Note

INTRODUZIONE

1. Sono quelle che lo scrittore Michael Pollan definisce droghe “trasparenti”, «i cui effetti sulla coscienza sono troppo esigui per interferire con la nostra capacità di arrivare a fine giornata e di svolgere i nostri compiti. Le droghe come il caffè, il tè e il tabacco nella nostra cultura, o la cocaina o il qāt in altre, lasciano inalterate le coordinate spazio-temporali di chi ne fa uso» (Pollan, 2018, p. 142). In modo analogo, Stephen Braun distingue fra droghe “normalizzanti”, come la caffeina e la nicotina, e “intossicanti” (Braun, 1996, p. 164).

2. Sebbene si riferiscano a un concetto molto più ampio di “stati alterati” rispetto a questo libro (includendo la pornografia, il gioco d’azzardo e altre forme di intrattenimento immersivo, oltre a sostanze stimolanti come il tabacco o la caffeina), gli autori di Stealing Fire (Wheal, Kotler, 2007) stimano che, in tutto il mondo, si spendano approssimativamente quattro trilioni di dollari all’anno (dollaro statunitense nel 2016) all’unico scopo di “uscire di testa”.

3. McGovern (2009).

4. Resoconti eccellenti della storia dell’ebbrezza sono contenuti in Curry (2017), Forsyth (2017), Gately (2008), Guerra-Doce (2014), McGovern (2009, 2020), Sherratt (2005), Vallee (1998), Walton (2001).

5. La tesi classica secondo cui la birra sarebbe stata inventata prima del pane si trova in Braidwood et al. (1953); si vedano anche Katz, Voight (1986), Dietler (2006). Torneremo su questa teoria nel capitolo 3.

6. Citato in Cattabiani (1996, p. 441).

7. Come è noto, la teoria secondo cui la soma veniva prodotta a partire dell’Amanita muscaria, un fungo allucinogeno, venne avanzata con entusiasmo dal filosofo e micologo dilettante Gordon Wasson (1971), il quale riuscì a convincere molti studiosi dell’antica cultura vedica. Wendy Doniger (Doniger O’Flaherty, 1968) fornisce una panoramica esaustiva di varie teorie sulla natura della soma; si veda anche la discussione in Staal (2001).

8. Inni del Ṛgveda (1979, p. 218).

9. Fra i testi più divertenti e leggibili vanno citati Forsyth (2017), Gately (2008) e Walton (2001). Gately (2008) è probabilmente la fonte più esaustiva per la storia del consumo di alcolici, e si è rivelato molto utile nelle prime fasi di stesura di questo libro. Se da una parte Gately cita di sfuggita alcune possibili funzioni a livello individuale e sociale dell’alcol, dall’altra non tenta di fornire una rigorosa spiegazione del fenomeno da un punto di vista psicologico, neurobiologico, genetico o evolutivo-culturale. Forsyth (2017), che è stato pubblicato nelle fasi iniziali di stesura di questo libro, può essere visto come una versione più breve e volutamente umoristica del lavoro di Gately. Forsyth parte dal domandarsi perché abbiamo così tanta voglia di stordirci. L’autore, tuttavia, in modo frettoloso e piuttosto acritico, abbraccia l’ipotesi della “scimmia ubriaca” di Robert Dudley («Gli esseri umani sono progettati per bere. Accidenti se lo siamo. Siamo più bravi di qualunque altro mammifero […] l’ipotesi della scimmia ubriaca spiega perché», trad. it. pp. 23-24), cosa che risulta incoerente con la storia dell’ubriachezza che espone successivamente, come chiarirò nel capitolo 1.

Come discuteremo più avanti, nel mondo accademico alcuni antropologi e archeologi hanno avanzato articolate spiegazioni funzionali del consumo di sostanze tossiche, in particolare Dietler (2006), O. Dietrich et al. (2012), R.I.M. Dunbar (2014), R.I.M. Dunbar et al. (2016), Guerra-Doce (2014), E. Hagen e Tushingham (2019), Heath (2000), Jennings e Bowser (2009), McGovern (2009), Wadley e Hayden (2015). Forse la raccolta di saggi più importanti sull’argomento (Hockings e Dunbar, 2020) è stata pubblicata durante le ultime fasi di stesura di questo libro. Anche il capitolo 6 di Heath (2000) è caldamente consigliato. Esploreremo anche le ipotesi evoluzionistiche di biologi come Robert Dudley e Matthew Carrigan; per un’utile e breve panoramica di queste teorie, si veda M. Carrigan (2020, pp. 24-25) o McGovern (2020, pp. 86-87). In ambito antropologico, tuttavia, l’atteggiamento più diffuso è quello di ignorare le sostanze tossiche oppure di trattarle come “significanti” culturali senza alcuna relazione con gli effetti sottostanti sulla psicologia umana. Si veda, per esempio, il commento di MacAndrew e Edgerton secondo cui è “plausibile” che l’assunzione di alcol non svolga di per sé alcuna funzione cognitiva disinibente, ma provochi solo effetti motori che quindi fungono da simbolo sociale visibile di qualunque significato che in quella cultura viene attribuito all’intossicazione (MacAndrew, Edgerton, 1969). Dietler (2006) fornisce una panoramica della storia degli approcci antropologici all’alcol, sebbene consideri la fase più recente, di stampo costruttivista, un progresso rispetto al funzionalismo degli anni settanta e ottanta. Infine, per una raccolta fondamentale dei saggi antropologici rappresentativi delle prospettive più squisitamente culturali sul consumo di alcol che hanno dominato l’antropologia dagli anni ottanta a oggi, si veda Douglas (1987).

10. Come diverrà chiaro nelle pagine seguenti, la trattazione si manterrà all’interno del quadro teorico di ciò che è stato definito “coevoluzione geni-cultura” (Richerson, Boyd, 2005) o teoria dell’eredità duale (Joseph Henrich, McElreath, 2007), secondo cui la cognizione e il comportamento dell’uomo sono il risultato di due differenti modalità ereditarie, genetica e culturale. Pertanto, in generale utilizzerò il termine “evolutivo” per riferirmi sia all’evoluzione genetica che a quella culturale, anche se, quando necessario, avrò la premura di essere più specifico. Le perplessità espresse da alcuni studiosi, come per esempio Micheal Dietler, sull’“eccessiva leggerezza con cui si invocano spiegazioni genetiche o evolutive” (2020, p. 125) in fatto di atteggiamenti culturali nei confronti dell’alcol fondono erroneamente l’aspetto “evolutivo” con quello “genetico”. Mentre alcuni teorici dell’alcol potrebbero sostenere un punto di vista più ristretto, e superato, che assegna un ruolo esclusivo all’ereditarietà genetica, oggi il quadro concettuale offerto dalla coevoluzione geni-cultura è presumibilmente il modello standard negli approcci evolutivi al comportamento umano (si veda, per esempio, Joseph Henrich, 2015; Norenzayan et al., 2016; Slingerland, Collard, 2012).

11. Si veda, per esempio, Gerbault et al. (2011).

12. Griffith Edwards (2000, p. 56), che attribuisce il successo dell’alcol ai suoi effetti tossici relativamente moderati e alla facilità con cui può essere plasmato e regolato dalle norme culturali, a differenza di droghe più tossiche (pp. 56-57). Si veda anche Sher e Wood (2005) sugli effetti prevedibili e dose-dipendenti (a differenza, per esempio della cannabis; Kuhn e Swartzwelder, 1998, p. 181) e Mäkelä (1983) sulla facilità con cui l’alcol si integra in altre pratiche culturali.

1. PERCHÉ CI UBRIACHIAMO?

1. Dietler (2020, p. 115).

2. Per una panoramica della storia del bere, si veda Forsyth (2017), Gately (2008), McGovern (2009).

3. Vénus à la corne de Laussel, Collection Musée d’Aquitaine, si veda la discussione in McGovern (2009, pp. 16-17).

4. McGovern et al. (2004); McGovern (2020). Altre prove della produzione di birra rinvenute in Cina risalgono a circa 5000 anni fa. È improbabile che questa miscela di miglio, orzo e tuberi si aggiudicherebbe un premio in un festival contemporaneo dedicato alla birra, ma pare che questi antichi birrai avessero elaborato delle ricette prima della diffusione dell’agricoltura stanziale nella regione (Wang et al., 2016).

5. Gately (2008, p. 3).

6. Barnard et al. (2011).

7. Dineley (2004).

8. Kirkby (2006, p. 212).

9. E. Hagen, Tushingham (2019), Sherratt (2005).

10. Rucker, Iliff, Nutt (2018).

11. Si veda Carod-Artal (2015), Furst (1972) sulle “pietre fungo”; Sharon (1972, pp. 115-116) sul cactus “San Pedro” raffigurato sul recipiente di ceramica appartenente alla cultura Chavìn (1200-600 a.C.).

12. Le tossine in questione, nel loro insieme denominate bufotossine, sono prodotte dai rospi del genere Bufo. Si veda Carod-­Artal (2015).

13. Joseph Henrich (comunicazione personale) ha ipotizzato che, poiché esistono le prove che l’alcol possa aggravare gli effetti dell’intossicazione alimentare da ciguatera, un microrganismo tossico che contamina il pesce della barriera corallina, le culture in cui la ciguatera costituisce un problema potrebbero aver preferito la kava. La distribuzione delle culture del Pacifico in cui predomina l’uso della kava non sembra sovrapporsi alla prevalenza della ciguatera.

14. Lebot, Lindstrom e Merlin (1992, p. 13).

15. Long et al. (2016).

16. E. Hagen, Tushingham (2019).

17. Si veda Sherratt (2005, pp. 26-27). È probabile che nella regione la cannabis venisse consumata insieme all’oppio.

18. Carmody et al. (2018).

19. La varietà di tabacco coltivata dalla maggior parte delle culture native, Nicotiana rustica, è molto più forte della varietà commerciale odierna, Nicotiana attenuata; gli allucinogeni fumati insieme al tabacco includevano solitamente la datura o Brugmansia (Fuller, 2000, p. 35; Carod-Artal, 2015; Schultes, 1972, pp. 46-47).

20. Dineley (2004).

21. Guerra-Doce (2014).

22. Per esempio, Gately (2008), Forsyth (2017).

23. Weil (1972, p. 14).

24. Sherratt (2005, p. 33). Come fa notare Sherratt, nelle zone centrali del globo, dove hanno avuto avvio l’agricoltura e la civilizzazione su larga scala, l’alcol prodotto dai cereali o dalla frutta è in genere la droga preferita. Le popolazioni più a nord tendono a usare narcotici come l’oppio, la cannabis o il tabacco, mentre le popolazioni meridionali hanno sviluppato una propensione per sostanze stimolanti come la cocaina, il qāt, il caffè o il tè. L’uso di varie sostanze allucinogene, ricavate da piante rampicanti, cactus o funghi, è diffuso ovunque. Si veda Sherratt (2005, p. 32).

25. Sarebbe il caso di aggiungere che in ambito antropologico si tenta da tempo di spiegare il consumo di alcol in termini funzionali, in particolare come un modo per alleviare l’ansia o lo stress. Patrick (1952, pp. 45-47) fornisce un pregevole sommario delle teorie antropologiche classiche elaborate fra gli anni venti e quaranta del secolo scorso. Tratteremo questa prospettiva, oltre ai tentativi antropologici più recenti di spiegare la nostra predilezione per gli alcolici, più avanti.

26. R. Siegel (2005, p. 54).

27. Dal 1814, citato in Blocker (2006, p. 228).

28. Nesse, Berridge (1997, pp. 63-64).

29. Come osserva Pinker, «si guardano riviste pornografiche quando si potrebbe cercarsi un partner, si saltano i pasti per comprare eroina, si vende il proprio sangue per avere i soldi per il cinema (in India), si aspetta a far figli per far carriera, si mangia in modo da scavarsi la tomba da sé. I vizi umani sono la prova che l’adattamento biologico, letteralmente parlando, è qualcosa che appartiene al passato. La nostra mente è adattata alle piccole bande di cacciatori-raccoglitori nelle quali la nostra famiglia ha passato il novanta per cento della sua esistenza, non al mondo sottosopra che abbiamo creato a partire dalle rivoluzioni agricola e industriale» (Pinker, 1997, trad. it. pp. 221-222). Per altre esposizioni della teoria del dirottamento, si vedano Hyman (2005) e Wise (2000).

30. Heberlein et al. (2004).

31. Devineni, Heberlein (2009).

32. Shohat-Ophir et al. (2012).

33. Detto ciò, chiaramente ci sono in gioco forze adattive nell’attrazione dei moscerini della frutta per l’alcol e nella loro capacità di metabolizzarlo. La ricerca dell’etanolo li porta verso la frutta molto matura, ossia la loro fonte primaria di cibo, e, come vedremo più avanti, talvolta i moscerini rivolgono la loro elevata capacità di metabolizzare l’alcol contro i predatori, come le vespe parassitoidi.

34. Dudley (2014, 2020).

35. L’autore aggiunge: «Alcuni umani, in effetti, abusano di alcol poiché questo attiva antichi percorsi neurali che un tempo erano utili dal punto di vista nutritivo, ma che oggi inviano falsi segnali di ricompensa in seguito a un’assunzione eccessiva». Dudley (2014, pp. XII-XIII).

36. Steinkraus (1994); Battcock, Azam-Ali (1998).

38. Fermentare il mais in birra quasi raddoppia i livelli di riboflavina e acido nicotinico, oltre a triplicare o quadruplicare il livello di vitamine del gruppo B; trasformare il grano in birra produce aminoacidi essenziali, accresce i livelli di vitamina B e fornisce sostanze che favoriscono l’assorbimento di sali minerali essenziali. Si vedano Platt (1955), Steinkraus (1994), Katz, Voight (1986).

39. Curry (2017).

40. Si vedano gli studi citati in Chrzan (2013, pp. 53-55).

41. Si vedano gli studi citati in Dietler (2020, p. 118).

42. Milan, Kacsoh e Schlenke (2012).

43. Rosinger, Bathancourt (2020, p. 147). Si veda anche Vallee (1998) e Arthur (2014).

44. Per esempio, Sullivan, Hagen e Hammerstein (2008) sostengono che le neurotossine vegetali possano fungere da farmaci antielmintici, che potrebbero aver fornito un significativo vantaggio adattivo ai nostri antenati, i quali, senza i benefici della medicina moderna, vivevano meno a lungo e presentavano un carico parassitario più elevato.

45. Si vedano, per esempio, i commenti di Katharine Milton (2004), collega di Dudley alla UC Berkeley, la quale sottolinea, fra le altre cose, come i mammiferi che non si nutrono di frutta, come topi e ratti, mostrino pattern di assunzione di etanolo simili a quelli umani. Come fa notare Dudley in sua difesa (2020, p. 10), tuttavia, alcuni lavori recenti (Peris et al., 2017) suggeriscono che la fermentazione nella frutta può esaltarne l’aroma e renderla più appetibile a mammiferi e uccelli.

46. L’introduzione migliore al potere dell’evoluzione culturale, e al modo in cui la nostra specie vi fa affidamento, è Joseph Henrich (2015). Si veda anche la discussione sull’importanza sul carattere cumulativo della cultura nel capitolo 2.

47. Dietler (2006), in risposta a Joffe (1998), fa notare che, secondo le ricerche interculturali, spesso le persone bevono sia alcolici che acqua, o aggiungono l’acqua agli alcolici. I greci, come è noto, allungavano il vino con l’acqua.

48. Per un’autorevole teoria su quali altri forze adattive siano all’opera, si veda Norenzayan et al. (2016) e i relativi commenti.

49. Come fa notare Iain Gately, a proposito delle prime esplorazioni da parte degli europei, «nelle spedizioni il vino costituiva una voce di spesa rilevante. Magellano spendeva più in sherry che in armamenti; anzi, le sue razioni di vino costarono quasi il doppio della sua nave ammiraglia, la San Antonio» (Gately, 2008, p. 95).

50. Si veda la citazione in Mandelbaum (1965, p. 284). Nella colonia originaria di New York, il governatore Edmund Andros impose un parziale proibizionismo, vietando la distillazione dei cereali, a eccezione di quelli avariati e non commestibili: i produttori di alcolici utilizzavano una parte così consistente del raccolto che la popolazione non riusciva a procurarsi il pane (­Gately, 2008, p. 153).

51. Duke (2010).

52. Poo (1999, p. 127).

53. Guasch-Jané (2008).

54. Forsyth (2017, a proposito del magazzino costruito per ospitare la fornitura di rum della Prima Flotta, trad. it. p. 207).

55. Ivi, p. 50.

56. Citato in Gately (2008, p. 215).

57. Ivi, p. 216.

58. Pollan (2001, pp. 3-58).

59. Jennings, Bowser (2009).

60. Infatti, Dietler (2006) fa notare che «gli alcolici più tradizionali sono destinati al consumo immediato: andrebbero a male nel giro di pochi giorni» (p. 238). La maggior parte delle birre di cereali, per esempio, si guastano rapidamente se non con l’aggiunta di luppolo, un’innovazione che sarebbe comparsa solo nell’Europa del IX secolo.

61. Holtzman (2001).

62. Shaver, Sosis (2014). Come fanno notare gli autori, la kava deve compensare i costi imposti dalla produzione e dal consumo della bevanda con benefici sociali significativi.

63. Un altro storico ha stimato che, nel periodo della Rivoluzione francese, il parigino medio spendeva il 15 per cento del proprio reddito in vino (citato in Mäkelä, 1983).

64. Wettlaufer et al. (2019).

65. Collaboratori (2018, p. 12). Corsivo dell’autore.

66. William Shakespeare, Otello, atto II, scena III.

67. Come fa notare Ronald Siegel, in tutto il regno animale gli individui che si intossicano con l’alcol o le piante sono più soggetti a incidenti e predazioni e tendono a essere genitori pessimi e disattenti (Siegel, 2005). Uno studio di Sánchez et al. (2010) ha mostrato che la frutta fermentata con un tasso di etanolo superiore all’1 per cento faceva ubriacare i pipistrelli che si nutrono di frutta, compromettendone il volo, l’ecolocazione e la comunicazione con altri pipistrelli, esponendoli così al serio rischio di ferirsi o di essere predati. Si veda anche Samorini (2002, pp. 11, 22 e ss.).

68. Come hanno osservato Steve Morris e i suoi colleghi (Morris, Humphreys, Reynolds, 2006), malgrado i racconti di elefanti selvatici che si ingozzano di frutta matura e alcolica per poi dare in escandescenze, alcune semplici considerazioni fisiologiche suggeriscono come questo sia impossibile. La frutta matura ha una gradazione alcolica molto bassa, e gli elefanti sono animali enormi. «Estrapolando dalla fisiologia umana», osservano gli autori, «un elefante di 3000 chili dovrebbe ingerire fra i 10 e i 27 litri di etanolo al 7 per cento in un breve lasso di tempo per avere effetti sul comportamento.» Il che è a dir poco improbabile in natura. Un elefante potrebbe ubriacarsi solo se avesse a disposizione grandi quantità di bevande ad alta gradazione alcolica. In altre parole, non possono esserci elefanti ubriachi senza umani ubriachi.

69. Carrigan (2020); Carrigan et al. (2014); si veda anche Gochman, Brown e Dominy (2016) per le prove secondo cui l’ADH4 consente a due primati, l’aye-aye e il lori lento (non è un nome meraviglioso?), di preferire la frutta ad alto contenuto alcolico. Hockings e Dunbar ipotizzano che l’ADH4 abbia permesso alle linee di discendenza dei primati che lo possedevano di sopravvivere a un’estinzione di massa dei primati antropomorfi che si verificò con la crisi di salinità del Miocene (10,4-5 milioni di anni fa), quando l’abilità peculiare delle scimmie di digerire la frutta acerba diede loro un vantaggio altrimenti decisivo (2020, p. 197).

70. Si veda in particolare E.H. Hagen, Roulette e Sullivan (2013), E. Hagen, Tushingham (2019), Sullivan, Hagen, Hammerstein (2008).

71. Vale la pena notare che anche i nostri parenti più stretti, ossia i gorilla e gli scimpanzé, sembrano apprezzare le sostanze inebrianti di origine vegetale. Anzi, alcune culture locali sostengono di aver scoperto le proprietà psicoattive delle piante nel loro ambiente osservandone l’utilizzo da parte di altri primati (Samorini, 2002).

72. Sulla tolleranza al lattosio si veda Gerbault et al. 2011; per il Tibet, si veda Lu et al. (2016); per l’adattamento all’apnea, si veda Ilardo et al. (2018).

73. Si veda Gibbons (2013) per un resoconto sulle ricerche che documentano i problemi dell’uomo con il piede, la caviglia e la schiena in termini di path-dependence (“dipendenza dal percorso”).

74. Il farmaco, il disulfiram, mima gli effetti di un ALDH inefficiente inibendo l’attività dell’enzima. Si veda Oroszi, Goldman (2004).

75. G.S. Peng et al. (2014); Y. Peng et al. (2010).

76. Goldman, Enoch (1990).

77. Park et al. (2014); Han et al. (2007). Si veda anche Polimanti e Gelernter (2017), i quali sostengono che «le firme genetiche della selezione in corrispondenza del locus ADH1B [il gene che codifica per la variante iperefficiente dell’ADH] sono principalmente correlate a effetti diversi da quelli provocati dal metabolismo dell’alcol», ed è probabile che al contrario riflettano una risposta al problema delle malattie infettive.

78. Vale la pena notare che M.A. Carrigan et al. (2014) considerano la combinazione di questi due enzimi come “una prima fase di adattamento” al nuovo problema dell’alcol sorto con l’avvento dell’agricoltura su larga scala. Rimane aperta la questione di quanto rapidamente dovremmo aspettarci che questa particolare soluzione ottimale si diffonda in assenza di forze adattive contrapposte. Data la rapidità dell’evoluzione genetica e la serietà del problema dell’alcol, tuttavia, è ragionevole presupporre che la lentezza con cui si diffonderebbe questa classe di enzimi rifletta la forza delle pressioni contrapposte del genere che esamineremo più avanti: i benefici adattivi, per gli individui come per i gruppi, dell’intossicazione alcolica. In ogni caso, le considerazioni di matrice evolutivo-culturale che prenderemo in considerazione corroborano la tesi secondo cui la combinazione genetica responsabile della sindrome del rossore asiatico si sia diffusa in modo misteriosamente lento.

79. Frye (2005, p. 67).

80. Forsyth (2017, trad. it. p. 148).

81. Gately (2008, p. 63).

82. Forsyth (2017, trad. it. p. 155).

83. Shījīng, nn. 220 e 225, citate in Kwong (2013, p. 46). Dopo una lunga descrizione dei caotici comportamenti da sbronzi, l’ode conclude: «Bere vino è appagante / purché sia fatto con educazione» (citato in Waley, 1996, p. 208).

84. Citato in Chan (2013, p. 16). Come ha notato Robert Eno, le prime citazioni nelle fonti scritte del “mandato del cielo” miravano a proteggere la nuova discendenza reale dal bere, che è considerato il vizio principale all’origine della caduta della dinastia Shang (Eno, 2009, p. 101).

85. A proposito delle prime preoccupazioni dei cinesi per l’alcol, si veda Poo (1999) e Sterckx (2006, pp. 37-40).

86. Chan (2013, p. 16).

87. Poo (1999, n. 23).

88. Per esempio, nel 207 d.C. Cao Cao (155-220), grande cancelliere della dinastia Han orientale, promulgò un editto che proibiva il consumo di alcolici, preoccupato dal fatto che l’eccesso nel bere stesse conducendo al caos sociale e mettendo in pericolo lo stato. Vale la pena notare come Cao Cao e i membri della sua corte fossero esentati dal divieto: non a caso sarebbero divenuti famosi per aver coniato dei tropi poetici sui ritrovi a base di vino (N.M. Williams, 2013).

89. Da James Davidson cit. in Chrzan (2013, p. 20).

90. Tlusty (2001, p. 71).

91. Dal 1898, citato in Edwards (2000, p. 45).

92. Citato in Hall (2005, p. 79).

93. Ibid.

94. Sherratt (2005, p. 21).

95. Matthee (2014, p. 101). Anche Mark Forsyth fornisce un utile resoconto degli atteggiamenti contraddittori nei confronti dell’alcol nell’islam (Forsyth 2017, trad. it. pp. 129-146).

96. Citato in Matthee (2014, p. 100).

97. Fuller (1995).

98. Fuller (2000, p. 113); si veda anche Fuller (1995, pp. 497-498).

99. Sherratt (2005, p. 23).

100. Poo (1999, p. 135).

101. Shījīng, n. 279, “Anno abbondante”, cit. in Kwong (2013, p. 46).

102. Poo (1999).

103. Chrzan (2013, pp. 34-39).

104. Edwards (2000, pp. 22-23). Si veda anche T. Wilson (2005).

2. LASCIARE APERTA LA PORTA A DIONISO

1. Si veda Henrich (2015, cap. 2) a proposito dei limiti dell’intelligenza umana individuale, e il capitolo 3 sulle disavventure di esploratori europei naufragati, racconti che illustrano l’impotenza dell’uomo quando cerca di sopravvivere senza poter contare sulle conoscenze culturali.

2. Per un punto di vista altrettanto illuminante sui disastri storici, si veda Christakis (2019, cap. 2) a proposito dei naufraghi sopravvissuti, il cui successo dipende essenzialmente dalla cooperazione efficace e dal fatto di subordinare i bisogni individuali a quelli del gruppo. Vale la pena notare che Christakis indica nella presenza dell’alcol un fattore causale dell’insuccesso delle “comunità non intenzionali” (2019, pp. 50, 95, 99), il che sembra contraddire una tesi centrale del libro, ossia che l’alcol avrebbe aiutato l’uomo a conquistare la socialità. Di fatto, questi esempi corroborano un’argomentazione che proporrò nel capitolo 5: in assenza di norme culturali o rituali che ne disciplinino il consumo, un liquore distillato (una forma di alcol inedita dal punto di vista evolutivo e insolitamente nociva, e pressoché l’unica cosa che rimaneva ai naufraghi sopravvissuti) è più dannoso che vantaggioso tanto per gli individui quanto per i gruppi sociali.

3. Si vedano Boyd, Richerson e Henrich (2011) e Laland (2000).

4. Di nuovo, l’introduzione più godibile e interessante a questo tema è Henrich (2015). Si vedano in particolare i capitoli 15 (“When We Crossed the Rubicon”), 16 (“Why Us?”) e 17 (“A New Kind of Animal”). Si veda anche Boyd, Richerson e Henrich (2011).

5. Wrangham (2009). L’autore è convinto che l’adattamento al fuoco vada fatto risalire a Homo erectus, ma su questo punto il dibattito è ancora aperto.

6. Hrdy (2009, cap. 1, “Apes on a Plane”).

7. Haidt, Seder e Kesebir (2008).

8. Si veda Marino (2017) per una revisione della letteratura.

9. Si veda Heidt (2020) per un resoconto delle ricerche recenti sull’argomento.

10. Dally, Emery e Clayton (2006); Emery, Clayton (2004).

11. B. Wilson, Mackintosh, Boakes (1985). Sebbene gli uccelli abbiano seguito una traiettoria evolutiva molto diversa dai primati, attraverso un processo di evoluzione convergente i corvidi sembrano aver sviluppato una regione cerebrale, il nidopallium caudolaterale (NCL), che dal punto di vista funzionale è analogo alla corteccia prefrontale (PFC) umana, sede del ragionamento astratto e della funzione esecutiva (Veit, Nieder, 2013). Come vedremo, la PFC ha un ruolo di rilievo in qualunque resoconto sulla funzione adattiva dell’ebbrezza.

12. Heinrich (1995).

13. Gopnik et al. (2017).

14. Un’altra specie caratterizzata dalla menopausa è l’orca, probabilmente per ragioni simili agli esseri umani, ossia un cospicuo investimento nell’allevamento dei piccoli. Si veda Fox, Muthukrishna e Shultz (2017).

15. Sofocle (1982, p. 73).

16. Huizinga (1955, trad. it. p. 128).

17. Richerson, Boyd (2005).

18. Huizinga (1955, trad. it. p. 130).

19. Hole.

20. Gopnik et al. (2017). Si veda l’articolo per i riferimenti bibliografici a supporto della tesi.

21. La densità della materia grigia e della materia bianca rispecchia il volume di materia bianca e grigia in proporzione al volume intracranico totale.

22. Come osservano Gopnik e i suoi colleghi, «un forte controllo frontale impone dei costi in termini di esplorazione e apprendimento. Interferenze nel controllo prefrontale indotte tramite stimolazione transcranica a corrente diretta portano a una gamma più ampia di risposte in un compito sul “pensiero divergente”; durante l’apprendimento è stato rilevato un tipico allentamento del controllo frontale». Si vedano in particolare Thompson-Schill, Ramscar e Chrysikou (2009), Chrysikou et al. (2013). Si veda anche Chrysikou (2019).

23. Limb, Braun (2008).

24. Chrysikou et al. (2013). Si veda anche uno studio più recente, Hertenstein et al. (2019), in cui la disattivazione transcranica della PFC sinistra e la stimolazione della PFC destra ha portato a una performance migliore in diversi compiti di creatività e pensiero laterale.

25. Brown (2009, trad. it. p. 50).

26. Ivi, pp. 34-35.

27. Ivi, p. 43.

28. Zabelina, Robinson (2010).

29. Henrich (2015).

30. Muthukrishna et al. (2018).

31. Gli autori aggiungono: «Gli individui connessi in cervelli collettivi, che trasmettono e acquisiscono informazioni in modo selettivo, spesso in modo del tutto inconsapevole, possono produrre progetti complessi senza bisogno di un progettista, proprio come fa la selezione naturale nell’evoluzione genetica. I processi di evoluzione culturale cumulativa hanno come risultato tecnologie e tecniche che nessun singolo individuo potrebbe ricreare nell’arco della propria vita, e non richiedono che i loro beneficiari capiscano come e perché funzionano» (ibid).

32. Henrich (2015, pp. 97-99).

33. Ibid.

34. Kline, Boyd (2010); Bettencourt, West (2010).

35. Henrich (2015, cap. 15).

36. Gopnik (2009, p. 123).

37. Ivi, pp. 115-119.

38. Ivi, pp. 95, 105.

39. Skyrms (2004, p. XI); si veda Yanai, Lercher (2016).

40. Dawkins (1976/2006). La riproduzione sessuale rappresenta di per sé una forma di accordo cooperativo: finché il processo in base al quale certi geni vengono selezionati per imbarcarsi sulla scialuppa di salvataggio della cellula sessuale (spermatozoo o uovo) è casuale e quindi imparziale, tutti accettano una situazione in cui metà di loro non ce la farà. Per questo vi sono potenti pressioni evolutive che garantiscono che la selezione si mantenga davvero imparziale, resistendo alla pressione di vari meccanismi “disonesti” che mirano a favorire un gruppo di geni a discapito di un altro.

41. Per un’eccellente introduzione ai processi darwiniani attivi a ogni livello di cooperazione, dai geni alle cellule e fino agli individui in gruppo, si veda D.S. Wilson (2007).

42. Si veda Hauert et al. (2002). Come fanno notare gli autori, «la diversità dei nomi sottolinea l’ubiquità della questione» (p. 1129).

43. Per fare un esempio tratto dalla politica, negli Stati Uniti le primarie democratiche del 2020 furono caratterizzate da una variante del “dilemma del prigioniero”. Per l’ala moderata del partito democratico, il bene pubblico richiedeva chiaramente che ci si stringesse intorno a un unico candidato, ma (almeno fino al Super Tuesday) nessun moderato si era detto disposto a sacrificare la propria candidatura se gli altri concorrenti non si fossero impegnati ad accordarsi su una scelta condivisa. I cartelli del petrolio, come l’OPEC e i paesi sotto la sua sfera d’influenza, sono vulnerabili all’iniziativa di un membro isolato di aumentare la produzione a spese degli altri membri. Per esempio, al momento della stesura di questo libro (marzo 2020), sulla scia del crollo del prezzo del petrolio causato dalla pandemia di Covid-19, l’Arabia Saudita decise in autonomia di aumentare la produzione e tagliare ulteriormente il prezzo, a spese della Russia.

44. Damasio (1994); R. Frank (1988, 2001); Haidt (2001).

45. R. Frank (1988).

46. La filosofa che più si è impegnata per reindirizzare la nostra attenzione su questo genere di relazioni, oltre a riconoscere nella fiducia il presupposto più profondo alla base di tutte le interazioni umane, è Annette Baier. Si veda in particolare Baier (1994).

47. Spinka, Newberry e Bekoff (2001); Brown (2009, p. 181).

48. Brown (2009, trad. it. pp. 33-34).

49. Gopnik (2009, p. 11).

50. In effetti Gopnik e i suoi colleghi riconoscono il problema, quando osservano che «raramente i bambini sono autori di complesse innovazioni tecniche; in effetti progettare e produrre uno strumento efficace, per esempio, è un compito impegnativo che richiede sia innovazione che capacità esecutive». Gli autori, tuttavia, considerano la giovinezza in sé come il segreto dell’innovazione culturale: «Innovazioni che hanno difficoltà a imporsi e a diffondersi quando vengono introdotte, nel giro di una generazione possono riscuotere un notevole successo. Infatti, fra gli animali non umani, le innovazioni culturali vengono spesso prodotte, adottate e diffuse dai giovani» (2017, pp. 55-58).

51. Matteo (18,3); Tao Te Ching, capp. 10, 20, 28, 55.

52. Braun (1996, p. 40).

53. Ivi, p. 14.

54. Per un’eccellente introduzione generale agli effetti fisiologici dell’alcol si veda Sher, Wood (2005); Sher et al. (2005).

55. Olive et al. (2001); Gianoulakis (2004).

56. Vale la pena aggiungere che l’alcol viene consigliato per favorire il sonno, quando in realtà non è così. Il suo effetto sedativo, tramite l’inibizione dell’attività cerebrale, rende più facile prendere sonno. Tuttavia, il cervello cerca sempre di adattarsi e ritrovare l’equilibrio, ed esistono evidenze secondo cui risponde agli effetti inibitori dell’alcol agendo sul sistema eccitatorio, innescando così un effetto rebound. Ecco perché, sotto l’azione dell’alcol, cadiamo subito in un sonno profondo, ma poi ci svegliamo in piena notte e abbiamo difficoltà a riaddormentarci.

57. Olsen et al. (2007).

58. Miller, Cohen (2001).

59. Mountain, Snow (1993).

60. Heaton et al. (1993); Lyvers, Tobias-Webb (2010); Nelson et al. (2011); Easdon et al. (2005). Analogamente Lyvers, Mathieson ed Edwards (2015) hanno mostrato che l’alcol influisce negativamente sulla performance in un altro compito sperimentale, l’Iowa Gambling Test (IGT), che dipende più specificamente dalla funzione della corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC).

61. Nie et al. (2004).

62. Steele, Josephs (1990) furono i primi sostenitori della teoria della “miopia” da ebbrezza alcolica; si vedano anche Sayette (2009), Sher et al. (2005, p. 92 e ss.) e Bègue et al. (2013) per altrettante revisioni della letteratura.

63. Dry et al. (2012).

64. A proposito della disinibizione, si veda Hirsch, Galinsky e Zhong (2011); sulla compromissione della PFC, della ACC e del controllo cognitivo generale, si vedano Lyvers (2000), Curtin et al. (2011), Hull, Slone (2004). Malcolm Gladwell (2010) presenta i resoconti sulla disinibizione e la miopia come contrastanti, laddove sembra più plausibile che siano complementari, nient’altro che due aspetti della sottoregolazione indotta dall’alcol della PFC e dei sistemi associati.

65. Easdon et al. (2005).

66. Carhart-Harris et al. (2012, 2014); Kometer et al. (2015); Pollan (2018, pp. 303-305). Uno studio di Dominguez-Clave et al. (2016) suggerisce che anche l’ayahuasca allenti i vincoli top-down e “il controllo cognitivo esercitato dalla corteccia frontale”.

67. A. Dietrich (2003).

68. Kuhn, Swartzwelder (1998, p. 181).

69. Questa tensione è stata identificata con grande profondità dal filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. Si veda in particolare La nascita della tragedia (1872).

70. Platone, Leggi (1991, p. 1494).

71. Huxley (1954, trad. it. p. 64).

72. Fertel (2015).

3. EBBREZZA, ESTASI E LE ORIGINI DELLA CIVILTÀ

1. Braidwood et al. (1953); Katz, Voigt (1986); Sauer in Braidwood et al.; Dietler (2006); Haydn et al. (2013) (Natufian). Si veda anche Dominy (2015) per un punto di vista opposto.

2. Arranz-Otaegui et al. (2018).

3. Hayden (2013); Arranz-Otaegui et al. (2018).

4. Per esempio, un sigillo d’argilla rinvenuto nel nord dell’Iraq, forse risalente al 4000 a.C., mostra due persone intente a bere con cannucce di paglia da un grande orcio, che di certo non contiene acqua. La birra sumera era una versione davvero tosta di quella che oggi chiamiamo birra “non filtrata”: il lievito veniva lasciato negli orci durante la fermentazione e formava una crosta solida in superficie. La birra veniva bevuta forando la crosta di lievito con delle cannucce di paglia. Si veda Katz, Voight (1986).

5. Fay, Benavides (2005). Il 95 per cento dei lieviti di vino sono strettamente imparentati fra loro, suggerendo un’unica origine della produzione del vino d’uva, probabilmente in Mesopotamia, diffusasi poi in Medio Oriente e in Europa (Sicard, Legras, 2011).

6. Si veda Jennings, Bowser (2009) a proposito delle forti evidenze della diffusione della produzione della chicha in tutto il Sudamerica fin dai primi secoli dell’era volgare.

7. Watson (1989, p. 231); Watson et al. (1983).

8. Si veda la discussione in Carmody et al. (2018).

9. Friedrich Hölderlin, “La vocazione del poeta”, in Poesie scelte, Feltrinelli, Milano 2012, p. 125.

10. Citato in Mattice (2011, p. 247).

11. Citato in Kwong (2013, p. 56), traduzione modificata. Personalmente, il mio poeta “ubriaco” preferito è Tao Qian, o Tao Yuanming (365-427). Si veda Mattice (2011), Kwong (2013) e Ing (in corso di pubblicazione, cap. 3) per alcune eccellenti indagini sul ruolo del vino nella cultura cinese antica e in quella greca.

12. Citato in Gately (2008, p. 16).

13. Gately (2008, p. 56).

14. Roth (2005, p. 122).

15. Cit. in Roth (2005, p. 108). Si veda Roth per un’eccellente panoramica sul ruolo delle sostanze inebrianti nella creatività antica e contemporanea. Si veda anche Djos.

16. Lebot, Lindstrom e Merlin (1992, p. 155).

17. Si vedano i commenti del clarinettista jazz Mezz Mezzrow (1899-1972), guru della cannabis per la controcultura americana di metà Novecento, cit. in Roth (2005, p. 130).

18. Eliade (1964) è un’opera classica sullo sciamanesimo da un’ottica interculturale. Per una panoramica più recente, in un quadro evolutivo moderno, si veda Winkelman (2002).

19. Lietava (1992). Tuttavia, si veda Sommer (1990) per un’argomentazione secondo cui le tracce di vegetali sarebbero state introdotte dopo la sepoltura dalla fauna selvatica locale.

20. Harkins (2006).

21. Amabile (1979); si veda Harkins (2006) a proposito della “relazione valutazione-performance”.

22. Aiello et al. (2012), e in particolare, ottimamente rivisto in ibid., Beilock, DeCaro (2007). Si veda anche il lavoro di Sian Beilock sulla “fragilità della performance competente” (Beilock, Carr, 2001).

23. Gable, Hopper e Schooler (2019). Per ulteriori approfondimenti sul mind wandering, si veda Schooler (2013).

24. Haarmann et al. (2012).

25. Citato in Katz, Voight (1986).

26. Proverbi (31, 6-7).

27. Citato in Sayette (1999).

28. Citato in Kwong (2013, p. 52).

29. Si veda Patrick (1952, pp. 45-47) per una panoramica delle prime teorie funzionali: di queste, quasi tutte si concentrano sulla fuga dalla realtà o sulla riduzione dell’ansia.

30. Horton (1943, p. 223).

31. Si veda, per esempio, Sher et al. (2005, p. 88), che a sua volta sottolinea l’importanza degli “effetti aspettativa”, ossia il potere che può avere l’alcol come semplice placebo in presenza di determinate aspettative culturali.

32. Si vedano in particolare O. Dietrich et al. (2012), Dunbar (2017), Dunbar et al. (2016), Wadley (2016), Wadley, Hayden (2015). Tutte queste prospettive verranno discusse più avanti.

33. Nagaraja, Jeganathan (2003).

34. Levenson et al. (1980).

35. Espressione coniata da Levenson et al. (1980). Si vedano Baum-­Baicker (1985), Peele, Brodsky (2000), Müller, Schumann (2011).

36. Come fa notare Sayette (1999), la miopia cognitiva indotta dall’alcol fa sì che il bevitore si focalizzi su quanto accade nelle immediate vicinanze, il che implica che la riduzione dello stress funziona al meglio in associazione a distrazioni piacevoli, in particolare interazioni sociali. Questo è il motivo per cui bere in solitudine può portare a esiti perlopiù negativi, un argomento su cui torneremo nel capitolo 5.

37. Bahi (2013). Si veda anche la letteratura ivi riportata.

38. A tal proposito è rilevante l’argomentazione di MacAndrew, Edgerton (1969) che l’alcol ha storicamente funzionato per alcuni individui come “time out” per affermare il proprio desiderio di libertà contro vincoli ed esigenze sociali.

39. Si veda Cosmides, Tooby (2008) per un’argomentazione classica sull’esigenza di una capacità, prodotta dall’evoluzione, di valutare l’affidabilità degli altri.

40. Willis, Todorov (2006); van’t Wout et al. (2008); Todorov, Pakrashi, Oosterhof (2009).

41. Si veda Cogsdill et al. (2014) per una revisione della letteratura sull’argomento.

42. R. Frank, Gilovich, Regan (1993).

43. Si veda Sparks, Burleigh e Barclay (2016) per una revisione e citazioni dalla letteratura sull’argomento. In un ottimo studio, David DeSteno e i suoi colleghi si concentrarono su un gruppo di segnali non verbali specifici e predittivi su cui le persone si basano quando giudicano un partner inaffidabile in un gioco economico: toccarsi le mani e il viso, incrociare le braccia e ritrarsi (DeSteno et al., 2012). Sappiamo, almeno in modo implicito, che chi si agita troppo sta pensando troppo; nei giochi economici basati sulla fiducia coloro che tendevano a non collaborare erano proprio quelli che si toccavano le mani e incrociavano le braccia. In una meravigliosa variante che permise di escludere altre potenziali variabili di disturbo, i ricercatori scoprirono che i soggetti non si fidavano neppure di un robot, Nexi, che mostrava i medesimi segnali comportamentali. I soggetti non reagivano così perché Nexi incrociava le braccia: semplicemente non si fidavano del robot.

44. Darwin (1872/1998); Ekman (2006). Si veda anche Vehrencamp (2000). In Cina, i primi esponenti del confucianesimo (circa 300 a.C.) consideravano le manifestazioni emotive, lette attraverso l’“espressione del viso” (si, 色), il tono della voce o le pupille, come il modo più affidabile per giudicare lo stato morale altrui (Slingerland 2008a).

45. Tracy, Robbins (2008).

46. Ekman, O’Sullivan (1991); M.G. Frank, Ekman (1997); Porter et al. (2011); ten Brinke, Porter e Baker (2012); Hurley, Frank (2011).

47. A proposito dei sorrisi si vedano Ekman, Friesen (1982), Schmidt et al. (2006); sulla risata si veda Bryant, Aktipis (2014).

48. Centorrino et al. (2015). Si veda anche Krumhuber et al. (2007), in cui gli sperimentatori riuscirono a creare sorrisi dinamici “finti” vs. “autentici” in ipotetici compagni di gioco, e scoprirono che il 60 per cento dei soggetti sceglieva di giocare con una controparte che sorrideva in modo autentico, il 33,3 per cento con un partner che sorrideva in modo “finto” e il 6,25 per cento con un partner che mostrava un’espressione neutra. Si veda anche Tognetti et al. (2013) per una revisione della valutazione della cooperazione sulla base degli indicatori facciali, in particolare i sorrisi autentici, e Levine et al. (2018) sulla tendenza delle persone a riporre una fiducia maggiore in coloro che hanno mostrato segnali di genuina emozione.

49. Dijk et al. (2011). Si veda anche Feinberg, Willer e Kaltner (2011) a proposito dell’imbarazzo come segnale sociale positivo di affidabilità.

50. ten Brinke, Porter, Baker (2012).

51. Boone, Buck (2003).

52. Rand, Greene e Nowak (2012); Capraro, Schulz, Rand (2019); Rand (2019).

53. A eccezione dei modelli etici razionalisti e basati sulla “fredda cognizione”, che storicamente sono piuttosto rari, ma che hanno preso piede nella filosofia occidentale qualche secolo fa. Per ulteriori approfondimenti sulla spontaneità e la fiducia, si veda Slingerland (2014, cap. 7).

54. Dawkins et al. (1979).

55. Per esempio, le ricerche di Silk (2001) suggeriscono che gli scimpanzé ricorrono a segnali non verbali, come colpi di tosse o grugniti gutturali, per comunicare agli altri affidabilità e mancanza di aggressività.

56. Byers (1997).

57. Ekman (2003, cap. 5); vedi anche R. Frank (1988).

58. Porter et al. (2011).

59. Come riferisce Michael Sayette, questa funzione avrebbe anche un potenziale lato oscuro: i dittatori potrebbero sfruttare la sincerità indotta dall’alcol per tenere in riga i propri sottoposti. A questo riguardo, pare che Stalin tenesse i suoi funzionari in uno stato di costante terrore e sottomissione e li rendesse di fatto incapaci di complottare fra loro convocandoli senza alcun preavviso per colossali bevute, anche in piena notte, durante le quali lui si manteneva sobrio.

60. La frase appare in Viaggio di re Cheng a Chengpu (Ma 2012, p. 148), un testo frammentario e di difficile decifrazione risalente ai Regni combattenti (III secolo a.C. ca.), parte della collezione omonima curata dal Museo di Shanghai.

61. Citato in Forsyth (2017, trad. it. p. 118).

62. Gately (2008, p. 15). Si veda ibid., pp. 15-16. Si veda anche Szaif (2019) a proposito delle opinioni sul vino e la sincerità nell’antica Grecia.

63. A proposito dei giuramenti nell’antica Grecia, si veda Gately (2008, p. 12); a proposito delle promesse presso i vichinghi, si veda Forsyth (2017, trad. it. pp. 154-155); a proposito dell’Inghilterra del XVII secolo, si veda McShane (2014).

64. Lebot et al. (1992, p. 119).

65. Fuller (2000, p. 37).

66. Ode n. 174, Waley (1996, p. 147).

67. Citato in Gately (2008, p. 452).

68. «L’orcio da birra, con la sua forma caratteristica, funge da indicazione simbolica dell’interazione sociale sui primi sigilli e altre scene di banchetti.» Si veda Michałowski (1994, p. 25).

69. Chrzan (2013, p. 36).

70. Heath (1990, p. 268).

71. Powers (2006), p. 148.

72. Chrzan (2013, pp. 30-31).

73. Austin (1979), p. 64.

74. Fray Bernardino da Sahagún, cit. in Carod-Artal (2015).

75. Price (2002); Fatur (2019).

76. Mandelbaum (1965), Gefou-Madianou (1992).

77. Come fa notare Mandelbaum (1979), «bere è considerato più consono a chi deve cimentarsi con l’ambiente pubblico rispetto a chi ha il compito di occuparsi delle attività domestiche. In India, anticamente questa distinzione era simboleggiata dalla differenza fra il dio Indra, il terrore dei nemici, dio della folgore, gaudente e bevitore accanito, e Varuna, sobrio guardiano dell’ordine e della moralità» (1979, pp. 17-18).

78. Jennings, Bowser (2009); citazione da Weismantel (1988, p. 188).

79. Heath (1958, 1994).

80. Madsen, Madsen (1979, p. 44).

81. Forsyth (2017, trad. it. pp. 39-40).

82. Jennings, Bowser (2009, p. 9).

83. Tlusty (2001, p. 1). Si veda anche la sua descrizione del “contratto alcolico” nella Germania della prima modernità, che «creava un legame tra le parti più forte di un accordo a voce, e perfino di uno per iscritto».

84. Michałowski (1994, pp. 35-36).

85. Analecta 10.8. Questa frase è più elegante in cinese classico, appena quattro caratteri (wei jiu bu liang, 唯酒不量), e ho sempre accarezzato l’idea di farla incidere sulla mia lapide.

86. Citato in Roth (2005, p. 55).

87. Szaif (2019).

88. Mattice (2011, p. 246).

89. Mars (1987).

90. Shaver, Sosis (2014).

91. Osborne (2014, p. 60).

92. Cit. in Pollan (2001, p. 23). Secondo Pollan, i lettori di Emerson avrebbero capito che l’autore, definendola “frutto sociale”, si riferiva alle proprietà alcoliche della mela.

93. James (1902/1961).

94. Duke (2010, p. 266)

95. Bourguignon (1973).

96. Ehrenreich (2007, p. 5).

97. Radcliffe-Brown (1922/1964, p. 252), citato in Rappaport (1999, p. 226).

98. Rappaport (1999, p. 227).

99. Si faccia riferimento a Tarr, Launay e Dunbar (2016) e all’analisi della letteratura ivi citata.

100. Reddish, Bulbulia e Fischer (2013).

101. Si veda Earle (2014, p. 83) per i riferimenti bibliografici.

102. Forsyth (2017, trad. it. p. 58). Si veda il resoconto della “festa dell’ebbrezza” a pp. 55-62.

103. McGovern (2020, p. 89).

104. Reinhart (2015); si veda Allan (2007).

105. Guerra-Doce (2014, p. 760).

106. Fuller (2000, p. 28). Si veda anche il resoconto sull’uso dello yajé fra i Barasana in Tramacchi (2004).

107. Mehr et al. (2019), comunicazione personale dall’autore principale (i risultati sull’alcol non sono stati inseriti nell’articolo finale).

108. Pitek ha scoperto che, su 160 culture incluse nell’HRAF e contrassegnate con “pratiche religiose estatiche”, solo 140 soddisfacevano i nostri criteri. Questo perché nel 2000 la categoria “orge” è stata convertita in “pratiche religiose estatiche”, col risultato che quest’ultima categoria include pratiche sessuali che non necessariamente prevedono stati estatici. Inserendo “trance”, Pitek ha individuato altre 154 culture non rilevate nella ricerca iniziale, ma per motivi di tempo non abbiamo avuto modo di esaminare queste culture, così la percentuale del 71 per cento è quasi certamente sottostimata. Ringrazio moltissimo Emily per il suo notevole contributo al progetto.

109. Fernandez (1972, p. 244).

110. Machin, Dunbar (2011); si veda anche Dunbar (2017) a proposito del ruolo specifico dell’alcol.

111. Crockett et al. (2010); Wood et al. (2006). Si veda l’analisi della letteratura in J. Siegel, Crockett (2013).

112. Per le moderne religioni basate sull’MDMA, si veda St. John (2004) e Joe-Laidler, Hunt e Moloney (2014).

113. Kometer et al. (2015).

114. Bernardino de Sahagún, Historia General de las Cosas de Nueva España, libro X, citato in Furst (1972, p. 136).

115. Ivi, pp. 154-156.

116. «Fu in questo contesto di disordine culturale che la religione della danza degli spiriti emerse e suscitò un diffuso entusiasmo. La religione della danza degli spiriti profetizzava l’imminente alba di un’età dell’oro di armonia pan-indiana. Sottolineava il bisogno di pace tra le tribù e creava un senso di unità intertribale basato sul comune disprezzo per la civiltà dell’uomo bianco.» Fuller (2000, p. 38 e ss.). Si veda anche Shonle (1925).

117. Citato in Smith (1964).

118. L. Dietrich et al. (2019); si veda O. Dietrich et al. (2012). Per un resoconto divulgativo su Göbekli Tepe, la connessione all’alcol e gli albori della civiltà, si veda Curry (2017).

119. A proposito della categoria e della funzione dei rituali “a elevata eccitazione” o “imagistici”, si veda Whitehouse (2004); si veda anche McCauley, Lawson (2002).

120. A dire il vero, non esiste, o almeno non ancora, un’evidenza diretta, sotto forma di residui chimici o altro, che le anfore e i recipienti rinvenuti nel sito venissero utilizzati per le bevande alcoliche. Nel loro intervento più recente sull’argomento, Dietrich e Dietrich (2020, p. 105) definiscono il consumo di “bevande psicoattive” a Göbekli Tepe come “ipotetico”.

121. Duke (2010, p. 265) e il cambiamento di “Inka” per il più comune “Inca”.

122. Shījīng, n. 171. Si veda la discussione in Poo (1999).

123. Doughty (1979, pp. 78-79). Si vedano anche le descrizioni della funzione pubblica dei minka, feste rituali e comunitarie contemporanee tipiche delle Ande (Bray, 2009; Jennings, Bowser, 2009). I resoconti più antichi risalgono all’impero inca del XVI secolo.

124. Come rileva Dwight Heath a proposito delle bevande alcoliche, «in quanto beni economici, tendono a rappresentare un valore relativamente elevato in un volume ridotto e ricoprono svariati ruoli nelle economie e nel prestigio delle società che le utilizzano» (Heath, 1990, p. 272).

125. Enright (1996).

126. Gately (2008, pp. 4-5).

127. Nugent (2014, p. 128).

128. Si veda Hockings et al. (2020) per un resoconto sull’uso del vino di palma in Guinea, Africa occidentale, in particolare p. 51.

129. Si vedano Shaver, Sosis (2014), oltre a Bott (1987, p. 191).

130. Greg Wadly e Brian Hayden, per esempio, accennano a molte delle funzioni dell’ebbrezza trattate in questo capitolo. Gli autori sostengono che la coltivazione e la produzione di droghe psicoattive contribuirono alla nascita di società numerose in vari modi: «1) fornire una motivazione per adottare e mantenere la coltivazione; 2) favorire la prosocialità, consentendo il mantenimento e il controllo di gruppi più ampi e meglio coordinati; 3) instillare il consenso e offrire conforto ai subordinati; 4) convincere la popolazione ad accettare le condizioni di lavoro, aumentandone la produttività e motivandola a lavorare» (Wadley, Hayden, 2015, come riassunto in Wadley, 2016). Si veda anche Smail (2007), Courtwright (2019) sugli aspetti economici delle sostanze psicoattive all’inizio dell’era moderna e sul loro ruolo nel creare e sostenere le società moderne.

131. Katz, Voight (1986); Hayden (1987); Joffe (1998); Hayden, Canuel e Shanse (2013).

4. L’EBBREZZA NEL MONDO MODERNO

1. Klatsky (2004); Braun (1996, pp. 62-68).

2. Lang et al. (2007); Britton, Singh-Manoux e Marmot (2004).

3. O’Connor (2020).

4. Khazan (2020).

5. Jarosz, Colflesh e Wiley (2012).

6. Sayette, Reichle e Schooler (2009).

7. Gately (2008, p. 25).

8. Gately (2008, p. 445). Si veda anche Moeran (2005, p. 38).

9. Lalander (1997), citato in Heath (2000, p. 185). Si veda anche Heath (2000, p. 186), a proposito delle “danze della birra” fra gli azande, una tribù dell’Africa centro-settentrionale, che, fra le altre funzioni, consente agli ubriachi di esternare le proprie lamentele senza recare offesa, e Dennis (1979), a proposito del ruolo del truth-teller ubriaco ai banchetti di un villaggio di Oaxaca, al quale viene concesso, proprio per lo stato in cui si trova, di dare voce alle lamentele locali di fronte a un dignitario in visita.

10. Hunt (2009, p. 115).

11. Citato in Andrews (2017).

12. Allen (1983).

13. Bettencourt, West (2010).

14. Marshall (1890).

15. Andrews (2017). La citazione è tratta da Dutton (1984, p. 11).

16. Come riferisce Andrews, «sono numerosi gli esempi di invenzioni concepite nei bar, dal primo computer elettronico digitale alle macchine per la risonanza magnetica e al programma Shark Week di Discovery Channel. Gran parte della moderna industria informatica è nata grazie a un gruppo informale che si dava appuntamento al bar ristorante The Oasis, e diversi altri locali della Silicon Valley sono diventati leggendari per essere stati i luoghi di ritrovo degli ingegneri nei primi decenni dell’industria high-­tech».

17. Walton (2001, trad. it. p. 8). Si veda il suo brillante commento sul ruolo dell’ebrezza in eventi del genere.

18. Citato in Roth (2005, p. 58).

19. James (1902/1961, trad. it. p. 334).

20. Huxley (1954, trad. it. pp. 10, 60).

21. Carhart-Harris, Friston (2019).

22. Markoff (2005); Pollan (2018).

23. Pollan (2018, pp. 175-185); Markoff (2005, p. XIX).

24. Florida (2002).

25. Per altri riferimenti si rimanda al sito di James Fadiman [www.jamesfadiman.com].

26. Hogan (2017).

27. Intervista del 2005 alla CNN, citata in Hogan (2017).

28. Anderson et al. (2019). Un altro studio recente che seguiva l’esperienza di un gruppo di microdosers nell’arco di sei settimane (Polito, Stevenson, 2019) riferiva un aumento della creatività fra i microdosers attivi. In questo caso, però, lo studio si basava sul grado di creatività autoriferita e non su misure sperimentali.

29. Prochazkova et al. (2018).

30. “Estimating drug harms: A risky business”, Centre for Crime and Justice Studies, rapporto n. 10, ottobre 2009.

31. Pollan (2018, pp. 318-319). Si vedano anche i commenti di Pollan sull’importanza della “varietà neurale” (p. 17) e l’idea secondo cui le tossine vegetali che producono effetti psichedelici potrebbero funzionare come «una sorta di mutagene culturale, in modo non dissimile dall’effetto delle radiazioni sul genoma» (p. 149).

32. Samorini (2002). L’autore, a sua volta, trasse ispirazione dai primi lavori degli anni sessanta di Edward de Bono sulle sostanze inebrianti come “strumenti destrutturanti” utilizzati per riorganizzare il pensiero ordinario. Riecheggiando la tensione fra Apollo e Dioniso che abbiamo tratteggiato in precedenza, de Bono scrive: «La funzione del linguaggio consiste nel rinforzare modelli esistenti; la funzione dell’ebbrezza nel facilitare la fuga da quei modelli» (de Bono, 1965, p. 208, citato in Samorini, 2002, p. 85).

33. T. Leary (2008), citato in Joe-Laidler, Hunt e Moloney (2014, p. 63).

34. Citato in On the Road Again: Companies are spending more on sending their staff out to win deals, in “The Economist”, 21 novembre 2015, p. 62.

35. ten Brinke, Vohs e Carney (2016).

36. Giancola (2002); si veda Hirsch, Galinsky e Zhong (2011) su ebbrezza e disinibizione in generale.

37. To your good stealth: A beery club of Euro-spies that never spilt secrets, in “The Economist”, 30 maggio 2020.

38. Vale la pena citare un’altra partnership internazionale che, a quanto pare, ha visto la luce a Vancouver proprio grazie all’alcol. Richard Beamish, oggi professore emerito di ittiologia alla University of British Columbia, è il coordinatore di un’imponente collaborazione tra ricercatori canadesi, statunitensi e russi per lo studio delle abitudini migratorie del salmone del Pacifico. Un articolo pubblicato su un quotidiano (C. Wilson, 2019) attribuisce la genesi del progetto alla vodka bevuta dopo un seminario tenutosi a Vancouver, dove Beamish e uno scienziato russo, con le PFC adeguatamente sottoregolate, cominciarono a speculare sulla possibilità di una simile iniziativa internazionale. «Tanto per divertirci», pare abbia detto Beamish, presumibilmente con un tasso alcolemico almeno dello 0,08 per cento, «che ne dici se organizzassi tutto io?» Il risultato è stato la nascita di un progetto pluripremiato che ha rivoluzionato le nostre conoscenze su un’importante specie ittica.

39. The 90 percent economy that lockdowns will leave behind, in “The Economist”, 30 aprile 2020.

40. Mentre portavo a termine la stesura di questo capitolo, mi sono imbattuto in un breve articolo di Carl Benedikt Frey (2020) che avanza previsioni simili a proposito degli effetti inquietanti del Covid-19 sull’innovazione, in primo luogo tramite l’eliminazione della socialità in presenza. Frey cita un recente studio che suggerisce come l’interazione fisica sia essenziale per la ricerca collaborativa (Boudreau et al., 2017), oltre a un affascinante studio basato su un altro esperimento naturale – la cancellazione all’ultimo minuto del convegno annuale della American Political Science Association a New Orleans nel 2012 a causa dell’uragano Isaac – per dimostrare come l’eliminazione dei contatti in presenza porti a una diminuzione significativa della probabilità di collaborare alla stesura di un articolo scientifico (Campos, Leon e McQuillin, 2018). Sebbene nessuno di questi studi citi esplicitamente il ruolo dell’alcol, possiamo azzardare con una certa sicurezza che le mancate interazioni sociali al convegno di New Orleans sarebbero state accompagnate da abbondanti bevute.

41. La panoramica clinica dell’autrice sulla ricerca sperimentale sull’alcol e le interazioni sociali dovrebbe risultare familiare a chiunque sia mai stato a un cocktail party, a una festa dell’ufficio o al pub dopo il lavoro: «I risultati hanno spiegato la convivialità facendo notare che le conversazioni sembrano più fluide, che l’umore dei presenti appare migliore, e che a basse dosi di etanolo si riscontra un grado di interazione sociale maggiore. Le persone che avevano assunto dosi basse e/o moderate di alcol sono state descritte come più loquaci. Il tono della voce è stato descritto come più alto, più chiassoso e più acuto» (Baum-­Baicker, 1985, p. 311).

42. Si veda in particolare Hull, Slone (2004) e la revisione della letteratura in Peele, Brodsky (2000) e Müller, Schumann (2011).

43. Chrzan (2013, p. 137).

44. Horton (1943).

45. Come osservano Sayette et al. (2012) nell’introduzione al loro studio, «alla luce del consumo così diffuso di alcolici in situazioni sociali, è degno di nota come sia i ricercatori sia gli psicologi sociali che si occupano di alcol abbiano sostanzialmente trascurato gli effetti dell’alcol sui legami sociali».

46. Sayette et al. (2012).

47. Kirchner et al. (2006).

48. Fairbairn et al. (2015).

49. Orehek et al. (2020, pp. 110-111), testo modificato per una maggiore leggibilità. Lo studio fornisce un’eccellente revisione della letteratura sull’argomento. Vale la pena notare che lo studio condotto da Orehek et al. ha esaminato le valutazioni degli osservatori sulle personalità dei soggetti mostrati in video, provando che l’alcol aumentava la positività ma non la precisione delle valutazioni degli osservatori.

50. Ban Gu, Hànshū (“Libro degli Han”). Si veda anche Mattice (2011, pp. 246-247) sull’importanza del consumo di alcolici durante le feste degli intellettuali nella cultura tradizionale cinese.

51. Si veda Gately (2008, p. 55) sulle sale dell’idromele; si veda Martin (2006, p. 98) sulle alehouses inglesi.

52. Chrzan (2013, p. 65).

53. Si veda Martin (2006, p. 195) a proposito del kabak nella Russia tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, che svolgeva una funzione del tutto simile a quella dei pub e delle alehouses inglesi: «Più di un club e di una biblioteca, più di una bettola dove bere, il kabak era “il centro della vita pubblica del villaggio”» (Walton, 2001, p. 129).

54. Come osserva Stuart Walton, «per la maggioranza è il primo bicchiere di vino della serata, la prima birra o il primo gin tonic quello che più allegramente annuncia il ruolo spirituale dell’intossicazione, e ci ricorda la sua funzione, antica quanto l’umanità stessa, che consiste nel dislocare il mondo dato attraverso una trasformazione del funzionamento del cervello» (Walton 2001, trad. it. p. 198).

55. Mass Observation (1943), cit. in Edwards (2000, pp. 28-29).

56. Un passaggio famoso di Dunbar (2018) fornisce un chiaro resoconto dello studio riportato in Dunbar et al. (2016).

57. Dunbar (2017).

58. Dunbar, Hockings (2020, p. 1).

59. Last Orders for Political Drinking. Waning Interest in Booze Is Transforming British Politics, in “The Economist”, 2 giugno 2018.

60. Peele, Brodsky (2000).

61. Rogers (2014, p. 163).

62. Hart (1930, p. 126), da Patrick (1952, p. 46).

63. Citato in Walton (2001, trad. it. p. 58).

64. (Simposio, II.24-26). Quindi prosegue paragonando l’espansività degli adulti ubriachi in un’occasione conviviale alla profonda unione spirituale che caratterizza l’autentico amore umano, a differenza di un accoppiamento animalesco. Come spiega Robin Osborne, «essere a una festa e non essere ubriachi […] è come fare sesso senza provare una qualche attrazione spirituale per il partner. Non essere ubriachi, in questa analogia, equivale a essere immaturi: l’ebbrezza e la passione adulta sono inscindibili». Osborne (2014, p. 41).

65. Per una revisione della letteratura, si veda W.H. George, Stoner (2000).

66. Per una revisione della letteratura, si veda Sher et al. (2005).

67. Lee et al. (2008); Sher et al. (2005).

68. Shakespeare (1997, atto II, scena III, p. 63).

69. Citato in Roth (2005, p. 52).

70. Lyvers et al. (2011); Chen et al. (2014). Si vedano però i risultati di segno opposto in Maynard et al. (2015).

71. Dolder et al. (2016).

72. J. Taylor, Fulop e Green (1999).

73. Citato in Bègue et al. (2013).

74. Van den Abbeele et al. (2015).

75. Bégue et al. (2013). Lo studio di follow-up, utilizzando un disegno sperimentale balanced-placebo, ha chiarito che questo effetto di “auto-esaltazione” era innescato anche dall’aspettativa indotta dall’alcol, e non dal solo consumo di alcolici.

76. Hull et al. (1983).

77. Banaji, Steele (1988), cit. in Banaji, Steele (1989).

78. Citato in Roth (2005, p. 8).

79. Müller, Schumann (2011).

80. Michael Ing, manoscritto, traduzione dell’autore stesso. Sia la traduzione che la citazione sono state leggermente modificate per rendere jiu (酒) come “vino” e non come “birra”. Neppure così la traduzione è ideale, ma “vino” è un termine più neutro e, dal mio punto di vista, il compromesso migliore fra leggibilità e fedeltà al testo.

81. Così riassumono Peele e Brodsky: «La sociabilità viene spesso citata nei sondaggi come principale motivazione e conseguenza del bere. In uno studio basato sulla compilazione di un diario sui giovani adulti australiani, le prime due ragioni per bere elencate sia dagli uomini che dalle donne erano la socialità (30-49 per cento) e i festeggiamenti (15-19 per cento). In un sondaggio condotto in quattro paesi scandinavi, le conseguenze positive del bere si manifestavano “prima di tutto in un allentamento delle inibizioni in compagnia di altre persone e nella maggiore capacità di stabilire un contatto con altre persone”. Un sondaggio franco-canadese ha rilevato nella convivialità il beneficio percepito prevalente (64 per cento) dell’alcol». Peele, Brodsky (2000).

82. Come concludono Müller e Schumann (2011) nella loro revisione dell’abbondante letteratura empirica sull’argomento, «l’alcol riduce l’inibizione sociale, il disagio nelle situazioni sociali e l’ansia sociale, aumenta la loquacità e favorisce la tendenza a parlare di questioni private».

83. Müller, Schumann (2011); si veda Booth, Hasking (2009).

84. Meade Eggleston, Woolaway-Bickel e Schmidt (2004); Young et al. (2015).

85. Bershad et al. (2015); Dolder et al. (2016).

86. Si veda la revisione della letteratura in Baum-Baicker (1985) e Müller, Schumann (2011).

87. Wheal, Kotler (2017, pp. 14-15).

88. Nezlek, Pilkington e Bilbro (1994, p. 350).

89. Turner (2009).

90. Hogan (2017). Si veda Wheal, Kotler (2007, p. 2 e ss.) a proposito dell’uso di “tecnologie estatiche” per ottenere il “flusso di gruppo”.

91. Ehrenreich (2007, p. 163).

92. Ehrenreich (2007, pp. 21-22).

93. Haidt, Seder e Kesebir (2008).

94. Durkheim (1915/1965, p. 428). In realtà altrove Durkheim riconosce «l’uso rituale di liquori inebrianti» (p. 248), ma le sostanze inebrianti hanno un ruolo molto limitato nel suo resoconto dei rituali e dell’instaurazione dei legami umani.

95. Rappaport (1999, p. 202).

96. Forstmann et al. (2020). Si dovrebbe notare che l’alcol, pur trattandosi della sostanza psicoattiva di gran lunga preferita (80 per cento), produceva il numero minore di esperienze trasformative, inferiore perfino a chi non assumeva alcuna sostanza. Come osservano gli autori, ciò potrebbe essere attribuibile alla curva degli effetti dell’alcol, che nelle fasi iniziali è positiva, ma porta a sgradevoli conseguenze fisiologiche il giorno dopo. In altre parole, a differenza di altre droghe, l’alcol produce postumi particolarmente fastidiosi (Supplementary materials, pp. 8-9). La questione, tuttavia, merita ulteriori approfondimenti, così come la possibilità che i soggetti che nel corso di questi eventi evitano il consumo di droghe tendono a essere gli stessi che non prendono parte a danze e canti sincronizzati.

97. Nemeth et al. (2011).

98. «Man, being reasonable, must get drunk; / The best of life is but intoxication: / Glory, the grape, love, gold, in these are sunk / The hopes of all men, and of every nation; / Without their sap, how branchless were the trunk / Of life’s strange tree, so fruitful on occasion! / But to return – Get very drunk; and when / You wake with head-ache, you shall see what then.» Don Juan, Stanza 179, Canto II (1819-1824).

99. Walton (2001, trad. it. p. 298).

100. Per un eccellente saggio su Nietzsche e l’estasi dionisiaca, che mi ha indirizzato a molti dei passi citati nelle prossime pagine, si veda Luyster (2001).

101. Nietzsche (1872, trad. it. pp. 25-26).

102. Nietzsche (1891, trad. it. p. 222).

103. Citato in N.M. Williams (2013).

104. Ibid. Si veda anche Kwong (2013) e Ing (in corso di pubblicazione), sul tema ricorrente dell’estasi alcolica nella poesia cinese tradizionale.

105. Ing (in corso di pubblicazione).

106. Si veda [youtu.be/yYXoCHLqr4o]; per ulteriori approfondimenti sugli animali e le sostanze inebrianti, si veda Samorini (2002).

107. R. Siegel (2005, p. 10).

108. Camus (1955, p. 38).

109. M. Leary (2004, p. 46). Sullo stesso argomento, si veda Baumeister (1991).

110. Huxley (1954, trad. it. p. 51).

111. Citato in Walton (2001, trad. it. p. 184).

112. Pahnke (1963), con follow-up a sei mesi. Quasi tutti i soggetti coinvolti vennero ricontattati in un follow-up a più di venti anni da Rick Doblin (1991). Si veda Joe-Laidler, Hunt e Moloney (2014) per i dati sui sondaggi fra i consumatori di MDMA e gli effetti positivi del “sé drogato” sul “sé quotidiano”, oltre a MacLean, Johnson e Griffiths (2011); Rucker, Iliff e Nutt (2018); Studerus, Gamma e Vollenweider (2010) per ulteriori ricerche sperimentali sulle droghe psichedeliche e il benessere spirituale e mentale. Anche Pollan (2018) fornisce un’ottima e interessante panoramica su questo corpus di ricerche.

113. Griffiths et al. (2011).

114. Anderson et al. (2019); Dominguez-Clave et al. (2016).

115. Psychedelic tourism is a niche but growing market. A “mushroom journey” is for some the trip of a lifetime, in “The Economist International”, 8 giugno 2019.

116. Talin, Sanabria (2017).

117. Sharon (1972, p. 131).

118. Walton (2001, trad. it. p. 203).

119. Coleridge (1994, p. 61), citato in Walton (2001, p. 256).

120. Vedi la citazione di William Booth, fondatore dell’Esercito della Salvezza, nel capitolo 1.

121. Walton (2001), recentemente ripubblicato col titolo Intoxicology: A Cultural History of Drink and Drugs (2016).

122. Ivi, trad. it. p. 13. In modo analogo, osserva Walton, «il suicidio può essere tragico o difficile da accettare, ma non è un atto malvagio in se stesso, e l’autoerotismo viene considerato del tutto benefico per la salute. Eppure, l’intossicazione non riesce a vedere la luce. Essa rimane, perfino di fronte alla sua effettiva universalità, qualcosa che dobbiamo far finta di non praticare, almeno non deliberatamente, o almeno non molto spesso, o quantomeno solo dopo una giornata di onesto lavoro» (ivi, trad. it. p. 89).

123. Heath (2000, p. 67).

124. Citato in Roth (2005, p. XIII).

125. Walton (2001, trad. it. p. 297). Si veda anche p. 337: «Eppure commettiamo un errore fondamentale nel considerare l’intossicazione come un triste sostituto della piena realizzazione, invece di vederla semplicemente e inevitabilmente per ciò che è: parte integrante di una vita vissuta pienamente. Forse esistono cose più importanti a cui pensare, come l’arte, l’amore vero o gli aneliti dell’anima, tuttavia queste cose non vengono annullate dall’intossicazione, e ad ogni modo, esse non si fanno vedere abbastanza di frequente».

126. Nello specifico, “Dossografia C”, solitamente attribuito ad Ario Didimo (fra il I e il III secolo d.C.).

127. Szaif (2019, p. 98).

128. Citato in Bosely (2018).

129. Müller, Schumann (2011).

130. “I dati epidemiologici mostrano […] come la maggioranza dei consumatori di droghe psicoattive che possono dare dipendenza non ne siano dipendenti né mai lo saranno […]. Negli Stati Uniti, al 14,9 per cento dei bevitori è stata diagnosticata una dipendenza sulla base del rapporto SAMHSA (2005) […]. Nell’Unione Europea, circa il 7,1 per cento di chi consuma alcol quotidianamente è dipendente dall’alcol […]. Alla luce di questi dati, è chiaro che la maggior parte dei consumatori di droghe psicoattive non è e non sarà mai dipendente” (Müller, Schumann, 2011).

131. Eliade (1964, trad. it. pp. 247, 427). Secondo l’autore, l’uso di sostanze inebrianti nelle pratiche sciamaniche andrebbe ricondotto a «innovazioni recenti le quali, in un certo modo, accusano una decadenza della tecnica sciamanica. Si è cercato di imitare con una ebbrezza a base di droghe uno stato spirituale cui non si era più capaci di giungere in altro modo» (p. 427). Tutto ciò è in così palese contraddizione con le numerose evidenze archeologiche, che abbiamo trattato in precedenza, secondo cui le droghe psichedeliche venivano utilizzate nelle pratiche sciamaniche fin dall’inizio, che simili affermazioni possono essere motivate solo da un pregiudizio molto forte. Come ha osservato seccamente un commentatore, il modo in cui Mircea Eliade liquida le sostanze inebrianti «non si basa su alcuna conoscenza specifica», ma piuttosto sulla sua «avversione borghese per l’ebbrezza in relazione alla vita religiosa» (Rudgley, 1993, p. 38).

132. Roth (2005, p. XIX).

133. Huxley (1958).

134. Paradiso e inferno, in Huxley (1954, trad. it. p. 129).

135. Citato in Kwong (2013), traduzione modificata.

136. Kwong (2013).

137. Baudelaire (1992).

5. IL LATO OSCURO DI DIONISO

1. Il più antico dizionario cinese, risalente al I secolo a.C., glossa il termine che stiamo traducendo con “vino” (jiu), il quale però si riferisce in senso più ampio a tutte le bevande alcoliche: «“Vino/alcol” (jiu 酒) significa “ottenere” (jiu 就). È ciò che si usa per ottenere il bene e il male nella natura umana». I lessicografi cinesi amano definire le parole in termini di omofoni. In questo caso, come fa notare Nicholas Williams, questa glossa in versi «introduce la dualità dell’alcol, qualcosa di simile a un catalizzatore che può aiutare a realizzare il potenziale sia positivo che negativo dell’essere umano» (N.M. Williams, 2013).

2. Genesi (5,20).

3. Citato in Forsyth (2017, trad. it. p. 178).

4. Heath (1976, p. 43).

5. Heath (2000).

6. Global status report on alcohol and health 2018, World Health Organization (2018).

8. Lutz (1922, p. 105), citato in Mandelbaum (1965).

9. Grant et al. (2015). La forma “lieve” del disturbo da uso di alcol viene definita come la presenza di due o tre sintomi dell’AUD in base all’edizione del 2013 del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), che includono una risposta affermativa a domande come: «Nell’ultimo anno, vi è mai capitato di bere di più, o più a lungo, di quanto intendevate?», oppure: «Nell’ultimo anno, vi è capitato più di una volta di bere di meno o di smettere di bere, o di aver provato a farlo, ma di non esserci riusciti?».

10. Si veda il lavoro di George Koob sull’“allostasi” (Koob, 2003; Koob, Le Moal, 2008).

11. Sher, Wood (2005); Schuckit (2014).

12. Sher, Wood (2005).

13. Un ottimo resoconto divulgativo di questa ricerca è contenuto in Yong (2018).

14. Per una valida introduzione alle tradizioni del bere del nord e del sud, si veda Ruth Engs in Chrzan (2013, pp. 39-41).

15. Lemmert (1991). Vale la pena aggiungere che, negli Stati Uniti, anche il tasso di alcolismo degli ebrei è assai inferiore alla media nazionale, il che probabilmente riflette l’integrazione del vino sia nei pasti che nei rituali religiosi tradizionalmente celebrati nella dimensione domestica (Glassner, 1991).

16. «Secondo William Kerr, direttore dell’Alcohol Research Group del Public Health Institute, in media la gradazione alcolica della birra è pari al 4,5 per cento; quella del vino all’11,6 per cento; quella dei superalcolici al 37 per cento» (Bryner, 2010).

17. Rogers (2014, p. 84).

18. Si veda Rogers (2014, pp. 84-93) per un’interessante introduzione alla storia della distillazione.

19. Gately (2008, pp. 71-72).

20. Kwong (2013, n. 32).

21. Smail (2007, p. 186).

22. Edwards (2000, pp. 38-39).

23. Ivi, p. 197.

24. I Li, “Cerimonia del vino nelle campagne”, citato in Poo (1999).

25. Schaberg (2001, p. 230). Si veda anche pp. 228-229.

26. Dallo Shi Ji, citato in Poo (1999, p. 138).

27. Citato in Fuller (2000, p. 30).

28. Mars, Altman (1987, p. 272).

29. Chris Kavanaugh, comunicazione personale.

30. Heath (1987, p. 49).

31. Doughty (1979, p. 67). Si veda Mars, Altman (1987, p. 275) a proposito della Georgia: «È rarissimo che gli uomini bevano da soli: il ruolo del vino è essenzialmente sociale, formalizzato e tipico delle feste».

32. Toren (1988, p. 704).

33. Si veda lo studio riportato in Lebot, Lindstrom e Merlin (1992, p. 200).

34. Garvey (2005, p. 87). Si veda anche il resoconto di Pers (p. 97).

35. Collins, Parks e Marlatt (1985); Borsari, Carey (2001); Sher et al. (2005).

36. Sher et al. (2005).

37. Abrams et al. (2006); Frings et al. (2008).

38. Abrams et al. (2006).

39. Elisa Guerra-Doce attribuisce un marcato spostamento dal bere sociale a quello solitario alla Rivoluzione industriale in Europa e in America, citando il lavoro di Schivelbusch (1993, p. 202, cit. in Guerra-Doce, 2020, p. 69), secondo il quale la comparsa piuttosto improvvisa dei banconi nei luoghi deputati al consumo di alcol costituisce un buon indicatore per la diffusione di tale mutamento. Il fatto di essere costretti a bere stando in piedi, o appollaiati su uno sgabello alto e scomodo di fronte al barista, è un’esperienza molto diversa dal sedersi intorno a un tavolo con altre persone. Secondo Schivelbusch, «i bar hanno spinto a bere di più, proprio come la ferrovia ha aumentato gli spostamenti e il telaio meccanico ha impresso un’accelerazione alla produzione tessile».

40. Earle (2014).

41. World Health Organization (2018, p. 261).

42. In riferimento alle lesioni causate da veicoli a motore e non, «il rischio […] aumenta in modo non lineare all’aumentare del consumo di alcol», ossia non secondo l’andamento di una linea retta, ma di una curva molto ripida all’aumentare del tasso alcolemico (B. Taylor et al., 2010).

43. World Health Organization (2018, p. 89).

44. Per una recente analisi del problema, si veda Getting to Zero Alcohol-Impaired Driving Fatalities: A Comprehensive Approach to a Persistent Problem, 2018.

45. MacAndrew, Edgerton (1969).

46. Bushman, Cooper (1990); Sher et al. (2005).

47. McKinlay (1951), citato in Mandelbaum (1965).

48. Lane et al. (2004).

49. Combinando le figure 1 e 2 in Lane et al. (2004), e arrotondando per difetto i tassi alcolemici al centesimo, i valori effettivi risultavano leggermente inferiori a 0,02 per cento e superiori allo 0,04 per cento e allo 0,08 per cento.

50. Si veda per esempio Shakespeare, Antonio e Cleopatra.

51. W.H. George, Stoner (2000).

52. Lee et al. (2008).

53. Archer et al. (in corso di approvazione).

54. Abbey, Zawacki e Buck (2005).

55. Farris, Treat e Viken (2010).

56. Riemer et al. (2018).

57. Barbaree et al. (1983); Norris, Kerr (1993); Markos (2005).

58. Si veda la revisione della letteratura in Testa et al. (2014).

59. Farris, Treat e Viken (2010, p. 427).

60. Moeran (2005, p. 26).

61. Yan (2019).

62. T. Wilson (2005, p. 6).

63. Sowles (2014); estratti riprodotti sotto licenza.

64. Heath (2000, p. 164).

65. Testa et al. (2014, p. 249).

66. Levitt, Cooper (2010); Levitt, Derrick e Testa (2014).

67. Fairbairn, Testa (2016, p. 75).

68. Ivi, p. 74.

69. Atti 2, 1-21. Aldous Huxley (1958) osserva: «Non è stato solo “l’arido spirito critico che accompagna i momenti di sobrietà” ad aver collegato l’ebbrezza divina all’ubriachezza. Nei loro tentativi di esprimere l’inesprimibile, anche i grandi mistici hanno fatto lo stesso. Così, santa Teresa d’Avila considera “il centro della nostra anima come una cantina, in cui Dio ci lascia entrare quando a Lui fa piacere, così da inebriarci con il vino delizioso della Sua grazia”».

70. Lettera agli Efesini 5, 18.

71. Zhuangzi, cap. 19; B. Watson (1968, pp. 198-199).

72. Slingerland (2014, cap. 6).

73. Paradiso e inferno, in Huxley (1954, trad. it. p. 122).

74. Newberg et al. (2006).

75. Maurer et al. (1997).

77. Vaitl et al. (2005).

78. Per un valido resoconto sull’argomento si veda Osborne (2014, pp. 196-203).

79. H. Bloom (1992, p. 59). Si vedano anche le osservazioni di Frederick Law Olmsted a proposito delle estasi nelle funzioni religiose della chiesa cristiana nera (Ehrenreich, 2007, p. 3) o il fenomeno dei ring shouts praticati dagli schiavi africani (ivi, p. 127) nell’Ottocento negli Stati Uniti. Vale la pena notare anche che, nel periodo in cui i camba studiati da Dwight Heath avevano quasi del tutto abbandonato le pratiche di binge drinking, non vennero integrati solamente nei collettivi agricoli, ma anche dalla chiesa evangelica (Mandelbaum, 1965).

80. Wiessner (2014). Devo ringraziare Polly Wiessner per lo scambio che abbiamo avuto sull’argomento. In modo analogo i pigmei baku, un altro gruppo che non utilizza l’alcol né altre sostanze inebrianti, ricorre alla pratica delle “voci notturne”: in piena notte, i membri della tribù possono esprimere punti di vista controversi o di minoranza senza temere conseguenze, forse perché il dormiveglia induce uno stato ipnagogico molto ricettivo (comunicazione personale di Tommy Flint).

81. Raz (2013).

82. Alcuni libri recenti e utili: Dean (2017); Warrington (2018); Willoughby, Tolvi e Jaeger (2019). C’è anche una vasta letteratura accademica sulla “riduzione del danno” dell’uso dell’alcol introdotta da Alan Marlatt e i suoi studenti (si veda, per esempio, Larimer e Cronce, 2007; Marlatt, Larimer e Witkiewitz, 2012).

83. A. Williams (2019).

84. Si veda la revisione della letteratura in Bègue et al. (2013).

85. Fromme et al. (1994).

86. Su questo argomento, e per una critica di questa prospettiva, si veda Slingerland (2008b).

87. Si veda la revisione della letteratura in Sher et al. (2005).

88. Davidson (2011, citato in Chrzan, 2013, p. 20).

89. O’Brien (2016, 2018).

90. Citato in Dean (2017, p. 24).

91. Si veda per esempio Berman et al. (2020).

92. Chrzan (2013, p. 82).

93. Ivi, p. 6.

94. Heath (2000, p. 197).

95. Sowles (2014).

96. Ng Fat, Shelton e Cable (2018, p. 1090).

97. Koenig (2019).

CONCLUSIONE

1. Giovanni (2, 1-11).

2. Qimin Yaoshu, citato in Poo (1999, p. 134).

3. Kojiki, n. 49, Miner (1968, p. 12).

4. Madsen e Madsen (1979, p. 43).

5. Netting (1964).

6. Citato in Dietler (2020, p. 121).

7. T. Wilson (2005, p. 3). Vale la pena notare che, come molti antropologi culturali che si occupano di alcol, Wilson sostiene che «bere è di per sé un fatto culturale», sottovalutando gli importanti elementi interculturali radicati nella biologia umana.

8. Afterlife, stagione 2, episodio 2.

9. Nietzsche (1882, p. 142). Stuart Walton usa giustamente questa citazione come epigrafe per il suo libro Out of It: A Cultural History of Intoxication (2001).

10. La città di Denver ha anche tentato di chiudere i negozi di liquori e di cannabis, un tentativo sfortunato che è durato meno di un giorno (grazie a Deri Reed per questa informazione).

11. Worth a Shot: A Ban on Sale of Alcohol Begets a Nation of Brewers, in “The Economist”, 25 aprile 2020.

12. Manthey et al. (2019).

13. Walton (2000, trad. it. p. 4).

14. Letteralmente “neppure consapevoli di avere un sé”.

15. Bere vino, poesia n. 14, citata in Ing (in corso di pubblicazione), con variazioni significative.

17. Osborne (2014, p. 34).

18. Come fa notare il classicista Michael Griffin (comunicazione personale, 24 agosto 2020), i versi che chiudono l’inno rappresentano la promessa, da parte del poeta stesso, di tenere Dioniso vivo nella sua memoria in modo da poter continuare, letteralmente, a «“cosmificare” il soave canto», laddove “cosmificare” significa abbellire, disporre nel giusto ordine, adornare o sistemare. L’idea è che, senza trarre ispirazione dal dio Dioniso, le opere del poeta mancherebbero di una certa bellezza o coerenza.