XI. Il significato c le origini dell’artificialismo infantile

Occorre ora stabilire se al punto di partenza dei vari fenomeni che abbiamo fin qui analizzato c’è una certa unità di tendenza. Non nascondiamo le difficoltà del problema: le risposte che abbiamo raccolto possono essere fabulate, possono essere dovute a insegnamenti (religiosi o diversi) che i genitori hanno impartito o fatto impartire ai fanciulli e, se anche dimostrano un orientamento spontaneo dello spirito, possono essere eterogenee le une ri spetto alle altre.

Esiste, allora, un artificialismo specificamente infantile? Ubbidisce, questo artificialismo, a leggi di sviluppo? Ha una o piú origini identificabili? Questi sono i problemi che dobbiamo esaminare.

  1.Il significato dell’artificialismo infantile

Non crediamo possibile spiegare con la fabulazione tutte le risposte che abbiamo raccolto. Se applichiamo i nostri soliti tre criteri, troviamo infatti ciò che segue. Anzitutto, i fanciulli di uguale età media dànno le stesse risposte. A questo riguardo, le spiegazioni della notte mediante grandi nubi nere e quella delle nubi mediante il fumo dei tetti ecc. sono reazioni che ci hanno sempre stupito per la loro generalità D’altra parte, le risposte artificialistiche non si limitano a una sola età o a un dato stadio, ma si estendono perlomeno a due stadi. Assistiamo anche a una progressiva evoluzione delle credenze, il che dimostra il loro carattere parzialmente sistematico ed esclude l’ipotesi della pura fabulazione. Inoltre, e questo è il terzo criterio, è significativo che si giunga alla risposta giusta. Infatti, i fanciulli dello stadio superiore non giungono d’un sol colpo alla risposta esatta o alla spiegazione naturale, ma tentennano e, nel corso di questi loro tentennamenti, si vedono numerose tracce delle credenze degli stadi anteriori. Cosí, nei fanciulli secondo i quali il lago Lemano è stato scavato dall’acqua, troviamo talvolta ancora l’idea che Ginevra sia anteriore al lago, e, per spiegare come il lago abbia potuto collocarsi accanto alla città, questi fanciulli sono costretti a ricorrere a un artificialismo immanente, cosí come nel XVIII secolo si sostituiva a Dio la «Natura».

Questi tre criteri riuniti permettono dunque di supporre che, a grandi linee, le risposte artificialistiche dei nostri fanciulli non siano dovute alla fabulazione.

Inutile dire che questa conclusione non significa affatto che mettiamo sullo stesso piano tutte le risposte ottenute. Da una parte, bisogna distinguere con cura l’elemento comune a tutti i fanciulli di un determinato stadio (per esempio, l’idea che il sole sia stato fatto dagli uomini o da Dio) dai fronzoli che un dato fanciullo aggiunge alle sue credenze sotto la pressione dell’interrogatorio (per esempio, che un signore ha acceso un fiammifero). Abbiamo citato tutte le risposte, perché l’esame di queste fiorettature permette di individuare numerose tendenze che altrimenti sfuggirebbero; ma, per il problema generale che qui interessa, possiamo considerare come fabulati questi ricami d’ordine individuale e non ritenerne che il tema comune. D’altra parte, va da sé che lo stesso elemento generale non ha lo stesso valore secondo l’età dei fanciulli. Cosi, i tentativi di spiegazione naturale dei grandi (9-10 anni) possono essere presi quasi alla lettera: il fanciullo che identifica il sole a una nube condensata pensa proprio ciò che dice, senza tradir troppo il suo pensiero con le parole che usa. Invece, le spiegazioni dei piú piccoli costituiscono un miscuglio di tendenze spontanee e di fabulazione provocata dall’interrogatorio. Cosí, il fanciullo di 5 anni che considera il sole come fatto «da signori» pensa semplicemente, in fondo, che il sole è «fatto per»,125 cioè per noi, e che, di conseguenza, che il sole dipenda da noi, ma senza che il problema dell’origine si sia in generale presentato al suo spirito prima del nostro interrogatorio. Dietro la risposta bisogna dunque cercare quale abbia potuto essere la tendenza spontanea.

Ma questo artificialismo latente, di cui sosteniamo l’indipendenza, nelle grandi linee, dalla fabulazione, sarà forse interpretato come il frutto dell’educazione imposta ai fanciulli dai genitori, o dallo spettacolo della vita di città. Da una parte, si insegna al fanciullo che Dio ha fatto il cielo e la terra, dirige tutte le cose e ci vede dal cielo dove abita. Nulla di strano che il fanciullo perseveri su questa via e immagini fin nel particolare le modalità di questa creazione, supponendo che Dio si sia assicurato il concorso di una squadra di intraprendenti operai. D’altra parte, lo spettacolo dell’attività industriale cittadina impressiona il fanciullo (sebbene Ginevra sia molto vicina alla campagna, e tutti i nostri fanciulli conoscano i campi e anche la montagna). I laghi e i fiumi sono orlati di viali, draghe ne puliscono il letto, dalle rive si vedono gli sbocchi delle fogne, ecc. Da questo a concludere che la natura è dovuta all’attività umana, il passo è breve.

Ma a quest’ultima interpretazione si può obiettare che nulla obbligava il fanciullo a rilevare, dei fenomeni, solo ciò che favoriva la spiegazione artificialistica. Dello spettacolo delle nubi, il fanciullo potrebbe ricordare gli indizi favorevoli alla spiegazione naturale (l’abbondanza, l’altezza, la formazione intorno alle montagne che si scorgono dalla città, ecc.), invece di considerare soltanto la somiglianza col fumo che sale dai tetti. Dallo spettacolo dei fiumi e del lago, il fanciullo potrebbe ritenere le dimensioni, il disordine dei sassi, l’aspetto selvaggio delle rive in campagna, e non soltanto le tracce del lavoro umano ecc. In breve, nulla costringe il fanciullo a scegliere alcune particolarità escludendone altre. Questa selezione sembra opera di un interesse per l’artificiale, la cui spontaneità è difficile contestare.

Quanto a considerare questo interesse artificialistico come interamente prodotto dall’educazione religiosa, l’ipotesi non resiste all’analisi. Si nota infatti un artificialismo molto esplicito nei sordomuti, o nei fanciulli troppo piccoli per capire o generalizzare l’insegnamento religioso che possono ricevere. Abbiamo visto (inizio cap. VIII) le idee del sordomuto d’Estrella sull’origine degli astri, e anche (cap. IX) sulla meteorologia. Un altro sordomuto, Ballard, ugualmente citato da James, immaginava che il tuono fosse dovuto a un gigante, ecc. D’altra parte, conosciamo certe domande dei fanciulli di 2-3 anni: «Chi ha fatto la terra?» «Chi mette, di notte, le stelle in cielo?», ecc.; domande che, evidentemente, precedono l’insegnamento religioso. Ma anche a voler supporre, cosa lontana dall’esser provata, che tutti i fanciulli dai 4 ai 12 anni da noi esaminati siano stati direttamente influenzati dalla teologia del libro della Genesi, per tre ragioni potremmo affermare la spontaneità almeno parziale della tendenza artificialistica piú sopra constatata.

In primo luogo, siamo stati colpiti dal fatto che la maggior parte dei fanciulli non ricorrono a Dio che a malincuore, per cosí dire, e solo quando non trovano di meglio. L’insegnamento religioso ricevuto dall’esterno a 4-7 anni appare spesso come un corpo estraneo nel pensiero del fanciullo, e le rappresentazioni che suscita non hanno né l’elasticità né la prolificità delle credenze che non fanno appello all’attività divina.

In secondo luogo, anche ammettendo che l’artificialismo infantile sia un’estensione dell’artificialismo teologico imposto dall’educazione, resta da spiegare perché il fanciullo estenda a ogni cosa delle rappresentazioni il cui nòcciolo religioso è pur sempre, come abbiamo visto, piuttosto vago, e, soprattutto, perché questa esten sione obbedisca a leggi invece di differire da fanciullo a fanciullo. Cosi, perché tutti i bimbi considerano Ginevra come piú antica del lago? perché una tendenza generale a considerar la notte come fumo nero, il sole come fuoco uscito dal fumo dei tetti, ecc.? Se si trattasse della semplice estensione di un tipo di spiegazione ricevuta dall’esterno, queste rappresentazioni dovrebbero variare da fanciullo a fanciullo. Invece, non è affatto cosí.

In terzo luogo, e questa è l’obiezione piú forte da opporre alla concezione che discutiamo, la vera religione del fanciullo, almeno nei primi anni, non è precisamente la religione troppo evoluta che si cerca di inculcargli. Come vedremo, i nostri materiali confermano interamente la tesi di Bovet, secondo cui il fanciullo attribuisce spontaneamente ai genitori le perfezioni e gli attributi che piú tardi trasferirà in Dio, se l’educazione religiosa gliene fornirà l’occasione. Nel problema che qui ci occupa, chi è considerato onnipotente e onniscente è l’uomo: è lui il fabbricatore di ogni cosa. Abbiamo anche visto che gli stessi astri e il cielo sono attribuiti all’azione dell’uomo, e non di Dio, almeno nella metà dei casi. Inoltre, quando il fanciullo parla di Dio (o «dei buoni Dei», come ci hanno detto diversi fanciulli), essi immaginano un uomo: Dio è un «signore che lavora per il suo padrone» (Don), «un signore che lavora per far quattrini», un operaio «che spala» (che vanga), ecc. In breve, o Dio è un uomo come gli altri, o il piccolo parla fabulando, come del buon Papà Natale o delle fate.

In conclusione, non ci sembra possibile spiegare unicamente con la pressione dell’educazione la generalità e la tenacia dell’artificialismo infantile. Ci troviamo di fronte a una tendenza originale, caratteristica della mentalità infantile, e che affonda le sue radici, come cercheremo di dimostrare, nella vita affettiva e intellettuale del fanciullo.

Ma l’essenziale del problema resta tuttavia da risolvere. Le credenze da noi catalogate nelle pagine che precedono sono realmente «credenze spontanee», cioè formulate dal fanciullo ancor prima del nostro interrogatorio, o si devono considerare «credenze provocate», credenze cioè suscitate dal nostro interrogatorio e perciò sistematizzate proprio grazie alle nostre domande?

Conviene qui adottare l’ipotesi piú semplice: cioè che la maggior parte dei fanciulli non si erano posti le domande che abbiamo loro presentato, e quindi la credenza contenuta nella risposta del fanciullo è stata provocata dall’interrogatorio. Due elementi entrano in giuoco in questa credenza. Da una parte, il complesso delle abitudini e dell’orientamento spirituale del fanciullo interrogato; dall’altra, una certa sistematizzazione dovuta alle esigenze della domanda posta e al desiderio del fanciullo di rispondere il piú semplicemente possibile. Le risposte che abbiamo ottenuto non procedono dunque direttamente dall’artificialismo spontaneo del fanciullo. Per ritrovare questo artificialismo spontaneo, bisogna, per cosí dire, grattar sotto le risposte, trovare il nòcciolo di spiegazioni che, prima dell’interrogatorio, il fanciullo non possedeva certo tali e quali nel proprio spirito. È questa ricostruzione che tenteremo, per quanto delicata sia l’impresa.

Ricordiamo, per prima cosa, che il pensiero del fanciullo è egocentrico, e, come tale, intermedio fra il pensiero autistico o simbolico del sogno o della fantasticheria e il pensiero logico. Le credenze che i fanciulli possono avere sono dunque, in genere, incomunicabili o perlomeno incomunicate. E, anche se i fanciulli contraggono, di fronte alla natura e ai suoi fenomeni, una serie di abitudini mentali, non formulano però nessuna teoria, cioè nessuna spiegazione verbale propriamente detta (il che rende però tanto piú notevole l’uniformità relativa che abbiamo constatato nei nostri risultati). Come tale, il pensiero del fanciullo è molto piú immaginoso e soprattutto molto piú motorio che concettuale. Esso consiste in una serie di atteggiamenti o di schemi motorî, piú o meno organizzati in esperienze mentali. Ma nulla è ancora direttamente formulabile. Cosi, facendo col fanciullo delle piccole esperienze di fisica (immergendo ad esempio dei corpi per osservare lo spostamento dell’acqua), si nota spesso che la previsione delle leggi è corretta, anche quando la spiegazione verbale su cui il fanciullo pretende di basare la sua previsione è non solo errata, ma contradittoria rispetto ai principi impliciti che presiedono alla previsione.126 Ne segue che un tipo sistematico di risposte, quale si osserva durante gli stadi artificialistici che abbiamo studiato, presuppone nel fanciullo un insieme di atteggiamenti mentali, per quanto diversi possano essere dalle spiegazioni verbali che il fanciullo formula nel corso dell’interrogatorio.

Quali possono essere, nel caso dell’artificialismo, questi atteggiamenti mentali impliciti? In due parole, il fanciullo concepisce ogni oggetto, compresi i corpi naturali, come fatti per…, secondo la formula sintetica dello stile infantile. Ora, che un corpo come il sole, il lago, o la montagna, sia ritenuto «fatto per» scaldare, per andare in battello, o per salirvi, vuol dire che esso è concepito come fatto per l’uomo e, di conseguenza, legato strettamente all’uomo. Quando dunque si chiede a un fanciullo o quando lui stesso si domanda come siano cominciati il sole, il lago, o la montagna, egli pensa all’uomo, e l’atteggiamento mentale si traduce con: «il sole, ecc., è fatto per l’uomo»; espressione che, a sua volta, dà origine alla formula: «il sole, ecc., è fatto dall’uomo». Il passaggio da «fatto per» a «fatto da» si spiega facilmente se ci si ricorda che il fanciullo, la cui intera esistenza è organizzata dai genitori, considera tutto ciò che è «fatto per» lui come «fatto da» suo padre o sua madre. Dietro alla formula artificialistica, suggerita dall’interrogatorio, la partecipazione antropocentrica costituirebbe il vero nòcciolo dell’artificialismo spontaneo, e bisognerebbe anche supporre che nel fanciullo questo nòcciolo sia costituito da semplici sentimenti o atteggiamenti spirituali. È quello che cercheremo di dimostrare.

Cercando di precisare le tendenze spontanee che spiegano le risposte da noi raccolte a proposito dell’animismo, abbiamo trovato che il vero animismo infantile, quello cioè che preesisteva ai nostri interrogatori, non è tanto un animismo esplicito e sistematico (salvo per quanto concerne la credenza che gli astri e le nubi ci seguano), quanto un semplice «intenzionalismo». Il fanciullo si comporta come se la natura fosse pregna d’intenzioni, come se il caso o la necessità meccanica non esistessero, come se ogni essere tendesse, per un’attività interna e voluta, verso un certo fine. Quando perciò si chiede a un fanciullo se un dato corpo, come una nube o un ruscello, «sa» di camminare, o «sente» ciò che fa, il fanciullo risponde affermativamente, poiché il passaggio dall’intenzionalità alla coscienza è insensibile. Ma questa risposta non traduce il vero pensiero infantile, poiché il fanciullo non si era mai posto quella domanda, e non se la sarebbe mai posta senza di noi, se non forse quando fosse stato sul punto di perdere la fede implicita nell’intenzionalità delle cose.

Le risposte artificialistiche date alle nostre domande sull’origine delle cose ci permettono un’analisi molto simile. Non solo, ma le attitudini mentali che provano la spontaneità dell’animismo infantile sono quelle stesse, press’a poco, che provano anche la spontaneità dell’artificialismo infantile. Comprenderemo dunque nello stesso tempo perché l’artificialismo sia tanto tenace nel fanciullo, e perché artificialismo e animismo siano, almeno all’inizio, complementari.

In realtà, l’intenzionalismo infantile si fonda sul postulato implicito che tutto nella natura abbia una ragion d’essere sotto la specie di un officium che ogni corpo è chiamato a compiere secondo i suoi caratteri specifici. In un certo senso, ciò presuppone l’animismo, poiché, senza discernimento, gli esseri non giungerebbero ad assolvere la loro missione nell’organizzazione sociale del mondo. Ma ciò presuppone anche degli ordini, e soprattutto dei capi: e la ragion d’essere dei corpi subordinati è appunto quella di servirli. Non occorre dire che è l’uomo ad esser sentito come il capo e la ragion d’essere delle cose. L’idea di mettere in dubbio questo principio sfiora tanto poco i fanciulli che non è mai enunciata, ammesso che i principi non sono enunciati prima di por dei problemi allo spirito, prima cioè di esser messi, direttamente o indirettamente, in dubbio. L’animismo e l’artificialismo costituiscono dunque due orientamenti complementari. Riprendiamo da questo punto di vista i tre gruppi di fenomeni che ci son sembrati comprovare la spontaneità dell’atteggiamento animistico nel fanciullo: cioè il finalismo, la precausalità e la confusione tra legge fisica e legge morale.

Il finalismo del fanciullo, anzitutto, parla sia a favore dell’esistenza di un artificialismo che a favore dell’animismo. Certo, quando il fanciullo dice che il sole ci segue «per scaldarci», è chiaro che attribuisce al sole delle intenzioni. Ma, se si esamina la generalità delle definizioni «mediante l’uso» (Binet e Simon), si vede come siano strettamente legate all’artificialismo. Binet, come è noto, ha dimostrato che, quando si chiede a fanciulli di 6-8 anni «che cos’è una forchetta, o una mamma», il fanciullo risponde: «è fatta per mangiare», «è per curarci». La generalità di queste definizioni mediante l’uso è stata constatata da tutti coloro che hanno verificato il valore dei tests di Binet e di Simon. Ora, queste definizioni, cominciando dalle parole «è fatto per», si estendono a tutta la natura, agli oggetti e alle persone che circondano il fanciullo.127 Ciò avviene persino quando ci si guarda dall’esigere dal fanciullo una serie di definizioni successive (cosa che conduce alla perseverazione), ma piuttosto si chiede a bruciapelo, nel corso di un interrogatorio: «che cos’è una montagna?» o «che cos’è un lago?». Una montagna «è (fatta) per salirvi», «per pattinare» ecc.; un lago «per andare in battello» o «per i pesci»: in altre parole, per i pescatori. Cosi, il sole «è (fatto) per riscaldarci»; la notte «per dormire»; la luna «per rischiarare»; un paese «per viaggiare»; la pioggia «per innaffiare» ecc. È evidente che una simile mentalità, non solo finalistica ma utilitaria e antropocentrica, è necessariamente legata all’artificialismo; in altre parole, la definizione «è per» porta con sé la spiegazione: «è fatto per».

In secondo luogo, abbiamo visto che la precausalità, di cui sono testimonianza le domande e soprattutto i «perché» infantili fra i 3 e i 7 anni, è uno dei legami piú solidi fra l’animismo e il resto del pensiero infantile. La precausalità suppone infatti una indifferenziazione tra fisico e psichico, per cui la vera causa di un fenomeno non è mai da ricercarsi nel «come» della sua realizzazione fisica, ma nell’intenzione che sta alla sua base. Queste intenzioni sono tanto di ordine artificialistico, che di ordine animistico. Per meglio dire, il fanciullo comincia col veder dovunque delle intenzioni, e solo in un secondo tempo si preoccupa di classificarle in intenzioni delle cose stesse (animismo) e intenzioni dei fabbricatori delle cose (artificialismo). Cosí quando Del,128 parlando di una pallina su una terrazza in pendío, chiede «che cosa la fa camminare», pensa all’intenzione della pallina, poiché aggiunge: «sa che Lei è laggiú?». Qui la precausalità si orienta verso l’animismo. Ma, quando Del domanda perché ci sono due Salève, uno grande e uno piccolo, e non due Cervini; quando chiede perché il lago Lemano giunge solo fino a Losanna e non fino a Berna; quando il fanciullo di 5 anni citato da Hall129 domanda «perché c’è una luna?» e «perché non brilla come il sole?» ecc. ecc., il fanciullo pensa all’intenzione dei fabbricanti delle montagne, dei laghi o degli astri, o, perlomeno, alla decisione degli uomini; il che sottintende, evidentemente, che gli uomini abbiano una qualche parte nella creazione delle cose.

Abbiamo infine insistito, a proposito dell’animismo, su un fenomeno che ritroveremo continuamente studiando le spiegazioni dei fanciulli relative alla causa del moto:130 l’indifferenziazione dell’idea di legge fisica dall’idea di legge morale. Cosí, il sole e la luna riappaiono regolarmente perché «devono» riscaldarci o illuminarci ecc. È chiaro che questa indifferenziazione comprova un orientamento spirituale sia artificialistico che animistico. Per il fanciullo, infatti, anche la legge morale presuppone dei capi, degli uomini che comandino e dei corpi che ubbidiscano. Occorre certo che il sole abbia un minimo di discernimento per ubbidire; ma occorre che vi sia qualcuno a cui ubbidire. Questo qualcuno il fanciullo non ha forse mai potuto precisarlo esplicitamente nel suo pensiero, ma inutile dire che si tratta dell’uomo, poiché l’uomo è la ragion d’essere di tutto.

In conclusione, se l’artiflcialismo non esiste nel pensiero spontaneo del fanciullo sotto la forma sistematica ed esplicita che ha rivelato per forza di cose durante i nostri interrogatori, esiste però almeno come orientamento spirituale originario, profondamente legato al finalismo e alla precausalità infantile. E ciò basta per considerarlo del piú alto interesse.

  2.Le relazioni dell’artificialismo con il problema della nascita dei bimbi

Il fanciullo, almeno durante i primi stadi, sembra non abbia difficoltà a concepire gli esseri come a un tempo vivi e fabbricati. Gli astri sono vivi, crescono, sono nati; tuttavia gli uomini li hanno costruiti. Allo stesso modo, le montagne, le pietre, i semi «crescono», e tuttavia sono fabbricati. Quale la ragione di quest’unione di animismo e di artificialismo? Per risolvere questo problema, bisognerebbe conoscere le idee dei fanciulli sulla nascita dei bimbi. Ma è ovvio che ragioni troppo importanti, di indole morale e pedagogica, impediscono ogni indagine diretta. In mancanza di esperienza, contentiamoci di riassumere le domande infantili che sono state pubblicate o che abbiamo potuto raccogliere, insieme coi ricordi d’infanzia che a questo proposito abbiamo potuto trovare. Avremo cosí modo di precisare a grandi linee le idee dei fanciulli sulla nascita dei bimbi, e queste idee ci permetteranno di capire i veri rapporti fra animismo e artificialismo.

Possiamo distinguere due tipi di domande di fanciulli relative alla nascita, ma non possiamo dire con sicurezza se questi due tipi caratterizzano due stadi. Le domande del primo tipo non vertono sul «come» della nascita. Non v’è domanda causale vera e propria. Il nascituro è ritenuto preesistere alla nascita, e il fanciullo domanda semplicemente «dove» era prima di nascere, e come hanno fatto i genitori perché apparisse in famiglia. V’è semplice legame tra genitori e fanciulli, non rapporto di causa ed effetto: il bebé è concepito come appartenente ai genitori, e il suo arrivo come voluto e determinato dai suoi genitori, ma senza chiedersi come sia potuto venire al mondo. Le domande del secondo tipo, invece, mostrano che il fanciullo si chiede il «come» della formazione dei bimbi, ed è portato spontaneamente a considerare i genitori come causa di questa formazione.

Ecco alcuni esempi del primo tipo nelle domande raccolte da Hall e i suoi allievi:131

«Mamma, dove mi hai trovata?» (bambina di 3½). «Dov’ero, quando tu eri bambina?» (bambina di 5 anni). «Dov’ero, quando tu andavi a scuola?» (maschio di 7 anni). «Dov’ero, prima di nascere?» (maschio di 7 anni). «Dove trova, il dottore, i bambini?» (maschio di 7 anni).

Le prime di queste domande sono tipiche, poiché il bimbo è nettamente considerato come preesistente all’attività dei genitori. Le due ultime sono meno precise, poiché, quando il fanciullo chiede «dove», è possibile che pensi già al corpo dei suoi genitori.

Rasmussen132 nota nella sua bimba S., a 3 anni e 8 mesi: «Mamma, da dove son venuta?» e piú tardi: «Da dove vengono tutti questi bimbi?» La sorellina a 4 anni e 10 mesi (nove mesi, cioè, dopo aver posto le domande del secondo tipo che tra poco vedremo) domanda: «Dov’è il bebé che una signora avrà l’estate prossima?» La signora Rasmussen allora rispose: «È nel ventre della signora». Ma la piccola di rimando: «L’ha dunque mangiato?» dal che sembrerebbe che il bebé fosse considerato come esistente indipendentemente dai genitori.

Occorre riportare a questo tipo di domande le credenze spesso notate nei fanciulli, secondo cui i morti ritornano piccoli e rinascono sotto forma di bebé.

«Le persone ritornano piccole, quando sono molto vecchie?.»133

DEL (6½): «Quando sarò morto, diventerò cosí [cioè come un bruco morto ch’egli vedeva rattrappito e risecchito] piccolo piccolo?».134

ZAL (5 anni) al quale si annunciava la morte di suo zio: «Rispunterà?»

S. (5;4): «Quando si è morti, si rispunta?»,135 e in seguito: «Non si diventa mai piccoli» e «Quando si muore, si diventa… nulla».136 Le ultime negazioni dimostrano come abbiano dovuto esser forti le affermazioni che le hanno implicitamente precedute.

E il bimbo della signora Klein: «Dann werd ich auch sterben, du [Mama] auch… und dann werden wir zurückkommen».137

Sono le domande di questo primo tipo a provocare le assurde spiegazioni che alcuni genitori raccontano, per cui i bimbi son mandati dagli angeli, dalle cicogne ecc.:

«Da dove è venuto il bimbo? Il buon Dio ha lasciato cadere il bebé dal cielo?» (maschio di 5 anni). «In che modo il buon Dio ha mandato il bebé? Ha mandato un angelo con lui? Se non fossi stata a casa, l’avrebbe riportato indietro?»

Bambina di 7 anni: «Chi è la Signora Natura? Sapevi che stava per portarci un bambino?» ecc.138

Ma delle due, l’una: o i fanciulli non credono a queste storie, il che è piú frequente di quanto non si creda; o vi credono in parte, e allora cercano in che modo i genitori abbiano potuto far venire il bimbo, partendo dall’idea implicita che siano stati proprio i genitori a ordinarne l’apparizione. Eccoci cosí portati alle domande del secondo tipo.

Dal punto di vista dell’artificialismo, come interpretare le domande del primo tipo? A tutta prima sembra che l’artificialismo ne sia completamente escluso. Il fanciullo non chiede come «si fanno» i bambini, chiede da «dove» vengono: i bambini preesistono. Si avrebbe qui uno stadio anteriore al bisogno di spiegare e, a maggior ragione, a ogni artificialismo. Ma questo modo di tradurre le cose è, evidentemente, troppo semplice. Dietro le domande del fanciullo, occorre cercare ciò ch’egli non esprime perché gli sembra evidente: sono i genitori che «fanno venire» i bambini, che cioè ne ordinano l’apparizione, qualunque sia il come di questo apparire. Non v’è ancora fabbricazione, ma almeno un legame che il fanciullo sente direttamente, senza aver bisogno di precisarlo. C’è insomma una specie di preartificialismo, simile all’artificialismo primitivo che spesso abbiamo notato nei piccini: il sole ecc. è stato legato agli uomini fin dall’inizio senza esser stato propriamente fabbricato dagli uomini.

Le domande del secondo tipo segnano invece la comparsa del bisogno di comprendere la natura del legame fra genitori e figli, il «come» della nascita. Ora, cosa molto interessante per noi, la nascita è subito concepita dal fanciullo come una fabbricazione, e come una fabbricazione relativa a una materia vivente, sia indipendente dai genitori, sia nata dal corpo dei genitori stessi. Per quanto concerne il primo punto, ecco alcuni esempi di nascita assimilata alla fabbricazione:

Una delle bimbe di Rasmussen, R., domanda a 4 anni e 1 mese: «Come si fabbricano le signore?» Al che la signora Rasmussen rispose domandando alla bimba perché mai lo chiedesse. «Perché c’è della carne sulle signore. – Quali signore? – Tu e le altre signore». E aggiunge: «Credo che sia un fabbricante di carne; non credi, tu?» All’età di 4 anni e 10 mesi, riprende: «Come si fabbricano le persone?»139

La signorina Audemars ci ha comunicato i seguenti discorsi spontanei: Renata, a 7 anni, ha avuto una sorellina. Sta modellando dei pupazzetti con la plastilina e, dopo una pausa, chiede: «Signorina?… Per la mia sorellina, ohe cosa si è fabbricato, prima? La testa?» Le si risponde: «Come credi che si costruisca un bambino, Renata? La mamma, te l’ha detto? – No, ma lo so. Lei [la mamma] quando sono nata, aveva ancora della carne. Per far la mia sorellina, l’ha modellata con le sue mani e l’ha tenuta molto tempo nascosta».

Sully140 cita il discorso: «Mamma, da dove viene Tommy?» [il fanciullo stesso]. Al che Tommy risponde da sé: «La mamma ha comprato Tommy in una bottega».

ZAL, a 5 anni, di cui citiamo poco sopra le parole dopo la morte di suo zio, aggiunge: «Ma noi spuntiamo o ci costruiscono?» Evidentemente, «spuntare» non significa crescere, ma apparire spontaneamente: il fanciullo chiede se i bambini vengono da soli (se «rispuntano» come lo zio morto), o se li fanno i genitori. In quest’ultimo caso, la nascita è concepita come una fabbricazione.

La figlia di Cramaussel, S., esclama a 5 anni e 1 mese, quando le insegnano che è il buon Dio che fa i bambini: «Egli si serve, per far questo, di sangue di capra».141

Un’altra bimba domanda da dove vengono i bambini, e aggiunge: «Io lo so. Andrò dal macellaio, prenderò molta carne e la impasterò».

A leggere questi discorsi, si comprende perché i fanciulli concepiscano come complementari e non contraddittori animismo e artificialismo. Nessuna difficoltà si oppone a che si costruisca la materia vivente dal momento che gli stessi bambini sono fabbricati. Ora, come vedremo subito, le domande sulla nascita sono spesso il punto di partenza delle domande sull’origine delle cose. È dunque fin dal suo nascere che l’artificialismo infantile presuppone le idee di vita e di fabbricazione come complementari l’una dell’altra.

D’altra parte, il fanciullo concepisce molto presto che la materia con cui i genitori fabbricano i loro figli viene dal loro stesso corpo:

Si citano credenze infantili per cui i bebé sarebbero nati dal sangue dei genitori, dalla bocca, dal petto, dall’ombelico».142

Una bimba di 4 anni e ½credeva che, se fosse caduta, si sarebbe divisa in due bambine, e via di seguito.143

Clan, il soggetto del quale abbiamo citato diversi ricordi (cap. IV, § 2), ha per anni creduto che i bambini nascessero dal fallo del babbo, poiché, diceva, aveva sentito dire da suo padre che «i figli sono il prolungamento dei padri».

Abbiamo anche spesso trovato nei ricordi d’infanzia che abbiamo potuto collezionare l’idea, ben nota agli psicanalisti, che il bambino è nato dall’orina, o dall’orifizio anale e viene dalle feci, o che la nascita è dovuta a un certo alimento inghiottito dalle loro mamme. Dobbiamo alla signorina Audemars la seguente osservazione: «Dol (7½) domanda: Che cosa mangiano le mamme per poter aver bambini? – Ray (7 anni) risponde: Bisogna che mangino molta carne e molto latte».

Ciò che per noi è interessante è che, anche quando il fanciullo è al corrente – perché glielo si è detto – che il bambino è uscito dal corpo della mamma, continua a chiedersi il come della formazione di ogni organo, come se ognuno fosse fabbricato a parte. Cosi, il bambino della signora Klein: «Ma da dove viene la testina? Da dove vengono le membra? Da dove viene il pancino?» ecc. Un altro bimbo, al quale era stato spiegato che i bambini nascono dal ventre della mamma, chiede: «Ma come si son potute mettere le mani nel ventre, per farli?»

Per poter comprendere come queste ricerche spontanee dei fanciulli sul problema della nascita possano avere un’influenza sullo sviluppo dell’artificialismo, occorre tentar di fissare a grandi linee la cronologia delle domande relative all’origine delle cose. In realtà, la curiosità spontanea del fanciullo si appunta sull’origine di tutte le cose; e questo fatto è fondamentale, poiché da solo giustifica le inchieste che abbiamo compiute nei tre capitoli precedenti. L’esame piú superficiale delle domande infantili, fra i 3 e i 7 anni, mostra che il fanciullo domanda come sono cominciati gli astri, i cieli, le nubi, il vento, le montagne, i fiumi, i mari, le materie prime, la terra, l’universo, e Dio stesso. Le domande piú metafisiche, come quella del cominciamento primo delle cose, sono poste verso i 6-7 anni: Dio ha creato il primo uomo, si dice alla figlia di Rasmussen, R., di 7 anni: «No, – risponde, – ma da dove è venuto, lui?» ecc. È dunque importante precisare se le domande relative all’origine delle cose in genere sono anteriori alle domande sulla nascita e ne determinano la struttura, o se accade l’inverso.

I fatti sembrano dare una risposta non equivoca. La successione degli interessi sembra questa: interesse per la nascita, interesse per l’origine della razza, interesse per l’origine delle cose in genere. Ecco 4 gruppi di fatti conformi a quest’ordine:

BALLARD (§ 1) uno dei due sordomuti citati da James, verso i 5 anni si è chiesto in che modo nascessero i bambini. Poi, dopo averlo capito nelle grandi linee, si è chiesto come aveva potuto apparire il primo uomo. Di qui il suo interesse si è esteso alla nascita del primo animale e della prima pianta, e, infine (verso 8-9 anni), all’origine del sole, della luna, della terra, ecc.

Bohn144 ha riscontrato in suo figlio domande poste nell’ordine seguente. A 2 anni e 3 mesi: «Da dove vengono le uova?» Poi, dopo la risposta: «Le mamme covano?» A 2 anni e 6 mesi: «Papà, c’ erano delle persone prima di noi? – Sí. – In che modo son venute al mondo? – Sono nate come noi. – La terra c’era prima che ci fossero gli uomini? – Sí. – Come ha potuto venir qui se non c’era nessuno a farla?» A 3 anni e 7 mesi: «Chi ha fatto la terra? C’è stato un tempo in cui non eravamo sulla terra?» A 4 anni e 5 mesi: «Prima della prima mamma, ce n«era un’altra?» A 4 anni e 9 mesi: «Com’è potuto venire al mondo il primo uomo, senza una mamma?» Infine, ancora a 4 anni e 9 mesi: «Com’è stata fatta l’acqua?» e «Di che cosa sono fatte le rocce?»

Le figlie di Rasmussen sembrano aver seguito un ordine simile. R., dopo aver chiesto come si fabbricano le signore, un mese dopo chiede: «Chi ha fatto gli uccelli?» domanda artificialistica tanto piú interessante in quanto a quell’età non le si era ancor parlato di religione. S. 3 anni e 8 mesi, domanda come nascono i bambini; a 4½ com’è cominciato il primo uomo; e un po’ piú tardi, da dove è venuto il primo cavallo, al che lei stessa rispondeva: «Credo che sia stato comprato», cioè, evidentemente, «fabbricato».

Ma l’esempio piú esplicito è dato dalla signora Klein. A 4¾, suo figlio cominciò a interessarsi della nascita. La prima domanda l’ha posta sotto questa forma: «Dov’ero quando non ero ancora sulla terra?» Poi è venuta questa domanda: «Wie wird ein Mensch?145» che si è ripetuta piú volte. In seguito: «Mamma, come sei venuta sulla terra?» Il piccolo ebbe una spiegazione sul problema della nascita, ma dopo qualche giorno, riprese: «Come succede che si diventi grandi? Da dove viene la testina, il pancino?» ecc. Infine, in seguito a queste, sono apparse diverse serie di domande: «Come crescono gli alberi? Come spuntano i fiori? Come si formano le sorgenti? I fiumi? La polvere? In che modo i battelli vanno sul Danubio?» Da dove vengono le materie prime e, soprattutto, «Da dove viene il vetro?»

Possiamo dunque supporre che, secondo ogni verosimiglianza, la curiosità relativa alla nascita è al punto di partenza delle domande sull’origine delle cose (tanto frequenti tra i 4 e i 7 anni), e perciò dell’artificialismo infantile. Naturalmente, si troveranno dei fanciulli nei quali le domande inerenti all’origine precedono le domande relative alla nascita; ma possiamo sempre domandarci se per caso non sia proprio l’interesse per la nascita che, ostacolato e proiettato, sta alla base delle domande d’origine.

Ciò che in ogni caso si osserva, e occorre ripetere questi fatti per ben comprendere i rapporti fra il problema della nascita e l’artificialismo, è l’evoluzione dei miti relativi all’origine dell’uomo, nel senso di un artificialismo sempre piú immanente, cioè attribuito alla natura stessa.

Infatti, poco dopo essersi occupato della nascita, il fanciullo si chiede, quasi immancabilmente, quale sia potuta essere l’origine dell’uomo sulla terra. I piccoli, verso i 4-5 anni, dànno a questo problema una soluzione artificialistica semplice, a rischio di spiegare l’uomo mediante l’uomo, e di spostare semplicemente il problema. È la soluzione che adotta Marsal, tardivo, che citeremo al prossimo paragrafo: una coppia di antenati ha creato tutto, e tutto si spiega cosí. Ma, in fanciulli di 7-9 anni, si trovano soluzioni interessantissime che fanno discendere l’uomo dagli animali o dalle piante, e questi dalla natura medesima. La natura diventa principio di fabbricazione, conformemente a quanto abbiamo visto a proposito dell’artificialismo immanente dei fanciulli di 9-10 anni. Ecco due esempi precisi:

BALLARD, il sordomuto che abbiamo citato poco sopra, ha finito col concludere che il primo uomo è dovuto nascere da un vecchio tronco d’albero. In seguito, l’ipotesi gli è parsa assurda, ma non ha potuto sostituirvi nulla di meglio.

VO (9 anni), al quale chiediamo com’è incominciata la Svizzera, capisce male la domanda, o piuttosto confonde le origini della Svizzera con quelle dell’umanità in genere, e ci racconta quanto segue: «È venuta della gente. – Da dove? – Non so. O’erano delle boue nell’acqua, e sotto un vermiciattolo, poi è diventato grosso, è uscito dall’acqua, poi si è nutrito, ha messo fuori delle braccia, aveva denti, piedi, una testa, ed è diventato un bambino. – La bolla veniva da dove? – Dall’acqua. Il verme usciva dall’acqua. La bolla è scoppiata. Il verme è uscito [dalla bolla]. – Che cosa c’era, in fondo all’acqua? – Essa [la bolla] è uscita dalla terra. – E il fanciullo, che cosa è diventato? – È diventato grande, ha fatto dei piccoli. Quando è morto, i piccoli hanno fatto dei piccoli. Poi ce ne sono che son divenuti francesi, tedeschi, savoiardi…»

L’interesse di quest’ultimo mito, anche se fabulato, è evidente. Il suo contenuto si apparenta coi simboli freudiani dei sogni sulla nascita. Sappiamo che l’acqua è spesso associata, per il pensiero onirico, all’idea della nascita, mentre le uova (di rana ecc.) e le bolle come simboli delle uova sono spesso associate allo stesso motivo. Se, anche riducendo le ipotesi al minimo, si ammette il principio del simbolismo del pensiero subconscio, il mito di Vo può assurgere a trasposizione simbolica di una nascita propriamente detta. In altri termini, l’acqua sarebbe inconsapevolmente assimilata all’orina in cui i fanciulli spesso credono che nascano i bebé (e abbiamo visto come alcuni fanciulli tendano a ricondurre i laghi o i mari a origini umane), la bolla a un uovo, il verme a un bimbo che esce dal corpo; ciò che permetterebbe a Vo di credere che la natura abbia fabbricato l’uomo. Se ci si rifiuta di ammettere il principio del simbolismo, è tuttavia evidente che Vo si è limitato a trasporre sulla natura ciò che, qualche anno prima, avrebbe attribuito soltanto all’uomo. Nei due casi, vediamo come la natura diventi depositaria dell’attività fabbricatrice dell’uomo.

In conclusione, le idee dei fanciulli sulla nascita dei bimbi o sulle origini dell’uomo seguono le stesse leggi delle idee relative alla natura in generale: artificialismo al punto di partenza, e spiegazione naturale con tracce di artificialismo immanente negli stadi superiori. Ora, sembra che le domande poste sulla nascita siano alla base delle domande sull’origine, e non viceversa; e che appunto le idee dei fanciulli sulla nascita spieghino perché artificialismo e animismo siano, primitivamente, solidali l’un dell’altro. Il bimbo essendo insieme fabbricato e vivente, il fanciullo tende a concepire ogni cosa come viva e fabbricata insieme.

  3.Gli stadi dell’artificialismo spontaneo e i loro rapporti con lo sviluppo dell’animismo

Siamo ora in grado di tracciare nelle grandi linee lo stato dei rapporti fra animismo e artificialismo. Distinguiamo a questo scopo quattro periodi nello sviluppo dell’artificialismo, e cerchiamo di precisare, a proposito di ognuno, il corrispondente sviluppo dell’animismo.

Il primo periodo è quello durante il quale il fanciullo non si pone ancora il problema dell’origine – o della fabbricazione – delle cose. Le sole domande relative all’origine delle cose sono quelle poste sotto la forma: «Da dove viene…?» e intese in senso spaziale e non propriamente causale. Se le domande del primo tipo relative alla nascita (consistenti nel chiedere dove, prima di nascere, è il bimbo) costituiscono uno stadio, è in tale periodo che questo stadio dovrebbe essere situato: periodo, potremmo dire, di artificialismo diffuso, nel senso che la natura è concepita come diretta dagli uomini, o almeno come gravitante attorno ad essi. Ma il fanciullo non cerca di precisare il come di quest’azione e non può rispondere alle domande di origine: il periodo di cui parliamo è dunque anteriore ai primi stadi che abbiamo distinti analizzando le manifestazioni dell’artificialismo. In questo periodo la magía, l’animismo e l’artificialismo si confondono totalmente. Il mondo è una società di esseri viventi diretta dall’uomo. L’io e il mondo esterno sono mal differenziati. Ogni azione è insieme fisica e psichica. La sola realtà è dunque un complesso di azioni intenzionali; queste azioni presuppongono degli esseri attivi, e in questo senso c’è animismo. Ma queste azioni sono, da vicino o da lontano, dirette dagli uomini, e in questo senso c’è artificialismo, almeno diffuso. Inoltre, quest’artificialismo può essere tanto magico quanto diretto, nel senso che la volontà degli uomini agisce sia a distanza che in altro modo.

Si prendano ad esempio le prime risposte di Roy (contenute nel cap. VIII, § 1): solo in parte, tuttavia, perché Roy precisa già l’origine del sole (e, perciò, rientra nel secondo periodo). Il sole, dice Roy, ha cominciato ad esistere ed è cresciuto «perché noi abbiamo cominciato ad esistere» e «perché noi cresciamo». C’è, dunque, una vita spontanea nelle cose (animismo), ma c’è anche azione dell’uomo sulle cose (artificialismo). Ma quest’artificialismo non si accompagna spontaneamente a un mito di origine e, in secondo luogo, non contiene un elemento magico. La maggior parte dei fanciulli non superano questo periodo per quanto concerne la maggioranza dei corpi naturali, ma appena cercano di precisare l’origine di uno di questi, varcano i confini del secondo periodo.

Si possono anche prendere come esempi di questo primo periodo i casi piú primitivi della credenza che il sole, la luna e le nubi ci seguano. Da una parte, gli astri ci seguono volontariamente (animismo); dall’altra, hanno per unica funzione di seguirci e di illuminarci o riscaldarci; sono «fatti per» noi (artificialismo). Infine, siamo noi che li facciamo camminare (magía).

In breve, il fanciullo, durante questo primo periodo, proietta in tutte le cose la situazione che sente esistere fra lui e i genitori. Da una parte, si sente libero e cosciente; dall’altra, si sente dipendente dai genitori e li concepisce come causa di tutto ciò che possiede. Infine, sente fra sé e loro una varietà enorme di partecipazioni anche quando ne è lontano.

Il secondo periodo, che chiameremo dell’ artificialismo mitologico, appare dal momento in cui il fanciullo si pone dei problemi di origine o risponde alle domande che gli poniamo sull’origine delle cose. Da allora, l’artificialismo, sinora diffuso, si preciserà in un certo numero di miti sul genere di quelli da noi raccolti. Cosi, il sole non sarà piú concepito semplicemente come fabbricato dagli uomini, ma dagli uomini per mezzo di un ciottolo o di un fiammifero. Fra questi miti (generalmente «provocati» ma spesso «spontanei», come dimostra lo studio delle domande infantili) e l’artificialismo diffuso del primo periodo, esistono in fondo – a parità di condizioni – gli stessi rapporti rilevati da Lévy-Bruhl fra un primo stadio della mentalità primitiva, in cui le partecipazioni sono semplicemente sentite e vissute, e un secondo nel quale le partecipazioni cominciano ad essere formulate dando vita a miti di origine.

È in questo periodo che bisogna situare il primo stadio da noi distinto nei capitoli precedenti, cioè lo stadio in cui esiste artificialismo integrale: il sole, il cielo, la notte, le montagne, i fiumi ecc. sono direttamente fabbricati dagli uomini. In questo periodo, animismo e artificialismo sono ancora del tutto complementari: le cose sono nello stesso tempo fabbricate e vive. La loro fabbricazione può paragonarsi alla nascita dei bimbi, concepiti – in una certa misura – come modellati manualmente anche quando il fanciullo sa che la materia di cui sono fatti proviene dai genitori.

Questa somiglianza tra fabbricazione e nascita è tanto piú netta, in tale periodo, in quanto certi corpi naturali sono concepiti come nati dall’uomo. Queste rappresentazioni sono certo molto piú frequenti di quanto i fanciulli non l’abbiano confessato. Comunque, abbiamo rilevato identificazioni del vento con l’alito umano, della nebbia col fiato, dei fiumi o dell’oceano con gli sputi o con l’orina ecc. Se si pensa al contenuto simbolico possibile delle rappresentazioni autistiche, per esempio ai legami molto verosimili esistenti fra acqua e orina e nascita, fra terra e nascita (i fanciulli tendono molto spontaneamente ad avvicinare la morte alla nascita: i morti «rispuntano»), o anche fra cielo, nubi e nascita, è facile capire dove possa giungere, nelle tendenze latenti del fanciullo, l’assimilazione del mondo esterno a un insieme di corpi viventi legati alla vita umana. In ogni caso, un insieme di fatti verificabili per osservazione diretta mostrano che, in questo periodo di artificialismo mitologico, le cose appaiono al fanciullo come insieme vive e fabbricate. L’artificialismo e l’animismo si implicano ancora senza darsi fastidio.

Chiameremo il periodo successivo periodo dell’artificialismo tecnico, che corrisponde nelle grandi linee al secondo stadio da noi distinto nei capitoli precedenti (almeno, quando vi sono tre stadi), cioè allo stadio dell’artificialismo mitigato (miscuglio di spiegazioni naturali e artificialistiche). In altri termini, questo periodo va dai 7-8 ai 9-10 anni in media; età che, come vedremo,146 segna il punto in cui l’interesse infantile comincia a dirigersi verso i particolari delle macchine e i procedimenti della tecnica umana. Per esempio, è verso gli 8 anni in media che i ragazzi, tanto a Ginevra quanto a Parigi, giungono a dare a memoria la spiegazione corretta del meccanismo della bicicletta. Nelle grandi linee, il fanciullo acquista il potere di comprendere un funzionamento meccanico semplice (motore a vapore, ecc.), e le idee sui mestieri e sull’elaborazione delle materie prime diventano piú precise. Va da sé che questi fatti reagiscono sull’artificialismo. Fino a quel momento, tutta la natura sembrava fabbricata dall’uomo, senza che il fanciullo si domandasse il «come» di questa fabbricazione. Inoltre il fanciullo non pensava a mettere in dubbio la potenza della tecnica umana. Una macchina gli sembrava una scatola magica dalla quale tutto può venir fuori da niente. D’ora innanzi, invece, il «come» della fabbricazione diventa un problema per il fanciullo. Ma precisare il «come» di una fabbricazione, significa precisarne le difficoltà, significa rinunciare a credere all’onnipotenza umana; in breve, è imparare a conoscere il reale e le sue leggi. Le ripercussioni di questi nuovi interessi sull’artificialismo saranno i seguenti. Il fanciullo continuerà ad attribuire all’uomo la configurazione generale delle cose, ma ne limiterà l’azione alle operazioni tecniche realizzabili. Quanto al resto, sono le cose che, messe in moto dall’uomo, hanno completato la natura grazie a processi naturali. L’artificialismo è dunque in declino: si appoggia alle leggi della natura stessa. È questo artificialismo limitato che noi chiamiamo «artificialismo tecnico». Ad esempio, il fanciullo non dirà piú che tutta la circolazione delle acque è opera dell’uomo: dirà che il letto dei fiumi e dei laghi è fabbricato, ma che l’acqua cade dalle nubi per un processo naturale. Gli astri non saranno piú opera esclusiva dell’uomo: risulteranno, agli occhi del fanciullo, dall’infiammarsi e dal condensarsi delle nubi di fumo uscito dalle case, ecc. La spiegazione cessa di essere mitologica e diventa precisa da due punti di vista: non chiede alla tecnica umana se non ciò che potrebbe, a rigor di termine, produrre, e riserva ai processi naturali la cura di portare a termine ciò che l’uomo ha preparato.

Quanto ai rapporti fra artificialismo tecnico e animismo, essi segnano un’inversione rispetto ai periodi precedenti: artificialismo e animismo diventano contradittorî. Infatti, se l’artificialismo si indebolisce, lo si deve al fatto che la resistenza delle cose è parzialmente riconosciuta. Alle leggi puramente morali che fin qui, agli occhi del fanciullo, reggevano la natura, si sostituisce a poco a poco un determinismo fisico. Effettivamente si constata che i fanciulli di questo periodo non attribuiscono piú la vita a tutto, neppure a tutto ciò che è in moto, ma distinguono il moto ricevuto dal moto proprio, e riservano vita e coscienza ai soli corpi animati di movimento autonomo (gli astri, il vento, ecc.). I corpi fabbricati cessano perciò dall’apparir come viventi, e i corpi viventi cessano dall’apparir fabbricati. A questo punto i fanciulli dichiarano esplicitamente che un dato oggetto non sa né sente nulla «perché è stato fabbricato».

Verso i 9-10 anni, infine, appare un quarto periodo, o periodo dell’artificialismo immanente. Questo periodo corrisponde al terzo degli stadi da noi distinto nei capitoli che precedono (quando le spiegazioni date a proposito di un fenomeno sono classificabili in tre stadi), quello cioè durante il quale l’idea che la natura sia fabbricata dall’uomo scompare totalmente. Ma, come diverse volte abbiamo rilevato a proposito dei particolari delle spiegazioni infantili, l’artificialismo scompare solamente sotto la sua forma umana o teologica, per trasferirsi sulla natura. In altri termini, la natura è erede dell’uomo e fabbrica al modo dell’artista o dell’operaio. I fatti, come si ricorderà, sono i seguenti. Anzitutto il finalismo, che sopravvive tenacemente all’artificialismo degli ultimi stadi. Cosi il sole, anche quando è concepito come del tutto indipendente dalla fabbricazione umana, resta «fatto per» scaldarci, illuminarci, ecc. Le nubi, anche quando dovute a un’evaporazione naturale, continuano ad essere «fatte per» portarci la pioggia ecc. Tutta la natura resta permeata di fini. In secondo luogo l’idea di una generazione dei corpi paragonabile a una specie di nascita: le stelle escono dal sole, talvolta, per rientrarvi, i lampi si condensano in astri o escono dagli astri ecc. Infine, l’idea di forza sostanziale, cioè di un’attività spontanea attribuita a ogni cosa. Il verbo «fare» che il fanciullo usa a ogni proposito è, a questo riguardo, molto significativo. La natura stessa diventa depositaria dell’artificialismo degli ultimi stadi. Fatte le debite proporzioni, è l’artificialismo che Brunschvicg ha cosí ben descritto nella fisica di Aristotele.

Naturalmente le idee di finalità, di forza sostanziale, e molte altre che vanno schiudendosi in questo periodo, datano da molto prima, ed è dall’inizio del suo sviluppo che il fanciullo comincia ad attribuire alle cose un’attività umana. L’animismo infantile è appunto questo, e, in certo senso, si può fin dai primi periodi chiamarlo un artificialismo immanente. Ma il periodo che abbiamo ora cercato di caratterizzare, e che si apre verso i 9-10 anni, segna il punto di congiunzione fra due correnti ben distinte: una nata dall’animismo dei periodi precedenti, l’altra nata dall’artificialismo degli stessi periodi. Cosi alcuni caratteri ormai attribuiti ai corpi sono di origine animistica: ad esempio la coscienza e la vita, che un terzo dei fanciulli di questo quarto periodo attribuiscono ancora agli astri. Altri caratteri sono di origine artificialistica: ad esempio l’idea di generazione reciproca dei corpi, che sembra nata dall’idea di una fabbricazione propriamente detta (essendo ogni fabbricazione considerata, nel secondo periodo, come avente per oggetto una materia viva). Infine, la maggior parte dei caratteri sono di origine insieme animistica e artificialistica, come le idee di forza sostanziale, finalismo integrale ecc.

Naturalmente quanto abbiamo detto del terzo e quarto periodo non concerne che la fisica del fanciullo. Quando il fanciullo riceve un’educazione religiosa, la differenziazione tra fisica e teologia si compie per gradi durante quegli stessi periodi, e l’artificialismo umano o trascendente dei primi due periodi è progressivamente trasferito in Dio stesso. In questo caso, la creazione del mondo resterà interpretata mediante un artificialismo integrale, mentre i fenomeni nei loro aspetti particolari saranno interpretati grazie a processi naturali e a un artificialismo sempre piú immanente.

  4.Le origini dell’artificialismo

Sarebbe assurdo pretendere di assegnare all’artificialismo infantile un’origine unica. Un fenomeno cosí complesso non può che essere condizionato da molti fattori. Distingueremo qui, come a proposito dell’animismo e della magía, due specie di cause: le cause individuali, cioè legate alla coscienza che il fanciullo acquista della propria attività, e le cause sociali, legate cioè ai rapporti che il fanciullo sente fra sé e il suo ambiente, specie tra sé e i suoi genitori. Ma, mentre le cause individuali sembrano prevalere nel caso della magía e dell’animismo, le cause sociali sembrano prevalere nel caso dell’artificialismo.

Le cause sociali sono due: il legame di dipendenza materiale che il fanciullo sente esistere fra sé e i suoi genitori, e la deificazione spontanea dei genitori da parte sua.

Sul primo punto, possiamo esser brevi. Fin dagli inizi della sua vita cosciente, il fanciullo è sotto la dipendenza immediata dell’attività dei genitori: il nutrimento, il benessere, il domicilio, le vesti, tutto è organizzato dall’esterno per lui, man mano che i suoi bisogni lo richiedono. L’idea piú naturale per il fanciullo, cioè l’idea di cui non riuscirà a sbarazzarsi senza far violenza alle sue abitudini, sarà dunque che tutta la natura gravita intorno a lui ed è stata organizzata dai genitori o dagli uomini in generale. L’«artificialismo diffuso» può dunque essere ritenuto come il risultato diretto del sentimento di dipendenza materiale che il fanciullo prova di fronte ai genitori. Quanto all’artificialismo mitologico, possiamo presumere, come abbiamo visto, che la sua apparizione sia provocata dall’insorgere del problema della nascita. Ma il problema della nascita è, anche qui, il problema del ruolo dei genitori. Il fanciullo sente di appartenere ai propri genitori, sa che questi hanno determinato la sua venuta al mondo. Perché? Come? L’orientamento di quest’interesse condiziona una buona parte delle soluzioni artificialistiche del fanciullo.

Il secondo punto, cioè la deificazione dei genitori, ci tratterrà piú a lungo. Bovet, in studi notevoli,147 ha tratto dalla psicologia del fanciullo tutta una teoria sull’origine della religione, che è, per il nostro studio, del piú alto interesse.

Gli psicanalisti hanno dimostrato che tra le diverse forme di amore, amor filiale, amore dei parenti, amore sessuale ecc., non esiste eterogeneità ma unità di origine. Flournoy, ispirandosi a questa tesi, ha cercato di mostrare, soprattutto nell’articolo Une mystique moderne,148 che il sentimento religioso non è se non amore sessuale sublimato. Bovet, cercando di allargare il dibattito e di studiare non solo le mistiche, ma la religione in tutta la sua ampiezza, è stato portato a capovolgere i termini del problema. Se veramente esiste parentela fra amore sessuale, amore mistico e amore del fanciullo per la propria madre, bisogna, con Freud, concepire l’amor filiale come sessuale e incestuoso, o vedere nelle diverse forme d’amore le differenziazioni di uno stesso, primitivo amor filiale? Non è solo una questione di parole. In psicologia religiosa, la sfumatura è molto precisa. L’amore sessuale sublimato non contiene tutto il sentimento religioso. Invece, il trasferimento e la sublimazione del sentimento filiale primitivo ci offre la chiave del problema. L’essenza del sentimento religioso è infatti una mescolanza sui generis di amore e di timore, che possiamo chiamar rispetto. Ora, questo rispetto è inspiegabile se non trova la sua sorgente nei rapporti tra il fanciullo e i suoi genitori. È perciò il sentimento filiale vero e proprio.

Ecco i fatti. Spontaneamente, il bimbo è portato ad attribuire ai genitori tutti gli attributi che i teologi prestano alla divinità: santità, onnipotenza, onniscienza, eternità, perfino ubiquità. Esaminiamo alcuni di questi punti di vista, poiché ci conducono al cuore stesso dell’artificialismo.

È osservazione comune che la bontà perfetta è attribuita spontaneamente dai bimbi ai genitori. Prova ne sia, dice Bovet, la profondità della crisi scatenata dalla prima scoperta di un errore, e soprattutto di un’ingiustizia, nella condotta dei genitori. Fra i ricordi di infanzia che abbiamo raccolto, abbiamo visto il caso di un fanciullo che, accusato e punito a torto, si persuase di aver commesso lo sbaglio imputatogli.

L’onnipotenza è ancor piú essenziale dal punto di vista che qui ci interessa. Sono stati spesso citati fanciulli che attribuivano ai propri genitori poteri straordinari. Una bambina domandava a sua zia di far in modo che piovesse149 Bovet cita il ricordo d’infanzia di Hebbel. Il fanciullo, che attribuiva ai suoi genitori tutti i poteri immaginabili, fu stupefatto di trovarli un giorno desolati alla vista di alberi da frutta abbattuti da un temporale: c’era dunque un limite, ai poteri di suo padre ! Potremmo moltiplicare questi tratti spontanei. A questo proposito, i nostri materiali confermano in modo preciso la tesi di Bovet. Non solo l’onnipotenza che i piú piccini da noi esaminati attribuiscono agli uomini in generale deve evidentemente provenire dai poteri illimitati che i bimbi attribuiscono ai genitori, ma spesso abbiamo trovato fatti piú precisi. Abbiamo chiesto ai fanciulli se il loro babbo avrebbe potuto fare il sole, il Salève, il lago, la terra, i cieli. I piccoli non esitano a rispondere di sí. Ecco un mito significativo, nel quale l’onnipotenza dei genitori è, in verità, trasposta su un piano simbolico, ma non resta per ciò meno precisa:

MARSAL (20 anni) è un minorato di cui si ricorderà il racconto, non privo di fabulazione, che il sole era stato proiettato in aria come un pallone dagli antenati. Gli abbiamo chiesto che cosa sono questi antenati: «Secondo me, è stato necessario qualcuno per fabbricarci». «E il buon Dio? – A dir la verità, non credo al buon Dio. A dir la verità ci voleva qualcosa per cominciare il regno umano. – Come è avvenuto? – Egli [Dio] non ha potuto prendere dei mozziconi e farne un uomo. Occorreva un certo contatto dei sessi. C’era un vecchio, non vecchissimo, ma un vecchio. C’era con lui una donna. La donna era suppergiú della stessa età». A questo punto, Marsal ha preso un’aria grave. Gli chiediamo di descrivere questa donna. Risponde: «Ha la faccia di mia mamma. Mia mamma è ciò che di piú caro ho al mondo». Quanto al vecchio, ha, naturalmente, la faccia di suo padre: niente barba, stessi tratti, stessi occhi. Solo, è un po’ piú giovane. Ora, sono questi antenati che, per Marsal, hanno costruito la terra e tirato fuori il sole dai vulcani.

Un mito simile simbolizza, evidentemente, ciò che i piccoli si limitano a sentire: il mondo è fatto dai genitori. Quanto all’onniscienza attribuita a padre e madre, risulta nettamente dalla crisi prodotta nel fanciullo dalla scoperta dell’ignoranza o dell’errore in cui i genitori cadono. Qui, come d’abitudine, la credenza infantile è implicita, non formulata e neppur formulabile, e solo il giorno in cui la credenza crolla ci si accorge che esisteva. Un fatto molto esplicito è offerto dal ricordo di Gosse che, per la prima volta, sente suo padre dir qualcosa di non esatto. Questo passaggio merita d’esser letto nell’originale;150 qui ci limitiamo a ricordare la frase: «Avevo fatto la scoperta stupefacente e fin allora insospettata che mio padre non era come Dio, non sapeva tutto. Il colpo non fu provocato dal sospetto che non dicesse la verità, ma dalla prova terribile che non era, come io lo credevo, onnisciente».

Abbiamo osservato quanto segue. Del, a 6 anni e ½, fa delle domande come se tutto comportasse una risposta e come se l’adulto sapesse tutto. «Perché non vi sbagliate mai?» chiede alla sua istitutrice. A 7 anni e 2 mesi, le sue domande su fenomeni casuali si diradano, come se avesse rinunciato a giustificare tutto. Gli sottoponiamo le domande da lui fatte l’anno prima, e le trova assurde e insolubili. «Papà non può saper tutto, dunque neanch’io», risponde una volta. È che, nel frattempo, Del è passato per una crisi di scetticismo riguardo al pensiero adulto, crisi descritta da Bovet e della massima importanza per il pensiero infantile. In effetti, all’epoca in cui Del credeva all’onniscienza adulta, considerava il mondo come un insieme armonicamente regolato e non passibile di azzardo, mentre, all’epoca dello scetticismo di cui parliamo, rinuncia all’idea che tutto possa giustificarsi ed è ormai pronto ad ammettere il caso e la spiegazione naturale.

I genitori sono anche concepiti dai piccoli come indipendenti dal tempo: abbiamo visto molti bimbi sostenere che, quando il loro papà è venuto al mondo, il lago non era ancora scavato, il Salève non era ancora fabbricato. Il mito di Marsal ci ha mostrato come il fanciullo tenda a concepire i genitori come anteriori all’origine delle cose.

Quanto all’ubiquità, non la ricordiamo per simmetria. Tutti sanno che i fanciulli colpevoli di qualche mancanza sentono di essere seguiti e osservati. Anche il fanciullo contento si crede costantemente capito, indovinato, circondato. L’onniscienza adulta si prolunga in onnipresenza.

Tale sembra essere il punto di partenza del sentimento filiale: i genitori sono dèi. Molto giustamente osserva Bovet che l’idea di Dio, quando è imposta durante questi stadi primitivi dall’educazione religiosa, è per il fanciullo inutile e imbarazzante. Se si insiste sulle perfezioni divine, il fanciullo vede in Dio un rivale dei suoi genitori, e Bovet ha citato a questo proposito fatti curiosissimi. Se non si insiste su quelle perfezioni, Dio non ha, per il fanciullo abbandonato alla sua spontaneità, nulla di sacro. È un uomo come un altro, che abita sulle nuvole o al disopra del cielo, e che, a parte questo, non si distingue in nulla da noi. «Un signore che lavora per il suo padrone», «un signore che guadagna quattrini», altrettante definizioni che, verso i 7-8 anni, i ragazzi del popolo dànno ancora del buon Dio. Si è citato quel ragazzo che, vedendo dei terrazzieri al lavoro, credette di vedere dei «buoni dèi». D’altra parte, molti fanciulli ci hanno affermato che di buoni dèi ne esistevano parecchi: il termine Dio è per loro generico, come il termine sole o luna per i fanciulli che credono all’esistenza di innumerevoli soli. In breve, tutte le volte che i fanciulli hanno fatto intervenire Dio nel corso delle nostre indagini, o era una forma di fabulazione (come se Dio fosse a un tempo fata o Babbo Natale), o era un modo di attribuire a Dio un’attività realmente umana. Certi fanciulli hanno esitato, per esempio, ad attribuire il lago a Dio o agli uomini: «Non so se è stato il buon Dio o i signori a farlo».

Poi viene la crisi, e la deificazione dei genitori ha necessariamente fine. «Da tempo si è constatata, – dice Bovet, – l’esistenza, verso il sesto anno, di questo periodo razionalistico e filosofico; lo si è presentato, in generale, come un risveglio della curiosità intellettuale; noi crediamo che vi si debba vedere piuttosto una crisi, intellettuale e morale insieme, simile per molti rispetti a quella dell’adolescenza. ».151 Le conseguenze di un simile fenomeno sono evidenti. I sentimenti che il fanciullo dedicava fin allora ai suoi genitori devono essere trasferiti altrove, e a questo punto sono trasferiti nel Dio che l’educazione gli presenta. Si è detto che il fanciullo «divinizza» i genitori. Bovet risponde, e con ragione, che sarebbe piú esatto dire che «paternalizza» Dio non appena cessa di ritener perfetti i genitori. Dal punto di vista che qui ci occupa, i poteri concessi ai genitori sono progressivamente attribuiti a uomini piú numerosi o piú antichi, ai «primi uomini». Oppure, in certi casi, la crisi va fino al punto di mettere in dubbio l’artificialismo, in blocco; ma, in genere, un artificialismo sempre piú diluito sopravvive per qualche anno alla crisi dei 6-7.

In conclusione, il sentimento filiale può essere fonte di artificialismo: i genitori essendo esseri divini, va da sé, per il fanciullo, che il mondo è dovuto alla loro attività o a quella degli uomini in generale. È anche chiaro perché non abbiamo distinto particolareggiatamente un artificialismo umano e un artificialismo divino o teologico. Almeno fin verso i 7-8 anni, i due artificialismi sono tutt’uno. O Dio è un signore, e gli uomini sono degli dèi, o Dio è il capo degli uomini, ma per trasposizione dei sentimenti filiali. Soprattutto è chiaro come l’artificialismo infantile sia originale nelle sue radici come nelle sue manifestazioni. Sarebbe dunque un errore attribuirlo all’educazione religiosa imposta dal difuori e mal interpretata dal fanciullo.

Passando ora ai fattori individuali che hanno potuto produrre o favorire l’artificialismo, troviamo fatti molto piú prosaici. Ma, come ha dimostrato la psicanalisi, il pensiero infantile è modellato tanto da interessi narcisistici, e anche «auto-erotici», come dice Freud per indicare gli interessi che si appuntano sulle funzioni organiche, quanto da complessi parentali. I fattori individuali dell’artificialismo saranno dunque due, dovendo caratterizare i sentimenti propri del fanciullo nell’essere causa, da una parte grazie al suo organismo, dall’altra grazie alla sua attività manuale in genere.

Il primo punto è piú importante di quanto non sembri; ma, essendo legato a ogni specie di tabú e di rimozioni, nel corso dei nostri interrogatori ne abbiamo trovato solo deboli tracce. È noto l’interesse dei piccoli per le proprie funzioni digestive e per la minzione. Ora, tracce esplicite di minzione abbiamo rilevate nelle credenze relative all’origine dei fiumi. Che la respirazione (concepita come produzione di un soffio) e i gas intestinali abbiano un posto nelle rappresentazioni infantili del mondo, è difficilmente contestabile dopo lo studio delle idee del fanciullo sull’aria e sul vento.152

Quanto al secondo punto, esso è capitale. Il pensiero del fanciullo è strettamente legato alla sua attività muscolare. Hall153 ha visto chiaramente come la curiosità infantile sia connessa alla sperimentazione manuale e alla distruzione degli oggetti. Le osservazioni delle signorine Audemars e Lafendel, alla Maison des Petits dell’Istituto J.-J. Rousseau, hanno mostrato l’importanza della costruzione manuale nello sviluppo mentale del fanciullo.154 Queste ottime pedagogiste sono state portate a distinguere nello sviluppo mentale del fanciullo tre stadi, tenuto conto dei rapporti fra pensiero e attività manuale. In un primo stadio (3-4 anni), nel fanciullo «il pensiero è bloccato dall’azione»: stadio della manipolazione. In un secondo (5-7 anni), «v’è ormai alleanza fra attività motrice e attività mentale», «l’azione provoca il pensiero». Nel terzo (dai 7-8 anni), «il lavoro diventa ordinato, il movimento è sottoposto al pensiero, perché il pensiero precede l’azione». Formule che acquistano tutto il loro sapore quando si ricordi come, alla Maison des Petits, l’iniziazione al calcolo e a tutta la vita intellettuale derivi spontaneamente dalla manipolazione e dall’adattamento spontaneo alle esigenze dei giuochi manuali. Tanto basta per affermare che il pensiero, appena prende coscienza di sé, è legato alla fabbricazione. Mach, Rignano e Goblot hanno definito il ragionamento come un’«esperienza mentale» o una costruzione sotto forma di pensiero. Per il fanciullo, si dovrebbe quasi parlare di una «fabbricazione sotto forma di pensiero».

Infine, per esser completi, dovremmo segnalare un fattore accessorio di artificialismo: il linguaggio. È chiaro che i verbi «fare», «formare» ecc. da noi applicati alla natura sono gravidi di artificialismo. Ma è anche chiaro che non basta il linguaggio a spiegare l’artificialismo infantile: qui, come sempre, vi è semplice convergenza fra le tendenze regressive del linguaggio e la mentalità infantile. D’altra parte, anche qui il fanciullo è originale: non è tanto il «fare» che usa spesso, quanto il «far fare» (il vento fa far avanzare le nubi, il sole fa far sbocciare i fiori ecc.), espressione, come si è visto, a un tempo animistica e artificialistica, che implica un motore esterno e un principio interno di realizzazione.

  5.Le origini della identificazione e le cause del declino dell’artificialismo e dell’animismo

Non possono essere esperienze propriamente dette a portare il fanciullo alla rinuncia all’animismo e all’artificialismo. Nessuna esperienza diretta può provare a uno spirito orientato verso l’animismo che il sole e le nubi non sono né vivi né coscienti. L’insegnamento adulto non può, a sua volta, disingannare il fanciullo, sia perché il fanciullo non parla abbastanza del suo animismo per consentire all’adulto di levarglielo, sia perché il fanciullo animista incorpora alla sua mentalità le lezioni meglio riuscite su qualunque soggetto. Quanto all’artificialismo, esso riposa su atteggiamenti spirituali che non possono essere contrastati dallo spettacolo delle cose, se il fanciullo non è pronto a rinunciare a ogni pre-connessione.

La spiegazione del declino dell’animismo e dell’artificialismo non può dunque venire da una pressione diretta del reale sullo spirito infantile. A che cosa quella svolta potrà essere attribuita? La risposta varia a seconda che si considerino i fattori sociali o individuali dell’animismo e dell’artificialismo.

Quanto ai primi, la crisi descritta da Bovet, grazie alla quale il fanciullo si accorge che prima i genitori, poi gli uomini in genere, non sono onnipotenti e non governano il mondo, basta a spiegare il declino dell’artificialismo trascendente. Questa crisi esercita anche il suo contraccolpo sull’animismo e porta il fanciullo a considerare le cose come interessate a noi molto meno di quel che a tutta prima sembrava.

Quanto ai secondi, cioè ai fattori della continua assimilazione del mondo all’io grazie alla quale il fanciullo considera tutte le cose come personali, come simili a noi e come gravitanti intorno a noi, sembra che la progressiva diminuzione dell’egocentrismo infantile basti a spiegare come il fanciullo prenda a poco a poco un atteggiamento oggettivo di fronte alle cose, e perciò rinunci alle partecipazioni che alimentano l’animismo e l’artificialismo. Ora, il declino dell’egocentrismo, che diventa nettissimo a partire dai 7-8 anni, è dovuto, come sappiamo già,155 alla progressiva socializzazione del pensiero del fanciullo.

Distacco dal legame esclusivo che lo unisce ai genitori, e distacco dal punto di vista proprio o dell’io, ecco i fattori principali che sembrano spiegare il graduale declino dell’animismo e dell’artificialismo. Come spiegare, allora, il progressivo passaggio dalla causalità artificialistica alle forme superiori di causalità?

Queste forme superiori, cui il fanciullo giunge spontaneamente, sono la causalità per identificazione sostanziale, il modello della condensazione e della rarefazione, e un certo atomismo primitivo o composizione di elementi.

La ricerca dell’identità è nettissima negli stadi oltre i 7-8 anni. Il sole e la luna sono identificati a nubi o ad aria. Dall’aria possono nascere vapore e acqua da una parte, fuoco dall’altra. Il fulmine è ricondotto alla trasformazione delle nuvole di fumo in fuoco. La terra e i sassi sono concepiti come due aspetti della stessa sostanza, ecc. D’altra parte, queste trasformazioni implicano delle condensazioni e rarefazioni. Il sole è una nube «compressa», la nube è aria o vento «pigiato», la pietra è terra compressa, la terra è pietra ridotta in granelli e polvere. Infine, queste condensazioni e rarefazioni presuppongono l’esistenza di semi, granelli o elementi, come i fanciulli di 11-12 anni nettamente indicano.

Sembra dunque, come vuole E. Meyerson, che la prima forma positiva di causalità sia l’identificazione. Solo che l’identificazione ha una storia. Essa non appare d’un subito, né le identificazioni operate dall’intelligenza in diversi periodi del suo sviluppo hanno tutte lo stesso valore e la stessa struttura. Ciò che i presocratici identificavano è oggi distinto, ciò che noi identifichiamo sembrava ai presocratici eterogeneo. Qual’è dunque, nel fanciullo, la genesi dell’identificazione? Secondo quanto si è potuto osservare, la progressione genetica sembra la seguente:

Il fanciullo comincia con lo stabilire fra le cose delle partecipazioni dinamiche: le nubi e la pioggia si attirano; il freddo, la neve e il gelo si attirano; il vento e le nubi agiscono l’uno sulle altre; le nubi agiscono sul sole, lo spingono, lo scacciano, l’attirano ecc. Nello stadio durante il quale tutto è fabbricato dall’uomo e tutto è vivo, queste partecipazioni implicano semplicemente azioni a distanza, semi-fisiche e semi-psichiche, senza comunanza essenziale propriamente detta. Tuttavia, alcune di queste partecipazioni dinamiche si trasformano già in partecipazioni sostanziali: corpi separati nello spazio sono talvolta concepiti dal fanciullo come risultanti direttamente l’uno dall’altro (vedi al cap. IV, § 2, i casi dell’aria e dell’ombra).

Quando l’uomo cessa agli occhi del fanciullo di essere un Dio o la natura sembra che graviti meno intorno a noi e ai nostri interessi, il fanciullo cerca di spiegare le cose con le cose stesse. Le partecipazioni fra le cose e noi davano fino a questo punto origine a miti di fabbricazione delle cose da parte dell’uomo. Le partecipazioni delle cose fra loro dànno ormai origine, quando le cose si staccano dall’uomo, a miti di generazione. Il sole è uscito dalle nubi, i lampi e le stelle sono nati dal sole, il vento si è accumulato per comporre una nube ecc. Diciamo generazione, e non ancora identificazione nel vero senso della parola, perché le cose sono ancora concepite come vive e coscienti e perché, dapprincipio, il fanciullo non precisa il come della trasformazione. Questi miti sono paragonabili al mito di Vo (§ 2), per il quale l’uomo è uscito da un verme, a sua volta uscito da una bolla che veniva dal fondo dell’acqua.

Dalla generazione all’identificazione propriamente detta, v’è la stessa differenza che separa il dinamismo dal meccanismo: a misura che le cose sono private di vita e di forza spontanea, la trasformazione delle nubi in astri o del vento in nube diventa meccanica, e il fanciullo ricorre ai modelli della condensazione e della composizione atomistica. Ma, per chiarire come i fanciulli giungano al bisogno di spiegazione meccanica, bisognerebbe sapere come essi spiegano i movimenti naturali. Bisognerebbe intraprendere uno studio minuzioso della fisica del fanciullo, e cercare di analizzare le spiegazioni che il fanciullo dà non piú soltanto dell’origine delle cose, ma dei particolari dei fenomeni e del come delle trasformazioni e dei moti.156