avuto un’importanza fondamentale nell’emergere del capitalismo, perché aveva assoggettato l’attività economica a un controllo razionale.63 La tesi di Weber ha suscitato, com’è noto, una quantità di discussioni, imperniate sugli imprenditori come agenti di trasformazione, e sulle ripercussioni psicologiche di un concetto religioso come «vocazione» (Beruf). Ma, com’è stato osservato, nel saggio di Weber gli imprenditori seguaci del protestantesimo sono, stranamente, pressoché assenti. Benjamin Franklin, di cui Weber cita ripetutamente le riflessioni, è un caso tardivo, e piuttosto secolarizzato.64 Jean-Pierre Purry sembra invece un’illustrazione perfetta della tesi di Weber: un imprenditore calvinista, fautore convinto della causa protestante, che cita spesso la Bibbia a sostegno di una serie di precoci progetti di colonizzazione, e che modella la propria esistenza sulla base di una teoria geografica. Ma via via che la mia ricerca procedeva, l’obiettivo diventò meno ovvio. Mi resi subito conto che proporsi di verificare o invalidare l’argomentazione di Weber non aveva alcun senso. Da un lato, Weber non presentò mai la propria tesi sotto forma di un’affermazione ben precisa, e chiaramente falsificabile, del tipo «tutti i cigni sono bianchi». Un cigno nero, o un imprenditore non calvinista, non scalfivano minimamente l’argomentazione di Weber. Dall’altro, un imprenditore calvinista come Jean-Pierre Purry non era in grado di dimostrare un’argomentazione come quella di Weber, formulata in maniera astratta, ideal-tipica. Come Weber sottolineò più volte, «parlare in termini di "tipi ideali"» (Ideal-typen) significa, «in un certo senso», far «violenza alla realtà storica».65 I tipi ideali sono, come le idee di Platone, immuni da contraddizioni.66 Secondo la definizione di Weber, «un "individuo storico" è "un complesso di nessi presenti nella realtà storica che noi unifichiamo nella totalità di un concetto, dal punto di vista del significato posseduto per la civiltà e cultura».67 Un essere umano è naturalmente una realtà più casuale, per non dire contraddittoria. Lo scarto tra Jean-Pierre Purry e l’imprenditore calvinista ideal-tipico fa parte dei postulati di Weber. E tuttavia, Weber stesso sottolineò che le costruzioni idealtipiche devono essere sottoposte continuamente al controllo della ricerca empirica. Quale può essere il risultato di una verifica imperniata sul caso di Purry?

Al di là delle convergenze che ho già menzionato, emergono alcune divergenze non meno evidenti. 1) L’atteggiamento anti-ascetico di Purry; 2) la giustificazione, che Purry avanzò sulla base della sua lettura della Bibbia, e specialmente della narrazione dell’Esodo, della conquista (che includeva la schiavitù e l’uso della forza) del mondo da parte degli Stati europei. Il secondo punto getta una luce interessante sulla genesi e sul significato dell’Etica protestante di Weber. Molti lettori hanno visto in quest’opera un’argomentazione contro il marxismo, in quanto avrebbe postulato una causa religiosa, anziché economica, del capitalismo. Weber obiettò energicamente che il suo scopo non era stato «sostituire un’interpretazione causale della civiltà e della storia unilateralmente "materialistica" con un’interpretazione spiritualistica altrettanto unilaterale».68 In realtà il rapporto polemico di Weber nei confronti di Marx era più sottile e più stretto. L’etica protestante venne scritta non solo contro la sezione del Capitale di Marx che comincia col capitolo XXIV, «La cosiddetta accumulazione originaria», ma anche con essa, riorganizzandone alcuni passi e rovesciandone il significato.69

Poco dopo l’inizio del capitolo XXIV del Capitale troviamo questa frase: «Nell’economia politica quest’accumulazione originaria fa all’incirca la stessa parte del peccato originale nella teologia». Secondo questa versione «teologica», «c’era una volta, in una età da lungo tempo trascorsa, da una parte una élite diligente, intelligente e soprattutto risparmiatrice, e dall’altra c’erano degli sciagurati oziosi che sperperavano tutto il proprio e anche più ... Nella storia reale» continua Marx «la parte importante è rappresentata, come è noto, dalla conquista, dal soggiogamento, dall’assassinio e dalla rapina, in breve dalla violenza».70

Weber sviluppò deliberatamente una serie di sottili argomentazioni volte ad appoggiare l’interpretazione «teologica» dell’accumulazione originaria. Da un lato, sottolineò l’importanza della frugalità ascetica nell’etica capitalistica; dall’altro, tracciò un confine ben preciso tra gli «avventurieri capitalistici» e gli imprenditori capitalistici veri e propri. Nella prospettiva di Weber, gli imprenditori capitalistici veri e propri non hanno niente a che fare con la violenza.71

Marx, al contrario, aveva sottolineato il ruolo svolto dalle colonie nel processo di accumulazione originaria: «In genere, la schiavitù velata degli operai salariati in Europa aveva bisogno del piedistallo della schiavitù sans phrase nel nuovo mondo».72

Dopo aver ricordato l’orribile trattamento riservato alle popolazioni indigene nelle piantagioni coloniali, Marx aveva osservato che «neppure nelle colonie vere e proprie il carattere cristiano dell’accumulazione originaria si smentiva».73

Quest’affermazione veniva illustrata così: «Quei sobri virtuosi del protestantesimo che sono i puritani della Nuova Inghilterra misero nel 1703, con risoluzioni della loro assembly, un premio di quaranta sterline su ogni scalp d’indiano e per ogni pellirossa prigioniero»; nel 1744, «per uno scalp di maschio dai dodici anni in su, cento sterline di valuta nuova, per prigionieri maschi centocinque sterline, per donne e bambini prigionieri cinquantacinque sterline, per scalps di donne e bambini cinquanta sterline!».74

Ricondurre quest’agghiacciante pignoleria al «carattere cristiano dell’accumulazione originaria» è tipico del sarcasmo di Marx. In una nota, egli aveva evocato «lo "spirito" protestante» a proposito dell’introduzione nell’Inghilterra elisabettiana di leggi sui poveri caratterizzate da una spietata pignoleria.75 Ma nell’uso da parte di Weber dell’espressione «spirito del capitalismo» («un po’ pretenziosa», com’egli stesso riconobbe) non c’era traccia di ironia. Il suo tentativo di dimostrare il carattere cristiano (e, più specificamente, calvinista) dell’accumulazione originaria era assolutamente serio. Weber rovesciò le feroci osservazioni di Marx trasformandole nel punto di partenza del proprio saggio. Ma quando elogiò il «calcolo esatto» in quanto caratteristica della razionale organizzazione capitalistica, Weber non avrà pensato, verosimilmente, ai calcoli dei puritani sugli scalps dei pellirossa.76

Il modello proposto da Weber nell’Etica protestante, in cui la violenza è sistematicamente eliminata dalla prima fase della storia del capitalismo, è di gran lunga inferiore rispetto al modello proposto da Marx. Ma Weber aveva certamente ragione nel sottolineare il ruolo svolto da attori influenzati dalla religione: un punto decisivo, ignorato da Marx. E però, quali attori? Jean-Pierre Purry, l’imprenditore protestante che riconosceva l’importanza della violenza nel condurre indigeni pigri e non civilizzati verso il regno dell’abbondanza, non si concilia con l’ideal-tipo di Weber. Il caso di Purry ci costringe a ripensare da un punto di vista circoscritto, e inaspettato, la forza e i limiti rispettivi dei due modelli interpretativi della società che sono stati, e sono, i più influenti del nostro tempo.

 

 

13. La mia traiettoria verso la microstoria è passata attraverso le ricerche di studiosi che affrontavano testi e immagini concentrandosi su elementi marginali, apparentemente insignificanti: Leo Spitzer, Erich Auerbach, Giovanni Morelli. A questa versione della microstoria ne è stata contrapposta un’altra, orientata piuttosto verso le scienze sociali e una critica dei loro metodi.77 Questa contrapposizione, a mio parere, è priva di fondamento: le due versioni della microstoria sono accomunate da un progetto teorico comune, anche se perseguito in direzioni diverse. Certo, mi rendo conto che in questo contesto il termine «teoria» è tutt’altro che scontato. Nelle scienze sociali, la teoria è in molti casi tacitamente identificata con un’impostazione che potremmo definire, in senso lato, à la Max Weber, e la microstoria viene spesso identificata con una prospettiva analitica che cerca di strappare dall’oblio definitivo le vite dimenticate di individui marginali, o addirittura sconfitti. Se accettassimo questa definizione, la microstoria verrebbe relegata in una posizione periferica e sostanzialmente priva di valore teorico; la sua capacità di mettere in discussione le teorie dominanti sarebbe nulla. Il caso di Jean-Pierre Purry, precoce profeta della conquista del mondo da parte del capitalismo, potrebbe abbattere alcune delle barriere che dividono la microstoria dalla teoria – e la microstoria «sociale» dalla microstoria «culturale».78 Una vita scelta a caso può rendere «concretamente visibile» il tentativo di unificare il mondo, e le sue implicazioni.

Sto citando Auerbach. Ma Auerbach alludeva implicitamente a Proust. Lasciamo dunque a Proust l’ultima parola: «Gli sciocchi si immaginano che le vaste dimensioni dei fenomeni sociali siano un’ottima occasione per penetrare più addentro nell’animo umano: dovrebbero invece comprendere che solo discendendo in profondità nell’interno di un individuo abbiamo qualche probabilità di capire la natura di quei fenomeni».79