7. Periapside
1. Questa nuova mappa fu presentata nel dicembre 1998, in occasione del congresso dell’American Geophysical Union; vedi M.T. Zuber et al., «Geometry of the North Polar Icecap of Mars from the Mars Orbiter Laser Altimeter», American Geophysical Union Conference, Washington 1998. La mappa fu pubblicata nello stesso mese; vedi M.T. Zuber et al., «Observations of the North Polar Region of Mars from the Mars Orbiter Laser Altimeter», Science, 282, n. 5396 (1998), pp. 2053-2060. Vedi anche «New View of Mars’ North Pole Reported in Science», EurekAlert!, 6 dicembre 1998, www.eurekalert.org/pub_releases/1998-12/AAft-NVOM-061298.php
2. O. Aharonson et al., «Statistics of Mars’ Topography from the Mars Orbiter Laser Altimeter: Slopes, Correlations, and Physical Models», Journal of Geophysical Research: Planets, 106, n. E10 (2001), pp. 23723-23735.
3. «Background of the MOLA Investigation: Background and General Information», MOLA Science Investigation, NASA Goddard Space Flight Center.
4. «The ’80s > Mars Observer», NASA JPL; M.C. Malin et al., «An Overview of the 1985-2006 Mars Orbiter Camera Science Investigation», Mars: The International Journal of Mars Science and Exploration, 5 (2010), pp. 1-60.
5. MIT News Office, «3Q: Maria Zuber, Daughter of Coal Country», MIT News, 27 febbraio 2017.
6. «Maria T. Zuber», video di YouTube postato sul canale MIT Infinite History, 8 aprile 2016.
7. La missione GRAIL di Maria sulla Luna fu varata nel quarantacinquesimo anniversario di Star Trek, la sua serie preferita. Era presente per festeggiare anche Nichelle Nichols, la donna che interpretava la tenente Uhura. Nel 1966, quando assunse questo ruolo, Nichols fu una delle prime attrici afroamericane a comparire in tivù (Martin Luther King una volta le disse che Star Trek era l’unico programma televisivo che lasciava guardare ai figli, e questo proprio per via dell’importanza del personaggio della Nichols).
8. «Maria Zuber: The Geophysicist Became the First Woman to Lead a NASA Planetary Spacecraft Mission», Physics Today, 27 giugno 2017.
9. Maria Zuber, intervista con Sarah Johnson, Cambridge, Massachusetts, 1° maggio 2019.
10. Ibid.
11. «Maria T. Zuber», video di YouTube, cit.
12. D.L. Chandler, «In Profile: Maria Zuber», MIT News, 18 settembre 2009.
13. Maria lavorò su modelli di fluidodinamica, spesso con fluidi altamente non lineari; vedi per esempio M.T. Zuber ed E.M. Parmentier, «A Geometric Analysis of Surface Deformation: Implications for the Tectonic Evolution of Ganymede», Icarus, 60, n. 1 (1984), pp. 200-210; M.T. Zuber, «A Dynamic Model for Ridge Belts on Venus and Constraints on Lithospheric Structure», Lunar and Planetary Science Conference, 17 (1986).
14. «Maria T. Zuber», video di YouTube, cit.
15. Zuber, intervista con Sarah Johnson, cit.
16. B. Banerdt, «The Martian Chronicles», vol. 1, n. 3, NASA.
17. Zuber, intervista con Sarah Johnson, cit.
18. Il MOLA non era dotato di una macchina fotografica ma la navicella spaziale sì. Era un sistema a tre componenti, con una telecamera ad angolo stretto e due grandangolari. M.C. Malin et al., «Mars Observer Camera», Journal of Geophysical Research: Planets, 97, n. E5 (1992), pp. 7699-7718.
19. M.C. Malin et al., «An Overview of the 1985-2006 Mars Orbiter Camera Science Investigation», cit. L’interruzione delle comunicazioni era stata programmata per proteggere la navicella mentre i serbatoi del sistema di propulsione (che sarebbero stati usati per rallentare la sonda, permettendone la cattura in orbita) venivano pressurizzati.
20. Zuber, intervista con Sarah Johnson, cit.
21. J.N. Wilford, «NASA Loses Communication with Mars Observer», The New York Times, 23 agosto 1993.
22. J.N. Wilford, «Another Hope to Save Mars Craft Is Dashed», The New York Times, 26 agosto 1993.
23. Ibid.
24. B. Evans, «And Then Silence: 25 Years Since the Rise and Fall of Mars Observer», America Space, 24 settembre 2017.
25. Zuber, intervista con Sarah Johnson, cit.
26. Come un enorme grizzly, la sonda era andata in letargo, ma la tecnologia delle comunicazioni satellitari non era stata progettata per rimanere inattiva per mesi. Nel gennaio 1994, la commissione d’inchiesta del Naval Research Laboratory concluse che la causa più probabile della scomparsa di Mars Observer era la rottura di un serbatoio di pressurizzazione del carburante nel sistema di propulsione principale. Forse la monometilidrazina ipergolica era fuoriuscita dalle valvole durante il viaggio di undici mesi verso Marte, mescolandosi inavvertitamente con del tetrossido di azoto. La perdita di carburante avrebbe potuto aumentare eccessivamente la velocità di rotazione, danneggiando componenti fondamentali a bordo della sonda. «Mars Observer Mission Failure Investigation Board Report Vol. 1», NASA, 31 dicembre 1993.
27. Zuber, intervista con Sarah Johnson, cit.; Z. Strassfield, «An Interview with Maria Zuber (Part I)», EAPS, 14 novembre 2012.
28. Zuber, intervista con Sarah Johnson, cit.
29. Mars Global Surveyor fu lanciato il 7 novembre 1996, Pathfinder un mese dopo, il 4 dicembre 1996. Poiché Pathfinder non avrebbe avuto bisogno di rallentare per entrare in orbita, poté viaggiare verso Marte lungo una traiettoria più rapida, arrivando il 4 luglio 1997. Mars Global Surveyor giunse invece l’11 settembre dello stesso anno. Per la NASA si trattò di una svolta: «Il ricordo del disastro del Challenger e i ricorrenti problemi con i serbatoi di carburante dello Shuttle avevano danneggiato l’immagine pubblica della NASA, alimentando la sensazione che i finanziamenti per l’esplorazione spaziale provenienti dalle tasse dei contribuenti fossero sprecati; nel frattempo, la comunità scientifica spaziale era sempre più impaziente di ricevere nuovi dati e il budget spaziale civile si stava assottigliando». Vedi S.A. Roy, «The Origin of the Smaller, Faster, Cheaper Approach in NASA’s Solar System Exploration Program», Journal of Space Policy, 14 (1998), pp. 153-171.
30. «Press Kit: Mars Observer», NASA, settembre 1992.
31. Zuber, intervista con Sarah Johnson, cit.
32. La leva era una parte del braccio ammortizzatore, studiato per evitare che il pannello solare potesse sbattere come una porta.
33. «Press Kit: Mars Global Surveyor Arrival», NASA, settembre 1997; K. Goodall, «An Explanation of How Aerobraking Works», Mars Global Surveyor, NASA; D. Ainsworth, «Mars Pathfinder Passes Global Surveyor on Its Way to Mars», Public Information Office, NASA JPL, 14 marzo 1997.
34. M.C. Malin et al., «An Overview of the 1985-2006 Mars Orbiter Camera Science Investigation», cit., pp. 1-60; D. Ainsworth, «Mars Global Surveyor to Aerobrake in Modified Configuration», Public Information Office, NASA JPL, 30 aprile 1997.
35. «Exploring Mars: Mars Global Surveyor Mapped the Red Planet», SpaceToday, 2007, www.spacetoday.org/SolSys/Mars/MarsExploration/MarsGlobalSurveyor.html
36. Il sistema di aerofrenata era stato testato solo una volta. Nel 1994, alla fine della sua missione, la sonda Magellano era stata lanciata nella fitta nebbia dell’atmosfera di Venere come parte di un esperimento ingegneristico. La sonda era bruciata nelle nubi roventi ma aveva rallentato drasticamente. Mars Global Surveyor era stato progettato per condurre le sue osservazioni nella parte superiore dell’atmosfera marziana, molto più fredda e sottile. Per aumentare la loro resistenza, i pannelli solari erano dotati di valvole a cerniera sulle estremità. D.T. Lyons, «Mars Global Surveyor: Aerobraking with a Broken Wing», JPL Technical Report, 30 luglio 1997; «Press Kit: Mars Global Surveyor Arrival», cit.; K. Goodall, «An Explanation of How Aerobraking Works», cit.
37. Ibid.
38. «Flight Status Report», 24 gennaio 1997; Lyons, «Mars Global Surveyor: Aerobraking with a Broken Wing», cit.
39. Zuber, intervista con Sarah Johnson, cit.
40. Ibid.
41. Ibid.
42. «Exploring Mars: Mars Global Surveyor Mapped the Red Planet», cit.
43. D. Ainsworth, «Surveyor Resumes Aerobraking, Heads for New Mapping Orbit», Public Information Office, NASA JPL, 10 novembre 1997; M. Hardin, «Mars Global Surveyor Successfully Completes Aerobraking», Media Relations Office, NASA JPL, 4 febbraio 1999.
44. Sulla vita e sull’opera di Schiaparelli, vedi W. Sheehan, The Planet Mars: A History of Observation & Discovery, University of Arizona Press, Tucson 1996; W. Sheehan, «Giovanni Schiaparelli: Visions of a Colour Blind Astronomer», Journal of the British Astronomical Association, 107 (1997), pp. 11-15; W. Sheehan e S.J. O’Meara, Mars: The Lure of the Red Planet, Prometheus Books, Amherst, New York, 2001, pp. 103-123; K.M.D. Lane, «Mapping the Mars Canal Mania: Cartographic Projection and the Creation of a Popular Icon», Imago Mundi, 58, n. 2 (2006), pp. 198-211; M.T. Mazzucato, «Giovanni Virginio Schiaparelli», Journal of the Royal Astronomical Society of Canada, 100, n. 3 (2006), pp. 114-117.
45. Ibid.
46. A. Manara e G. Trinchieri, «Schiaparelli and His Legacy», Memorie della Società Astronomica Italiana, 82, n. 2 (2011), p. 209.
47. A. Ferrari, «Between Two Halley’s Comet Visits», Memorie della Società Astronomica Italiana, 82, n. 2 (2011), pp. 232-239; Mazzucato, «Giovanni Virginio Schiaparelli», cit.
48. Manara e Trinchieri, «Schiaparelli and His Legacy», cit., pp. 209-218.
49. A. Mandrino et al., «Calze, camicie, frack e bottoni sullo sfondo del trattato di Parigi», Di pane e di stelle, 29 agosto 2010; G.V. Schiaparelli, lettera del 29 aprile 1856, Archivio Storico dell’Osservatorio Astronomico di Brera, Fondo G.V. Schiaparelli, cart. 370.
50. Manara e Trinchieri, «Schiaparelli and His Legacy», cit., p. 209.
51. A. Mandrino et al., «Natale 1855. Poesia», Di pane e di stelle, 19 aprile 2010; G.V. Schiaparelli, annotazione sul diario del 25 dicembre 1855, Archivio Storico dell’Osservatorio Astronomico di Brera, Fondo G.V. Schiaparelli, cart. 370 provv.
52. A. Mandrino et al., «Freddo e fame non lasciano studiare», Di pane e di stelle, 26 aprile 2010; Schiaparelli, lettera del 29 dicembre 1855, Archivio Storico dell’Osservatorio Astronomico di Brera, Fondo G.V. Schiaparelli, cart. 370 provv.
53. A. Mandrino et al., «Prima della partenza. Tranquillizzare i genitori», Di pane e di stelle, 28 giugno 2010; Schiaparelli, lettera del 18 dicembre 1857, Archivio Storico dell’Osservatorio Astronomico di Brera, Fondo G.V. Schiaparelli, cart. 370.
54. Mazzucato, «Giovanni Virginio Schiaparelli», cit.; Manara e Trinchieri, «Schiaparelli and His Legacy», cit.; Ferrari, «Between Two Halley’s Comet Visits», cit.
55. P. Tucci, «The Diary of Schiaparelli in Berlin (October 26, 1857-May 10, 1859): A Guide for His Future Scientific Activity», Memorie della Società Astronomica Italiana, 82, n. 2 (2011), pp. 240-247.
56. Uno dei fratelli minori di Schiaparelli fu un noto professore di arabo ed ebbe una figlia, Elsa, che sarebbe divenuta un stilista di fama internazionale.
57. Mazzucato, «Giovanni Virginio Schiaparelli», cit., p. 117.
58. J. Blunck, Mars and Its Satellites: A Detailed Commentary on the Nomenclature, Exposition Press, Smithtown, New York, 1982, p. 15; Sheehan, The Planet Mars: A History of Observation & Discovery, cit., p. 73.
59. La mitica isola d’argento alla foce del fiume Gange, l’odierno Rakhine (Myanmar).
60. Dal nome dei due promontori rocciosi sulle due sponde dell’imboccatura orientale dello Stretto di Gibilterra.
61. La «penisola dorata» che Tolomeo situava nella Malacca.
62. A. Mandrino et al., «Problemi di ieri, problemi di oggi», Di pane e di stelle, 26 luglio 2010; G.V. Schiaparelli, lettera del 1910, Archivio Storico dell’Osservatorio Astronomico di Brera. Schiaparelli, che aveva sofferto molto per la morte del fratello Eugenio, deceduto in seguito alle ferite riportate nella battaglia di Solferino, scrisse di augurarsi che le nazioni parlassero meno dei fabbricanti d’armi Armstrong e Krupp e più dei costruttori di telescopi Merz, Cooke e Clark.
63. «Mars Is Earth, Upside Down», toponymymars.wordpress.com, 2 giugno 2013.
64. G.V. Schiaparelli, Osservazioni astronomiche e fisiche sull’asse di rotazione e sulla topografia del pianeta Marte, Salviucci, Roma 1878, p. 129.
65. La «nomenclatura deanglicizzata» di Schiaparelli avrebbe suscitato un acceso campanilismo in molti astronomi britannici. Vedi l’interessante discussione in K.M.D. Lane, «Geographers of Mars: Cartographic Inscription and Exploration Narrative in Late Victorian Representations of the Red Planet», Isis, 96, n. 4 (dicembre 2005), pp. 477-506, in particolare p. 488.
66. Zuber, intervista con Sarah Johnson, cit.
67. Per essere utilizzata in sicurezza, la strumentazione doveva trovarsi al di sopra dell’atmosfera, protetta dal calore generato dall’aerofrenata. «Scientists Get Images of Mars Pole, Clouds», MIT News, 9 dicembre 1998; M.T. Zuber et al., «Observations of the north polar region of Mars from the Mars Orbiter Laser Altimeter», Science, 282, n. 5396 (1998), pp. 2053-2060; D. Spencer e R.H. Tolson, «Aerobraking Cost/Risk Decisions», Journal of Spacecraft and Rockets, 44 (2007); G. Mehall, «Mars Global Surveyor and TES Update», TES News, 7, n. 1 (gennaio 1998).
68. M.T. Zuber et al., «Observations of the North Polar Region of Mars from the Mars Orbiter Laser Altimeter», cit.
69. T. Spear, «NASA FBC Task Final Report», NASA, 13 marzo 2001.
70. A. Albee et al., «Report on the Loss of the Mars Polar Lander and Deep Space 2 Missions», NASA Technical Report, 2000.
71. E.J. Kolb e K.L. Tanaka, «Accumulation and Erosion of South Polar Layered Deposits in the Promethei Lingula Region, Planum Australe, Mars», Mars: The International Journal of Mars Science and Exploration, 2 (2006), pp. 1-9.
72. Seppur in presenza di una minore gravità, l’impatto fu comunque equivalente a quello da un edificio di quattro piani. K. Chang, «Remains of Failed Mars Lander May Have Been Found», The New York Times, 10 maggio 2005.
73. «Possible Crash Site of Mars 6 Orbiter/Lander in Samara Vallis», Lunar and Planetary Laboratory, High Resolution Imaging Science Experiment (immagine acquisita il 26 maggio 2007).
74. Nel 1971, la sonda sovietica Mars 2 si era schiantata probabilmente nei pressi delle coordinate 45° S, 313° O; vedi «Mars 3 Lander», NASA Space Science Data Coordinated Archive, NSSDCA/COSPAR ID: 1971-049F.
75. Beagle 2, il cui nome era un omaggio alla famosa nave di Charles Darwin, era giunto su Marte nel 2003 con la missione Mars Express dell’Agenzia Spaziale Europea allo scopo di cercare tracce di una vita passata sulla superficie marziana e nel primo strato del sottosuolo. Inoltre, avrebbe dovuto studiare la geologia, la mineralogia, la geochimica e lo stato di ossidazione del sito di atterraggio, le proprietà fisiche dell’atmosfera e degli strati superficiali del terreno e raccogliere dati sulla meteorologia e climatologia marziane.
76. La missione era fallita per un soffio. Immagini orbitali del sito riprese nel 2015 nel corso del Mars Reconnaissance Orbiter High Resolution Imaging Science Experiment (HiRISE) avrebbero dimostrato che tre dei quattro pannelli solari si erano aperti correttamente; il quarto non si era aperto o lo aveva fatto solo parzialmente, oscurando l’antenna del trasmettitore. Vedi J.C. Bridges et al., «Identification of the Beagle 2 Lander on Mars», Royal Society Open Science, 4, n. 10 (2017), pp. 170, 785.
77. B. Huh, «Kids’ Names Going to Mars», South Florida Sun-Sentinel, Deerfield Beach, Florida, 3 marzo 1998; A.R. Vasavada et al., «Surface Properties of Mars’ Polar Layered Deposits and Polar Landing Sites», Journal of Geophysical Research, 105, n. E3 (2000), pp. 6961-6969.
78. Zuber, intervista con Sarah Johnson, cit.
79. «Press Kit: Phoenix Landing: Mission to the Martian Polar North», NASA, maggio 2008.
80. «Mars Orbiter Laser Altimeter (MOLA) Elevation Map», Goddard Space Flight Center, 28 maggio 1999.
81. Come già menzionato in una nota precedente, anche se molti ricercatori sostengono che Marte avesse «un’unica placca tettonica», è stato ipotizzato che le Valles Marineris segnino il confine tra due placche. Vedi D. Breuer e T. Spohn, «Early Plate Tectonics Versus Single-Plate Tectonics on Mars: Evidence from Magnetic Field History and Crust Evolution», Journal of Geophysical Research: Planets, 108, n. E7 (2003); A. Yin, «Structural Analysis of the Valles Marineris Fault Zone: Possible Evidence for Large-Scale Strike-Slip Faulting on Mars», Lithosphere, 4, n. 4 (2012), pp. 286-330.
82. «Mars Basher», Scientific American, 31 maggio 1999.
83. J.H. Roberts et al., «Giant Impacts on Early Mars and the Cessation of the Martian Dynamo», Journal of Geophysical Research: Planets, 114, n. E4 (2009).
84. Chandler, «In Profile: Maria Zuber», cit.; D.E. Smith et al., «The Global Topography of Mars and Implications for Surface Evolution», Science, 284, n. 5419 (1999), pp. 1495-1503; M.A. Kreslavsky e J.W. Head III, «Kilometer-Scale Roughness of Mars: Results from MOLA Data Analysis», Journal of Geophysical Research: Planets, 105, n. E11 (2000), pp. 26695-26711.
85. Smith et al., «The Global Topography of Mars and Implications for Surface Evolution», cit.
86. J. Taylor Perron et al., «Evidence for an Ancient Martian Ocean in the Topography of Deformed Shorelines», Nature, 447 (2007), pp. 840-843.
87. J. Ruiz, «On Ancient Shorelines and Heat Flows on Mars», Lunar and Planetary Science Conference, 36 (marzo 2005).
88. Per esempio, fasce della crosta del pianeta erano illuminate da segnali magnetici, come un libro da colorare con inchiostro invisibile, a indicare che un tempo Marte era protetto dalle dannose raffiche di vento solare che in seguito avrebbero spazzato via la sua atmosfera. C’erano minerali associati ad agenti atmosferici chimici, un chiaro indizio che la superficie avesse interagito con l’acqua. C’erano poi aree localizzate in cui l’altimetro di Maria suggeriva che l’acqua si sarebbe potuta accumulare formando stagni, e si osservavano le tracce di fossi di scolo nei crateri e nelle pareti della valle poco esposti alla luce solare, in sedimenti di detriti la cui forma ricordava un ventaglio. La sonda rilevò inoltre la presenza di minuscole quantità di acqua nell’atmosfera e condusse osservazioni anche oltre lo spettro visibile, verso gli infrarossi, dove i minerali assorbono particolari lunghezze d’onda della luce. Cionondimeno, non furono trovati carbonati, i minerali calcarei che si formano in presenza di acqua e anidride carbonica. La prima atmosfera di anidride carbonica del nostro pianeta – 70 bar di anidride carbonica, settanta volte la pressione atmosferica attuale – fu trascinata nell’oceano, ricoprendo di calcare i fondali dei nostri antichi mari. Senza un’atmosfera di biossido di carbonio più densa, Marte non avrebbe potuto avere un’acqua di superficie stabile. Quell’acqua avrebbe dovuto formare carbonati, la cui presenza non fu tuttavia rilevata, e nessuno sapeva spiegarsene la ragione.
89. Zuber, intervista con Sarah Johnson, cit.; «Mars Orbiter Camera Mars Weather Update, for the week September 3-9, 2002», Malin Space Science Systems.
90. Zuber, intervista con Sarah Johnson, cit.
91. «PIA04531: Earth and Moon as Viewed from Mars», Mars Global Surveyor, 22 maggio 2003.
92. V. Jaggard, «What Yuri Gagarin Saw on First Space Flight», National Geographic, 13 aprile 2011; «I see Earth! It is so beautiful!», Agenzia Spaziale Europea, 29 marzo 2011.
93. C. Sagan, Pale Blue Dot: A Vision of the Human Future in Space, Ballantine Books, New York 1997, p. 6.
94. J.R.R. Tolkien, La compagnia dell’anello, Bompiani, Milano 2004.
8. Le paludi acide
1. John è oggi Fletcher Jones Professor di Geologia al Caltech, nonché ricercatore capo della missione della NASA Mars Science Laboratory.
2. Come disse Paul Hoffman, professore emerito ad Harvard, secondo il quale Grotzinger, «quando guarda[va] una roccia, [aveva] gli occhi simili a quelli di un lupo»; citato in A. Khan, «Seeing Mars Through the Eyes of a Geologist», 4 agosto 2012, https://phys.org/news/2012-08-mars-eyes-geologist.html
3. «The Rover’s Antennas», NASA Mars; «Communications with Earth», NASA Mars.
4. D. Siegal, «Montrose Jeweler Makes Watches on Mars Time», Los Angeles Times, 30 ottobre 2013.
5. S.W. Squyres, Roving Mars: Spirit, Opportunity, and the Exploration of the Red Planet, Hyperion, New York 2005, p. 230.
6. «Mars Exploration Rovers Overview», Mars Exploration Rovers, NASA.
7. G. Webster, «Go to That Crater and Turn Right: Spirit Gets a Travel Itinerary», NASA, 13 gennaio 2004.
8. Così la squadra era solita chiamare il sito di atterraggio di Gusev.
9. S.W. Squyres e A.H. Knoll, «Sedimentary Rocks at Meridiani Planum: Origin, Diagenesis, and Implications for Life on Mars», Earth and Planetary Science Letters, 240, n. 1 (2005), pp. 1-10.
10. Bruce Murray, citato in J. Vaughn, «Mars, Old and New: A Personal View by Bruce Murray», The Planetary Society, 3 settembre 2013. L’ematite (Fe2O3) è rossa nella sua forma a grana fine e grigia in quella a grana grossa. Furono le tracce di ematite grigia, ricavate dai dati di spettrometria orbitale infrarossa, che portarono alla decisione di atterrare sul Meridiani Planum.
11. Questo momento, così come molti altri dei primi giorni della missione Mars Exploration Rover, è riportato nell’avvincente racconto in prima persona di Squyres, Roving Mars: Spirit, Opportunity, and the Exploration of the Red Planet, cit., p. 292.
12. Ibid.
13. Ivi, p. 293.
14. Ivi, p. 307.
15. Ivi, pp. 293-294; uno dei principali quotidiani coreani prese alla lettera l’«holy smoke!» («santo cielo!») di Squyres, titolando che il secondo rover aveva avvistato un fumo misterioso.
16. Squyres, Roving Mars: Spirit, Opportunity, and the Exploration of the Red Planet, cit., p. 294.
17. M.Y. Woo, «Roving on Mars», Engineering and Science, 72, n. 2 (2009), pp. 12-20.
18. «Martian ‘Blueberries’», NASA Science Mars Exploration Program, 27 gennaio 2015.
19. Squyres, Roving Mars: Spirit, Opportunity, and the Exploration of the Red Planet, cit., p. 300.
20. M.A Chan et al., «A Possible Terrestrial Analogue for Haematite Concretions on Mars», Nature, 429, n. 6993 (2004); S.M. McLennan et al., «Provenance and Diagenesis of the Evaporite-Bearing Burns Formation, Meridiani Planum, Mars», Earth and Planetary Science Letters, 240, n. 1 (2005), pp. 95-121; W.M. Calvin et al., «Hematite Spherules at Meridiani: Results from MI, Mini-TES, and Pancam», Journal of Geophysical Research: Planets, 113, n. E12 (2008).
21. H. Bortman, «Evidence of Water Found on Mars», Astrobiology Magazine, 3 marzo 2004.
22. G. Klingelhöfer et al., «Jarosite and Hematite at Meridiani Planum from Opportunity’s Mössbauer Spectrometer», Science, 306, n. 5702 (2004), pp. 1740-1745.
23. Questo sarebbe stato un gradito sviluppo per Roger Burns, un geologo del MIT che molto prima di chiunque altro aveva proposto un modello di invecchiamento acido dei basalti ricchi di ferro su Marte; vedi R. Burns e D. Fisher, «Rates of Oxidative Weathering on the Surface of Mars», Journal of Geophysical Research, 98 (1993). Per questo motivo, la formazione di evaporite nel Meridiani Planum fu battezzata con il suo nome. Le acque acide contribuiscono anche a spiegare il mistero della scarsità di carbonati gessosi sulla superficie del pianeta, in quanto i carbonati non precipitano in una soluzione a basso pH.
24. L.A. Amaral Zettler et al., «Microbiology: Eukaryotic Diversity in Spain’s River of Fire», Nature, 417, n. 6885 (2002), p. 137.
25. J.P. Grotzinger et al., «Stratigraphy and Sedimentology of a Dry to Wet Eolian Depositional System, Burns Formation, Meridiani Planum, Mars», Earth and Planetary Science Letters, 240, n. 1 (2005), pp. 11-72; McLennan et al., «Provenance and Diagenesis of the Evaporite-Bearing Burns Formation, Meridiani Planum, Mars», cit.
26. I membri della squadra erano suddivisi per aree scientifiche di competenza – geologia, scienze atmosferiche eccetera – e non secondo i sette strumenti del rover. Come appresi in seguito, si trattò di una decisione deliberata, presa per risolvere le rivalità tra quanti per anni avevano lavorato in piccoli team alla realizzazione delle singole componenti del rover. Invece di competere tra loro perché durante i SOWG fossero concessi tempo e attenzioni alle loro amate tecnologie, i gruppi tematici dovevano discutere nel merito dei più vasti obiettivi scientifici della missione.
27. «Press Release Images: Opportunity: A Puzzling Crack», NASA Mars Exploration Rovers, 6 aprile 2004.
28. S.W. Squyres et al., «Overview of the Opportunity Mars Exploration Rover Mission to Meridiani Planum: Eagle Crater to Purgatory Ripple», Journal of Geophysical Research, 111 (2006), p. 4.
29. Ben presto si decise che ai crateri sarebbero stati assegnati nomi di navi celebri. Fram era la nave che aveva trasportato in Antartide l’equipaggio di Roald Amundsen, che per la prima volta era riuscito a raggiungere il polo sud; Endurance era il nome della nave di Ernest Shackleton, che era stata stritolata dal ghiaccio; Endeavor quello della nave che aveva portato James Cook in Nuova Zelanda e Australia. Il team scherzava sul fatto che se Opportunity avesse mai raggiunto il cratere Endeavor, solo pochi studenti sarebbero rimasti, così come solo pochi membri dell’equipaggio di Cook erano riusciti a evitare la malaria e la dissenteria durante il viaggio. Anche il nome Eagle rispondeva alla medesima convenzione, essendo quello della navicella spaziale che aveva portato Neil Armstrong e Buzz Aldrin sulla Luna.
30. Squyres, Roving Mars: Spirit, Opportunity, and the Exploration of the Red Planet, cit., p. 335.
31. Ivi, p. 334.
32. B.C. Heezen e M. Tharp, «World Ocean Floor Panorama», mappa a colori dipinta da H. Berann, proiezione di Mercatore, scala 1, n. 23.230.300 (1977).
33. Steve avrebbe in seguito lavorato con altri professori della Cornell University, tra cui Joseph Veverka (suo consulente scientifico), Arthur Bloom, Steven Ostro, William Travers, Gene Shoemaker della United States Geological Survey e molti altri membri del gruppo responsabile dell’acquisizione delle immagini nel progetto Voyager; S.W. Squyres, The Morphology and Evolution of Ganymede and Callisto, tesi di dottorato, Cornell University, Ithaca, New York, 1981.
34. D.R. Williams, «Mars Rover Opportunity Images», NASA Goddard Space Flight Center, 16 giugno 2004.
35. Le Columbia Hills devono il nome allo Shuttle che nel 2003 si disintegrò rientrando nell’atmosfera terrestre, provocando la morte di tutti i membri dell’equipaggio; le sette cime hanno i loro nomi.
36. Squyres, Roving Mars: Spirit, Opportunity, and the Exploration of the Red Planet, cit., pp. 351-354.
37. Ivi, pp. 351-354, 362-363.
38. D.W. Ming et al., «Geochemical and Mineralogical Indicators for Aqueous Processes in the Columbia Hills of Gusev Crater, Mars», Journal of Geophysical Research: Planets, 111, n. E2 (2006).
39. Squyres et al., «In Situ Evidence for an Ancient Aqueous Environment at Meridiani Planum, Mars», Science, 306, n. 5702 (2004), pp. 1709-1714; K.E. Herkenhoff et al., «Evidence from Opportunity’s Microscopic Imager for Water on Meridiani Planum», Science, 306, n. 5702 (2004), pp. 1727-1730.
40. McLennan et al., «Provenance and Diagenesis of the Evaporite-Bearing Burns Formation, Meridiani Planum, Mars», cit.
41. S.W. Squyres e A.H. Knoll, Sedimentary Geology at Meridiani Planum, Mars, Gulf Professional Publishing, Houston 2005, p. 68; J.P. Grotzinger, «Depositional Model for the Burns Formation, Meridiani Planum», Seventh International Conference on Mars, Pasadena 2007.
42. NASA/JPL/MSSS, «Opportunity Tracks Seen From Orbit», NASA Science Mars Exploration Program, 24 gennaio 2005.
43. «Fourth Planet from the Sun», NASA Mars Exploration Program.
44. Lo spettrometro di Mössbauer sul braccio del rover era stato progettato appositamente per esaminare diversi tipi di minerali di ferro, che avrebbero potuto aiutare a scoprire le condizioni ambientali del passato, dato che il ferro arrugginisce in presenza di acqua e ossigeno.
45. P. Cogram, «Jarosite», in S.A. Elias et al. (a cura di), Reference Module in Earth Systems and Environmental Sciences, sciencedirect.com, 2018. Mentre alte concentrazioni di ioni di potassio, per esempio, possono anche portare alla formazione di jarosite a pH più alto, la chimica di superficie lasciava propendere per un’origine acida.
46. A. Zettler et al., «Microbiology: Eukaryotic Diversity in Spain’s River of Fire», cit.
47. N.J. Tosca et al., «Water Activity and Challenge for Life on Early Mars», Science, 320, n. 5880 (2008), pp. 1204-1207.
48. J.E. Henney et al. (a cura di), «Preservation and Physical Property Roles of Sodium in Foods», Strategies to Reduce Sodium Intake in the United States, National Academies Press, Washington 2010.
49. «Daisy Found on ‘Route 66’», Mars Exploration Rovers Spirit Press Release Image, NASA/JPL/Cornell, 17 aprile 2004.
50. Negli ultimi anni le trincee incendiate di Joseph von Littrow, il triangolo di grano di Carl Friedrich Gauss e gli specchi di Charles Cros sono stati citati molto spesso, per quanto non sia chiaro se si trattasse di proposte autentiche, congetture o semplici voci. Che queste storie circolassero nel Settento e nell’Ottocento, tuttavia, testimonia come all’epoca fosse avvertita la necessità di segnalare a eventuali esseri extraterrestri che la Terra era abitata da forme di vita intelligenti (nel 1900, l’Accademia delle scienze francese istituì il Prix Pierre Guzman – di 100.000 franchi – riservato alla prima persona che fosse riuscita a comunicare con un oggetto celeste diverso da Marte, escluso perché ritenuto sufficientemente noto, dunque una sfida non abbastanza difficile). J. Greenwald, «Who’s Out There?», Discover, 1° aprile 1999; M.J. Crowe, The Extraterrestrial Life Debate, 1750-1900, Dover Publications, Mineola, New York, 2011, p. 205; H. Zappe, Fundamentals of Micro-Optics, Cambridge University Press, Cambridge 2010, p. 298; W. Ley, Rockets, Missiles, and Space Travel, Viking Press, New York 1958; F. Drake, «A Brief History of SETI», Third Decennial US-USSR Conference on SETI – ASP Conference Series, 47 (1993), pp. 11-18; M. Carroll, Earths of Distant Suns, Copernicus, Göttingen, pp. 14-15; Comptes Rendus Hebdomadaires des Séances de l’Académie des Sciences, 131 (1900), p. 1147.
51. G. Kebir e L.E. de Almásy, Récentes Explorations dans le Désert Libyque (1932-1936), E. e R. Schindler pour la Société Royale de Géographie d’Égypte, 1936.
9. In aeternum
1. M. Warren, «‘Road of Bones’ Where Slaves Perished», The Telegraph, 10 agosto 2002.
2. C. Merridale, Night of Stone: Death and Memory in Twentieth Century Russia, Penguin Books, New York 2002, p. 300, citato in K. Minta e H. Pföstl, To Die No More, Blind Pony Books, New York 2008.
3. E. Willerslev et al., «Diverse Plant and Animal Genetic Records from Holocene and Pleistocene Sediments», Science, 300, n. 5620 (2003), pp. 791-795 (vedi anche «Sample Information» and «Stratigraphic Information» in «Supporting Material»).
4. C. Zimmer, «Eske Willerslev Is Rewriting History with DNA», The New York Times, 16 maggio 2016.
5. I. Mitrofanov et al., «Maps of Subsurface Hydrogen from the High Energy Neutron Detector, Mars Odyssey», Science, 297, n. 5578 (2002), pp. 78-81.
6. Si tratta della missione Mars Odyssey, partita nell’aprile 2001 e giunta a destinazione a ottobre.
7. Eske continua a condurre ricerche pionieristiche nella genetica evoluzionistica; oggi lavora presso l’Università di Copenaghen, dove dirige il centro di Geogenetica.
8. Zimmer, «Eske Willerslev Is Rewriting History with DNA», cit.
9. Nella maggior parte dei laboratori di genomica dove si lavorava con minuscoli filamenti di DNA, le molecole oggetto di analisi erano replicate in modo esponenziale su striscioline conservate all’interno di provette di plastica. Per lavorare con campioni così scarsi – con livelli molto bassi di segnale di rumore – dovemmo sigillarli e trasferirli in un altro edificio, prima di poterli copiare e di iniziare le nostre analisi.
10. J. Garff, Søren Kierkegaard: A Biography, Princeton University Press, Princeton 2000, p. 811.
11. S.S. Johnson et al., «Ancient Bacteria Show Evidence of DNA Repair», Proceedings of the National Academy of Sciences, 104, n. 36 (2007), pp. 14401-14405.
12. R. Pyle, Destination Mars: New Explorations of the Red Planet, Prometheus Books, Amherst, New York, 2012, p. 248.
13. Gli obiettivi ufficiali della missione erano: 1) studiare la storia dell’acqua nelle regioni artiche di Marte; 2) cercare zone abitabili e valutare il potenziale biologico dello strato limite tra ghiaccio e terreno. «Mars Phoenix Lander Overview», NASA.
14. Erodoto, Storie, a cura di A. Colonna e F. Bevilacqua, Utet, Torino 1996, libro II.
15. Pyle, Destination Mars: New Explorations of the Red Planet, cit., p. 231.
16. «NASA’s Phoenix Mars Mission Gets Thumbs Up for 2007 Launch», comunicato stampa della NASA, 2 giugno 2005.
17. «Phoenix Mars Scout», NASA Facts, NASA JPL.
18. Pyle, Destination Mars: New Explorations of the Red Planet, cit., p. 230.
19. D.H. Plemmons et al., «Effects of the Phoenix Lander Descent Thruster Plume on the Martian Surface», Journal of Geophysical Research, 113 (2008).
20. Fatta eccezione per il lander della missione Viking 2, atterrato a 40 gradi di latitudine nord.
21. «Frequently Asked Questions», Phoenix Mars Mission, Università dell’Arizona.
22. E. Hand, «Mars Exploration: Phoenix: A Race Against Time», Nature, 10 dicembre 2008.
23. W.C. Feldman et al., «Global Distribution of Neutrons from Mars: Results from Mars Odyssey», Science, 297, n. 5578 (2002), pp. 75-78; I. Mitrofanov et al., «Maps of Subsurface Hydrogen from the High Energy Neutron Detector, Mars Odyssey», cit.
24. A. Poulson, «UA Art Class About to Complete Giant Phoenix Mars Mission Mural», UA News, 1° dicembre 2006.
25. Pyle, Destination Mars: New Explorations of the Red Planet cit., p. 249.
26. J. Bargmann, «Spacemen», The Washington Post Magazine, 28 settembre 2008.
27. A. Madrigal, «Wired Science Scores Exclusive Twitter Interview with the Phoenix Mars Lander», Wired, 30 maggio 2008.
28. Ibid.
29. Ibid.
30. Mars Reconnaissance Orbiter era stata una missione orbitale della NASA partita nel 2005 e arrivata nel 2006. La missione aveva mappato la presenza di argille, carbonati e cloruri, stabilito il volume di acqua ghiacciata presente nella calotta polare settentrionale e scattato immagini incredibilmente dettagliate di fenomeni geologici come le Recurring Slope Lineae («linee di pendio ricorrenti») sui pendii delle montagne marziane, grazie alla sua camera ad alta risoluzione High Resolution Imaging Science Experiment, o HiRISE. L’orbiter è ancora attivo ed è impiegato nelle comunicazioni con i rover sulla superficie del pianeta.
31. J. Mahoney, «Mars Reconnaissance Orbiter Captures Images of Phoenix Lander’s Descent», Popular Science, 27 maggio 2008.
32. I. Semeniuk, «First Phoenix Images Reveal ‘Quilted’ Martian Terrain», New Scientist, 26 maggio 2008.
33. E. Lakdawalla, «Phoenix Has Landed!», The Planetary Society, 25 maggio 2008.
34. Madrigal, «Wired Science Scores Exclusive Twitter Interview with the Phoenix Mars Lander», cit.
35. P.H. Smith, «Introduction to Visions of Mars», The Planetary Society, 14 febbraio 2007.
36. M.T. Mellon et al., «The Periglacial Landscape at the Phoenix Landing Site», Journal of Geophysical Research: Planets, 114, n. E1 (2009).
37. Semeniuk, «First Phoenix Images Reveal ‘Quilted’ Martian Terrain», cit.
38. I. Semeniuk, «Mars Scientists Ponder Polygon Mystery», New Scientist, 27 maggio 2008.
39. Si trattava di Nilton Rennó, professore di Climatologia, Scienze dello spazio e Ingegneria all’Università del Michigan.
40. K. Chang, «Blobs in Photos of Mars Lander Stir a Debate: Are They Water?», The New York Times, 16 marzo 2009; N.O. Rennó et al., «Physical and Thermodynamical Evidence for Liquid Water on Mars?», Lunar and Planetary Science Conference, 40 (2009); N.O. Rennó et al., «Possible Physical and Thermodynamical Evidence for Liquid Water at the Phoenix Landing Site», Journal of Geophysical Research: Planets, 114, n. E1 (2009).
41. A. Thompson, «Phoenix Mars Lander Found Liquid Water, Some Scientists Think», Space, 10 marzo 2009.
42. P.H. Smith et al., «H2O at the Phoenix Landing Site», Science, 325, n. 5936 (2009), pp. 58-61.
43. G. Webster, «Bright Chunks at Phoenix Lander’s Mars Site Must Have Been Ice», NASA, 19 giugno 2008.
44. TEGA era l’acronimo di Thermal and Evolved Gas Analyzer; MECA di Microscopy, Electrochemistry, and Conductivity Analyzer.
45. Hand, «Mars Exploration: Phoenix: A Race Against Time», cit.
46. W.V. Boynton et al., «Evidence for Calcium Carbonate at the Mars Phoenix Landing Site», Science, 325, n. 5936 (2009), pp. 61-64.
47. Purtroppo non c’era acqua a sufficienza per un’analisi isotopica, che sarebbe stata utile per capire quanta acqua era stata persa dal pianeta.
48. «Microscopy, Electrochemistry, and Conductivity Analyzer (MECA)», Phoenix Mars Mission, Università dell’Arizona.
49. Il volume dei campioni di terreno era di un centimetro cubico. Vedi S.P. Kounaves, «The Phoenix Mars Lander Wet Chemistry Laboratory (WCL): Understanding the Aqueous Geochemistry of the Martian Soil», International Workshop on Instrumentation for Planetary Missions, vol. 1683 (2012), p. 1005.
50. S.P. Kounaves et al., «The MECA Wet Chemistry Laboratory on the 2007 Phoenix Mars Scout Lander», Journal of Geophysical Research: Planets, 114, n. E3 (2009).
51. E.K. Wilson, «Mars Soil PH Measured», Chemical and Engineering News, 27 giugno 2008.
52. S.P. Kounaves et al., «Evidence of Martian Perchlorate, Chlorate, and Nitrate in Mars Meteorite EETA79001: Implications for Oxidants and Organics», Icarus, 229 (2014), pp. 206-213. Si suppone che l’azoto sia stato rilasciato nell’atmosfera marziana dalle esalazioni di antichi vulcani, proprio come sulla Terra. Anche se sul nostro pianeta c’è vita nell’azoto allo stato gassoso, questo elemento non è accessibile alla maggior parte degli organismi: il triplice legame è troppo difficile da spezzare. Spesso sono necessarie altre forme di azoto, come il nitrato, che trattengono gli atomi di ossigeno con un legame che può essere facilmente scisso.
53. R.L. Mancinelli e A. Banin, «Where Is the Nitrogen on Mars?», International Journal of Astrobiology, 2, n. 3 (2003), pp. 217-225.
54. Ci sarebbe voluto ancora qualche anno prima che, usando uno strumento di Curiosity chiamato Sample Analysis, la scienziata della NASA Jennifer Stern scoprisse il nitrato su Marte. J.C. Stern et al., «Evidence for Indigenous Nitrogen in Sedimentary and Aeolian Deposits from the Curiosity Rover Investigations at Gale Crater, Mars», Proceedings of the National Academy of Sciences, 112, n. 14 (2015), pp. 4245-4250.
55. Il perclorato è una molecola contenente uno ione perclorato (ClO4-, un atomo di cloro legato a quattro atomi di ossigeno). La scoperta del perclorato nel sito di atterraggio di Phoenix è raccontata in M.H. Hecht et al., «Detection of Perchlorate and the Soluble Chemistry of Martian Soil at the Phoenix Lander Site», Science, 325, n. 5936 (2009), pp. 64-67.
56. L. David, «Toxic Mars: Astronauts Must Deal with Perchlorate on the Red Planet», Space, 13 giugno 2013.
57. Mike Hecht, citato in R. Anderson, «AGU Day 1: Phoenix», AGU 100 Blogosphere, 16 dicembre 2008.
58. Per esempio clorometano e diclorometano; vedi R. Navarro-González et al., «Reanalysis of the Viking Results Suggests Perchlorate and Organics at Midlatitudes on Mars», Journal of Geophysical Research: Planets, 115, n. E12 (2010).
59. G. Webster, «Missing Piece Inspires New Look at Mars Puzzle», NASA, 3 settembre 2010.
60. Kounaves, «The Phoenix Mars Lander Wet Chemistry Laboratory», cit., p. 1005.
61. Vedi per esempio J.D. Coates e L.A. Achenbach, «Microbial Perchlorate Reduction: Rocket-Fueled Metabolism», Nature Reviews Microbiology, 2, n. 7 (2004), p. 569; J.M. Houtkooper e D. Schulze-Makuch, «The Possible Role of Perchlorates for Martian Life», Journal of Cosmology, 5 (25 gennaio 2010), pp. 930-939; S. Nixon et al., «Plausible Microbial Metabolisms on Mars», Astronomy & Geophysics, 54, n. 1 (febbraio 2013).
62. Furono calcolati valori teorici eutettici pari a 236 ± 1 K per 52 wt% di perclorato di sodio e 206 ± 1 K per 44,0 wt% di perclorato di magnesio. Vedi V.F. Chevrier et al., «Stability of Perchlorate Hydrates and Their Liquid Solutions at the Phoenix Landing Site, Mars», Geophysical Research Letters, 36, n. 10 (2009).
63. Mars Phoenix, post su Twitter, 8 luglio 2008, ore 15.15.
64. Ivi, 8 ottobre 2008, ore 22.20.
65. R. Anderson, «Phoenix Hanging in There», AGU 100 Blogosphere, 31 ottobre 2008.
66. Mars Phoenix, post su Twitter, 28 ottobre 2008, ore 16.55.
67. J.A. Whiteway et al., «Mars Water-Ice Clouds and Precipitation», Science, 325, n. 5936 (2009), pp. 68-70.
68. A. Minard, «‘Diamond Dust’ Snow Falls Nightly on Mars», National Geographic News, 2 luglio 2009.
69. Hand, «Mars exploration: Phoenix: A Race against Time», cit.
70. Mars Phoenix, post su Twitter, 10 novembre 2008, ore 13.12; Pyle, Destination Mars: New Explorations of the Red Planet, cit., p. 241.
71. «Visions of Mars», The Planetary Society, 14 febbraio 2007.
72. B. Betts, «We Make It Happen», The Planetary Report, XXVI, n. 6 (2006), p. 3.
73. J. Lomberg, «Visions of Mars: Then and Now», The Planetary Society, cit.
74. Ibid.
75. «Visions of Mars: The Stories», The Planetary Society, cit.
76. «Visions of Mars: Artwork and Radio Broadcasts», The Planetary Society, cit.
77. Ibid.
78. P.H. Smith, «Introduction to Visions of Mars», The Planetary Society, cit.
79. Ibid.
80. Il mini DVD dovrebbe potersi conservare per circa cinquecento anni; Betts, «We Make It Happen», cit.
81. «Visions of Mars: The Stories», cit.
82. Voltaire, Micromega, Garzanti, Milano 2002.
83. J.R. Powell, Progress and Prospects in Evolutionary Biology: The Drosophila Model, Oxford University Press, Oxford 1997.
84. K. Boeke, Cosmic View: The Universe in 40 Jumps, John Day Company, New York 1957. Il libro avrebbe anche ispirato il noto cortometraggio Powers of Ten («Potenze di 10»), prodotto da Ray e Charles Eames nel 1977.
10. Acqua dolce
1. «Mars Science Laboratory Landing Site: Gale Crater», NASA Mars Exploration Program, 22 luglio 2011.
2. «NASA Launches Most Capable and Robust Rover to Mars», NASA Mars Exploration Program, 26 novembre 2011.
3. R. Prakash et al., «Mars Science Laboratory Entry, Descent, and Landing System Overview», IEEE Aerospace Conference, Big Sky, Montana, 2008, pp. 1-18.
4. «Raw Images: Sol 3», Mars Curiosity Rover Raw Images, 8 agosto 2012.
5. Il cui nome ufficiale, secondo l’Unione Astronomica Internazionale, è Aeolis Mons.
6. «Press Kit: Mars Science Laboratory Landing», NASA, luglio 2012. Come «la copia più completa di un antico manoscritto», il Mount Sharp può essere utile per colmare le lacune nei dati geologici provenienti da altre parti del pianeta.
7. R.E. Milliken et al., «Paleoclimate of Mars as Captured by the Stratigraphic Record in Gale Crater», Geophysical Research Letters, 37, n. 4 (2010); A.A. Fraeman et al., «The Stratigraphy and Evolution of Lower Mount Sharp from Spectral, Morphological, and Thermophysical Orbital Data Sets», Journal of Geophysical Research: Planets, 121 (2016), pp. 1713-1736.
8. Gli obiettivi della NASA sarebbero passati da «cercare l’acqua» (in diverse missioni precedenti) a «esplorare le possibilità di abitabilità» (con il rover Curiosity), a «cercare tracce di vita» (con la missione Mars 2020). Vedi «The Mars Exploration Program», NASA Mars Exploration.
9. «Context of Curiosity Landing Site in Gale Crater», NASA Mars Exploration Program, 22 luglio 2011.
10. E. Lakdawalla, «Curiosity: Notes from the Two Day-after-Landing Press Briefings», The Planetary Society, 6 agosto 2012.
11. J. Hanna, «‘Impressive’ Curiosity Landing Only 1.5 Miles Off, NASA Says», CNN, 14 agosto 2012.
12. Curiosity avrebbe dovuto prima superare le Bagnold Dunes.
13. Charles Bolden, citato in «First Recorded Voice from Mars», Mars Science Laboratory, NASA, 27 agosto 2012.
14. E. Lakdawalla, «Curiosity Sol 9 Update», The Planetary Society, 15 agosto 2012.
15. R.M.E. Williams et al., «Martian Fluvial Conglomerates at Gale Crater«, Science, 340, n. 6136 (2013), pp. 1068-1072.
16. G. Webster, «NASA Rover Finds Old Streambed on Martian Surface», NASA, 27 settembre 2012.
17. J.P. Grotzinger et al., «A Habitable Fluvio-Lacustrine Environment at Yellowknife Bay, Gale Crater, Mars», Science, 343, n. 6169 (2014), 1242777.
18. Ibid.; J.P. Grotzinger et al., «Deposition, Exhumation, and Paleoclimate of an Ancient Lake Deposit, Gale Crater, Mars», Science, 350, n. 6257 (2015), aac7575; J.A. Hurowitz et al., «Redox Stratification of an Ancient Lake in Gale Crater, Mars», Science, 356, n. 6341 (2017), eaah6849; C. Freissinet et al., «Organic Molecules in the Sheepbed Mudstone, Gale Crater, Mars», Journal of Geophysical Research: Planets, 120, n. 3 (2015), pp. 495-514.
19. «A Guide to Gale Crater», video della NASA, 2 agosto 2017.
20. Oggi Paul è direttore della Solar System Exploration Division al Goddard Space Flight Center della NASA.
21. P.R. Mahaffy et al., «The Sample Analysis at Mars Investigation and Instrument Suite», Space Science Reviews, 170, nn. 1-4 (2012), pp. 401-478.
22. S. Solomon, «Born and Raised in Senafe, Eritrea, a NASA Scientist Leads Missions in Space», Eritrean Press, 20 agosto 2015.
23. Ibid.
24. Ibid.
25. Il peso del SAM era pari al 42% di tutta la strumentazione del rover.
26. W. Sullivan, «Two Gases Associated with Life Found on Mars Near Polar Cap», The New York Times, 8 agosto 1969.
27. J. Bontemps, «Mystery Methane on Mars: The Saga Continues», Astrobiology Magazine, 14 maggio 2015. Si scoprì che l’assorbimento sulle calotte polari poteva essere spiegato con la presenza di ghiaccio secco; vedi K.C. Herr e G.C. Pimentel, «Infrared Absorptions Near 3 Microns Recorded over Polar Cap of Mars», Science, 166 (1969), pp. 496-499.
28. M.J. Mumma et al., «Detection and Mapping of Methane and Water on Mars», Bulletin of the American Astronomical Society, 36 (2004), pp. 1, 127; V.A. Krasnopolsky et al., «Detection of Methane in the Martian Atmosphere: Evidence for Life?», Icarus, 172, n. 2 (2004), pp. 537-547; M.J. Mumma et al., «Strong Release of Methane on Mars in Northern Summer 2003», Science, 323, n. 5917 (2009), pp. 1041-1045.
29. V. Formisano et al., «Detection of Methane in the Atmosphere of Mars», Science, 306, n. 5702 (2004), pp. 1758-1761.
30. C.R. Webster et al., «Mars Methane Detection and Variability at Gale Crater», Science, 347, n. 6220 (2015), pp. 415-417; C.R. Webster et al., «Background Levels of Methane in Mars’ Atmosphere Show Strong Seasonal Variations», Science, 360, n. 6393 (2018), pp. 1093-1096.
31. J.R. Lyons et al., «Formation of Methane on Mars by Fluid-Rock Interaction in the Crust», Geophysical Research Letters, 32, n. 13 (2005).
32. B.K. Chastain e V. Chevrier, «Methane Clathrate Hydrates as a Potential Source for Martian Atmospheric Methane», Planetary and Space Science, 55, n. 10 (2007), pp. 1246-1256.
33. M.D. Max e S.M. Clifford, «The State, Potential Distribution, and Biological Implications of Methane in the Martian Crust», Journal of Geophysical Research: Planets, 105, n. E2 (2000), pp. 4165-4171.
34. P.R. Mahaffy et al., «The Sample Analysis at Mars Investigation and Instrument Suite», cit.
35. M. Farquhar, «Remains to Be Seen», The Washington Post, 30 giugno 1991.
36. R.E. Summons et al., «Molecular Biosignatures», in Strategies of Life Detection, Springer, Boston 2008, pp. 133-159.
37. Per due articoli fondamentali sui risultati delle analisi condotte con i gascromatografi-spettrometri di massa dei Viking, vedi K. Biemann et al., «Search for Organic and Volatile Inorganic Compounds in Two Surface Samples from the Chryse Planitia Region of Mars», Science, 194 (1976), pp. 72-76; K. Biemann et al., «The Search for Organic Substances and Inorganic Volatile Compounds in the Surface of Mars», Journal of Geophysical Research, 82, n. 28 (1977), pp. 4641-4658. Questi risultati furono reintepretati dopo la scoperta del perclorato su Marte; vedi R. Navarro-González et al., «Reanalysis of the Viking Results Suggests Perchlorate and Organics at Midlatitudes on Mars», Journal of Geophysical Research: Planets, 115, n. E12 (2010).
38. «SAM», Mars Curiosity Rover, NASA.
39. D. Limonadi, «Sampling Mars, Part 2: Science Instruments SAM and Chemin», The Planetary Society, 20 agosto 2012.
40. «View Into ‘John Klein’ Drill Hole in Martian Mudstone», NASA.
41. «Quotation of the Day for Wednesday, Mar. 13, 2013», The New York Times; C. Franzen, «Curiosity Discovers Ancient Mars Could Have Supported Life», The Verge, 12 marzo 2013.
42. Mahaffy et al., «The Sample Analysis at Mars Investigation and Instrument Suite», cit.; E. Lakdawalla, The Design and Engineering of Curiosity: How the Mars Rover Performs Its Job, Springer, New York 2018.
43. C. Freissinet et al., «Organic Molecules in the Sheepbed Mudstone, Gale Crater, Mars», cit.
44. J.L. Eigenbrode et al., «Organic Matter Preserved in 3-Billion-Year-Old Mudstones at Gale Crater, Mars», Science, 360, n. 6393 (2018), pp. 1096-1101; vedi anche D. Brown e J. Wendel, «NASA Finds Ancient Organic Material, Mysterious Methane on Mars», NASA, 7 giugno 2018.
45. Alcuni dei risultati più entusiasmanti del SAM potrebbero non essere ancora arrivati. Il metodo di riscaldamento utilizzato finora, la pirolisi, divide le molecole organiche complesse in componenti più semplici. Ma il SAM contiene anche nove recipienti per esperimenti di «chimica umida» con solventi che si combinano con sostanze organiche. In presenza di questi solventi è richiesto un riscaldamento molto minore, riducendo la combustione e permettendo alle molecole più grandi e complesse di entrare nel gascromatografo-spettrometro di massa.
46. M. Wall, «NASA’s Curiosity Rover on Mars Is Climbing a Mountain Despite Wheel Damage», Space, 3 maggio 2016.
47. Il trapano di Curiosity si bloccò alla fine del 2016, dopo il guasto a uno dei motori; diciotto mesi più tardi, nel 2018, una nuova tecnica di perforazione (Feed Extended Drilling) ideata dagli ingegneri del JPL riuscì a farlo ripartire. Vedi G. Webster, «Curiosity Rover Team Examining New Drill Hiatus», NASA, 5 dicembre 2016; «Curiosity Successfully Drills ‘Duluth’», NASA Science Mars Exploration Program, 23 maggio 2018.
48. Un numero speciale del Journal of Geophysical Research dedicato alle scoperte sul Vera Rubin Ridge è stato pubblicato nell’ottobre 2020.
49. V.C. Rubin et al., «Rotational Properties of 21 SC Galaxies with a Large Range of Luminosities and Radii, from NGC 4605 (R= 4kpc) to UGC 2885 (R= 122 kpc)», The Astrophysical Journal, 238 (1980), pp. 471-487; J.G. De Swart et al., «How Dark Matter Came to Matter», Nature Astronomy, 1, n. 3 (2017), p. 59.
50. «Synopsis: How Dark Matter Shaped the First Galaxies», American Physical Society, 2 ottobre 2019.
51. Intervista di Alan Lightman a Vera Rubin, 3 aprile 1989, Niels Bohr Library and Archives, American Institute of Physics, College Park, Maryland.
52. M. Scott, «Vera Rubin’s Son Reflects on How She Paved the Way for Women», The Pulse, 12 gennaio 2017.
53. «Dark Matter Discoverer Vera Rubin Blazed New Trails for Women, Astronomy», Georgetown University News, 23 febbraio 2017.
54. Nel 1965, la Rubin fu anche la prima donna a condurre osservazioni presso l’Osservatorio di Monte Palomar del Caltech. Come ricorda Neta Bahcall, professoressa a Princeton: «Le dissero: ‘È un vero problema, perché non abbiamo un bagno per le donne’. Lei allora tornò nella stanza, prese un pezzo di carta, ritagliò una gonna e andò ad attaccarla sul simbolo del bagno degli uomini. Poi disse: ‘Ecco, adesso lo avete’». Vedi J. Avins, «‘Devise Your Own Paths’: The Enduring Wisdom of Vera Rubin, Groundbreaking Astronomer and Working Mother», Quartz, 27 dicembre 2016.
55. D. Overbye, «Vera Rubin, 88, Dies: Opened Doors in Astronomy, and for Women», The New York Times, 27 dicembre 2016.
56. Ibid.; L. Randall, «Why Vera Rubin Deserved a Nobel», The New York Times, 4 gennaio 2017.
57. Overbye, «Vera Rubin, 88, Dies», cit.
58. La Rubin fu la seconda donna, dopo Caroline Herschel nel 1828, a ricevere la Medaglia d’oro della Royal Astronomical Society; nel 1993 fu insignita anche della Medaglia nazionale per le scienze, il più alto riconoscimento scientifico negli Stati Uniti. Molti sono convinti che per le sue ricerche avrebbe meritato anche il Nobel; vedi Randall, «Why Vera Rubin Deserved A Nobel», cit. e S. Scoles, «How Vera Rubin Confirmed Dark Matter», Astronomy, giugno 2016.
59. V. Rubin, Bright Galaxies, Dark Matters, Springer Science and Business Media, New York 1996.
60. Overbye, «Vera Rubin, 88, Dies», cit.
61. Dave Rubin lavora come sedimentologo nel dipartimento di Scienze terrestri e planetarie dell’Università della California a Santa Cruz ed è membro dell’équipe scientifica della missione Mars Science Laboratory, in cui si occupa soprattutto di depositi di sedimenti e geomorfologia.
62. Overbye, «Vera Rubin, 88, Dies», cit.
11. Forma da una massa informe
1. D.C. Agle, «NASA Mars Mission Connects with Bosnian Town», NASA News, 23 settembre 2019.
2. Parco nazionale dei laghi di Plitvice, Croazia. Vedi «Discover the Most Beautiful Lakes in Eastern Europe», SNCB International.
3. «Pliva Lakes and Watermills», www.visitjajce.com
4. «Categories (Themes) for Naming Features on Planets and Satellites», Gazetteer of Planetary Nomenclature, International Astronomical Union.
5. «Jezero», Gazetteer of Planetary Nomenclature, International Astronomical Union.
6. C.I. Fassett e J.W. Head III, «Fluvial Sedimentary Deposits on Mars: Ancient Deltas in a Crater Lake in the Nili Fossae Region», Geophysical Research Letters, 32, n. 14 (2005); B.L. Ehlmann et al., «Clay Minerals in Delta Deposits and Organic Preservation Potential on Mars», Nature Geoscience, 1, n. 6 (2008), p. 355; T.A. Goudge, «Stratigraphy and Evolution of Delta Channel Deposits, Jezero Crater, Mars», Lunar and Planetary Science Conference, 48 (2017).
7. E. Lakdawalla, «We’re Going to Jezero!», The Planetary Society, 20 novembre 2018.
8. [Il 30 luglio 2020 è avvenuto il lancio che porterà nell’orbita marziana il rover Perseverance e il drone Ingenuity, il cui arrivo su Marte è previsto per febbraio 2021, N.d.R.] Se tutto va bene, nel 2020 partirà per Marte anche il lander Kazachok, realizzato da Roscosmos, l’ente spaziale russo. Kazachok raccoglierà immagini e monitorerà il clima sull’Oxia Planum; trasporterà sulla superficie anche il rover Rosalind Franklin dell’Agenzia Spaziale Europea, che studierà rocce e terreni. Il rover affonderà una trivella nel suolo marziano a profondità mai raggiunte prima. Uno dei suoi strumenti più interessanti, il Mars Organic Molecule Analyzer, avrà la capacità di rilevare un’ampia gamma di sostanze organiche nei campioni che raccoglierà. Anche i cinesi hanno in programma di mandare una missione, su uno degli enormi razzi Long March 5. Nel 2011, il loro primo tentativo di raggiungere Marte – in una missione in collaborazione con la Russia – è purtroppo fallito dopo il decollo, ma nel 2020 l’ente spaziale nazionale cinese lancerà in solitaria la propria missione HX-1 [il lancio è avvenuto il 23 luglio, N.d.R.]. Si sa che l’orbiter avrà telecamere, radar, spettrometri, analizzatori di particelle neutre ed energetiche e un magnetometro, e (contando sul successo di Yutu-2, il rover cinese che nel 2019 ha esplorato il lato oscuro della Luna) sarà affiancato da un rover a energia solare. Sempre nel 2020, è previsto il lancio della sonda spaziale Hope degli Emirati Arabi Uniti, utilizzando un razzo giapponese, con l’obiettivo di mappare dall’orbita il clima marziano, studiando le dinamiche climatiche e la fuga atmosferica [il lancio è avvenuto il 20 luglio, N.d.R.]. Sarà la prima missione su un altro pianeta tentata da un Paese arabo, un’impresa sicuramente straordinaria per una nazione che fino al 2014 non aveva un ente spaziale. Tutte queste sonde si uniranno alla missione InSight della NASA, un lander geofisico lanciato nel 2018 per studiare l’attività sismica e il flusso di calore interno del pianeta rosso, e a Mars Odyssey, sempre della NASA, che quando era arrivata su Marte nei primi anni Duemila aveva trovato acqua ghiacciata nel sottosuolo e ora funge da relè di comunicazione. In orbita nei cieli marziani ci sono anche la missione Mars Express dell’Agenzia Spaziale Europea; Mars Reconnaissance Orbiter e MAVEN della NASA; ExoMars Trace Gas Orbiter, una missione congiunta dell’Agenzia Spaziale Europea e di Roscosmos; Mangalyaan, nota anche come Mars Orbital Mission, la prima, emozionante missione dell’ente spaziale indiano, giunta in orbita intorno al pianeta nel 2014 con un costo inferiore a quello di realizzazione del film Gravity. Per maggiori informazioni, vedi E. Lakdawalla, «Similarities and differences in the landing sites of ESA’s and NASA’s 2020 Mars rovers», Nature Astronomy, 3 (2019), p. 190; M. Wall, «4 Mars Missions Are One Year Away from Launching to the Red Planet in July 2020», space.com, 25 luglio 2019; A. Jones, «China’s First Mars Spacecraft Undergoing Integration for 2020 Launch», spacenews.com, 29 maggio 2019; S. Lemonick, «3 Rovers Will Head to Mars in 2020: Here’s What You Need to Know about Their Chemical Missions», C&EN, 97, n. 29, 21 luglio 2019; E. Masood, «UAE Mars Probe Will be Arab World First», Nature News, 31 luglio 2019.
9. M.J. Van Kranendonk et al. (a cura di), Earth’s Oldest Rocks, Elsevier, Amsterdam 2018.
10. «The Changing Ice Caps of Mars», NASA Science Mars Exploration Program, 27 novembre 2018.
11. K.W. Lewis et al., «Quasi-Periodic Bedding in the Sedimentary Rock Record of Mars», Science, 322, n. 5907 (2008), pp. 1532-1535; J.T. Perron e P. Huybers, «Is There an Orbital Signal in the Polar Layered Deposits on Mars?», Geology, 37, n. 2 (2009), pp. 155-158.
12. A.Y. Mulkidjanian et al., «Origin of First Cells at Terrestrial, Anoxic Geothermal Fields», PNAS, 109, n. 14 (2012), pp. E821-E830.
13. J.G. Forsythe et al., «Ester-Mediated Amide Bond Formation Driven by Wet-Dry Cycles: A Possible Path to Polypeptides on the Prebiotic Earth», Angewandte Chemie International Edition, 54, n. 34 (2015), pp. 9871-9875.
14. Anche questo rover verrà deposto sulla superficie con un sistema di discesa e atterraggio Sky Crane; E. Hand, «NASA’s Mars 2020 Rover to Feature Lean, Nimble Science Payload», www.sciencemag.org, 31 luglio 2014.
15. Il drone a doppia elica, che somiglia a un piccolo elicottero, pesa meno di 2 chili e ha un’apertura alare di appena un metro. È progettato per muoversi in un’atmosfera a bassa densità e, se dovesse riuscirci, sarebbe il primo velivolo a volare su un altro corpo celeste del sistema solare. Il drone è fornito di un pannello solare e due rotori e tenterà di effettuare cinque voli della durata massima di novanta secondi sulla superficie marziana. Trattandosi di un esperimento, l’aeromobile non monta strumentazioni scientifiche, fatta eccezione per alcune telecamere che riprenderanno il cratere Jezero dall’alto. Vedi D.C. Agle e A. Johnson, «NASA’s Mars Helicopter Attached to Mars 2020 Rover», NASA, 28 agosto 2019; P. Lerner, «A Helicopter Dreams of Mars», Air & Space Magazine, aprile 2019.
16. La torretta contenente la strumentazione riservata al braccio del rover pesa da sola 40 chili; M. Lou, «Watch the Arm of NASA’s Mars 2020 Rover Perform a Bicep Curl», CNN, 30 luglio 2019.
17. Il rover trasporterà quarantadue recipienti per campioni, inclusi cinque di ricambio, ma dovrà raccogliere soltanto venti campioni nel corso del suo primo anno e mezzo marziano; gli altri saranno prelevati nella seconda fase della missione. Vedi K. Farley, «Mars 2020 Mission», Fourth Landing Site Workshop for the Mars 2020 Rover Mission, Glendale, California, 16 ottobre 2019.
18. «Robotic Arm», NASA Mars 2020 Mission.
19. Per recuperare i campioni si pensa che sarà impiegato un rover che li trasporterà a un modulo di ascesa, grazie al quale si potranno anche testare alcune tecnologie necessarie per rendere possibile l’esplorazione umana. Il progetto dovrebbe essere frutto di una collaborazione internazionale tra NASA e Agenzia Spaziale Europea, che si occuperanno dell’hardware della missione. «Sample Handling», NASA Mars 2020 Mission; J. Cowart, «NASA, ESA Officials Outline Latest Mars Sample Return Plans», The Planetary Society, 13 agosto 2019.
20. Anche se naturalmente una grande quantità di materiale è già stata trasportata da Marte alla Terra, e anche se l’obiettivo dichiarato della NASA con la missione Mars Sample Return è recuperare rocce antiche contenenti le prove dell’esistenza della vita in epoche remote – e non organismi viventi –, il fatto che queste possano effettivamente contenere organismi viventi rende indispensabile che la NASA e i suoi partner internazionali maneggino con estrema cautela qualsiasi campione ricevuto. L’Office of Planetary Protection della NASA, in collaborazione con il Committee on Comittee Space Research (COSPAR), un organismo scientifico internazionale, ha attuato politiche rigorose per proteggere la Terra da possibili forme di vita provenienti dallo spazio. Sono in corso di studio diversi scenari di quarantena per i campioni, tra cui l’uso di strutture di biocontenimento di livello 4 (BSL-4, quelle utilizzate anche per le malattie mortali per cui non esistono vaccini o trattamenti noti) costruite appositamente e altre soluzioni che prevedono il mantenimento in orbita. Vedi B. Uhran et al., «Updating Planetary Protection Considerations and Policies for Mars Sample Return», Space Policy (2019); S. Knapton, «Martian Rocks Could Be Quarantined on Moon Before Travelling to Earth», The Telegraph, 5 dicembre 2019; Y. Bar-Cohen et al., «Sample Containerization and Planetary Protection Using Brazing for Breaking the Chain of Contact to Mars», Behavior and Mechanics of Multifunctional Materials XIII, International Society for Optics and Photonics, vol. 10968 (2019), 1096802.
21. M. Barboni et al., «Early Formation of the Moon 4.51 Billion Years Ago», Science Advances, 3, n. 1 (2017), e1602365.
22. P. Saxena et al., «Was the Sun a Slow Rotator? Sodium and Potassium Constraints from the Lunar Regolith», The Astrophysical Journal Letters, 876, n. 1 (2019), p. L16.
23. S. Knapton, «Elon Musk: We’ll Create a City on Mars with a Million Inhabitants», The Telegraph, 21 giugno 2017.
24. T.A. Goudge et al., «Sedimentological Evidence for a Deltaic Origin of the Western Fan Deposit in Jezero Crater, Mars, and Implications for Future Exploration», Earth and Planetary Science Letters, 458 (2017), pp. 357-365; T.A. Goudge et al., «Stratigraphy and Paleohydrology of Delta Channel Deposits, Jezero Crater, Mars», Icarus, 301 (2018), pp. 58-75.
25. J.D. Farmer e D.J. Des Marais, «Exploring for a Record of Ancient Martian Life», Journal of Geophysical Research: Planets, 104, n. E11 (1999), pp. 26977-26995.
26. B.L. Ehlmann et al., «Clay Minerals in Delta Deposits and Organic Preservation Potential on Mars», Nature Geoscience, 1, n. 6 (2008), p. 355.
27. S. Gupta e B. Horgan, «Mars 2020 Science Team Assessment of Jezero Crater», Fourth Landing Site Workshop for the Mars 2020 Rover Mission, Glendale, California, 17 ottobre 2019; K. Lynch et al., «Habitability and Preservation Potential of the Bottomset Deposits in Jezero Crater», Fourth Landing Site Workshop for the Mars 2020 Rover Mission, Glendale, California, 17 ottobre 2019; K. Farley et al., «Jezero-Midway Interellipse Traverse Mission Concept», Fourth Landing Site Workshop for the Mars 2020 Rover Mission, Glendale, California, 18 ottobre 2019.
28. Vicino al bordo del delta, in quello che potrebbe essere il suo strato di fondo, è stata rilevata anche silice idrata, un minerale eccezionale per la conservazione dei microfossili e di altre tracce di vita, dando ulteriore motivo per attendere con entusiasmo i risultati dell’esplorazione del sito. Fra le altre formazioni interessanti all’interno di Jezero vi è anche un anello di carbonati che potrebbe essere l’antica riva di un lago. J.D. Tarnas et al., «Orbital Identification of Hydrated Silica in Jezero Crater, Mars», Geophysical Research Letters, 46, n. 22 (2019); B.H.N. Horgan et al., «The Mineral Diversity of Jezero Crater: Evidence for Possible Lacustrine Carbonates on Mars», Icarus, 339 (2020), 113526.
29. D. Prothero e Fred Schwab, Sedimentary Geology: An Introduction to Sedimentary Rocks and Stratigraphy, W.H. Freeman and Co., New York 2004.
30. Erodoto, Storie, a cura di A. Colonna e F. Bevilacqua, Utet, Torino 1996, libro I, 1.
31. Ivi, libro II.
32. Ivi, libro II, 5, 1-2.
33. Ibid.
34. N.C. Strudwick, Texts from the Pyramid Age, Society of Biblical Literature, Atlanta 2005, p. 87.
35. Ibid.
36. «Egyptian Pottery», Ceramics and Pottery Arts and Resources, venice claysartist.com, 30 luglio 2009.
37. Ibid.
38. Ibid.
39. W.W. How, A Commentary on Herodotus, Project Gutenberg, 2008.
40. J.J. Mark, «Egyptian Papyrus», Ancient History Encyclopedia, www.ancient.eu, 8 novembre 2016.
41. J. Kamrin, «Papyrus in Ancient Egypt», The Metropolitan Museum of Art, marzo 2015.
42. J.G. Griffiths, «Hecataeus and Herodotus on ‘A Gift of the River’», Journal of Near Eastern Studies, 25, n. 1 (1966), pp. 57-61.
43. Erodoto, Storie, libro II, 92, 5.
44. Da Teofrasto, Historia Plantarum, IV, 10, citato in «Papyrus», Encyclopedia Britannica, 1911.
45. L. Casson, «The Library of Alexandria», in Libraries in the Ancient World, Yale University Press, New Haven 2002, p. 43 (trad. it. Biblioteche del mondo antico, Sylvestre Bonnard, Milano 2003).
46. R. MacLeod (a cura di), The Library of Alexandria: Centre of Learning in the Ancient World, I.B. Tauris, Londra 2004.
47. Ibid.
48. J. McKenzie e P.R. Stuart Moorey, The Architecture of Alexandria and Egypt, c. 300 BC to AD 700, Yale University Press, New Haven 2007; J. Crawford, Fallen Glory: The Lives and Deaths of History’s Greatest Buildings, Picador, New York 2017.
49. Galeno, Opera Omnia, vol. 17/1, a cura di D.C. Gottlob Kühn, Carl Cnobloch, Lipsia 1828, p. 605.
50. «When Libraries Were on a Roll», The Telegraph, 19 maggio 2001.
51. T. Greenwood, «Euclid and Aristotle», The Thomist: A Speculative Quarterly Review, 15, n. 3 (1952), pp. 374-403.
52. Euclide, Elementi, a cura di A. Frajese e L. Maccioni, UTET, Torino 1970.
53. Un numero perfetto è un numero naturale uguale alla somma dei divisori propri; per esempio, 6 è la somma di 1, 2 e 3, e 28 è la somma di 1, 2, 4, 7 e 14.
54. I. Kant, Critica della ragion pura, Bompiani, Milano 2004.
55. Si dice che Gauss, il quale nutriva un vivo interesse per l’esistenza di eventuali creature extraterrestri, avesse proposto di segnalare a possibili abitanti dello spazio il teorema di Pitagora seminando un campo a forma di triangolo rettangolo, ma questa idea non può essergli attribuita con certezza. M.J. Crowe, The Extraterrestrial Life Debate, 1750-1900, Dover Publications, Mineola, New York, 2011, p. 205.
56. Il quinto postulato di Euclide recita: «Se una retta venendo a cadere su due rette forma gli angoli interni e dalla stessa parte minori di due retti […], le due rette prolungate illimitatamente verranno a incontrarsi da quella parte in cui sono gli angoli minori di due retti». Euclide, Elementi, cit., p. 71.
57. J.J. O’Connor ed E.F. Robertson, «Non-Euclidean Geometry», JOC/EFR, febbraio 1996.
58. A. Einstein, «Der Feldgleichungen der Gravitation», Königlich Preußische Akademie der Wissenschaften, XLVIII-XLIX (1915), pp. 844-847.
59. J.R. Michalski et al., «The Martian Subsurface as a Potential Window into the Origin of Life», Nature Geoscience, 11, n. 1 (2018), p. 21; T. Cardona et al., «Origin and Evolution of Water Oxidation before the Last Common Ancestor of the Cyanobacteria», Molecular Biology and Evolution, 32, n. 5 (2015), pp. 1310-1328; A. Tomitani et al., «The Evolutionary Diversification of Cyanobacteria: Molecular-Phylogenetic and Paleontological Perspectives», PNAS, 103, n. 14 (2006), pp. 5442-5447.
60. Y.M. Bar-On et al., «The Biomass Distribution on Earth», Proceedings of the National Academy of Sciences, 115, n. 25 (2018), pp. 6506-6511.
61. B. Lollar Sherwood et al., «Unravelling Abiogenic and Biogenic Sources of Methane in the Earth’s Deep Subsurface», Chemical Geology, 226, nn. 3-4 (2006), pp. 328-339; K.J. Edwards et al., «The Deep, Dark Energy Biosphere: Intraterrestrial Life on Earth», Annual Review of Earth and Planetary Sciences, vol. 40 (2012), pp. 551-568; C. Magnabosco et al., «A Metagenomic Window into Carbon Metabolism at 3 km Depth in Precambrian Continental Crust», The ISME Journal, 10, n. 3 (2016), p. 730.
62. J.R. Michalski et al., «The Martian Subsurface as a Potential Window into the Origin of Life», cit.
63. T.C. Onstott et al., «Paleo-Rock-Hosted Life on Earth and the Search on Mars: A Review and Strategy for Exploration», Astrobiology, 19, n. 10 (2019).
64. P. Voosen, «NASA’s Next Mars Rover Aims to Explore Two Promising Sites», Science, 362, n. 6411 (2018), pp. 139-140. La più accanita sostenitrice di Midway nel processo di selezione del sito di atterraggio è stata Bethany Ehlmann, professoressa al Caltech, che ha pubblicato un corposo studio sul Syrtis Major Planum nordorientale ed è stata una pioniera nell’esplorazione degli strati più superficiali del sottosuolo.
65. J. Mustard et al., «Mars 2020 Candidate Landing Site Data Sheet: NE Syrtis», NASA JPL.
66. Questo settore di ricerca è il fulcro del Laboratory for Agnostic Biosignatures (LAB), del quale sono la ricercatrice capo. Con il sostegno del programma di astrobiologia della NASA, il LAB mira a ideare metodi di rilevamento della vita che identifichino caratteristiche e sostanze chimiche ignote che potrebbero rappresentare processi di vita non ancora conosciuti. Il team del LAB comprende biologi, chimici, informatici, matematici e ingegneri strumentali. Basandoci sulle fondamentali ricerche condotte nel campo dell’astrobiologia – per esempio, P.G. Conrad e K.H. Nealson, «A Non-Earthcentric Approach to Life Detection», Astrobiology, 1, n. 1 (2001), pp. 15-24 –, stiamo anche progettando strumenti per rilevare queste tracce e nuove strategie per interpretarle (www.agnosticbiosignatures.com).
67. S.M. Marshall et al., «A Probabilistic Framework for Identifying Biosignatures Using Pathway Complexity», Philosophical Transactions of the Royal Society A: Mathematical, Physical and Engineering Sciences, 375, n. 2109 (2017), 20160342; S.S. Johnson et al., «Fingerprinting Non-Terran Biosignatures», Astrobiology, 18, n. 7 (2018), pp. 915-922.
68. Per esempio, la vita potrebbe essersi evoluta per utilizzare i raggi cosmici come fonte di energia, proprio come noi sulla Terra usiamo le lunghezze d’onda della luce visibili, oppure per impiegare zolfo, silicio o ammoniaca al posto del carbonio come elemento costitutivo della vita. Vedi J.E. Lovelock, «A Physical Basis for Life Detection Experiments», Nature, 207, n. 997 (1965), pp. 568-570; P.H. Rampelotto, «The Search for Life on Other Planets: Sulfur-based, Silicon-based, Ammonia-based Life», Journal of Cosmology, 5 (2010), pp. 818-827.
69. Alcuni studiosi hanno interpretato l’idea espressa da Aristotele nella Fisica, secondo cui esisterebbe un substrato materiale di dimensioni minime su cui è possibile che si formi un certo tessuto naturale (per esempio le ossa o il sangue), come una prova a favore del fatto che il filosofo greco credesse nell’esistenza di elementi fisici minimi. Vedi S. Berryman, «Ancient Atomism», in E.N. Zalta (a cura di), The Stanford Encyclopedia of Philosophy, 2016; «Scholastic Philosophy and Renaissance Magic in the De Vita of Marsilio Ficino», Renaissance Quarterly, 37 (1984), pp. 523-554; R. Glasner, «Ibn Rushd’s Theory of Minima Naturalia», Arabic Sciences and Philosophy, 11 (2001), pp. 9-26; J.E. Murdoch, «The Medieval and Renaissance Tradition of Minima Naturalia», in C. Lüthy et al. (a cura di), Late Medieval and Early Modern Corpuscular Matter Theories, Brill, Leida 2001, pp. 91-132.
70. Per un’affascinante discussione sulle concezioni del mondo, vedi l’opera del filosofo Lucas Mix, che racconta come Lucrezio, un atomista epicureo, vedesse il mondo come fondamentalmente morto, mentre Aristotele lo concepisse come fondamentalmente vivo, e come «nel complesso Aristotele ha vinto per duemila anni». L.J. Mix, «The Meaning of ‘Life’: Astrobiology and Philosophy», University of Washington Seminar Series, NASA Astrobiology Institute Virtual Planetary Lab, 12 maggio 2012, e L.J. John Mix, Life in Space: Astrobiology for Everyone, Harvard University Press, Cambridge 2009, pp. 246-247. Vedi anche M. Matthen e R.J. Hankinson, «Aristotle’s Universe: Its Form and Matter», Synthese, 96, n. 3 (1993), pp. 417-435.
71. Aristotele, De caelo, Sansoni, Firenze 1961.
72. A. Lightman, Searching for Stars on an Island in Maine, Pantheon Books, New York 2018, p. 145; A.M. Leroi, «6 Things Aristotle Got Wrong», Huffington Post, 2 dicembre 2014.
73. Negli anni Sessanta, Thomas Kuhn introdusse il concetto di «cambiamento di paradigma», l’idea che in una teoria scientifica dominante si accumulino lentamente errori finché non viene adottato un paradigma nuovo e radicalmente diverso dal precedente. T.S. Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions, University of Chicago Press, Chicago e Londra 1962 (trad. it. La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 2009).
74. «Newtonian Cosmology and Religion», Cosmic Journey: A History of Scientific Cosmology, American Institute of Physics.
75. W. Blake, The Marriage of Heaven and Hell, in The Poetical Works, a cura di J. Sampson, Oxford University Press, Oxford 1908; bartleby.com, 2011, versi 115-116 (trad. it. Il matrimonio del cielo e dell’inferno, SE, Milano 2003). Anche Einstein una volta disse qualcosa di simile: «Ci troviamo nella situazione di un bambino che è entrato in un’immensa biblioteca piena di libri scritti in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri, ma non sa come e non conosce le lingue in cui sono stati scritti. Sospetta che vi sia un misterioso ordine nella disposizione dei volumi, ma non sa quale sia. Anche noi vediamo che l’universo risponde a un ordine meraviglioso e ubbidisce a certe leggi, che tuttavia non riusciamo a capire se non in modo molto vago»; citato in Lightman, Searching for Stars on an Island in Maine, cit., pp. 115-116.
76. A. McNearney, «The Buried Secrets of the World’s Very First Lighthouse», The Daily Beast, 21 ottobre 2017.
77. J. Crawford, «The Life and Death of the Library of Alexandria», Literary Hub, 13 marzo 2017.
78. Per una splendida riflessione sulla fede di uno scienziato nel mondo materiale, vedi Lightman, Searching for Stars on an Island in Maine, cit.
79. Papers of William Henry Pickering, 1870-1907, Harvard University Archives, HUG 1691.
80. Ibid.
81. «Hallo, Mars? Mr. Marconi and His New Aerial on the Radial Yacht ‘Elettra’, With Which He Hopes to Call Up Mars», British Pathé.
82. David Peck Todd Papers, 1862-1939, Yale University Manuscripts & Archives.
83. D.H. Forgan e R.C. Nichol, «A Failure of Serendipity: The Square Kilometre Array Will Struggle to Eavesdrop on Human-like Extraterrestrial Intelligence», International Journal of Astrobiology, 10, n. 2 (2011), pp. 77-81.
84. Lowell aveva osservato caratteristiche lineari non solo su Marte, ma anche su Mercurio («crepacci»), sulle lune di Giove («lineamenti») e su Venere («raggi»). Le somiglianze tra i «raggi» da lui tracciati su una mappa della superficie di Venere all’inizio del Ventesimo secolo e un’immagine moderna dei vasi sanguigni che si dipartono dalla coppa ottica sono straordinarie; vedi W. Sheehan e T. Dobbins, «The Spokes of Venus: An Illusion Explained», Journal for the History of Astronomy, vol. 34, parte 1, n. 114 (2003), p. 61.
85. P. Lowell, Mars as the Abode of Life, The Macmillan Company, New York 1908, p. 146.
86. H.S. Vishniac e W.P. Hempfling, «Cryptococcus Vishniacii sp. nov., an Antarctic Yeast», International Journal of Systematic and Evolutionary Microbiology, 29, n. 2 (1979), pp. 153-158.
87. E. Vishniac, intervista telefonica con Sarah Johnson, 8 settembre 2017.
88. Euclide, Euclid’s Elements: With Notes, an Appendix, and Exercises by Issac Todhunter, pubblicazione indipendente, 2017.
89. Il dipinto è il Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich, olio su tela, 1818, Hamburger Kunsthalle, Amburgo.
90. Erodoto, Storie, libro I.
91. E.A. Petigura et al., «Prevalence of Earth-Size Planets Orbiting Sun-like Stars», Proceedings of the National Academy of Sciences, 110, n. 48 (2013), pp. 19273-19278; M. Block, «Study Says 40 Billion Planets in Our Galaxy Could Support Life», NPR, All Things Considered, 5 novembre 2013.
92. Per una discussione illuminante sui limiti della scienza, dalla velocità della luce come limite di velocità dell’universo ai limiti scoperti da Heisenberg su ciò che può essere misurato con sicurezza, vedi J.D. Barrow, Impossibility, Oxford University Press, Oxford 1998.
93. Le foto del tramonto furono scattate il 4 e 5 novembre 2010; G. Webster, «Martian Dust Devil Whirls Into Opportunity’s View», NASA, 28 luglio 2010; G. Webster, «Mars Movie: I’m Dreaming of a Blue Sunset», NASA, 22 dicembre 2010.
94. Sulla Terra, la luce blu si diffonde con maggiore efficienza rispetto a quella rossa, che ha una lunghezza d’onda più lunga. Questo fenomeno, detto «diffusione di Rayleigh», è il risultato della dispersione della luce in tutte le direzioni provocata da oggetti molto più piccoli della lunghezza d’onda della luce, in questo caso le minuscole molecole d’aria dell’atmosfera. Ecco perché il nostro cielo è blu. Ma quando la luce incidente del Sole attraversa una grande quantità di atmosfera (per esempio al tramonto, quando il Sole è basso all’orizzonte), la luce blu viene in gran parte dispersa. Il risultato è che a colpire i nostri occhi sono soprattutto i fotoni rossi e gialli. Poiché su Marte c’è pochissima aria, gli effetti della diffusione di Rayleigh sono meno evidenti. La maggior parte della luce è dispersa da particelle di polvere, che per dimensioni tendono a essere simili o più grandi delle lunghezze d’onda della luce incidente. A mano a mano che la luce viene diffusa, le frequenze del blu sono deviate in misura minore rispetto a quelle del rosso, ed è per questo che i tramonti su Marte appaiono blu. Le recenti osservazioni del Compact Reconnaissance Imaging Spectrometer a bordo del Mars Re-connaissance Orbiter hanno portato a importanti progressi nella caratterizzazione delle proprietà di diffusione degli aerosol marziani; vedi M.J. Wolff et al., «Wavelength Dependence of Dust Aerosol Single Scattering Albedo as Observed by the Compact Reconnaissance Imaging Spectrometer», Journal of Geophysical Research: Planets, 114, n. E2 (2009).