Avrai probabilmente già visto il grafico riportato qui sotto o un suo stretto parente anche se non hai mai frequentato un corso di economia. Il grafico mostra la «mappa dell’indifferenza» di un individuo riguardo a due beni.

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Figura 27.1.

Alle lezioni introduttive di economia, gli studenti imparano che ciascun punto della mappa designa una particolare combinazione di reddito e giorni di vacanza. Ciascuna «curva di indifferenza» collega le combinazioni dei due beni che sono parimenti desiderabili, ossia che hanno lo stesso livello di utilità. Le curve si convertirebbero in rette parallele se la gente fosse disposta a «vendere» giorni di ferie per un reddito supplementare allo stesso prezzo, indipendentemente da quanto reddito e quanti giorni di vacanza avesse. La forma convessa indica l’utilità marginale decrescente: più giorni di vacanza si hanno, meno importa averne di più, e ciascun giorno aggiunto vale meno di quello precedente. Analogamente, più reddito si ha, meno importano i dollari in più, e la quantità di denaro cui si è disposti a rinunciare per un giorno di ferie in più aumenta.

Tutte le posizioni sulla curva di indifferenza sono ugualmente attraenti. Questo è ciò che significa letteralmente «indifferenza»: non importa il punto in cui si è sulla curva. Dunque se A e B sono sulla stessa curva di indifferenza per te, tu sei indifferente nei loro confronti e non hai bisogno di un incentivo per spostarti dall’uno all’altro o per tornare indietro. Una versione di questa figura è apparsa in tutti i manuali di economia degli ultimi cento anni, e molti milioni di studenti l’hanno contemplata sulla carta. Pochissimi hanno notato che cosa mancava. Ancora una volta, il potere e l’eleganza di un modello teorico hanno accecato gli studenti e gli studiosi, impedendo loro di vedere una grave carenza.

Quello che manca, nel grafico, è un’indicazione dell’attuale reddito e degli attuali giorni liberi del soggetto.1 Se si è lavoratori dipendenti, il contratto di assunzione specifica il salario e il numero di giorni di vacanza, che è un punto sulla mappa. Quello è il tuo punto di riferimento, il tuo statu quo, ma il diagramma non lo mostra. Non mostrandolo, i teorici che hanno tracciato il grafico ti invitano a credere che il punto di riferimento non abbia importanza, mentre tu adesso sai che, naturalmente, importa moltissimo. È la ripetizione dell’errore di Bernoulli. La rappresentazione delle curve di indifferenza assume implicitamente che, in qualsiasi momento dato, la nostra utilità sia determinata esclusivamente dalla nostra situazione attuale, che il passato sia irrilevante e che il modo in cui valutiamo un potenziale nuovo lavoro non dipenda dai termini del contratto del nostro lavoro attuale. Tali assunti non sono per niente realistici, né in questo né in molti altri casi.

Non includere il punto di riferimento nella curva di indifferenza è un sorprendente caso di cecità indotta da teoria, perché spesso e volentieri ci imbattiamo in casi in cui il punto di riferimento, ovviamente, conta. Nelle trattative sul contratto di lavoro, entrambe le parti sanno bene che il punto di riferimento è il contratto esistente e che le trattative si incentreranno su reciproche richieste di concessioni riguardanti proprio quel punto. Si comprende anche bene il ruolo dell’avversione alla perdita nelle trattative: fare concessioni è doloroso. Immagino avrai diverse esperienze personali riguardo al ruolo del punto di riferimento. Se hai cambiato sede o lavoro, o anche solo considerato di cambiarli, ricorderai sicuramente che le caratteristiche del nuovo lavoro/sede erano codificate come migliori o peggiori rispetto al lavoro/sede precedente. Avrai forse anche notato che gli svantaggi apparivano molto più grandi dei vantaggi in quella valutazione: era all’opera l’avversione alla perdita. È difficile accettare i cambiamenti in peggio. Per esempio, il salario minimo che operai disoccupati accetterebbero in un nuovo potenziale lavoro è in media il 90 per cento del salario precedente e scende di meno del 10 per cento in un periodo di un anno.2

Per capire il potere che il punto di riferimento esercita sulle scelte, consideriamo Albert e Ben, «gemelli edonici» che hanno gusti identici e al momento partono da lavori identici, con scarso reddito e scarso tempo libero. Le loro attuali condizioni corrispondono al punto contrassegnato 1 nella figura 27.1. L’azienda offre loro due posizioni migliori, A e B, e li lascia liberi di decidere chi otterrà un aumento di 10.000 dollari (posizione A) e chi avrà un giorno in più di ferie pagate al mese (posizione B). Poiché sono entrambi indifferenti, lanciano una monetina. Ad Albert capita l’aumento, a Ben i giorni di ferie in più. Passa del tempo e a poco a poco i due gemelli si abituano alla loro posizione. Ora l’azienda fa capire che, se volessero, potrebbero scambiarsi il lavoro.

La teoria standard rappresentata nel diagramma assume che le preferenze siano stabili nel tempo. Le posizioni A e B sono parimenti allettanti per entrambi i gemelli, ed essi non hanno bisogno di alcun incentivo per scambiarsi i posti. In netto contrasto con essa, la prospect theory afferma che sia l’uno sia l’altro preferiranno decisamente rimanere dove sono. Questa preferenza per lo statu quo è una conseguenza dell’avversione alla perdita.

Concentriamoci su Albert. All’inizio era nella posizione 1 sul grafico e da quel punto di riferimento ha trovato queste due alternative parimenti attraenti:

Vai in A: aumento di stipendio di 10.000 dollari

oppure

Vai in B: 12 giorni di ferie in più

Assumere la posizione A modifica il punto di riferimento di Albert, e quando egli considera di passare in B, la sua scelta ha una nuova struttura:

Resti in A: nessun guadagno e nessuna perdita

oppure

Ti sposti in B: 12 giorni di ferie in più e una riduzione di 10.000 dollari del salario

Hai appena sperimentato l’esperienza soggettiva di un’avversione alla perdita. La senti sulla tua pelle: una diminuzione dello stipendio di 10.000 dollari all’anno è una bruttissima notizia. Anche ammesso che ottenere dodici giorni di ferie in più all’anno fosse gratificante quanto un guadagno di 10.000 dollari, un equivalente incremento del tempo libero non basterebbe a compensare la perdita di 10.000 dollari. Albert resterà in A perché lo svantaggio di spostarsi supera il vantaggio. Lo stesso ragionamento vale per Ben, il quale pure vorrà mantenere il lavoro attuale, in quanto la perdita di tempo libero ora prezioso supera il beneficio del reddito maggiore.

Questo esempio evidenzia due aspetti della scelta che il modello standard delle curve di indifferenza non prevede: primo, i gusti non sono fissi, ma variano con il punto di riferimento; secondo, gli svantaggi di un cambiamento appaiono più grandi dei suoi vantaggi, inducendo un bias che favorisce lo statu quo. Naturalmente l’avversione alla perdita non significa che non si preferisca mai cambiare situazione: i benefici di un’opportunità possono superare perfino le perdite cui si dà eccessiva importanza. L’avversione alla perdita implica solo che le scelte presentano un forte bias a favore della situazione di riferimento (e in genere a favore dei cambiamenti piccoli rispetto a quelli grandi).

Le curve di indifferenza convenzionali e la rappresentazione di Bernoulli dei risultati come stati di ricchezza condividono un assunto errato: che la nostra utilità riguardo a uno stato di cose dipenda solo da quello stato e non sia influenzata dalla nostra storia. Correggere tale errore è stato uno dei successi dell’economia comportamentale.

L’effetto dotazione

È spesso difficile stabilire con sicurezza quando siano iniziati una data metodologia o un dato movimento, ma l’origine di quella che oggi è chiamata «economia comportamentale» si può definire in maniera precisa. Nei primi anni Settanta Richard Thaler, allora studente di una facoltà di economia molto conservatrice, quella dell’Università di Rochester, cominciò a nutrire pensieri eretici. Aveva sempre avuto un pungente senso dell’umorismo e un penchant per l’ironia, e da studente si divertiva a raccogliere osservazioni sul comportamento che il modello dell’agente economico razionale non poteva spiegare. Gli piaceva particolarmente cercare prove di irrazionalità economica tra i suoi professori, e ne trovò una davvero notevole.

Il professor R. (che, come si sa oggi, era Richard Rosett, futuro decano della Graduate School of Business di Chicago) era un fervente adepto della teoria economica standard e un raffinato estimatore di vini. Thaler osservò che il professore era assai restio a vendere una bottiglia della sua collezione, anche all’elevato prezzo di cento dollari (dollari del 1975!), e che comprava il vino alle aste, ma non pagava mai più di 35 dollari una bottiglia di buona qualità. A prezzi tra i 35 e i 100, non comprava né vendeva. Tale grande divario non è in accordo con la teoria economica standard, secondo la quale il professore avrebbe dovuto avere un unico valore per la bottiglia. Se una particolare bottiglia valeva per lui 50 dollari, avrebbe dovuto essere disposto a venderla per qualsiasi somma superiore a 50 dollari. Se non l’avesse posseduta, avrebbe dovuto essere disposto a pagarla qualsiasi cifra fino a un massimo di 50 dollari.3 Il prezzo di vendita appena accettabile e il prezzo d’acquisto appena accettabile avrebbero dovuto essere identici, ma di fatto il prezzo di vendita minimo (100 dollari) era assai più alto del prezzo d’acquisto massimo (35 dollari). Il fatto di possedere il bene sembrava aumentare il valore di quest’ultimo.

Richard Thaler trovò molti esempi di quello che definì «effetto dotazione», specie per i beni che non sono commerciati comunemente. Ci si può facilmente immaginare in una situazione analoga. Supponiamo che tu sia in possesso di un biglietto per il concerto di una famosa band che ha fatto il tutto esaurito, e che tu lo abbia acquistato al regolare prezzo di 200 dollari. Sei un fan accanito e saresti stato disposto a pagare fino a 500 dollari il biglietto. Ora il biglietto è in tuo possesso e vieni a sapere attraverso Internet che fan più ricchi o più disperati stanno offrendo 3000 dollari per procurarselo. Lo venderesti? Se somigli alla maggior parte del pubblico di eventi sold-out, la risposta è no. Il tuo prezzo minimo di vendita supera i 3000 dollari e il tuo prezzo massimo d’acquisto è di 500 dollari. È un esempio dell’effetto dotazione, e un adepto della teoria economica standard sarebbe stupito.4 Thaler stava cercando una ragione che spiegasse quel genere di enigmi.

Il caso entrò in scena quando conobbe a un convegno uno dei nostri ex allievi ed ebbe da lui un primo abbozzo della prospect theory. Ricorda di avere letto il manoscritto con grande entusiasmo, perché si rese subito conto che la funzione del valore avversa alla perdita della prospect theory poteva spiegare l’effetto dotazione e altri enigmi della sua collezione. La soluzione era abbandonare la teoria standard, secondo la quale il professor R. aveva un’utilità unica per lo stato «possedere una particolare bottiglia». La prospect theory suggerisce che la disposizione a comprare o vendere la bottiglia dipende dal punto di riferimento, ossia dal fatto che il professore possieda o no la bottiglia in questo momento. Se la possiede, considera il dolore di rinunciare alla bottiglia. Se non la possiede, considera il piacere di procurarsela. I valori sono disuguali a causa dell’avversione alla perdita: rinunciare a una bottiglia di ottimo vino causa più dolore del piacere che procura comprarne una di vino altrettanto buono.5 Ricordiamoci il grafico dei guadagni e delle perdite del precedente capitolo. La pendenza della funzione è più ripida nel quadrante negativo; la risposta a una perdita è più forte della risposta a un guadagno corrispondente. Questa era la spiegazione dell’effetto dotazione che Thaler cercava da tempo. E oggi si ritiene che la prima applicazione della prospect theory a un problema economico sia stata un’importante pietra miliare nello sviluppo dell’economia comportamentale.

Quando seppe che Amos e io saremmo stati là, Thaler si organizzò per passare un anno alla Stanford. In quel periodo produttivo, imparammo molto l’uno dall’altro e diventammo amici. Sette anni dopo, avemmo un’altra occasione di trascorrere un anno insieme e continuare il dialogo tra psicologia ed economia. La Russell Sage Foundation, che per un pezzo fu la principale finanziatrice dell’economia comportamentale, concesse una delle sue prime borse di studio a Thaler perché spendesse un anno con me a Vancouver. Quell’anno lavorammo a stretto contatto con un economista del posto, Jack Knetsch, con il quale condividevamo un intenso interesse per l’effetto dotazione, le regole dell’equità economica e la cucina cinese speziata.

Il punto di partenza della nostra indagine fu che l’effetto dotazione non è universale. Se qualcuno ti chiede di cambiare un biglietto da cinque dollari con cinque monete da uno, tu gliele dai senza alcun senso di perdita. Né vi è molta avversione alla perdita quando vai a comprare le scarpe. Il titolare del negozio che ti dà le scarpe in cambio dei soldi non prova certo un senso di perdita; anzi, le scarpe che ti offre sono sempre state, dal suo punto di vista, uno scomodo proxy del denaro che sperava di prendere da un consumatore. Inoltre, probabilmente non provi un senso di perdita pagandolo, perché di fatto i soldi per te erano il proxy delle scarpe che intendevi comprare. Questi comuni casi di scambio commerciale non sono sostanzialmente diversi dallo scambiare una banconota da cinque dollari con cinque monete da uno. Non vi è avversione alla perdita né dall’una né dall’altra parte di un comune scambio commerciale.

Che cosa distingue queste transazioni commerciali6 dalla riluttanza del professor R. a vendere il suo vino, o da quella di coloro che, in possesso del biglietto del Super Bowl, si rifiutano di venderlo anche al prezzo più alto? La caratteristica distintiva è che sia le scarpe che il negoziante ti vende sia il denaro che destini all’acquisto delle scarpe sono «lì apposta per essere scambiati». Il loro scopo è essere dati via in cambio di altri beni. Altri beni, come il vino e i biglietti del Super Bowl, sono «lì per essere usati», per essere consumati o goduti in altro modo. Nemmeno il tuo tempo libero e il tenore di vita che il tuo reddito ti consente sono destinati a essere venduti o scambiati.

Knetsch, Thaler e io decidemmo di ideare un esperimento che mettesse in evidenza il contrasto tra beni destinati all’uso e beni destinati allo scambio. Prendemmo a prestito un aspetto dell’impostazione dell’esperimento da Vernon Smith, il fondatore dell’economia sperimentale, con il quale avrei condiviso il premio Nobel molti anni dopo. Seguendo tale metodo, ai partecipanti a un «mercato» viene distribuito un numero limitato di buoni. Qualunque soggetto possieda un buono alla fine dell’esperimento può riscattarlo in cambio di denaro. I valori di riscatto differiscono a seconda degli individui, per rappresentare il fatto che i beni scambiati nei mercati sono più preziosi per alcune persone che per altre. Lo stesso buono può valere 10 dollari per te e 20 per me, e uno scambio a qualsiasi prezzo tra questi due valori sarà vantaggioso sia per te sia per me.

Smith fornì vivide dimostrazioni di quanto funzionino bene i meccanismi fondamentali della domanda e dell’offerta. Alcuni individui fanno una serie di offerte pubbliche di vendita o acquisto di buoni, e altri rispondono pubblicamente all’offerta. Tutti guardano questi scambi e vedono il prezzo al quale i buoni cambiano di mano. I risultati sono regolari come quelli di una dimostrazione di fisica. Con la stessa inevitabilità con cui l’acqua scende a valle, coloro che possiedono un buono che è per loro di scarso valore (perché il loro valore di riscatto è basso) finiranno per venderlo con profitto a qualcuno che vi attribuisce più valore. Quando lo scambio finisce, i buoni sono nelle mani di coloro che sono in grado di ottenere la massima quantità di soldi dallo sperimentatore. La magia dei mercati ha funzionato! Inoltre, la teoria economica prevede correttamente sia il prezzo finale al quale il mercato si stabilizzerà sia il numero di buoni che cambieranno di mano. Se a metà dei partecipanti al mercato sono stati assegnati buoni a caso, la teoria predice che metà dei buoni cambieranno di mano.7

Usammo una variante del metodo di Smith per il nostro esperimento. Ciascuna sessione cominciò con diverse tornate di scambi di buoni, che replicarono esattamente la scoperta di Smith. Il numero stimato di scambi fu in genere molto vicino o identico alla quantità prevista dalla teoria standard. I buoni, naturalmente, avevano valore solo perché potevano essere scambiati con i soldi che offriva lo sperimentatore; non avevano valore d’uso. Poi istituimmo un mercato analogo con un oggetto cui pensavamo la gente avrebbe attribuito un valore d’uso: una bella tazza da caffè, decorata con lo stemma dell’università (qualunque fosse) dove stavamo conducendo gli esperimenti. La tazza valeva allora sei dollari (e oggi ne varrebbe circa il doppio). Le tazze furono distribuite a caso a metà partecipanti. I Venditori avevano la tazza di fronte a loro e i Compratori furono invitati a guardare quella del vicino: tutti i Venditori indicarono il prezzo al quale sarebbero state messe in vendita, e i Compratori dovevano usare i loro soldi per acquistarle. I risultati furono incredibili: il prezzo medio di vendita fu circa il doppio del prezzo medio d’acquisto, e il numero stimato di scambi fu meno della metà di quello previsto dalla teoria standard. La magia del mercato non funzionava per un bene che i proprietari pensavano di usare.

Conducemmo una serie di esperimenti utilizzando varianti della stessa procedura, sempre con gli stessi risultati. Il mio esperimento preferito è quello in cui aggiungemmo ai Venditori e ai Compratori un terzo gruppo: gli Sceglitori. Diversamente dai Compratori, che dovevano spendere i loro soldi per acquistare il prodotto, gli Sceglitori potevano ricevere o una tazza o una somma di denaro, e indicavano quale quantità di soldi era desiderabile quanto ricevere il prodotto. Questi furono i risultati:

Venditori 7,12 dollari
Sceglitori 3,12 dollari
Compratori 2,87 dollari

Il divario tra Venditori e Sceglitori è incredibile, perché di fatto essi si trovano di fronte alla stessa scelta! Se sei un Venditore puoi tornare a casa con una tazza o con una somma di denaro, e se sei uno Sceglitore hai esattamente le stesse due opzioni. Gli effetti a lungo termine della decisione sono identici per i due gruppi. L’unica differenza sta nell’emozione del momento. L’alto prezzo che i Venditori stabiliscono riflette la riluttanza a rinunciare a un oggetto che possiedono già, una riluttanza che viene osservata nei bambini piccoli quando stringono con furia un giocattolo o mostrano grande agitazione se esso viene portato loro via. L’avversione alla perdita è incorporata nelle valutazioni automatiche del sistema 1.

I Compratori e gli Sceglitori stabiliscono analoghi prezzi in contanti, anche se i Compratori devono pagare la tazza, che invece per gli Sceglitori è gratis. È quello che ci aspetteremmo se i Compratori non vivessero come una perdita lo spendere soldi in cambio della tazza. Prove raccolte con il neuroimaging confermano la differenza. Vendere beni che di norma si usano attiva regioni cerebrali associate al disgusto e al dolore. Anche comprarli attiva le medesime aree, ma solo quando i prezzi sono percepiti come troppo alti, ossia quando si ritiene che il venditore stia chiedendo una somma superiore al valore di mercato. Le tecniche di scansione indicano anche che comprare a prezzi particolarmente bassi è un evento piacevole.8

Il prezzo in contanti che i Venditori stabiliscono per la tazza è poco più del doppio del prezzo stabilito da Sceglitori e Compratori. Il rapporto è assai vicino al coefficiente di avversione alla perdita delle scelte di rischio, come sarebbe lecito aspettarsi se la stessa funzione del valore relativa ai guadagni e alle perdite di denaro valesse sia per le decisioni di rischio sia per quelle prive di rischio.9 Un rapporto di circa 2:1 è emerso da studi di svariati settori economici, tra cui la risposta delle famiglie alle variazioni di prezzo. Come direbbero gli economisti, i clienti tendono ad aumentare i loro acquisti di uova, succo d’arancia o pesce quando i prezzi calano, e a ridurli quando i prezzi aumentano; tuttavia, in contrasto con le previsioni della teoria economica, l’effetto degli aumenti di prezzo (perdite rispetto al prezzo di riferimento) è circa il doppio dell’effetto dei guadagni.10

L’esperimento delle tazze è rimasto la dimostrazione standard dell’effetto dotazione, assieme a un esperimento ancora più semplice di cui diede notizia Jack Knetsch più o meno alla stessa epoca. Knetsch chiese a due classi di compilare un questionario e compensò i ragazzi con un regalo che rimase davanti a loro per tutta la durata dell’esperimento. In una sessione il premio fu una costosa penna, in un’altra una tavoletta di cioccolato svizzero. Alla fine della lezione, Knetsch mostrò i due regali alternativi e permise a ciascuno studente di scambiare il proprio con un altro. Solo il 10 per cento dei partecipanti optò per lo scambio di regali. La maggior parte di quelli che avevano ricevuto la penna si tenne la penna, così come fecero quelli che avevano ricevuto il cioccolato.

Pensare come trader

I concetti fondamentali della prospect theory sono che i punti di riferimento esistono e che le perdite appaiono più grandi dei corrispondenti guadagni. Le osservazioni fatte nel corso degli anni nei mercati reali illustrano il potere di questi concetti.11 Un’indagine sul mercato degli appartamenti in condominio durante un periodo di crisi, a Boston, ha dato risultati particolarmente chiari.12 Gli autori dello studio confrontarono il comportamento di proprietari di unità abitative simili, i quali avevano acquistato il loro appartamento a prezzi diversi. Per un agente razionale, il prezzo a cui una casa è stata acquistata è un particolare irrilevante: conta solo l’attuale valore di mercato. Non è così per gli Umani in un mercato immobiliare in calo. I proprietari che hanno un punto di riferimento alto, e si trovano quindi davanti a perdite più elevate, fissano un prezzo più alto per la loro abitazione, dedicano più tempo a cercare di venderla e alla fine intascano più denaro.

L’originaria dimostrazione dell’asimmetria tra prezzi di vendita e prezzi d’acquisto (o, più propriamente, tra vendere e scegliere) fu molto importante per far accettare i concetti di «punto di riferimento» e «avversione alla perdita». Tuttavia è chiaro che i punti di riferimento sono labili, specie in insolite situazioni di laboratorio, e che l’effetto dotazione si può eliminare cambiando il punto di riferimento.

Non si prevede nessun effetto dotazione quando i proprietari considerano i loro beni come portatori di valore per scambi futuri, un atteggiamento diffuso nel commercio comune e nei mercati finanziari. L’economista sperimentale John List, che ha studiato lo scambio nei meeting di appassionati di figurine del baseball, ha scoperto che i trader novellini erano restii a separarsi dalle carte in loro possesso, ma che quella riluttanza alla fine scompariva con l’esperienza dello scambio. Particolare più sorprendente, List scoprì un cospicuo effetto dell’esperienza dello scambio sull’effetto dotazione per i nuovi prodotti.13

A un convegno espose un cartello con il quale invitava la gente a partecipare a una breve indagine in cambio di un piccolo dono: una tazza da caffè o una tavoletta di cioccolato di ugual valore. I doni venivano assegnati a caso. Quando i volontari stavano per andarsene, List diceva a ciascuno di loro: «Le abbiamo dato la tazza [o la tavoletta di cioccolato], ma può scambiarla con una tavoletta di cioccolato [o una tazza], se vuole». In un’esatta replica del precedente esperimento di Jack Knetsch, scoprì che solo il 18 per cento dei trader inesperti era disposto a scambiare il proprio dono con un altro. In netto contrasto con loro, i trader esperti non mostravano traccia di effetto dotazione: il 48 per cento scambiava i regali! Almeno in un ambiente di mercato in cui lo scambio era la norma, essi non mostravano alcuna riluttanza a praticarlo.

Jack Knetsch condusse anche esperimenti in cui annullava l’effetto dotazione attraverso sottili manipolazioni.14 I partecipanti mostravano l’effetto dotazione solo se possedevano fisicamente il bene per un certo tempo, prima che si menzionasse la possibilità dello scambio. Economisti di fede ortodossa sarebbero stati forse tentati di dire che Knetsch aveva passato troppo tempo con gli psicologi, perché nella sua manipolazione sperimentale mostrò di curarsi di variabili che gli psicologi sociali ritengono importanti. In effetti, che economisti e psicologi sperimentali abbiano preoccupazioni metodologiche diverse è stato molto evidente nell’attuale dibattito sull’effetto dotazione.15

I trader esperti hanno imparato, a quanto pare, a fare la domanda corretta, che è: «Quanto desidero possedere quella tazza, rispetto alle altre cose che potrei avere al suo posto?». È la domanda che si fanno gli Econ, e con questa domanda non c’è nessun effetto dotazione, perché l’asimmetria tra il piacere di ottenere e il dolore di rinunciare è irrilevante.

Recenti studi effettuati dalla psicologia «del processo decisionale in condizioni di povertà» lasciano pensare che i poveri siano un altro gruppo in cui non ci si aspetta di riscontrare l’effetto dotazione. Essere poveri, secondo la prospect theory, significa vivere al di sotto del proprio punto di riferimento. Vi sono beni di cui i poveri hanno bisogno e che non si possono permettere, sicché sono sempre «in perdita». Essi quindi percepiscono piccole somme di denaro non come un guadagno, ma come una riduzione della perdita. Il denaro aiuta a risalire un poco la china del punto di riferimento, ma i poveri restano sempre nel quadrante ripido della funzione del valore.

I poveri pensano come i trader,16 ma la dinamica è assai diversa: contrariamente a loro, non sono indifferenti alle differenze tra guadagnare e rinunciare. Il loro problema è che tutte le loro scelte sono tra una perdita e l’altra. Il denaro che è speso per un bene significa la perdita di un altro bene che avrebbe potuto essere comprato al suo posto. Per i poveri, i costi sono perdite.

Tutti conosciamo persone per le quali spendere è doloroso, anche se sono obiettivamente assai ricche. Possono anche esserci differenze culturali nell’atteggiamento verso il denaro, in particolare verso lo spendere denaro per capricci e piccoli lussi, come l’acquisto di una tazza decorata. Una simile differenza può spiegare la grande discrepanza tra i risultati dell’«indagine delle tazze» negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.17 I prezzi d’acquisto e quelli di vendita divergono molto negli esperimenti condotti su campioni di studenti americani, mentre le differenze sono risultate assai più piccole tra gli studenti inglesi. Sull’effetto dotazione c’è ancora molto da imparare.

A proposito dell’effetto dotazione

«Non le importava quale dei due uffici le sarebbe stato assegnato, ma il giorno dopo che fu fatto l’annuncio non era più disposta a cambiarlo con l’altro. Effetto dotazione!»

«Queste trattative non stanno approdando a niente perché entrambe le parti trovano difficile fare concessioni anche quando ottengono qualcosa in cambio. Le perdite paiono loro molto più grandi dei guadagni.»

«Quando hanno alzato i prezzi, la domanda si è esaurita.»

«Detesta l’idea di vendere la sua casa a un prezzo inferiore a quello sborsato in origine. È un caso di avversione alla perdita.»

«È povero, e considera qualunque dollaro speso una perdita.»