Log In
Or create an account ->
Imperial Library
Home
About
News
Upload
Forum
Help
Login/SignUp
Index
Discorsi Sopra la Prima Deca di Tito Livio
Trama
Biografia
Introduzione di Gennaro Sasso
I tempi di Machiavelli
Premessa al testo
Avvertenza
Discorsi Sopra la Prima Deca di Tito Livio
Dedica
Libro Primo
Proemio A
Proemio B
I Quali siano stati universalmente i principii di qualunque città e quale fusse quello di Roma
II Di quante spezie sono le republiche e di quale fu la republica romana
III Quali accidenti facessono creare in Roma i Tribuni della plebe, il che fece la republica più perfetta
IV Che la disunione della Plebe e del Senato romano fece libera e potente quella republica
V Dove più sicuramente si ponga la guardia della libertà, o nel popolo o ne’ grandi; e quali hanno maggiore cagione di tumultuare, o chi vuole acquistare o chi vuole mantenere
VI Se in Roma si poteva ordinare uno stato che togliesse via le inimicizie intra il Popolo e il Senato
VII Quanto siano in una republica necessarie le accuse a mantenerla in libertade
VIII Quanto le accuse sono utili alle republiche, tanto sono perniziose le calunnie
IX Come egli è necessario essere solo, a volere ordinare una republica di nuovo, o al tutto fuor degli antichi suoi ordini riformarla
X Quanto sono laudabili i fondatori d’una republica o d’uno regno, tanto quelli d’una tirannide sono vituperabili
XI Della religione de’ Romani
XII Di quanta importanza sia tenere conto della Religione, e come la Italia, per esserne mancata mediante la Chiesa Romana, è rovinata
XIII Come i Romani si servivono della religione per riordinare la città e seguire le loro imprese e fermare i tumulti
XIV I Romani interpetravano gli auspizi secondo la necessità, e con la prudenza mostravano di osservare la religione, quando forzati non la osservavano; e se alcuno temerariamente la dispregiava, punivano
XV I Sanniti per estremo rimedio alle cose loro afflitte ricorsero alla religione
XVI Uno popolo uso a vivere sotto uno principe, se per qualche accidente diventa libero, con difficultà mantiene la libertà
XVII Uno popolo corrotto, venuto in libertà, si può con difficultà grandissima mantenere libero
XVIII In che modo nelle città corrotte si potesse mantenere uno stato libero, essendovi; o, non vi essendo, ordinarvelo
XIX Dopo uno eccellente principe si può mantenere uno principe debole; ma dopo uno debole non si può con un altro debole mantenere alcuno regno
XX Dua continove successioni di principi virtuosi fanno grandi effetti; e come le republiche bene ordinate hanno di necessità virtuose successioni, e perògli acquisti e augumenti loro sono grandi
XXI Quanto biasimo meriti quel principe e quella republica che manca d’armi proprie
XXII Quello che sia da notare nel caso de’ tre Orazii romani e tre Curiazii albani
XXIII Che non si debbe mettere a pericolo tutta la fortuna e non tutte le forze; e per questo spesso il guardare i passi è dannoso
XXIV Le republiche bene ordinate costituiscono premii e pene a’ loro cittadini, né compensono mai l’uno con l’altro
XXV Chi vuole riformare uno stato anticato in una città libera, ritenga almeno l’ombra de’ modi antichi
XXVI Uno principe nuovo, in una città o provincia presa da lui, debbe fare ogni cosa nuova
XXVII Sanno rarissime volte gli uomini essere al tutto cattivi o al tutto buoni
XXVIII Per quale cagione i Romani furono meno ingrati contro agli loro cittadini che gli Ateniesi
XXIX Quale sia più ingrato, o uno popolo o uno principe
XXX Quali modi debbe usare uno principe o una republica per fuggire questo vizio della ingratitudine; e quali quel capitano o quel cittadino per non essere oppresso da quella
XXXI Che i capitani romani per errore commesso non furano mai istraordinariamente puniti; né furano mai ancora puniti quando per la ignoranza loro o tristi partiti presi da loro ne fusse seguiti danni alla republica
XXXII Una republica o un principe non debbe differire a beneficare gli uomini nelle sue necessitadi
XXXIII Quando uno inconveniente è cresciuto o in uno stato o contro a uno stato, è più salutifero partito temporeggiarlo che urtarlo
XXXIV L’autorità dittatoria fece bene e non danno alla Republica romana; e come le autorità che i cittadini si tolgono, non quelle che sono loro dai suffragi liberi date, sono alla vita civile perniziose
XXXV La cagione perché la creazione in Roma del Decemvirato fu nociva alla libertà di quella republica, non ostante ch’e’ fusse creato per suffragi publici e liberi
XXXVI Non debbano i cittadini che hanno avuti i maggiori onori sdegnarsi de’ minori
XXXVII Quali scandoli partorì in Roma la legge agraria; e come fare una legge in una republica, che riguardi assai indietro e sia contro a una consuetudine antica della città, è scandolosissimo
XXXVIII Le republiche deboli sono male risolute e non si sanno diliberare; e se le pigliano mai alcun partito, nasce più da necessità che da elezione
XXXIX In diversi popoli si veggano spesso i medesimi accidenti
XL La creazione del Decemvirato in Roma, e quello che in essa è da notare: dove si considera intra molte altre cose come si può salvare, per simile accidente, o oppressare una Republica
XLI Saltare dalla umiltà alla superbia, dalla piatà alla crudeltà, sanza i debiti mezzi, è cosa imprudente e inutile
XLII Quanto gli uomini facilmente si possono corrompere
XLIII Quelli che combattono per la gloria propria sono buoni e fedeli soldati
XLIV Una moltitudine sanza capo è inutile; e come e’ non si debbe minacciare prima, e poi chiedere l’autorità
XLV È cosa di malo esemplo non osservare una legge fatta, e massime dallo autore d’essa; e rinfrescare ogni dì nuove ingiurie in una città è a chi governa dannosissimo
XLVI Li uomini salgono da una ambizione a un’altra; e prima si cerca non essere offeso, dipoi si offende altrui
XLVII Gli uomini, come ch’e’s’ingannino ne’generali, ne’ particulari non s’ingannono
XLVIII Chi vuole che uno magistrato non sia dato a uno vile o a uno cattivo, lo facci domandare o a uno troppo vile e troppo cattivo o a uno troppo nobile e troppo buono
XLIX Se quelle cittadi che hanno avuto il principio libero come Roma hanno difficultà a trovare legge che le mantenghino, quelle che lo hanno immediate servo ne hanno quasi una impossibilità
L Non debba uno consiglio o uno magistrato potere fermare le azioni delle città
LI Una republica o uno principe debbe mostrare di fare per liberalità quello a che la necessità lo constringe
LII A reprimere la insolenzia d’uno che surga in una republica potente, non vi è più sicuro e meno scandoloso modo che preoccuparli quelle vie per le quali viene a quella potenza
LIII Il popolo molte volte desidera la rovina sua ingannato da una falsa spezie di beni; e come le grandi speranze e gagliarde promesse facilmente lo muovono
LIV Quanta autorità abbi uno uomo grave a frenare una moltitudine concitata
LV Quanto facilmente si conduchino le cose in quella città dove la moltitudine non è corrotta; e che, dove è equalità, non si può fare principato e, dove la non è, non si può fare republica
LVI Innanzi che seguino i grandi accidenti, in una città o in una provincia, vengono segni che gli pronosticono o uomini che li predícano
LVII La plebe insieme è gagliarda, di per sé è debole
LVIII La moltitudine è più savia e più costante che uno principe
LIX Di quale confederazione o lega altri si può più fidare; o di quella fatta con una republica o di quella fatta con uno principe
LX Come il Consolato e qualunque altro magistrato in Roma si dava sanza rispetto di età
Note
Libro Secondo
Proemio
I Quale fu più cagione dello imperio che acquistarono i Romani, o la virtù o la fortuna
II Con quali popoli i Romani ebbero a combattere, e come ostinatamente quegli difendevono la loro libertà
III Roma divenne gran città rovinando le città circunvicine e ricevendo i forestieri facilmente a’ suoi onori
IV Le republiche hanno tenuti tre modi circa lo ampliare
V Che la variazione delle sètte e delle lingue, insieme con l’accidente de’ diluvii o della peste, spegne le memorie delle cose
VI Come i Romani procedevano nel fare la guerra
VII Quanto terreno i Romani davano per colono
VIII La cagione perché i popoli si partono da’ luoghi patrii e inondano il paese altrui
IX Quali cagioni comunemente faccino nascere le guerre intra i potenti
X I danari non sono il nervo della guerra, secondo che è la comune opinione
XI Non è partito prudente fare amicizia con uno principe che abbia più opinione che forze
XII S’egli è meglio, temendo di essere assaltato, inferire o aspettare la guerra
XIII Che si viene di bassa a gran fortuna più con la fraude che con la forza
XIV Ingannansi molte volte gli uomini, credendo con la umiltà vincere la superbia
XV Gli stati deboli sempre fiano ambigui nel risolversi; e sempre le deliberazioni lente sono nocive
XVI Quanto i soldati de’ nostri tempi si disformino dagli antichi ordini
XVII Quanto si debbino stimare dagli eserciti ne’presenti tempi le artiglierie; e se quella opinione, che se ne ha in universale, è vera
XVIII Come per l’autorità de’ Romani e per lo esemplo della antica milizia si debba stimare più le fanterie che i cavagli
XIX Che gli acquisti nelle republiche non bene ordinate, e che secondo la romana virtù non procedano, sono a ruina, non a esaltazione di esse
XX Quale pericolo porti quel principe o quella republica che si vale della milizia ausiliare o mercenaria
XXI Il primo pretore ch’e Romani mandarono in alcuno luogo fu a Capova, dopo quattrocento anni che cominciarono a fare guerra
XXII Quanto siano false molte volte le opinioni degli uomini nel giudicare le cose grandi
XXIII Quanto i Romani nel giudicare i sudditi per alcuno accidente che necessitasse tale giudizio fuggivano la via del mezzo
XXIV Le fortezze generalmente sono molto piùdannose che utili
XXV Che lo assaltare una città disunita, per occuparla mediante la sua disunione, è partito contrario
XXVI Il vilipendio e l’improperio genera odio contro a coloro che l’usano, sanza alcuna loro utilità
XXVII Ai principi e republiche prudenti debbe bastare vincere; perché il più delle volte quando e’ non basta si perde
XXVIII Quanto sia pericoloso a una republica o a uno principe non vendicare una ingiuria fatta contro al publico o contro al privato
XXIX La fortuna acceca gli animi degli uomini, quando la non vuole che quegli si opponghino a’disegni suoi
XXX Le republiche e gli principi veramente potenti non comperono l’amicizie con danari, ma con la virtù e con la riputazione delle forze
XXXI Quanto sia pericoloso credere agli sbanditi
XXXII In quanti modi i Romani occupavano le terre
XXXIII Come i Romani davano agli loro capitani degli eserciti le commissioni libere
Note
Libro Terzo
I A volere che una sètta o una republica viva lungamente, è necessario ritirarla spesso verso il suo principio
II Come egli è cosa sapientissima simulare in tempo la pazzia
III Come egli è necessario, a volere mantenere una libertà acquistata di nuovo, ammazzare i figliuoli di Bruto
IV Non vive sicuro uno principe in uno principato, mentre vivono coloro che ne sono stati spogliati
V Quello che fa perdere uno regno a uno re che sia di quello ereditario
VI Delle congiure
VII Donde nasce che le mutazioni dalla libertà alla servitù e dalla servitù alla libertà, alcuna ne è sanza sangue, alcuna ne è piena
VIII Chi vuole alterare una republica debbe considerare il suggetto di quella
IX Come conviene variare co’ tempi, volendo sempre avere buona fortuna
X Che uno capitano non può fuggire la giornata quando l’avversario la vuol fare in ogni modo
XI Che chi ha a fare con assai, ancora che sia inferiore, pure che possa sostenere gli primi impeti, vince
XII Come uno capitano prudente debbe imporre ogni necessità di combattere a’ suoi soldati, e a quegli degli inimici tòrla
XIII Dove sia più da confidare, o in uno buono capitano che abbia lo esercito debole, o in uno buono esercito che abbia il capitano debole
XIV Le invenzioni nuove che appariscono nel mezzo della zuffa e le voci nuove che si odino, quali effetti facciano
XV Che uno e non molti sieno preposti a uno esercito, e come i più comandatori offendono
XVI Che la vera virtù si va, ne’ tempi difficili, a trovare e, ne’ tempi facili, non gli uomini virtuosi, ma quegli che per ricchezze o per parentado hanno più grazia
XVII Che non si offenda uno, e poi quel medesimo si mandi in amministrazione e governo d’importanza
XVIII Nessuna cosa è più degna ”uno capitano che presentire i partiti del nimico
XIX Se a reggere una moltitudine è più necessario l’ossequio che la pena
XX Uno esemplo di umanità appresso i Falisci potette più che ogni forza romana
XXI Donde nacque che Annibaie, con diverso modo di procedere da Scipione, fece quelli medesimi effetti in Italia che quello in Ispagna
XXII Come la durezza di Manlio Torquato e la comità di Valerio Corvino acquistò a ciascuno la medesima gloria
XXIII Per quale cagione Cammillo fusse cacciato di Roma
XXIV La prolungazione degl’imperii fece serva Roma
XXV Della povertà di Cincinnato e di molti cittadini romani
XXVI Come per cagione di femine si rovina uno stato
XXVII Come e’si ha a unire una città divisa, e come e’ non è vera quella opinione che, a tenere le città, bisogni tenerle divise
XXVIII Che si debbe por mente alle opere de’cittadini, perché molte volte sotto una opera pia si nasconde uno principio di tirannide
XXIX Che gli peccati de’ popoli nascono dai principi
XXX A uno cittadino che voglia nella sua republica fare di sua autorità alcuna opera buona, è necessario prima spegnere l’invidia; e come, venendo il nimico, si ha a ordinare la difesa di una città
XXXI Le republiche forti e gli uomini eccellenti ritengono in ogni fortuna il medesimo animo e la loro medesima dignità
XXXII Quali modi hanno tenuti alcuni a turbare una pace
XXXIII Egli è necessario, a volere vincere una giornata, fare lo esercito confidente, e infra loro e con il capitano
XXXIV Quale fama o voce o opinione fa che il popolo comincia a favorire uno cittadino; e se ei distribuisce i magistrati con maggiore prudenza che un principe
XXXV Quali pericoli si portano nel farsi capo a consigliare una cosa; e, quanto ella ha più dello istraordinario, maggiori pericoli vi si corrono
XXXVI Le cagioni perché i Franciosi siano stati e siano ancora giudicati, nelle zuffe, da principio più che uomini e dipoi meno che femine
XXXVII Se le piccole battaglie innanzi alla giornata sono necessarie; e come si debbe fare a conoscere uno inimico nuovo, volendo fuggire quelle
XXXVIII Come debbe essere fatto uno capitano nel quale lo esercito suo possa confidare
XXXIX Che uno capitano debbe essere conoscitore de’ siti
XL Come usare la fraude nel maneggiare la guerra è cosa gloriosa
XLI Che la patria si debbe difendere o con ignominia o con gloria, e in qualunque modo è bene difesa
XLII Che le promesse fatte per forza non si debbono osservare
XLIII Che gli uomini che nascono in una provincia osservino per tutti i tempi quasi quella medesima natura
XLIV E’ si ottiene con l’impeto e con l’audacia molte volte quello che con modi ordinarii non si otterrebbe mai
XLV Quale sia migliore partito nelle giornate, o sostenere l’impeto de’ nimici e, sostenuto, urtargli;ovvero da prima con furia assaltargli
XLVI Donde nasce che una famiglia in una cittàtiene un tempo i medesimi costumi
XLVII Che uno buono cittadino per amore della patria debbe dimenticare le ingiurie private
XLVIII Quando si vede fare uno errore grande a uno nimico, si debbe credere che vi sia sotto inganno
XLIX Una republica, a volerla mantenere libera, ha ciscuno dì bisogno di nuovi provvedimenti; e per quali meriti Quinto Fabio fu chiamato Massimo
Note
Sommario
← Prev
Back
Next →
← Prev
Back
Next →