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Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio
Nota editoriale
Introduzione di Michele Ciliberto
DISCORSI SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVIO
Introduzione, di Paolo Carta
Dedica
Introduzione
LIBRO PRIMO
1 Quali siano stati universalmente i principii di qualunque città, e quale fusse quello di Roma.
2 Di quante spezie sono le republiche, e di quale fu la republica romana.
3 Quali accidenti facessono creare in Roma i Tribuni della Plebe, il che fece la republica più perfetta.
4 Che la disunione della Plebe e del Senato romano fece libera e potente quella republica.
5 Dove più sicuramente si ponga la guardia della libertà, o nel Popolo o e’ Grandi; e quali hanno maggiore cagione di tumultuare, o chi vuole acquistare o chi vuole mantenere.
6 Se in Roma si poteva ordinare uno stato che togliesse via le inimicizie intra il Popolo ed il Senato.
7 Quanto siano in una republica necessarie le accuse a mantenerla in libertade.
8 Quanto le accuse sono utili alle republiche, tanto sono perniziose le calunnie.
9 Come egli è necessario essere solo a volere ordinare una repubblica di nuovo, o al tutto fuor degli antichi suoi ordini riformarla.
10 Quanto sono laudabili i fondatori d’una republica o d’uno regno, tanto quelli d’una tirannide sono vituperabili.
11 Della religione de’ Romani.
12 Di quanta importanza sia tenere conto della religione, e come la Italia, per esserne mancata mediante la Chiesa romana, è rovinata.
13 Come i Romani si servivono della religione per riordinare la città e seguire le loro imprese e fermare i tumulti.
14 I Romani interpetravano gli auspizi secondo la necessità, e con la prudenza mostravano di osservare la religione, quando forzati non la osservavano; e se alcuno temerariamente la dispregiava, puniv...
15 I Sanniti, per estremo rimedio alle cose loro afflitte, ricorsero alla religione.
16 Uno popolo, uso a vivere sotto uno principe, se per qualche accidente diventa libero, con difficultà mantiene la libertà.
17.Uno popolo corrotto, venuto in libertà, si può con difficultà grandissima mantenere libero.
18.In che modo nelle città corrotte si potesse mantenere uno stato libero, essendovi; o, non vi essendo, ordinarvelo.
19.Dopo uno eccellente principe si può mantenere uno principe debole; ma, dopo uno debole, non si può con un altro debole mantenere alcuno regno.
20 Dua continove successioni di principi virtuosi fanno grandi effetti; e come le republiche bene ordinate hanno di necessità virtuose successioni, e però gli acquisti ed augumenti loro sono grandi.
21 Quanto biasimo meriti quel principe e quella republica che manca d’armi proprie.
22 Quello che sia da notare nel caso de’ tre Orazii romani e tre Curiazii albani.
23 Che non si debbe mettere a pericolo tutta la fortuna e non tutte le forze; e, per questo, spesso il guardare i passi è dannoso.
24 Le republiche bene ordinate costituiscono premii e pene a’ loro cittadini, né compensono mai l’uno con l’altro.
25 Chi vuole riformare uno stato anticato in una città libera, ritenga almeno l’ombra de’ modi antichi.
26 Uno principe nuovo, in una città o provincia presa da lui, debbe fare ogni cosa nuova.
27 Sanno rarissime volte gli uomini essere al tutto cattivi o al tutto buoni.
28 Per quale cagione i Romani furono meno ingrati contro agli loro cittadini che gli Ateniesi.
29 Quale sia più ingrato, o uno popolo o uno principe.
30 Quali modi debbe usare uno principe o una republica per fuggire questo vizio della ingratitudine; e quali quel capitano o quel cittadino per non essere oppresso da quella.
31 Che i capitani romani per errore commesso non furano mai istraordinariamente puniti; né furano mai ancora puniti quando per la ignoranza loro o tristi partiti presi da loro ne fusse seguiti danni a...
33 Quando uno inconveniente è cresciuto o in uno stato o contro a uno stato, è più salutifero partito temporeggiarlo che urtarlo.
34 L’autorità dittatoria fece bene, e non danno, alla Republica romana: e come le autorità che i cittadini si tolgono, non quelle che sono loro dai suffragi iberi date, sono alla vita civile pernizios...
35 La cagione perché la creazione in Roma del Decemvirato fu nociva alla libertà di quella republica, non ostante che fusse creato per suffragi publici e liberi.
36 Non debbano i cittadini, che hanno avuti i maggiori onori, sdegnarsi de’ minori.
37 Quali scandoli partorì in Roma la legge agraria: e come fare una legge in una republica, che riguardi assai indietro, e sia contro a una consuetudine antica della città, è scandolosissimo.
38 Le republiche deboli sono male risolute e non si sanno diliberare; e se le pigliano mai alcun partito, nasce più da necessità che da elezione.
39 In diversi popoli si veggano spesso i medesimi accidenti.
40 La creazione del Decemvirato in Roma, e quello che in essa è da notare: dove si considera, intra molte altre cose, come si può o salvare, per simile accidente, o oppressare una republica.
41 Saltare dalla umiltà alla superbia, dalla piatà alla crudeltà, senza i debiti mezzi, è cosa imprudente e inutile.
42 Quanto gli uomini facilmente si possono corrompere.
43 Quegli che combattono per la gloria propria, sono buoni e fedeli soldati.
44 Una moltitudine sanza capo è inutile: e come e’ non si debbe minacciare prima, e poi chiedere l’autorità.
45 È cosa di malo esemplo non osservare una legge fatta, e massime dallo autore d’essa; e rinfrescare ogni dì nuove ingiurie in una città, è, a chi la governa, dannosissimo.
46 Li uomini salgono da una ambizione a un’altra; e prima si cerca non essere offeso, dipoi si offende altrui.
47 Gli uomini, come che s’ ingannino ne’ generali, ne’ particulari non s’ ingannono.
48 Chi vuole che uno magistrato non sia dato a uno vile o a uno cattivo, lo facci domandare o a uno troppo vile e troppo cattivo o a uno troppo nobile e troppo buono.
49 Se quelle cittadi che hanno avuto il principio libero, come Roma, hanno difficultà a trovare legge che le mantenghino: quelle che lo hanno immediate servo, ne hanno quasi una impossibilità.
50 Non debba uno consiglio o uno magistrato potere fermare le azioni delle città.
51 Una republica o uno principe debbe mostrare di fare per liberalità quello a che la necessità lo constringe.
52. A reprimere la insolenzia d’uno che surga in una republica potente, non vi è più sicuro e meno scandoloso modo, che preoccuparli quelle vie per le quali viene a quella potenza.
53 Il popolo molte volte disidera la rovina sua, ingannato da una falsa spezie di beni: e come le grandi speranze e gagliarde promesse facilmente lo muovono.
54 Quanta autorità abbi uno uomo grave a frenare una moltitudine concitata.
55 Quanto facilmente si conduchino le cose in quella città dove la moltitudine non è corrotta: e che, dove è equalità, non si può fare principato; e dove la non è, non si può fare republica.
56 Innanzi che seguino i grandi accidenti in una città o in una provincia, vengono segni che gli pronosticono, o uomini che gli predicano.
57 La Plebe insieme è gagliarda, di per sé è debole.
58 La moltitudine è più savia e più costante che uno principe.
59 Di quale confederazione o lega altri si può più fidare; o di quella fatta con una republica, o di quella fatta con uno principe.
60 Come il Consolato e qualunque altro magistrato in Roma si dava sanza rispetto di età.
LIBRO SECONDO
Introduzione
1 Quale fu più cagione dello imperio che acquistarono i romani, o la virtù, o la fortuna.
2 Con quali popoli i Romani ebbero a combattere, e come ostinatamente quegli difendevono la loro libertà.
3 Roma divenne gran città rovinando le città circunvicine, e ricevendo i forestieri facilmente a’ suoi onori.
4 Le republiche hanno tenuti tre modi circa lo ampliare.
5 Che la variazione delle sètte e delle lingue, insieme con l’accidente de’ diluvii o della peste, spegne le memorie delle cose.
6 Come i Romani procedevano nel fare la guerra.
7 Quanto terreno i Romani davano per colono.
8 La cagione perché i popoli si partono da’ luoghi patrii, ed inondano il paese altrui.
9 Quali cagioni comunemente faccino nascere le guerre intra i potenti.
10 I danari non sono il nervo della guerra, secondo che è la comune opinione.
11 Non è partito prudente fare amicizia con uno principe che abbia più opinione che forze.
12 S’egli è meglio, temendo di essere assaltato, inferire o aspettare la guerra.
13 Che si viene di bassa a gran fortuna più con la fraude; che con la forza.
14 Ingannansi molte volte gli uomini, credendo con la umiltà vincere la superbia.
15 Gli stati deboli sempre fiano ambigui nel risolversi: e sempre le diliberazioni lente sono nocive.
16 Quanto i soldati de’ nostri tempi si disformino dagli antichi ordini.
17 Quanto si debbino stimare dagli eserciti ne’ presenti tempi le artiglierie;e se quella opinione, che se ne ha in universale, è vera.
18 Come per l’autorità de’ Romani, e per lo esemplo della antica milizia, si debba stimare più le fanterie che i cavagli.
19 Che gli acquisti nelle republiche non bene ordinate, e che secondo la romana virtù non procedano, sono a ruina, non ad esaltazione di esse.
20 Quale pericolo porti quel principe o quella republica che si vale della milizia ausiliare o mercenaria.
21 Il primo Pretore ch’e’ Romani mandarono in alcuno luogo, fu a Capova, dopo quattrocento anni che cominciarono a fare guerra.
22 Quanto siano false molte volte le opinioni degli uomini nel giudicare le cose grandi.
23 Quanto i Romani nel giudicare i sudditi per alcuno accidente che necessitasse tale giudizio fuggivano la via del mezzo.
24 Le fortezze generalmente sono molto più dannose che utili.
25 Che lo assaltare una città disunita, per occuparla mediante la sua disunione, è partito contrario.
26 Il vilipendio e l’improperio genera odio contro a coloro che l’usano, sanza alcuna loro utilità.
27 Ai principi e republiche prudenti debbe bastare vincere; perché, il più delle volte, quando e’ non basta, si perde.
28 Quanto sia pericoloso a una republica o a uno principe non vendicare una ingiuria fatta contro al publico o contro al privato.
29 La fortuna acceca gli animi degli uomini, quando la non vuole che quegli si opponghino a’ disegni suoi.
30 Le republiche e gli principi veramente potenti non comperono l’amicizie con danari, ma con la virtù e con la riputazione delle forze.
31 Quanto sia pericoloso credere agli sbanditi.
32 In quanti modi i Romani occupavano le terre.
33 Come i Romani davano agli loro capitani degli eserciti le commissioni libere.
LIBRO TERZO
1 A volere che una setta o una republica viva lungamente, è necessario ritirarla spesso verso il suo principio.
2 Come egli è cosa sapientissima simulare in tempo la pazzia.
3 Come egli è necessario, a volere mantenere una libertà acquistata di nuovo, ammazzare i figliuoli di Bruto.
4 Non vive sicuro uno principe in uno principato, mentre vivono coloro che ne sono stati spogliati.
5 Quello che fa perdere uno regno ad uno re che sia, di quello, ereditario.
6. Delle congiure.
7 Donde nasce che le mutazioni dalla libertà alla servitù, e dalla servitù alla libertà, alcuna ne è sanza sangue, alcuna ne è piena.
8 Chi vuole alterare una republica, debbe considerare il suggetto di quella.
9 Come conviene variare co’ tempi volendo sempre avere buona fortuna.
10 Che uno capitano non può fuggire la giornata, quando l’avversario la vuol fare in ogni modo.
11 Che chi ha a fare con assai, ancora che sia inferiore, pure che possa sostenere gli primi impeti, vince.
12 Come uno capitano prudente debbe imporre ogni necessità di combattere a’ suoi soldati, e, a quegli degli inimici, torla.
13 Dove sia più da confidare, o in uno buono capitano che abbia lo esercito debole, o in uno buono esercito che abbia il capitano debole.
14 Le invenzioni nuove, che appariscono nel mezzo della zuffa, e le voci nuove che si odino, quali effetti facciano.
15 Che uno e non molti sieno preposti ad uno esercito, e come i più comandatori offendono.
16 Che la vera virtù si va ne’ tempi difficili, a trovare; e ne’ tempi facili, non gli uomini virtuosi, ma quegli che per ricchezze o per parentado hanno più grazia.
17 Che non si offenda uno, e poi quel medesimo si mandi in amministrazione e governo d’importanza.
18 Nessuna cosa è più degna d’uno capitano, che presentire i partiti del nimico.
19 Se a reggere una moltitudine è più necessario l’ossequio che la pena.
20 Uno esemplo di umanità appresso i Falisci potette più che ogni forza romana.
21 Donde nacque che Annibale, con diverso modo di procedere da Scipione fece quelli medesimi effetti in Italia che quello in Ispagna.
22 Come la durezza di Manlio Torquato e la comità di Valerio Corvino acquistò a ciascuno la medesima gloria.
23 Per quale cagione Cammillo fusse cacciato di Roma.
24 La prolungazione degl’imperii fece serva Roma.
25 Della povertà di Cincinnato e di molti cittadini romani.
26 Come per cagione di femine si rovina uno stato.
27 Come e’ si ha ad unire una città divisa; e come e’ non è vera quella opinione, che, a tenere le città, bisogni tenerle divise.
28 Che si debbe por mente alle opere de’ cittadini, perché molte volte sotto una opera pia si nasconde uno principio di tirannide.
29 Che gli peccati de’ popoli nascono dai principi.
30 A uno cittadino che voglia nella sua republica fare di sua autorità alcuna opera buona, è necessario, prima, spegnere l’invidia: e come, vedendo il nimico, si ha a ordinare la difesa d’una città.
31 Le republiche forti e gli uomini eccellenti ritengono in ogni fortuna il medesimo animo e la loro medesima dignità.
32 Quali modi hanno tenuti alcuni a turbare una pace.
33 Egli è necessario, a volere vincere una giornata, fare lo esercito confidente ed infra loro e con il capitano.
34 Quale fama o voce o opinione fa che il popolo comincia a favorire uno cittadino: e se ei distribuisce i magistrati con maggiore prudenza che un principe.
35 Quali pericoli si portano nel farsi capo a consigliare una cosa; e, quanto ella ha più dello istraordinario, maggiori pericoli vi si corrono.
36 Le cagioni perché i Franciosi siano stati e siano ancora giudicati nelle zuffe, da principio più che uomini.
37 Se le piccole battaglie innanzi alla giornata sono necessarie; e come si debbe fare a conoscere uno inimico nuovo, volendo fuggire quelle.
38 Come debbe essere fatto uno capitano nel quale lo esercito suo possa confidare.
39 Che uno capitano debbe essere conoscitore de’ siti.
40 Come usare la fraude nel maneggiare la guerra è cosa gloriosa.
42 Che le promesse fatte per forza, non si debbono osservare.
43 Che gli uomini, che nascono in una provincia, osservino per tutti i tempi quasi quella medesima natura.
44 E’ si ottiene con l’impeto e con l’audacia molte volte quello che con modi ordinarii non si otterrebbe mai.
45 Quale sia migliore partito nelle giornate, o sostenere l’impeto de’ nimici, e, sostenuto, urtargli; ovvero da prima con furia assaltargli.
47 Che uno buono cittadino per amore della patria debbe dimenticare le ingiurie private.
49 Una republica, a volerla mantenere libera, ha ciascuno dì bisogno di nuovi provvedimenti; e per quali meriti Quinto Fabio fu chiamato Massimo.
FRANCESCO GUICCIARDINI - CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACCHIAVELLI SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVIO
Libro I
1 [Quali siano stati universalmente i princípi di qualunque cittá, e quale fusse quello di Roma.]
2. [Di quante spezie sono le republiche, e di quale fu la republica romana.]
3. [Quali accidenti facessono creare in Roma i tribuni della plebe, il che fece la republica piú perfetta.]
4 [Che la disunione della plebe e del senato romano fece libera e potente quella republica.]
5 [Dove piú sicuramente si ponga la guardia della libertá, o nel popolo o ne' grandi; e quali hanno maggiore cagione di tumultuare, o chi vuole acquistare o chi vuole mantenere.]
6 [Se in Roma si poteva ordinare uno stato che togliesse via le inimicizie intra il popolo ed il senato.]
7 [Quanto siano in una republica necessarie le accuse a mantenerla in libertade.]
8 [Quanto le accuse sono utili alle republiche, tanto sono perniziose le calunnie.]
9 [Come egli è necessario essere solo a volere ordinare una republica di nuovo, o al tutto fuor degli antichi suoi ordini riformarla.]
10 [Quanto sono laudabili i fondatori d'una republica o d'uno regno, tanto quelli d'una tirannide sono vituperabili.]
11 [Della religione de' romani.]
12 [Di quanta importanza sia tenere conto della religione, e come la Italia, per esserne mancata mediante la Chiesa romana, è rovinata.]
14 [I romani interpretavano gli auspizi secondo la necessitá, e con la prudenza mostravano di osservare la religione, quando forzati non la osservavano; e se alcuno temerariamente la dispregiava, puni...
16 [Uno popolo, uso a vivere sotto uno principe, se per qualche accidente diventa libero, con difficultá mantiene la libertá.]
23 [Che non si debbe mettere a pericolo tutta la fortuna e non tutte le forze; e per questo, spesso il guardare i passi è dannoso.]
24 [Le republiche bene ordinate costituiscono premi e pene a' loro cittadini né compensono mai l'uno con l'altro.]
25 [Chi vuole riformare uno stato anticato in una cittá libera, ritenga almeno l'ombra de' modi antichi.]
26 [Uno principe nuovo, in una cittá o provincia presa da lui, debbe fare ogni cosa nuova.]
28 [Per quale cagione i romani furono meno ingrati contro agli loro cittadini che gli ateniesi.]
29 [Quale sia piú ingrato, o uno popolo o uno principe.]
30 [Quali modi debbe usare uno principe o una republica per fuggire questo vizio della ingratitudine; e quali quel capitano o quel cittadino per non essere oppresso da quella.]
32 [Una republica o uno principe non debbe differire a beneficare gli uomini nelle sue necessitadi.]
34. [In diversi popoli si veggano spesso i medesimi accidenti.]
40. [La creazione del decemvirato in Roma, e quello che in essa è da notare: dove si considera, intra molte altre cose, come si può o salvare, per simile accidente, o oppressare una republica.]
48. [Gli uomini, come che s'ingannino ne' generali, nei particulari non s'ingannono.]
49. [Se quelle cittadi che hanno avuto il principio libero, come Roma, hanno difficultá a trovare legge che le mantenghino: quelle che lo hanno immediate servo, ne hanno quasi una impossibilitá.]
58. [La moltitudine è piú savia e piú costante che uno principe.]
60. [Come il consolato e qualunque altro magistrato in Roma si dava sanza rispetto di etá.]
Libro secondo
Nel proemio del secondo libro
10 [I danari non sono il nervo della guerra, secondo che è la comune opinione.]
12 [S'egli è meglio, temendo di essere assaltato, inferire o aspettare la guerra.]
[Che si viene di bassa a gran fortuna piú con la fraude che con la forza.]
14 [Ingannansi molte volte gli uomini, credendo con la umilitá vincere la superbia.]
15 [Gli stati deboli sempre fiano ambigui nel risolversi: e sempre le diliberazioni lente sono nocive.]
19 [Che gli acquisti nelle republiche non bene ordinate, e che secondo la romana virtú non procedano, sono a ruina, non ad esaltazione di esse.]
24 [Le fortezze generalmente sono molto piú dannose che utili.]
Libro terzo
17 [Che non si offenda uno, e poi quel medesimo si mandi in amministrazione e governo d'importanza.]
19 [Se a reggere una moltitudine è piú necessario l'ossequio che la pena.]
24 [La prolungazione degl’imperi fece serva Roma]
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