Prologo
1. J.R. De Laeter et al., «Early Archaean Gneisses from the Yilgarn Block, Western Australia», Nature, 292 (1981), pp. 322-324; D.R. Mole et al., «Archean Komatiite Volcanism Controlled by the Evolution of Early Continents», Proceedings of the National Academy of Sciences, 111 (giugno 2014).
2. I livelli di pH in questi straordinari laghi salati acidi, le cui condizioni simili a quelle marziane sono state studiate per anni grazie al lavoro pionieristico della professoressa Kathy Benison della West Virginia University, possono scendere fino a 1,6. Per ulteriori informazioni su questi laghi e sulle loro condizioni geochimiche estreme, vedi K.C. Benison e D.A. LaClair, «Modern and Ancient Extremely Acid Saline Deposits: Terrestrial Analogs for Martian Environments?», Astrobiology, 3, n. 3 (2003), pp. 609-618; B.B. Bowen e K.C. Benison, «Geochemical Characteristics of Naturally Acid and Alkaline Saline Lakes in Southern Western Australia», Applied Geochemistry, 24 (2009), pp. 268-284; S.S. Johnson et al., «Insights from the Metagenome of an Acid Salt Lake: The Role of Biology in an Extreme Depositional Environment», PLOS One, 10 (aprile 2015).
3. H. Zappe, Fundamentals of Micro-Optics, I ed., Cambridge University Press, Cambridge 2010, p. 298; L. Leonard, Percival Lowell, An Afterglow, Richard G. Badger, Boston 1921.
4. Sulla superficie di Marte non esistono più laghi, ma nel 2018 il radar MARSIS della sonda Mars Express dell’Agenzia Spaziale Europea ha scoperto interessanti tracce di un lago subglaciale largo 20 chilometri sotto i depositi stratificati del polo sud. Vedi R. Orosei et al., «Radar Evidence of Subglacial Liquid Water on Mars», Science, 3 (agosto 2018), pp. 490-493.
5. Molti esperti concordano sul fatto che anche l’esistenza di una tettonica a placche su Marte in epoca più antica sia difficile da conciliare con le prove a favore di una formazione della crosta e della generazione di campi magnetici in un tempo molto antico, anche se è stata avanzata l’ipotesi che le Valles Marineris possano segnare una faglia tra placche. Vedi D. Breuer e T. Spohn, «Early Plate Tectonics Versus Single-Plate Tectonics on Mars: Evidence from Magnetic Field History and Crust Evolution», Journal of Geophysical Research: Planets, 108, n. E7 (2003); A. Yin, «Structural Analysis of the Valles Marineris Fault Zone: Possible Evidence for Large-Scale Strike-Slip Faulting on Mars», Lithosphere, 4, n. 4 (2012), pp. 286-330.
6. Secondo la maggior parte delle ipotesi, ogni campo magnetico globale di una qualche entità sarebbe scomparso circa quattro miliardi di anni fa. Vedi D.J. Stevenson, «Mars’ Core and Magnetism», Nature, 412, n. 6843 (2001), p. 214; S.C. Solomon et al., «New Perspectives on Ancient Mars», Science, 307, n. 5713 (2005), pp. 1214-1220; J.E.P. Connerney et al., «The MAVEN Magnetic Field Investigation», Space Science Reviews, 195, nn. 1-4 (2015), pp. 257-291.
7. Il diametro di Marte è poco più della metà di quello della Terra; per avere un parametro di riferimento, occorrerebbe affiancare più di undici Terre per uguagliare il diametro di Giove.
8. Vedi R.M. Haberle, «Early Mars Climate Models», Journal of Geophysical Research, 103 (novembre 1998), pp. 28467-28479; I. Halevy et al., «A Sulfur Dioxide Climate Feedback on Early Mars», Science, 318, n. 5858 (2007), pp. 1903-1907; S.S. Johnson et al., «Sulfur-Induced Greenhouse Warming on Early Mars», Journal of Geophysical Research: Planets, 113, n. E8 (2008); R.M. Ramirez et al., «Warming Early Mars with CO2 and H2», Nature Geoscience, 7 (2014), pp. 59-63; R.D. Wordsworth, «The Climate of Early Mars», Annual Review of Earth and Planetary Sciences, 44 (2016), pp. 381-408.
9. Vedi R.A. Craddock e A.D. Howard, «The Case for Rainfall on a Warm, Wet Early Mars», Journal of Geophysical Research: Planets, 107 (novembre 2002), pp. 21-36; S.W. Squyres e J.F. Kasting, «Early Mars: How Warm and How Wet?», Science, 265 (agosto 1994); R.D. Wordsworth et al., «Comparison of ‘Warm and Wet’ and ‘Cold and Icy’ Scenarios for Early Mars in a 3-D Climate Model», Journal of Geophysical Research: Planets, 120 (giugno 2015), pp. 1201-1219; M.C. Palucis et al., «Sequence and Relative Timing of Large Lakes in Gale Crater (Mars) after the Formation of Mount Sharp», Journal of Geophysical Research: Planets, 121, n. 3 (2016), pp. 472-496.
10. Charles Darwin, lettera a J.D. Hooker, 1° febbraio 1871, Darwin Correspondence Project: «Ma se (oh, che grande se), provassimo a immaginare» l’origine della vita «in un piccolo stagno caldo». La sua intuizione potrebbe essere corretta. Oggi si crede che i principali candidati ad aver fornito il luogo di origine della vita sulla Terra siano le bocche idrotermali nelle profondità oceaniche e le pozze d’acqua dolce nei campi geotermici come quelle nel Parco nazionale di Yellowstone. Negli ultimi anni si tende a prediligere le seconde per diversi motivi. La composizione chimica delle cellule ricorda più quella dell’acqua delle pozze nei campi geotermici che quella delle acque delle profondità oceaniche; le molecole organiche, i mattoni della vita, si sarebbero accumulate più facilmente in queste pozze rispetto alle fosse oceaniche e concentrazioni saline più basse potrebbero aver fornito un ambiente più favorevole alla formazione delle prime membrane di acidi grassi. Recenti studi ipotizzano inoltre che, per modellare i precursori delle sequenze ripetute delle molecole nelle vescicole membranose, potrebbero essere stati necessari diversi cicli di bagnatura e asciugatura. Se per dare origine alla vita, perlomeno alla vita così come la conosciamo, è necessaria anche la terra asciutta, Marte può avere più possibilità delle lune ghiacciate di Giove e Saturno. Vedi A.Y. Mulkidjanian et al., «Origin of First Cells at Terrestrial, Anoxic Geothermal Fields», Proceedings of the National Academy of Sciences, 109 (2012), pp. E821-E830; D. Deamer e B. Deamer, «Can Life Begin on Enceladus? A Perspective from Hydrothermal Chemistry», Astrobiology, 17, n. 9 (2017), pp. 834-839; D. Deamer, First Life: Discovering the Connections between Stars, Cells, and How Life Began, University of California Press, Berkeley 2011.
11. Tra gli articoli che ipotizzano la presenza di antichi oceani su Marte, vedi M.H. Carr e J.W. Head III, «Oceans on Mars: An Assessment of the Observational Evidence and Possible Fate», Journal of Geophysical Research: Planets, 108 (2003); R.I. Citron et al., «Timing of Oceans on Mars from Shoreline Deformation», Nature, 555 (2018), pp. 643-646; G. Di Achille e B.M. Hynek, «Ancient Ocean on Mars Supported by Global Distribution of Deltas and Valleys», Nature Geoscience, 3 (2010), pp. 459-463; M.C. Malin e K.S. Edgett, «Oceans or Seas in the Martian Northern Lowlands: High Resolution Imaging Tests of Proposed Coastlines», Geophysical Research Letters, 26 (1999), pp. 3049-3052.
12. J.W. Head III et al., «Oceans in the Past History of Mars: Tests for Their Presence Using Mars Orbiter Laser Altimeter (MOLA) Data», Geophysical Research Letters (dicembre 1998), p. 4403; J.W. Head III et al., «Possible Ancient Oceans on Mars: Evidence from Mars Orbiter Laser Altimeter Data», Science, 286 (1999), pp. 2134-2137.
13. J.P. Bibring et al., «Global Mineralogical and Aqueous Mars History Derived from OMEGA/Mars Express Data», Science, 312 (aprile 2006), pp. 400-404.
14. In assenza di effetto serra, le temperature superficiali di Marte, secondo la legge di Stefan-Boltzmann, scesero lentamente fino a una media di -60 °C, la temperatura superficiale odierna.
15. K.S. Edgett e H.E. Newsom, «Dust Deposited from Eolian Suspension on Natural and Space Flight Hardware Surfaces in Gale Crater as Observed Using Curiosity’s Mars Hand Lens Imager (MAHLI)», intervento in occasione del convegno «Dust in the Atmosphere of Mars and Its Impact on Human Exploration», Houston, giugno 2017.
16. Dove e cosa dovremmo cercare è ancora oggetto di costante dibattito. Gli astrobiologi non concordano né sulla definizione di vita né sul fatto che abbia davvero senso cercarne una. Vedi B. Clark, «A Generalized and Universalized Definition of Life Applicable to Extraterrestrial Environments», in V.M. Kolb (a cura di), Handbook of Astrobiology, CRC Press, Boca Raton 2018. Per una posizione diversa, vedi C.E. Cleland e C.F. Chyba, «Defining Life», Origins of Life and Evolution of Biospheres, 32 (2002), pp. 387-393; C.E. Cleland e C.F. Chyba, «Does ‘Life’ Have a Definition?», in W.T. Sullivan III e J.A. Baross (a cura di), Planets and Life: The Emerging Science of Astrobiology, Cambridge University Press, Cambridge 2007, pp. 119-131; C.E. Cleland, The Quest for a Universal Theory of Life: Searching for Life As We Don’t Know It, Cambridge University Press, Cambridge 2019. La filosofa Carol Cleland sostiene che, mancando ancora una teoria della vita, sia prematuro provare a darne una definizione. Per esempio, per descrivere l’acqua un tempo si ricorreva a termini come «bagnata» e «dissetante» e per avere una definizione più precisa fu necessario attendere che fosse formulata la teoria molecolare e fossero scoperti gli atomi di idrogeno e ossigeno.
17. Anche se gli esseri umani hanno analizzato le meteoriti provenienti da Marte cadute sulla Terra, nessuno ha mai messo piede sulla superficie del pianeta.
1. Dentro al tacito mare
1. Poiché l’atmosfera terrestre si assottiglia con l’aumentare dell’altitudine, è difficile dire con precisione dove inizi lo spazio. Lo scienziato ungherese-americano Theodore von Kármán pose il confine tra l’atmosfera terrestre e lo spazio esterno a circa 80 chilometri sul livello del mare, «dove l’aerodinamica si ferma e inizia l’astronautica». Oggi la Fédération Aéronautique Internationale pone la linea di Kármán un centinaio di chilometri al di sopra del livello del mare. Sapere dove cominci lo spazio ha implicazioni di vasta portata per la sua regolamentazione e diventerà probabilmente sempre più importante a mano a mano che le iniziative di voli spaziali commerciali andranno ad aumentare il traffico suborbitale.
2. W. Sullivan, «Mankind, Through Mariner, Reaching for Mars Today», The Courier-Journal, Louisville, Kentucky, 14 luglio 1965.
3. R. Duncan, «Army of Newsmen to Jam Pasadena for Mars Probe», The Independent, Pasadena, California, 12 luglio 1965.
4. Ibid.
5. Ibid.
6. Ibid.
7. J.N. James, «The Voyage of Mariner IV», Scientific American, 214, n. 3 (marzo 1966), pp. 42-53.
8. D. Swaim, «Mars Spaceship Has Company», The Independent, Pasadena, California, 13 luglio 1965.
9. «‘Dead’ Soviet Mars Missile Still on Way», Pasadena Star-News, Pasadena, California, 14 luglio 1965.
10. E. Clinton Ezell e L. Neuman Ezell, «On Mars: Exploration of the Red Planet, 1958-1978», The NASA History Series, Washington 1984, p. 434.
11. «To Mars: The Odyssey of Mariner IV», JPL Technical Memorandum 33-229, 1965, p. 24.
12. Mariner 4 era monitorato per dodici ore al giorno dalla stazione di Goldstone, in California; per il tempo restante era seguito dalla stazione australiana di Tidbinbilla (nei pressi di Canberra) e da un’altra di Johannesburg, in seguito sostituita con un complesso spagnolo 60 chilometri a ovest di Madrid. «To Mars: The Odyssey of Mariner IV», cit. p. 25; D.J. Mudgway e R. Launius, «Uplink-Downlink: A History of the Deep Space Network, 1957-1997», The NASA History Series, Washington 2001.
13. B. Baggett, The Changing Face of Mars: Beginnings of the Space Age, Jet Propulsion Laboratory, Pasadena, California, 2013 (DVD video).
14. I sovietici mantenevano un riserbo assoluto sul loro programma spaziale. Se la missione di Mars 1, la sonda che viaggiò per 106 milioni di chilometri prima che la radiotrasmittente si spegnesse, venne resa nota, le altre furono per lungo tempo argomento di speculazione in Occidente.
15. Il primo essere vivente mandato in orbita nello spazio fu la cagna Laika, una bastardina randagia catturata per le strade di Mosca che il 3 novembre 1957 fu imbarcata sullo Sputnik 2. Laika morì, probabilmente per surriscaldamento, poche ore dopo il lancio, e la capsula bruciò al rientro nell’atmosfera terrestre il 14 aprile 1958. Le prime creature a rientrare sane e salve viaggiarono sullo Sputnik 5, o Korabl-Sputnik 2, il 19 agosto 1960. I cani si chiamavano Belka e Strelka («Bianchina» e «Freccina»). Furono imbalsamati dopo essere morti di vecchiaia e oggi i loro corpi sono esposti a Mosca, nel Museo della Cosmonautica.
16. A.J. LePage, «The Beginnings of Planetary Exploration», The Space Review, 11 ottobre 2010.
17. C.A. Scharf, «The Long Hard Road to Mars», Scientific American, 25 novembre 2011; «Marsnik 2», NASA, Space Science Data Coordinated Archive, 5 settembre 2019.
18. Pur essendo questa storia notissima, la sua veridicità resta non confermata. Vedi W. Taubman, «Did He Bang It? Nikita Khrushchev and the Shoe», The New York Times, 26 luglio 2003; C.E. Emery Jr., «The Curious Case of the Khrushchev Shoe», PolitiFact, 18 gennaio 2015; A.I. Cyr, «PolitiFact Bizarrely, Unjustly Attacks Me on Krushchev Shoe Banging», Providence Journal, 22 febbraio 2015.
19. All’epoca, il settore delle comunicazioni radio a lungo raggio era il tallone d’Achille dei sovietici e gli americani erano in vantaggio in questo campo. Per una preziosa fonte di informazioni sulle prime missioni spaziali sovietiche, vedi J. Harford, Korolev: How One Man Masterminded the Soviet Drive to Beat America to the Moon, John Wiley & Sons, Inc., New York 1997.
20. La prima navicella spaziale a schiantarsi sulla Luna fu Luna 2, nel settembre 1958, mentre la prima a fotografare il lato oscuro – un’impresa incredibile – fu Luna 3, nell’ottobre dello stesso anno. La prima passeggiata spaziale, compiuta dal cosmonauta sovietico Aleksej Leonov su Voskhod 2, avvenne nel marzo 1965, precedendo di poco meno di tre mesi quella di Ed White su Gemini 4.
21. Lo Sputnik fu lanciato con lo stesso vettore del primo ICBM, e solo sei settimane dopo.
22. Anche Mariner 1 era stato progettato per viaggiare verso Venere. Il lancio avvenne il 22 luglio 1962 con un razzo Atlas-Agena. Un comando di autodistruzione fu inviato poco dopo, quando i dati di lancio indicarono che la missione era destinata a fallire.
23. F. O’Donnell, «The Venus Mission: How Mariner 2 Led the World to the Planets», NASA, JPL/Caltech, 2012.
24. Ibid.
25. Le finestre di lancio per Venere sono più frequenti rispetto a quelle per Marte: ogni 584 giorni invece di 780. Poiché Venere è più vicino, anche il tempo di volo è più breve e le comunicazioni devono percorrere una distanza inferiore.
26. Norman Haynes, intervista con Sarah Johnson, Pasadena, California, 1° febbraio 2018.
27. S.T. Coleridge, The Rime of the Ancient Mariner (1834), Poetry Foundation (trad. it. La ballata del vecchio marinaio, Feltrinelli, Milano 1994, p. 13).
28. Nel 1960, la NASA decise che le sonde lunari sarebbero state battezzate in base alle attività di esplorazione del territorio, mentre quelle per le missioni planetarie avrebbero preso il nome da termini nautici, per trasmettere «l’impressione di viaggi su grandi distanze e verso terre remote». Per ulteriori informazioni sulle modalità di assegnazione dei nomi delle sonde, vedi H.T. Wells et al., «Origins of NASA Names», The NASA History Series, Washington 1976.
29. Baggett, The Changing Face of Mars, cit.
30. «Mariner 4 Probe Due in Two Weeks», Pasadena Star-News, 6 novembre 1964.
31. J.C. Waugh, «Mars Probe Falls Silent», The Christian Science Monitor, Boston, novembre 1964.
32. I momenti in cui Marte e il Sole sono allineati su facce opposte della Terra – ossia quando Marte e la Terra sono più vicini – si chiamano opposizioni.
33. Haynes, intervista con Sarah Johnson, cit.
34. Ibid.
35. J.N. James, In High Regard, Jack James Trust, 2006, p. 450.
36. «Mars Flight – on Up & Up», Pasadena Star-News, 28 novembre 1964.
37. Marvin Miles, «Mariner 4 Locks on to Key Star After Four Misses», Los Angeles Times, 1° dicembre 1964; M. Miles, «Mariner to Fly Within 5,400 Miles of Mars», Los Angeles Times, 11 dicembre 1964.
38. Inizialmente, l’unità di controllo del giroscopio poteva essere attivata da terra solo se Canopo fosse stata persa, ma un comando trasmesso il 17 dicembre 1964 automatizzò il processo di riacquisizione. «Mariner Mars 1964 Project Report: Spacecraft Performance and Analysis», JPL Technical Report, n. 32-882, NASA, Pasadena 1967, p. 17; «To Mars: The Odyssey of Mariner 4», cit., pp. 21-22; W.C. Goss, «The Mariner Spacecraft Star Sensors», Applied Optics, 9, n. 5 (1970), pp. 1056-1067.
39. La Terra e Marte ruotano entrambi intorno al Sole, quindi, mentre viaggia verso Marte, una navicella spaziale ruota anche intorno al Sole.
40. Questa frase è attribuita a Bud Schurmeier, anche se lui non era di questo parere. «Mariner 4 Taught Us to See», JPL Blog, 20 agosto 2013.
41. Per un’esposizione approfondita dell’infanzia di Leighton e del suo coinvolgimento nelle prime missioni dei Mariner, vedi H. Aspaturian, «Interview with Robert Leighton», California Institute of Technology Oral History Project (1986-1987), California Institute of Technology Archives and Special Collections, Pasadena, California, 1995.
42. Ivi, p. 64.
43. Lo studente era Gerry Neugebauer, che in seguito ebbe un ruolo fondamentale nell’evoluzione dell’astronomia planetaria a infrarossi.
44. Bruce Murray, intervista con Rachel Prud’homme, trascrizione della registrazione su audiocassetta, California Institute of Technology Archives and Special Collections, Pasadena, California, 1993, p. 76.
45. Graham Berry, «Interview with Robert P. Sharp», California Institute of Technology Archives and Special Collections, Pasadena, California, 2001, p. 43.
46. «Press Kit, Mariner Mars Encounter», NASA, 9 luglio 1965.
47. Fu una fortuna che le immagini raccolte (che ritraevano l’Amazonis Planitia, l’Elysium Planitia, la parte occidentale delle Memnonia Fossae, l’area orientale di Gorgonum Chaos, l’Orcus Patera e l’Aonia Terra) rispondessero così da vicino al percorso sperato, perché anche un infinitesimale errore di rotta avrebbe spostato la navicella di centinaia di chilometri. Per il percorso calcolato, vedi «Press Kit, Mariner Mars Encounter», cit.
48. Anche se la prima fotocamera digitale con sensore di immagini CCD non sarebbe stata realizzata dalla Eastman Kodak fino alla metà degli anni Settanta, la fotocamera di Mariner 4 fu la prima a trasmettere immagini in codice binario, cioè come una lunga serie di 0 e 1. Vedi F.C. Billingsley, «Processing Ranger and Mariner Photography», Optical Engineering, 4, n. 4, 404147 (1° maggio 1966); «First Digital Image From Space (Mariner 4-Mars)», NASA, JPL/Caltech, 28 settembre 2018.
49. Murray, intervista con Rachel Prud’homme, cit., p. 79.
50. E. Kasak e R. Veede, «Understanding Planets in Ancient Mesopotamia», Folklore, 16 (2001).
51. La luminosità di Marte può variare notevolmente. Sebbene Giove sia di solito più luminoso (anche durante le opposizioni perieliche), nel corso dell’opposizione dell’agosto 2003, quando si trovava più vicino alla Terra di quanto lo fosse stato da quando l’Europa era ancora abitata dai Neanderthal, Marte avrebbe superato in luminosità ogni altro corpo nel cielo notturno, fatta eccezione per la Luna e Venere.
52. Nell’antica Babilonia i pianeti erano considerati gli «interpreti» degli dei; per questo i sacerdoti-astronomi ne registravano con cura i movimenti. In epoche più tarde, quando l’aritmetica babilonese si incontrò con l’immaginario spaziale e geometrico dei greci, si cominciò a credere che i pianeti si muovessero in circoli (epicicli) intorno alla Terra, che costituiva il fuoco, ossia il centro, dell’intero sistema. Marte seguiva su un ampio epiciclo, necessario per spiegare i movimenti retrogradi osservabili ogni due anni, e poiché l’ampiezza della sua rotazione variava, il suo epiciclo era decentrato rispetto a quello della Terra. Nel Sedicesimo secolo, quando Copernico decise di porre il Sole al centro del suo sistema, non fu più necessario postulare per Marte un epiciclo più ampio, poiché era ormai evidente che il suo moto retrogrado fosse frutto di un’illusione prospettica, dovuta al fatto che la Terra, seguendo la propria orbita intorno al Sole, raggiungeva e superava Marte, la cui orbita era invece più lenta. Nel 1609, Keplero comprese che le orbite planetarie erano ellittiche servendosi proprio di Marte – che nella sua orbita traccia un’ellissi molto allungata – come base per i suoi complessi calcoli. Fu una delle principali scoperte dell’astronomia moderna, e la dobbiamo a Marte.
53. Platone, Repubblica, libro X. Da citare anche l’idea secondo cui, considerati il moto «retrogrado» e le «incostanze» nelle orbite dei pianeti, «sembrava (per esempio a Platone quando scrisse il Timeo) che soltanto un esercizio di libero arbitrio potesse spiegare i loro cambi di direzione». R. Sherrick Brumbaugh, Plato for the Modern Age, University Press of America, Lanham, Maryland, 1991.
54. Anche se il principio del telescopio era già stato scoperto un anno o due prima dai produttori di lenti in Olanda, Galileo elaborò tutto il resto in modo indipendente, costruendo da solo diversi telescopi, di cui solo due sono rimasti. Il migliore di questi, costituito da due gusci di legno scanalati tenuti insieme da fasce di rame e ricoperti di carta, possiede una lente da 5 centimetri ed è lungo circa un metro. Per ulteriori informazioni, vedi G. Strano (a cura di), Galileo’s Telescope: The Instrument that Changed the World, catalogo della mostra tenutasi presso l’Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze 2008.
55. D. Wootton, Galileo: Watcher of the Skies, Yale University Press, New Haven 2010, p. 96.
56. Galileo osservò realmente Marte solo più tardi, nel 1610, e con un telescopio scoprì anche i crateri e le montagne lunari, i quattro grandi satelliti di Giove e le stelle della Via Lattea.
57. W.K. Hartmann e O. Raper, The New Mars: The Discoveries of Mariner 9, NASA Office of Space Science, Washington 1974, p. 1. Galileo sospettava addirittura – anche se ciò sarebbe stato per lui praticamente impossibile da dimostrare – che Marte avesse delle fasi, essendo a volte simile a una minuscola luna gibbosa.
58. G. Galilei, «Terza lettera del sig. Galileo Galilei al sig. Marco Velseri delle macchie solari nella quale anco si tratta di Venere, della Luna e pianeti medicei, e si scoprono nuove apparenze di Saturno», in Opere, a cura di F. Flora, Riccardo Ricciardi Editore, Napoli 1953.
59. Il telescopio di Galileo, all’epoca il migliore al mondo, aveva una capacità di ingradimento pari a venti volte ma, quando Galileo lo osservò per la prima volta, Marte era lontano dalla Terra.
60. Come quelle che Galileo usava come oculari nei suoi primi telescopi.
61. La notte del 28 novembre 1659 mancavano trecentocinque anni e un giorno al lancio del Mariner 4 verso Marte.
62. W. Sheehan, The Planet Mars: A History of Observation & Discovery, University of Arizona Press, Tucson 1996, p. 21.
63. Questa formazione è ora nota come Syrtis Major e il suo colore scuro dipende dalla roccia basaltica priva di polvere.
64. Il rapporto reale è pari al 53%.
65. Di lì a poco, l’astronomo italiano Giovanni Cassini, altro importante osservatore di Marte dell’epoca, corresse il calcolo in ventiquattro ore e quaranta minuti.
66. C. Huygens, «Cosmotheoros», citato in W. Miller, The Heavenly Bodies: Their Nature and Habitability, Hodder and Stoughton, Londra 1883, p. 101.
67. C. Huygens, The Celestial Worlds Discover’d: Or, Conjectures Concerning the Inhabitants, Plants, and Productions of the Worlds in the Planets, Timothy Childe, Londra 1698 (digitalizzato dall’Università di Utrecht).
68. Questo fenomeno è noto come «aberrazione cromatica».
69. Isaac Newton, Opticks: Or, A Treatise of the Reflections, Refractions, Inflections, and Colours of Light, William and John Innys at the West End of St. Paul’s, Londra 1721, p. 91 (trad. it. Scritti di ottica, a cura di A. Pala, UTET, Torino 1997).
70. Nel frattempo, gli astronomi provavano senza troppe speranze a mitigare il problema dell’aberrazione cromatica con telescopi rifrattori sempre più lunghi. Huygens tentò di fare a meno del tubo telescopico, montando un obiettivo su un alto supporto e controllandolo con un filo di ferro collegato al portalente vicino al suolo. Un assistente teneva in mano una lanterna per illuminare l’obiettivo mentre Huygens cercava il suo riflesso e ne regolava la messa a fuoco. Huygens sperimentò con telescopi «aerei» lunghi 37, 52 e 64 metri. Ci voleva moltissimo tempo per allinearli ed erano disturbati dalla luce vagante. Inoltre, nonostante la straordinaria lunghezza degli strumenti, le osservazioni di Marte di Huygens non apportarono novità significative alle conoscenze sul pianeta. Intanto Cassini usava telescopi con 30 e 41 metri di lunghezza focale, montati su una vecchia torre di legno. La torre era dotata di una scala e di una balaustra sulla cima per evitare che i suoi assistenti precipitassero nell’oscurità. Vedi Sheehan, The Planet Mars, cit., pp. 24-26.
71. Solo nel 1722 John Hadley approntò un riflettore di qualità pari a quella dei telescopi «aerei» di Huygens. A quel punto stava per tornare in auge anche il rifrattore, in seguito all’invenzione delle lenti acromatiche. Si trattava di lenti composte, in cui una lente concava di vetro Flint era usata insieme con una lente convessa di vetro Crown, e permettevano di compensare ampiamente l’aberrazione cromatica (almeno entro una certa gamma di lunghezze d’onda, compresa la luce gialla, alla quale il nostro occhio è più sensibile). Lenti acromatiche di buona qualità entrarono in uso verso la metà del Settecento, ma erano costose, e fu per questo che Herschel si decise a fabbricare rifrattori.
72. Anche Caroline era un’astronoma molto esperta. Fu membra onoraria della Royal Astronomical Society e all’età di novantasei anni venne insignita della Medaglia d’oro per la scienza dal re di Prussia.
73. Anche Giovanni Cassini e Christian Huygens osservarono le calotte polari.
74. William Herschel, citato in The New Mars: The Discoveries of Mariner 9, cit., p. 2.
75. William Herschel, citato in C. Impey e H. Henry, Dreams of Other Worlds: The Amazing Story of Unmanned Space Exploration, ed. riv., Princeton University Press, Princeton 2016, p. 15.
76. Murray, intervista con Rachel Prud’homme, cit., p. 162.
77. Baggett, The Changing Face of Mars, cit.
78. Aspaturian, «Interview with Robert Leighton», cit., p. 103.
79. Baggett, The Changing Face of Mars, cit.
80. «To Mars: The Odyssey of Mariner IV», cit., p. 30.
81. Baggett, The Changing Face of Mars, cit.
82. Ibid.
83. D. Goods, «First TV Image of Mars», directedplay.com
84. B.A. Evans, «What Was in the News on July 23, 1965?», The Criterion, ed. online, 24 luglio 2015.
85. Dispacci di Associated Press, United Press International e L.A. Times-Washington Post; «Mariner 4 Shot Shows Mars Hills», The Courier-Journal, Louisville, Kentucky, 16 luglio 1965.
86. John Casani, intervista con Sarah Johnson, Pasadena, California, 6 agosto 2015.
87. James, In High Regard, cit., p. 456.
88. Haynes, intervista con Sarah Johnson, cit.
89. L.B. Johnson, «The President’s Inaugural Address, January 20, 1965», in G. Peters e J.T. Woolley (a cura di), The American Presidency Project, University of California, Santa Barbara.
90. L.B. Johnson, Public Papers of the Presidents of the United States: Lyndon B. Johnson, 1965, Best Books, 1965, pp. 805-806.
91. R.B. Leighton, «Mariner 4 Press Conference», 29 luglio 1965 (efootage.com).
92. Johnson, Public Papers of the Presidents, cit., pp. 805-806; Baggett, The Changing Face of Mars, cit.
93. «Mariner 4», NASA Space Science Data Coordinated Archive, NSSDCA/COSPAR ID: 1964-077A.
94. O. Morton, Mapping Mars: Science, Imagination, and the Birth of a World, Picador, New York 2002, p. 73.
95. «The Dead Planet», The New York Times, 30 luglio 1965.
2. Una luce mutevole
1. «Mariner 4’s First Picture Clearly Showing Craters on Mars», NASA, JPL/Caltech, 1965.
2. B. Mason, «What Mars Maps Got Right (and Wrong) Through Time», National Geographic, 16 ottobre 2016.
3. Aeronautical Chart and Information Center, «Mars: MEC-1 Prototype», Library of Congress, Washington 1965.
4. Ibid.
5. G.A. Davis, «2009 Penrose Medal Presented to B. Clark Burchfiel, Citation by Gregory A. Davis», The Geological Society of America, 2009.
6. B. Markham, West with the Night: A Memoir, North Point Press, New York 2013, p. 198 (trad. it. A Occidente con la notte, Neri Pozza, Milano 2009).
7. D. Ackerman, «A High Life and a Wild One», The New York Times, 23 agosto 1987.
8. Per il protagonista del suo romanzo, Ondaatje si ispirò a László Almásy, figura realmente esistita. M. Ondaatje, Il paziente inglese, Garzanti, Milano 2001.
9. Il meccanismo di formazione della cosiddetta «patina» del deserto resta argomento di discussione. Vedi N. Lang-Yona et al., «Insights into Microbial Involvement in Desert Varnish Formation Retrieved from Metagenomic Analysis», Environmental Microbiology Reports, 10, n. 3 (giugno 2018), pp. 264-271; P. Berardelli, «Solving the Mystery of Desert Varnish», Science, 7 luglio 2006.
10. A. de Saint-Exupéry, Wind, Sand and Stars, Harcourt, Boston 2002, p. 111 (trad. it. Terra degli uomini, Mursia, Milano 2013).
11. Ibid.
12. Ho conosciuto questa mappa grazie allo splendido post di E. Lakdawalla, «Mapping Mars, Now and in History», sul blog della Planetary Society, 26 febbraio 2009. Questa mappa e altre straordinarie foto, video, opere d’arte, diagrammi e immagini dello spazio prodotte da dilettanti si trovano online nella Bruce Murray Space Image Library della Planetary Society.
13. L’astronomo era Asaph Hall. G.W. Hill, Biographical Memoir of Asaph Hall, 1829-1907, The National Academy of Sciences, Washington 1908, pp. 262-263.
14. Quando Schiaparelli vi arrivò, quello di Brera a Milano era un osservatorio con strumentazioni in gran parte obsolete. Uno stretto collaboratore di uno dei ministri del re d’Italia che aveva frequentato la facoltà di Ingegneria con Schiaparelli all’Università di Torino convinse il Parlamento italiano a finanziare un nuovo telescopio, consegnato nel 1875. Schiaparelli lo utilizzò soprattutto per studiare le stelle doppie, per la cui osservazione era lo strumento perfetto.
15. A. Mandrino et al., «Ed ecco Marte!», Di pane e di stelle, 5 aprile 2010; G.V. Schiaparelli, «Prime osservazioni di Marte. Giovedì 23 agosto 1877», appunti su quaderno, Archivio Storico dell’Osservatorio Astronomico di Brera, Fondo G.V. Schiaparelli, cart. 403, fasc. 1; cart. 407, fasc. 1.
16. R.A. Proctor, «Proctor’s Mars Maps (1865-1892)», Planetary Maps, 29 gennaio 2016.
17. Schiaparelli aveva accumulato molta esperienza misurando le stelle doppie con un micrometro quando era stato allievo di Otto Wilhelm Struve e Johann Encke (per decenni, effettuò migliaia di misurazioni sulle stelle doppie, prima di rinunciare a causa dei problemi di vista).
18. Schiaparelli soffriva anche di daltonismo, fatto che probabilmente lo rendeva più sensibile alle gradazioni di intensità nei contorni e ai passaggi di tonalità da una luce all’altra.
19. D.A. Weintraub, Life on Mars: What to Know Before We Go, Princeton University Press, Princeton 2018, p. 91.
20. Schiaparelli riprese questo termine da un altro astronomo italiano, che una quindicina d’anni prima aveva chiamato Canale Atlantico un’area scura di Marte perché sembrava separare due continenti più chiari.
21. Weintraub, Life on Mars, cit., p. 93.
22. Flammarion era anche un mistico. In epoca tardovittoriana, mentre la vita intellettuale si stava sottraendo all’autorità della Chiesa, la sua miscela di scienza e spiritualismo rappresentava una posizione di compromesso tanto particolare quanto effimera. Flammarion non faceva distinzione tra la vita dopo la morte e la vita su altri mondi all’interno dell’universo osservabile; chiamava gli esseri umani «cittadini del cielo»; credeva che le anime transitassero da un pianeta all’altro e che la telepatia fosse «un dato di fatto, come Londra, Sirio e l’ossigeno». C. Flammarion, La Planète Mars et ses conditions d’habitabilité, Gauthiers Villars et Fils, Parigi 1892; R. Crossley, «Mars and the Paranormal», in Imagining Mars: A Literary History, Wesleyan University Press, Middletown, Connecticut, 2011, pp. 129-148.
23. G. Basalla, Civilized Life in the Universe: Scientists on Intelligent Extraterrestrials, Oxford University Press, Oxford 2006, pp. 56-62.
24. Flammarion, La Planète Mars, cit., pp. 442-458, 579-589.
25. Nel 1882, Schiaparelli descrisse lo strano fenomeno della gemmazione, quando un canale si univa improvvisamente a un altro che fino a quel momento lo aveva seguito in parallelo, come in uno snodo ferroviario. Schiaparelli credeva che le aree chiare fossero deserti, quelle scure mari e quelle di una gradazione di colore mediana probabilmente mari poco profondi o paludi. Per descrivere le formazioni marziane ricorreva anche a termini come isola, istmo, stretto, penisola, promontorio eccetera. Nel 1878 osservò: «La nostra carta […] include un sistema intero di denominazioni geografiche. Le quali possono, da chi nulla voglia pregiudicare sulla natura delle macchie del pianeta, considerarsi come un semplice artifizio per aiutare la memoria a render più breve il discorso. Noi parliamo in simile modo dei maria della Luna, che sappiamo benissimo non esistere come masse liquide. Intendendo la cosa in questo modo è chiaro che i nomi da me adottati nulla nuoceranno alla fedele e rigorosa espressione dei fatti». G.V. Schiaparelli, Osservazioni astronomiche e fisiche sull’asse di rotazione e sulla topografia del pianeta Marte, Salviucci, Roma 1878, pp. 43-44; W. Sheehan e S.J. O’Meara, Mars: The Lure of the Red Planet, Prometheus Books, Amherst, New York, 2001, pp. 111-112.
26. J. Pearson, «Erie Canal Timeline», Union College, Schenectady 2003.
27. C.G. Smith e W.B. Fisher, «Suez Canal», Encyclopedia Britannica (voce aggiornata il 13 febbraio 2019).
28. E. Chaves et al., «French Panama Canal Failure (1881-1889)», The Panama Canal: A Triumph of American Medicine, The University of Kansas Medical Center, Kansas City 13 marzo 2019.
29. Flammarion, La Planète Mars, cit., p. 591.
30. L. Leonard, Percival Lowell, An Afterglow, Richard G. Badger, Boston 1921, p. 15.
31. Ivi, p. 29.
32. Ivi, pp. 19-20.
33. W. Sheehan, The Planet Mars: A History of Observation & Discovery, University of Arizona Press, Tucson 1996, p. 104.
34. W.H. Pickering, «Visual Observations of the Surface of Mars», Sidereal Messenger, 9 (1890), pp. 369-370.
35. J.D. Marché II, «Pickering, William Henry», in T. Hockley et al. (a cura di), The Biographical Encyclopedia of Astronomers, Springer, New York 2007.
36. P. Lowell, «Our Solar System», Popular Astronomy, 24 (1916), p. 419.
37. Leonard, Percival Lowell, cit., p. 38. Per scegliere un luogo per l’osservatorio, nell’aprile 1894 Lowell inviò Andrew Ellicott Douglass (che aveva accompagnato Pickering in Perù) in Arizona. Con il rifrattore da 15 centimetri di Lowell, Douglass testò le condizioni di vista in vari siti. Trascorrendo al massimo un paio di giorni in ogni luogo, il suo fu uno studio completamente non scientifico e la decisione di collocare l’osservatorio sulla mesa a Flagstaff fu piuttosto arbitraria. Ciononostante, considerata l’impazienza di Lowell, Douglass decise che l’altitudine era un vantaggio (in seguito avrebbe dichiarato anche che Flagstaff aveva i migliori saloon). In realtà, come lui stesso avrebbe scoperto dopo aver fondato l’Osservatorio Steward dell’Università dell’Arizona, i siti nell’Arizona meridionale, in particolare quelli nei dintorni di Tucson, sarebbero stati migliori.
38. K.S. Schindler, «100 Years of Good Seeing: The History of the 24-Inch Clark Telescope», Lowell Observatory, luglio 1996 (rivisto nel settembre 1998), p. 1.
39. Il fatto che Flagstaff sorgesse su un’importante linea ferroviaria fu un altro punto a suo favore nella decisione di fondarvi l’osservatorio.
40. Schindler, «100 Years of Good Seeing», cit., p. 1.
41. Le prime osservazioni furono eseguite utilizzando telescopi presi in prestito: un rifrattore Brashear da 45 centimetri e un rifrattore Clark da 30 centimetri.
42. Il telescopio Clark da 45 centimetri arrivò nel luglio 1896.
43. E. Betz, «Clark Telescope Going Dark», Arizona Daily Sun, 27 dicembre 2013.
44. Leonard, Percival Lowell, cit., p. 27.
45. P. Lowell, Mars and Its Canals, The Macmillan Company, New York 1906.
46. P. Lowell, Mars, Houghton, Mifflin and Company, Boston 1895, p. 128.
47. Leonard, Percival Lowell, cit., p. 27.
48. Ivi, pp. 25-27.
49. R. Markley, Dying Planet: Mars in Science and the Imagination, Duke University Press, Durham, North Carolina, 2005, p. 66.
50. P. Lowell, «Mars (Part IV)», The Atlantic, agosto 1895.
51. P. Lowell, Mars as the Abode of Life, The Macmillan Company, New York 1908, p. 135.
52. Vedi W.H. Pickering, Mars, Richard G. Badger, Boston 1921, p. 132. Occorre notare che dubbi furono espressi anche da alcuni astronomi americani, fra i quali Edward Emerson Barnard, che aveva puntato su Marte il rifrattore da 91 centimetri dell’Osservatorio Lick sul Monte Hamilton, nei pressi di San Jose, in California, nello stesso momento in cui Lowell cominciava a farsi le ossa con il rifrattore da 45 centimetri a Flagstaff (e prima che questi pubblicasse la sua teoria sull’esistenza di vita intelligente sul pianeta). «Ho osservato e disegnato la superficie di Marte», scrisse Barnard a un collega. «In tutta onestà, non posso credere ai canali come li disegna Schiaparelli. […] Dopo accurate verifiche, sono più che convinto che i canali […] siano un’illusione e che non dovranno passare molte opposizioni prima che ciò sia dimostrato.» W. Sheehan, The Immortal Fire Within: The Life and Work of Edward Emerson Barnard, Cambridge University Press, Cambridge 1995, p. 246.
53. Edward Walter Maunder lavorava presso l’Osservatorio Reale di Greenwich.
54. A mostrare lo stesso scetticismo di Maunder nei confronti di Lowell furono anche Edward Emerson Barnard e Vincenzo Cerulli. Quest’ultimo aveva installato un osservatorio privato vicino a Teramo, dotato di un rifrattore da 39 centimetri. Come tutti, anche Cerulli aveva riportato i canali sulle sue mappe finché, il 4 gennaio 1897, in momenti di «perfetta definizione [in cui] Marte appariva completamente libero dalle ondulazioni», uno dei canali, il Lethes, «perdeva [d’un tratto] la sua forma lineare per diventare un complesso e indecifrabile sistema di piccolissimi punti distinti». Da quel momento, Cerulli avrebbe sostenuto che i canali fossero semplici illusioni ottiche, che si formavano quando minuscole formazioni irregolari e separate le une dalle altre erano visualizzate in un’atmosfera instabile o erano troppo piccole e vicine per essere scomponibili. Sheehan, The Planet Mars, cit., p. 125.
55. J.E. Evans ed E.W. Maunder, «Experiments as to the Actuality of the ‘Canals’ Observed on Mars», Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, 63 (1903), pp. 488-499.
56. Lowell non ritenne particolarmente stringente quella dimostrazione anche perché la scuola era in effetti un «riformatorio».
57. Persino il più importante membro dello staff di Lowell, Andrew Ellicott Douglass, che lavorava all’osservatorio fin dalla sua fondazione, era diventato scettico. Douglass fu licenziato nel 1901; ciononostante, cadde in piedi, fondando in seguito il dipartimento di Astronomia dell’Università dell’Arizona a Tucson.
58. K.M.D. Lane, «Mapping the Mars Canal Mania: Cartographic Projection and the Creation of a Popular Icon», Imago Mundi, 58, n. 2 (2006), pp. 198-211.
59. Dopo che, nel 1899, William Pickering scoprì Phoebe, nel 1904 e nel 1905 furono fotografate due nuove lune di Giove: Himalia ed Elara.
60. L’assistente in questione era Carl O. Lampland, che progettò diverse macchine fotografiche astronomiche. Invece di andare sulle Ande, rimase a Flagstaff per osservare l’opposizione del 1907 e catturare immagini di Marte.
61. Schiaparelli, venuto a sapere dell’impresa, scrisse con entusiasmo a Lowell: «Non avrei mai creduto che fosse possibile».
62. In occasione del convegno del giugno di quell’anno, il presidente A.C.D. Crommelin dichiarò che gli «sembrava chiaro che i grafici fotografici non potessero essere un’illusione in merito all’esistenza di alcune formazioni grosso modo lineari». Vedi Lane, «Mapping the Mars Canal Mania», cit., p. 205; «Report of the Meeting of the Association, Held on June 20, 1906, at Sion College, Victoria Embankment», Journal of the British Astronomical Association, 16, n. 9 (1906), p. 333.
63. Lane, «Mapping the Mars Canal Mania», cit., pp. 198-211; S. Newcomb, «The Optical and Psychological Principles Involved in the Interpretation of the So-Called Canals of Mars», Astrophysical Journal, 26, n. 1 (1907), pp. 1-17.
64. D.P. Todd, «The Lowell Expedition to the Andes», Popular Astronomy, 15 (1907), pp. 551-553; W. Sheehan e A. Misch, «The Great Mars Chase of 1907», Sky & Telescope, novembre 2007, pp. 20-24.
65. Non c’era bisogno di una cupola, perché non pioveva quasi mai.
66. H.W. Duerbeck, «National and International Astronomical Activities in Chile 1849-2002», Interplay of Periodic, Cyclic and Stochastic Variability in Selected Areas of the H-R Diagram, 292 (2003), pp. 3-20.
67. Al termine della spedizione Lowell e Todd si accusarono a vicenda, sostenendo ognuno di avere il diritto di pubblicare i risultati delle osservazioni e arrivando a minacciare azioni legali. Alla fine, Todd pubblicò un articolo su Cosmopolitan, mentre Lowell si aggiudicò in esclusiva i diritti di diffusione delle immagini. Vedi P. Lowell, «New Photographs of Mars: Taken by the Astronomical Expedition to the Andes and Now First Published», The Century Magazine, 75 (1907), pp. 303-311; E.C. Slipher, «Photographing Mars», The Century Magazine, 75 (1907), p. 312; K.M.D. Lane, Geographies of Mars: Seeing and Knowing the Red Planet, University of Chicago Press, Chicago 2011, pp. 118-120.
68. Lane, «Mapping the Mars Canal Mania», cit., pp. 198-211.
69. Lowell, «New photographs of Mars», cit., pp. 303-311.
70. A.R. Wallace, Is Mars Habitable? A Critical Examination of Professor Percival Lowell’s Book ‘Mars and Its Canals’, with an Alternate Explanation, Macmillan and Co., Ltd., Londra 1907, pp. 55-77.
71. Oltre che astronomo, Antoniadi era anche un artista eccezionalmente abile. Fin dagli anni Novanta del Diciannovesimo secolo aveva collaborato con Flammarion nel suo osservatorio di Juvisy-sur-Orge (nei pressi di Parigi); dopo aver rotto i rapporti con lui – avevano entrambi una personalità molto forte –, nel 1902 sposò una ricca donna greca. Per molti anni coltivò interessi lontani dall’astronomia, compilando fra l’altro uno studio in greco, in tre volumi, su Santa Sofia di Istanbul, nel quale mise a frutto le proprie competenze artistiche. Si dedicò con passione anche agli scacchi, raggiungendo quasi il livello di grande maestro. Attraverso la «Grande Lunette» dell’Osservatorio di Meudon, vicino a Parigi (allora e ancora oggi il più grande rifrattore d’Europa), Antoniadi non vedeva canali, ma «una vastissima e incredibile quantità di fittissime formazioni, tutte naturali e logiche, irregolari e a scacchiera, che spiccavano per una totale assenza di qualsiasi geometria». Lowell, naturalmente, non accettò questo verdetto, sostenendo che Antoniadi – che definiva «privo di ogni capacità di osservazione» – fosse stato ingannato dagli effetti atmosferici che avevano offuscato le linee effettivamente presenti sulla superficie del pianeta, facendole apparire irregolari e discontinue. Sheehan e O’Meara, Mars: The Lure of the Red Planet, cit., pp. 155-181.
72. Lane, «Mapping the Mars Canal Mania», cit., pp. 198-211; E.M. Antoniadi, «On the Possibility of Explaining on a Geomorphic Basis the Phenomena Presented by the Planet Mars», Journal of the British Astronomical Association, 20, n. 2 (1909), p. 93.
73. Per un approfondimento sulla psicologia della percezione planetaria, vedi «A Stately Pleasure Dome», in W. Sheehan, Planets and Perception: Telescopic Views and Interpretations, 1609-1909, University of Arizona Press, Tucson 1988.
74. A. Einstein, «Zur Elektrodynamik bewegter Körper», Annalen der Physik, 322, n. 10 (1905), pp. 891-921.
75. Gran parte del lavoro utile negli anni fra le due guerre mondiali fu condotto da astronomi dilettanti.
76. Leonard, Percival Lowell, cit., p. 42.
77. La citazione proviene da un verso della poesia di R. Kipling To the True Romance.
78. Le spedizioni, organizzate dalla National Geographic Society per sfruttare la maggior altezza del pianeta sull’orizzonte, si svolsero nel 1939 e nel 1954.
79. Sheehan, The Planet Mars, cit., p. 146.
80. L’ultima opposizione fotografata da Slipher risale a un anno dopo, il 1963. Slipher morì nel 1964, pochi mesi prima che Mariner 4 partisse per il pianeta rosso.
81. E. Slipher, The Photographic Story of Mars, Sky Publishing Corp., Cambridge, Massachusetts, 1962.
82. P.M. Millman, This Universe of Space, Canadian Broadcasting Corporation, Toronto 1961, pp. 26, 28.
83. S. Glasstone, The Book of Mars, Scientific and Technical Information Division, Office of Technology Utilization, NASA, Washington 1968, p. 126.
84. Un planetologo osservò che guardare le immagini di Mariner 4 era come fissare la pelle rugosa di un elefante con un binocolo. Mariner 6 e 7 erano stati progettati per colmare questa lacuna, rendendo possibile un’interpretazione affidabile delle immagini ravvicinate della superficie marziana. S.A. Collins, The Mariner 6 and 7 Pictures of Mars, NASA JPL, Pasadena, California, 1971, pp. 24-25.
85. «Press Kit, Mariner Mars ’69», NASA, 14 febbraio 1969.
86. K. Grinter, «One small step on the Moon, one giant footprint on Mars», Spaceport News, 26 marzo 2004; DNews, «The Brave Story of Mars’ McClure-Beverlin Escarpment», Seeker, 3 marzo 2014; J.H. Wilson, «Two over Mars – Mariner 6 and Mariner 7, February-August 1969», 1970, p. 13; John Casani, intervista con Sarah Johnson, Pasadena, California, 6 agosto 2015.
87. I due membri della squadra di terra erano Bill McClure e Jack Beverlin; nel 2014, si decise di nominare informalmente in loro onore la McClure-Beverlin Escarpment su Marte.
88. Collins, The Mariner 6 and 7 Pictures of Mars, cit., p. 24.
89. Negli scatti 7F69 e 7F70 del Mariner 7, la formazione nota come Coprates, che deve il nome a un antico fiume persiano, appariva come un insieme di punti scuri; si giunse dunque alla conclusione che «il ‘canale’ Coprates [poteva] essere identificato come una sequenza di formazioni scure tra loro distinte». Vedi Collins, The Mariner 6 and 7 Pictures of Mars, cit., p. 58. La risoluzione molto più alta delle immagini scattate da Mariner 9 avrebbe tuttavia mostrato qualcosa di diverso: il Coprates Chasma, una struttura a canyon scoperta nella regione delle Valles Marineris, era una formazione continua e relativamente lineare. «A parte lo straordinario canyon che sembra coincidere con il piuttosto tozzo ‘canale’ Coprates, non sono state trovate altre formazioni visibili in grado di spiegare il sistema di canali segnalato da molti osservatori.» Vedi W.K. Hartmann e O. Raper, The New Mars: The Discoveries of Mariner 9, NASA Office of Space Science, Washington 1974, p. 63.
90. Collins, The Mariner 6 and 7 Pictures of Mars, cit., p. 65.
91. Ivi, p. 59.
92. Ivi, p. 20.
93. Ivi, p. 24.
94. «Press Kit, Project: Mariner 9», NASA, 22 ottobre 1971.
95. Norman Haynes, intervista con Sarah Johnson, Pasadena, California, 6 agosto 2016.
96. Il lancio fu programmato per il 9 maggio, alle ore 01.11.02 UTC (la sera dell’8 maggio negli Stati Uniti); J.N. Wilford, «Mariner 8’s Rocket Fails After Lift-off, Dooming Mars Trip», The New York Times, 9 maggio 1971.
97. «Kosmos 419», NASA Science Solar System Exploration, 26 gennaio 2018.
98. A.A. Siddiqi, Deep Space Chronicle: A Chronology of Deep Space and Planetary Probes 1958-2000, Monographs in Aerospace History, n. 24 (2017) p. 86.
99. Successive simulazioni avrebbero indicato che il guasto avvenne in «un chip di un circuito integrato grande un ventesimo di pollice quadrato»; «Mariner I Assigned New Mission», NASA JPL, 26 maggio 1971.
100. Ibid.
3. Fumo rosso
1. C.F. Capen e L.J. Martin, «The Developing Stages of the Martian Yellow Storm of 1971», Lowell Observatory Bulletin, n. 157 (30 novembre 1971), p. 211. Al momento della tanto attesa opposizione di Marte del 1956, quando il pianeta si trovava a 56 milioni di chilometri dalla Terra, una «grande tempesta di polvere» lo circondò. Sebbene le nubi di polvere fossero un fenomeno frequente, le dimensioni della tempesta sorpresero gli astronomi, i quali la considerarono piuttosto anomala. Cionostante, all’inizio del 1971, Chick Capen, astronomo presso il centro di planetologia dell’Osservatorio Lowell, predisse che quell’anno si sarebbe verificato un altro evento simile. Nel 1971, infatti, Marte sarebbe stato più prossimo alla Terra in un momento molto vicino a quello del suo transito al perielio, quando il calore del Sole che raggiunge il pianeta è massimo. Alla fine di settembre e all’inizio di ottobre, astronomi dilettanti e professionisti di tutto il mondo poterono osservare nuovamente le nubi di polvere.
2. Capen e Martin, «The Developing Stages», cit., p. 214.
3. Norman Haynes, intervista con Sarah Johnson, Pasadena, California, 6 agosto 2016.
4. Il JPL aveva installato un computer con memoria riprogrammabile anche nelle missioni Mariner 6 e 7. La strumentazione era stata testata in volo ma non era stata impiegata per eseguire alcun comando critico durante le missioni. La sonda Mariner 9 era simile ai Mariner 6 e 7 ma possedeva un registratore dotato di una maggiore capacità. I suoi predecessori avevano una memoria riprogrammabile di 128 parole; quella di Mariner 9 era stata espansa a 512, abbastanza per programmare la sequenza delle osservazioni scientifiche (variando la geometria orbitale e le condizioni di visibilità) per ciascuna orbita.
5. V.G. Perminov, The Difficult Road to Mars: A Brief History of Mars Exploration in the Soviet Union, Monographs in Aerospace History, n. 15 (1999) p. 59. I sovietici non poterono aspettare che calasse la tempesta, perché il loro software non poteva essere riprogrammato da remoto.
6. A.S. Teitel, «The Soviet Rovers That Died on Mars», Discover, 20 luglio 2017.
7. C.A. Scharf, «The Great Martian Storm of ’71», Scientific American, 21 ottobre 2013.
8. C.C. Allen et al., «JSC-Mars-1: Martian Regolith Simulant», Lunar and Planetary Science Conference, 28 (1997).
9. I. Loes ten Kate, Organics on Mars Laboratory Studies of Organic Material Under Simulated Martian Conditions, tesi di dottorato, Università di Leida, Leida 2006, p. 76.
10. Si stima che il diametro di queste particelle di polvere corrisponda a circa 3 micrometri. M.T. Lemmon et al., «Atmospheric Imaging Results from the Mars Exploration Rovers. Spirit and Opportunity», Science, 306, n. 5702 (2004), p. 1753.
11. W. Sheehan e S.J. O’Meara, Mars: The Lure of the Red Planet, Prometheus Books, Amherst, New York, 2001, p. 354; C.A. Scharf, «Mars and the Wave of Darkening», Scientific American, 9 agosto 2018.
12. G.P. Kuiper, «Visual Observations of Mars, 1956», The Astrophysical Journal, 125 (1957), p. 307. Pur non essendo stata diagnosticata nessuna caratteristica tipica dello spettro della clorofilla, lo scienziato sovietico Gavriil Tikhov ha dimostrato che le bande di assorbimento della clorofilla possono dilatarsi fino a scomparire in condizioni come quelle della tundra, in particolare dove l’ossigeno è limitato.
13. W.M. Sinton, «Spectroscopic Evidence for Vegetation on Mars», Astrophysical Journal, 126 (1957), p. 231; W.M. Sinton, «Further Evidence of Vegetation on Mars», Science, 130, n. 3384 (1959), pp. 1234-1237; S.J. Dick, Life on Other Worlds: The 20th-Century Extraterrestrial Life Debate, Cambridge University Press, Cambridge 2001, p. 51 (trad. it. Vita nel cosmo. Esistono gli extraterrestri?, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002).
14. Il collega francese era Jean-Henri Focas. «Observations of Mars Made in 1961 at the Pic Du Midi Observatory», NASA Technical Report, JPL-TR-32-151, NASA, 1962.
15. W.K. Hartmann e O. Raper, The New Mars: The Discoveries of Mariner 9, NASA Office of Space Science, Washington 1974, p. 17.
16. «Press Kit: Project: Mariner Mars 1971», NASA, 30 aprile 1971.
17. E.P. Martz Jr., «Professor William Henry Pickering, 1858-1938, An Appreciation», Popular Astronomy, 46, n. 456 (giugno-luglio 1938), p. 299; L. Campbell, «William Henry Pickering, 1858-1938», Publications of the Astronomical Society of the Pacific, 50, n. 294 (1938), pp. 122-125.
18. W.H. Pickering, Guide to the Mt. Washington Range, A. Williams, Boston 1882.
19. Ivi, p. 10.
20. Ivi, p. 11.
21. Come astronomo, Pickering si impegnava a fondo nella ricerca di luoghi adatti alla costruzione di osservatori. Nel 1889 fu il primo a testare l’idoneità del Monte Wilson in California per le osservazioni astronomiche. Nei decenni successivi, quello divenne uno degli osservatori più famosi al mondo, nonché il luogo di nascita della moderna cosmologia osservazionale (vedi «Our Story», Mount Wilson Observatory, www.mtwilson.edu).
22. P. White, Thomas Huxley: Making the ‘Man of Science’, Cambridge University Press, Cambridge 2003.
23. W.H. Pickering, Mars, Richard G. Badger, Boston 1921, p. 132.
24. K.M. Doyle Lane, Imaginative Geographies of Mars: The Science and Significance of the Red Planet, 1877-1910, tesi di dottorato, Università del Texas, Austin 2006, p. 90; W.H. Pickering, «The Planet Mars», Technical World Magazine (1906), pp. 463-464.
25. Pickering aveva moltissime idee praticamente su tutto. Diversamente da Lowell, il quale, dopo avere preso una decisione, vi si atteneva senza più esitare, Pickering non si sarebbe mai attaccato troppo a nessuna delle sue idee. Per altre sue teorie sull’esistenza della vita su Marte, vedi W.H. Pickering, «Monthly Report on Mars – No. 37: What I Believe About Mars», Popular Astronomy, 34 (1926), pp. 482-491.
26. D. Bressan, «The Earth-like Mars», Scientific American, 14 (agosto 2012).
27. Pickering, «Report on Mars – No. 37», cit., pp. 482-491.
28. Pickering, Mars, cit., pp. 149-150.
29. Ivi, p. 150.
30. H. Plotkin, «William H. Pickering in Jamaica. The Founding of Woodlawn and Studies of Mars», Journal for the History of Astronomy, 24 (1993), p. 109; P.M. Sadler, «William Pickering’s Search for a Planet Beyond Neptune», Journal for the History of Astronomy, 21, n. 1 (febbraio 1990), pp. 59-60.
31. Plotkin, «William H. Pickering in Jamaica», cit., p. 111.
32. W.H. Pickering, «Island Universes and the Origin of the Solar System», The Observatory, 47 (1924), p. 56.
33. Pickering, Mars, cit., pp. 156-157.
34. Sadler, «William Pickering’s Search for a Planet Beyond Neptune», cit., p. 60; E.P. Martz Jr., «Pilgrimage to a Tropical Observatory», Popular Astronomy, 45 (1937), pp. 419-428.
35. W.H. Pickering, «Monthly Report on Mars – No. 1», Popular Astronomy, 22 (1914), p. 1.
36. Nel complesso, i bollettini pubblicati tra il 1913 e il 1930 furono quarantaquattro. Martz, «Professor William Henry Pickering», cit., p. 301.
37. W.H. Pickering, «Instrument Readings, Notes, and Landscape Sketches, 1891-1892», Papers of William Henry Pickering, 1870-1907, Harvard University Archives, HUG 1691, HUG 1691.65.
38. Pickering, Mars, cit., p. 28.
39. Pickering, citato in Sadler, «William Pickering’s Search for a Planet Beyond Neptune», cit., p. 60.
40. Pickering, «Monthly Report on Mars – No. 4», Popular Astronomy, 22 (1914), p. 228.
41. Pickering, «Monthly Report on Mars – No. 2», Popular Astronomy, 22 (1914), p. 96.
42. Ivi, p. 94.
43. Pickering, «Monthly Report on Mars», Popular Astronomy, 22 (1914), pp. 3-4.
44. Ivi, p. 4.
45. Pickering, «Monthly Report on Mars – No. 4», cit., p. 224.
46. Pickering, «Monthly Report on Mars – No. 2», cit., p. 92.
47. Ivi, p. 99.
48. Anche se nei primi esperimenti le radiazioni planetarie erano state misurate come percentuali delle radiazioni totali, alcuni ricercatori avevano convertito i risultati in gradi termometrici, che avrebbero trasmesso l’idea di una maggior precisione. Vedi S.J. Dick, Life on Other Worlds, cit.; W.W. Coblentz, «Thermocouple Measurements of Stellar and Planetary Radiation», Popular Astronomy, 31 (1923), pp. 105-121.
49. Pickering, Guide to the Mt. Washington Range, cit., p. 11.
50. Ciò si doveva in parte al fatto che (soprattutto per la presenza di polvere nell’atmosfera) gli osservatori non erano riusciti a individuare irregolarità o rilievi lungo il terminatore di Marte, come quelli visibili invece sulla Luna.
51. Va notato che Pickering rimase sempre aperto all’esistenza di forme di vita superiore su Marte. Nel suo trentasettesimo bollettino, scriveva: «La quarta spiegazione per i canali, che è quella che sposo con maggior decisione, è che essi servano al convogliamento delle acque da un polo all’altro. Ciò non comporta alcun intervento di tipo artificiale, ma sono comunque lontano dal negare la possibilità dell’esistenza di una vita animale – e persino di una vita animale intelligente – sul pianeta a noi più vicino». Pickering, «Monthly Report on Mars – No. 37», cit., p. 484.
52. «Mariner 9», NASA Science: Solar System Exploration, 31 luglio 2019.
53. Haynes, intervista con Sarah Johnson, cit.
54. Ibid.
55. Bruce Murray, intervista con Rachel Prud’homme, trascrizione della registrazione audio, California Institute of Technology Archives and Special Collections, Pasadena, California, 1993, p. 82.
56. La cima di mezzo di Rheasilva sull’asteroide Vesta è leggermente più alta dell’Olympus Mons, ma il diametro di quest’ultimo è più ampio di quello dell’intero Vesta.
57. Haynes, intervista con Sarah Johnson, cit.
58. W. Sheehan, The Planet Mars: A History of Observation & Discovery, University of Arizona Press, Tucson 1996, p. 156.
59. Hartmann e Raper, The New Mars: The Discoveries of Mariner 9, cit., p. 94.
60. Ivi, p. 97.
61. Ibid.
4. Le porte di un mondo fantastico
1. B. Carter, «‘Civil War’ Sets an Audience Record for PBS», The New York Times, 25 settembre 1990.
2. C. Sagan et al., Cosmos, stagione 1, episodio 6, «Travellers’ Tales», diretto da A. Malone et al., trasmesso il 2 novembre 1980, Australian Broadcasting Commission, Carl Sagan Productions e KCET, 1980.
3. D.A. Hollinger, «Star Power: Two Biographies of Carl Sagan Explore the Scientist as Celebrity and the Celebrity as Scientist», The New York Times, 28 novembre 1999.
4. K. Davidson, Carl Sagan: A Life, John Wiley & Sons, New York 1999, p. 214. Oltre a questa, tra le biografie che riportano episodi dell’infanzia di Sagan e dell’inizio della sua carriera, vedi R. Spangenburg et al., Carl Sagan: A Biography, Greenwood Publishing Company, Westport, Connecticut, 2004 e W. Poundstone, Carl Sagan: A Life in the Cosmos, Henry Holt, New York 1999, dalle quali ho tratto molto del materiale impiegato in questo capitolo.
5. C. Sagan, Carl Sagan’s Cosmic Connection: An Extraterrestrial Perspective, Cambridge University Press, Cambridge 2000, p. 45.
6. C. Sagan e J. Lederberg, «The Prospects for Life on Mars: A Pre-Viking Assessment», Icarus, 28 (1976), pp. 291-300.
7. Ivi, p. 297; G. Basalla, Civilized Life in the Universe: Scientists on Intelligent Extraterrestrials, Oxford University Press, Oxford 2006, p. 110; «Mars: The Search Begins», Time, 108, 5 luglio 1976, pp. 87-90; C. Sagan, Other Worlds, Bantam Books, New York 1975.
8. Sagan e Lederberg, «The Prospects for Life on Mars», cit., pp. 295-296.
9. C. Sagan, «The Search for Extraterrestrial Life», Scientific American, 271, n. 4 (ottobre 1994), p. 93.
10. D.S. Salisbury, «Will Viking Find Life on Mars?», The Lowell Sun, 8 luglio 1976.
11. C. Sagan, Cosmos, Ballantine Books, New York 1985, pp. 90-91 (trad. it. Cosmo, Mondadori, Milano 1981).
12. S. Hutchinson, «15 Highlights from Carl Sagan’s Archive», Mental Floss, 6 febbraio 2014.
13. A.C. Clarke, Interplanetary Flight: An Introduction to Aeronautics, Harper, New York 1952 (trad. it. Il volo interplanetario. Introduzione all’astronautica, Sperling & Kupfer, Milano 1952).
14. Spangenburg et al., Carl Sagan: A Biography, cit., p. 12.
15. Ibid.
16. Davidson, Carl Sagan: A Life, cit., pp. 2, 9-11, 42.
17. J.A. Delucca, A Few Great Scientists: From Alfred Nobel to Carl Sagan, Xlibris Corporation, Bloomington, Indiana, 2017.
18. Poundstone, Carl Sagan: A Life in the Cosmos, cit., p. 25.
19. C. Sagan, Physical Studies of Planets, tesi di dottorato, Università di Chicago, Chicago 1960.
20. Nel 1958, la National Academy of Sciences decise di indagare la possibilità dell’esistenza di vita al di fuori della Terra. Joshua Lederberg, un genetista dell’Università del Wisconsin insignito del premio Nobel, fu invitato a copresiedere una tavola rotonda sulla vita extraterrestre. Quando fu deciso di redigere un manuale di Biologia planetaria, Lederberg ventilò la possibilità di far avere un contratto con la NASA al giovane Sagan. «Si tratta di un lavoro molto complesso», scrisse, «e non è facile trovare un appassionato dotato di una preparazione sufficiente. Per fortuna, Carl Sagan potrebbe essere disponibile per alcuni mesi questa estate, e forse di nuovo dopo aver completato la sua tesi di laurea in Astronomia (sulle atmosfere planetarie) all’Osservatorio di Yerkes.» Comunicazione di servizio di R.C. Peavey al Space Science Board, al Committee on Space Projects e al Committee on Psychological and Biological Research, 13 aprile 1959, Joshua Lederberg Papers, 1904-2008, Archives and Modern Manuscripts Collection, History of Medicine Division, National Library of Medicine, Bethesda, Maryland, MS C 552. Per un resoconto incredibilmente avvincente di questi eventi, vedi anche M. Voytek et al., Astrobiology: The Story of Our Search for Life in the Universe, NASA Astrobiology Program, Mountain View, California, 2010.
21. E.C. Levinthal, «Cytochemical Studies of Planetary Microorganisms Explorations in Exobiology», NASA Technical Report No. IRL1213, Washington 1980, allegato 1: «March 4, 1959 Letter from Lederberg to Jastrow»; vedi anche J.E. Strick, «Creating a Cosmic Discipline: The Crystallization and Consolidation of Exobiology, 1957-1973», Journal of the History of Biology, 37, n. 1 (2004), pp. 131-180.
22. J. Berkowitz, The Stardust Revolution: The New Story of Our Origin in the Stars, Prometheus Books, Buffalo, New York, 2012, p. 132.
23. «Considerato che la tecnologia attuale è in grado di inviare razzi sulla superficie lunare ma non consente ancora la raccolta di campioni», scriveva Lederberg in un articolo per Science, «ci troviamo nell’imbarazzante situazione in cui, per un considerevole lasso di tempo, potremmo rovinare alcune possibilità di ricerca scientifica prima di riuscire a coglierle in modo costruttivo.» J. Lederberg e D.B. Cowie, «Moondust», Science, 127, n. 3313 (1958), pp. 1473-1475.
24. WESTEX e EASTEX cominciarono ben presto a convocare riunioni su base regolare, presiedute rispettivamente da Joshua Lederberg e Melvin Calvin, quest’ultimo professore di Chimica a Berkeley.
25. S.J. Dick e J.E. Strick, The Living Universe: NASA and the Development of Astrobiology, Rutgers University Press, New Brunswick, New Jersey, 2004, p. 25.
26. Il membro in questione era Thomas Gold, professore di Astronomia a Cornell; vedi C. Sagan, «Wolf Vladimir Vishniac: An Obituary», Icarus, 22, n. 3 (1974), pp. 397-398.
27. E. Kinkead, «The Tiny Landscape, Pt. 1», The New Yorker, 2 luglio 1955, p. 29.
28. Ibid.
29. E. Kinkead, «The Tiny Landscape, Pt. 2», The New Yorker, 9 luglio 1955, p. 39.
30. M. Benton, Roman Vishniac Rediscovered, Prestel, New York 2015; R. Vishniac, «Wolf Vishniac arriving with his family in New York Harbor on the S.S. Siboney, New York», 1940 ca., International Center of Photography, New York 2013.
31. W. Vishniac et al., «Enzymic Aspects of Photosynthesis», Advances in Enzymology and Related Areas of Molecular Biology, 19 (1957), pp. 1-77.
32. W. Vishniac e M. Santer, «The Thiobacilli», Bacteriological Reviews, 21, n. 3 (1957), p. 195.
33. Poundstone, Carl Sagan: A Life in the Cosmos, cit., p. 49.
34. W. Vishniac, «Letter to Senator Clinton P. Anderson», 28 agosto 1969, National Library of Medicine, Bethesda, Maryland.
35. «The Search for Martian Life Begins: 1959-1965», in E. Clinton Ezell e L. Neuman Ezell, On Mars: Exploration of the Red Planet: 1958-1978, The NASA History Series, Washington 1984.
36. W. Vishniac, «Extraterrestrial Microbiology», Aerospace Medicine (1960), pp. 678-680; «The Search for Martian Life Begins: 1959-1965», cit.
37. Inizialmente Vishniac aveva ideato il dispositivo per dimostrare «la possibilità di rilevare automaticamente e da remoto la crescita di microorganismi […] voleva provare che un simile strumento poteva essere costruito». Nel 1961 firmò un contratto con la Ball Brothers Research Corporation per la realizzazione di un prototipo più complesso; vedi «The Search for Martian Life Begins: 1959-1965», cit.
38. Il padre di Helen era George Gaylord Simpson, curatore del Museum of Comparative Zoology di Harvard dal 1959 al 1970.
39. G.G. Simpson, «The Nonprevalence of Humanoids», in This View of Life: The World of an Evolutionist, Harcourt, Brace & World, New York 1964, pp. 253-254 (trad. it. Evoluzione. Una visione del mondo, Sansoni, Firenze 1972); J.D. Rummel, «Carl Woese, Dick Young, and the Roots of Astrobiology», RNA Biology, 11, n. 3 (2014), pp. 207-209.
40. D. Warmflash, «Celebrating Viking: Gilbert Levin Recalls the Search for Life on Mars», Discover, 20 luglio 2016.
41. Gil Levin, l’inventore dello strumento, era un ingegnere clinico impiegato nel servizio pubblico. Il test cui si ispirò si basava su un’idea semplice: se in un campione d’acqua era presente una grande quantità di batteri, nel momento in cui si fossero aggiunte sostanze nutritive questi avrebbero emesso molta anidride carbonica. Se la quantità di anidride carbonica prodotta fosse stata contenuta, al di sotto di una certa soglia, l’acqua era da considerarsi sicura. Cionondimeno, per condurre un’analisi secondo questo metodo era necessaria almeno una settimana, fatto che disturbava Levin, visto che nessuno beveva l’acqua o nuotava nell’oceano della settimana precedente. Levin aveva dunque lavorato a un nuovo esperimento, che avrebbe utilizzato la radioattività per aumentare di migliaia di volte la sensibilità del test. L’idea era monitorare il rilascio di anidride carbonica usando una forma radioattiva di carbonio. In presenza di un organismo, se questo avesse consumato sostanze nutritive a base di carbonio-14, esso sarebbe stato emesso nell’aria sotto forma di anidride carbonica e registrato su un contatore Geiger, economico ma estremamente sensibile. Sarebbe bastata anche una minima quantità di anidride carbonica per ridurre enormemente il tempo necessario a rilevare la presenza di vita. J. Gallentine, «What If», in Infinity Beckoned: Adventuring through the Solar System: 1969-1989, University of Nebraska Press, Lincoln 2016.
42. Quando il cavo fosse stato sigillato in una camera di crescita, si sarebbe aperta una fiala di nutrienti organici. Se le sostanze nutritive fossero state metabolizzate, il respiro esalato dai microbi sarebbe stato intrappolato da una pellicola dotata di un rivestimento chimico posizionata a contatto con un contatore Geiger a prova d’urto.
43. Gallentine, Infinity Beckoned, cit., p. 17.
44. La possibilità di fotografare i microbi era stata valutata, ma la trasmissione di un’immagine vidicon avrebbe richiesto «105 bit per una pessima fotografia» – l’equivalente di un SMS di oggi – o «107 per una buona», pari più o meno a una foto scattata sul primo modello di iPhone. «Dopo aver preso in considerazione l’enorme fabbisogno di dati e i problemi nella preparazione dei campioni e nella ricerca delle immagini, l’idea di produrre un simile dispositivo fu abbandonata.» Life Detection Experiments Team, «A Survey of Life Detection Instruments for Mars», NASA TMX-54946 Technical Report, NASA, agosto 1963, p. 15.
45. I prototipi dei rilevatori di vita si basavano quasi tutti sull’analisi dell’attività microbica, essendo i microbi sempre associati a forme di vita superiori, moltiplicandosi rapidamente e trovandosi praticamente ovunque. Sarebbe difficile scovare un pezzo di terra in qualsiasi luogo della Terra che non brulichi di microbi. Inoltre, il loro rilevamento poteva essere condotto con una strumentazione di dimensioni estremamente ridotte, consentendo pertanto di risparmiare sullo spazio e sulla capacità di carico già estremamente modesta.
46. Vishniac, «Letter from Wolf Vishniac to Clinton P. Anderson», cit.
47. S.D. Kilston et al., «A Search for Life on Earth at Kilometer Resolution», Icarus, 5, n. 79 (1966), pp. 79-98; C. Sagan e D. Wallace, «A Search for Life on Earth at 100 Meter Resolution», Icarus, 15, n. 3 (1970), pp. 515-554; C. Sagan, «Is There Life on Earth?», Engineering and Science, 35, n. 4 (1972), pp. 16-19.
48. C. Sagan, «Statement of Dr. Carl Sagan, Department of Astronomy, Cornell University, Ithaca, N.Y.», Symposium on Unidentified Flying Objects, Hearings Before the Committee on Science and Aeronautics, U.S. House of Representatives, 90th Congress, 2nd Session, 29 luglio 1968.
49. I primi «vasi marziani» erano stati realizzati nel laboratorio di Hubertus Strughold, esperto di medicina spaziale dell’Esercito. Ciò viene spesso omesso per via del ruolo avuto da Strughold nel programma di ricerca di medicina aeronautica della Luftwaffe durante la Seconda guerra mondiale, nel cui ambito erano eseguiti anche letali esperimenti su esseri umani in condizioni di bassa pressione. L’esperto di ricerca scientifica e tecnologica Jordan Bimm ha pubblicato studi affascinanti su questo argomento; vedi J. Bimm, «What’s in the Mars Jar? Cold War Astrobiology and the Idea of Mars as a Microbial Place», American Anthropological Association, Denver, novembre 2015.
50. Sagan, Cosmos, cit., p. 119.
51. H.S.F. Cooper Jr., The Search for Life on Mars: Evolution of an Idea, Holt, Rinehart and Winston, New York 1980, p. 126.
52. N.H. Horowitz et al., «Sterile Soil from Antarctica: Organic Analysis», Science, 164, n. 3883 (1969), pp. 1054-1056.
53. Cooper, The Search for Life on Mars, cit., pp. 100-101.
54. Oltre a essere un membro del WESTEX, Horowitz aveva collaborato anche alla realizzazione di Gulliver. La NASA aveva chiesto a Levin di scegliere da una lista di dottorandi un cosperimentatore che seguisse in modo continuativo lo sviluppo dello strumento, dato che Levin non aveva un dottorato ed era considerato più un ingegnere che uno scienziato. Levin (che di lì a poco nel tempo libero avrebbe cominciato un dottorato alla Johns Hopkins University, conseguendo il titolo in soli tre anni) aveva scelto Norman Horowitz. Gallentine, Infinity Beckoned, cit., pp. 18-19.
55. L’esperimento, chiamato «Pyrolytic Release» (PR), non si basava sul carbonio respirato dai microbi sotto forma di anidride carbonica ma su quello che era stato «fissato», assimilato nelle loro cellule. Il calore sarebbe stato sufficiente per distruggere le cellule, trasformando il carbonio eventualmente presente nei microbi del suolo in un gas; a quel punto, una lettura del contatore Geiger avrebbe indicato la presenza di organismi viventi.
56. Noto come esperimento «Gas Exchange» (GEX) della missione Viking.
57. Noto come esperimento «Labeled Release» (LR) della missione Viking.
58. Cooper, The Search for Life on Mars, cit., p. 99.
59. N.H. Horowitz, To Utopia and Back: The Search for Life in the Solar System, W.H. Freeman and Company, New York 1986, p. 120 (trad. it. Utopia e ritorno. La ricerca della vita nel sistema solare, Jaca Book, Milano 1987).
60. «55 Years Ago: Mariner 2 First to Venus», NASA, 14 dicembre 2017.
61. Il progetto Viking fu elaborato a partire dal programma della NASA Voyager Mars, previsto tra il 1966 e il 1968 ma annullato a causa dei rischi e dei costi. Il nome Voyager sarebbe poi stato impiegato nelle successive e non correlate missioni Voyager 1 e Voyager 2 per lo studio dei pianeti esterni.
62. Poundstone, Carl Sagan: A Life in the Cosmos, cit., p. 107.
63. Nel 1952, il dipartimento di Geologia del MIT fu ribattezzato dipartimento di Geologia e geofisica; nel 1967 divenne dipartimento di Scienze della Terra e planetarie, assumendo infine nel 1983 il nome di dipartimento di Scienze della Terra, atmosferiche e planetarie. «MIT History, School of Science», Institute Archives, MIT Libraries, luglio 2007.
64. Poundstone, Carl Sagan: A Life in the Cosmos, cit., p. 107.
65. Ivi, pp. 171-173.
66. Harold Urey, citato in B. Sternberg, «The Sagan Files», Cornell Alumni Magazine, marzo-aprile 2014.
67. Poundstone, Carl Sagan: A Life in the Cosmos, cit., p. 25.
68. Ivi, pp. 34-35. Vishniac, dal canto suo, aveva elaborato una propria ipotesi creativa: forse sulle superfici delle piante marziane si accumulava uno strato di polvere luminescente che, cadendo a poco a poco a terra, rivelava le foglie scure che si trovavano al di sotto. Ipotesi stravagante, forse, ma fondata sulle prove disponibili all’epoca e sulla logica. Sia Vishniac sia Sagan avevano una conoscenza approfondita dei dati noti e di quelli ignoti ed erano convinti che le prove esistenti non dovessero essere ignorate; cionondimeno, in mancanza di prove, le possibilità erano praticamente infinite.
69. Vishniac, «Letter from Wolf Vishniac to Clinton P. Anderson», cit.
70. G.V. Levin, «The Curiousness of Curiosity», Astrobiology, 15, n. 2 (2015), pp. 101-103.
71. «Viking Lander: Creating the Science Teams», in Ezell ed Ezell, On Mars: Exploration of the Red Planet, cit.
72. «How Viking Instrument Studies Soil Samples for Signs of Life» e «The Viking Biology Project (Art)», Mars Viking, TRW, Redondo Beach, California, 1976, pp. 11-12.
73. Cooper, The Search for Life on Mars, cit., p. 98.
74. «Viking Lander: Creating the Science Teams», cit.
75. J. Lederberg, «Letter to Dr. Richard S. Young, March 15, 1972», Joshua Lederberg Papers, 1904-2008, Archives and Modern Manuscripts Collection, History of Medicine Division, National Library of Medicine, Bethesda, Maryland, MS C 552.
76. «Viking Lander: Creating the Science Teams», cit.
77. Cooper, The Search for Life on Mars, cit., pp. 99-100.
78. Wolf V. Vishniac, citato in «Viking Lander: Creating the Science Teams», cit.
79. Ephraim Vishniac, intervista telefonica con Sarah Johnson, 8 settembre 2017.
80. Ibid.
81. Ibid.
82. Zeddie Bowen, citato in W. Sheehan e S.J. O’Meara, Mars: The Lure of the Red Planet, Prometheus Books, Amherst, New York, 2001, p. 289.
83. Zeddie Bowen, citato in R. Lewis, «Researchers’ Deaths Inspire Actions to Improve Safety», The Scientist, 27 ottobre 1997.
84. Associated Press, «Wolf V. Vishniac, Micro Biologist», The New York Times, 12 dicembre 1973.
85. Il necrologio di Vishniac fu scritto da Sagan, il quale ricordò come fosse stato «un essere umano incredibilmente onesto, gentile, premuroso e sollecito, [dotato di] una profonda conoscenza dei problemi fondamentali della biologia, [che] aveva capito più di quasi tutti gli altri scienziati del suo tempo la rivoluzionaria importanza per la scienza della ricerca di vita extraterrestre». C. Sagan, «Wolf Vladimir Vishniac: An Obituary», cit.
86. «Viking Lander: Creating the Science Teams», cit.
87. E. Burgess, To the Red Planet, Columbia University Press, New York 1978, p. 63.
88. Oggi abbiamo invece una grande quantità di prove a favore dell’esistenza transitoria di acque salmastre allo stato liquido sulla superficie di Marte; vedi F.J. Martín-Torres et al., «Transient Liquid Water and Water Activity at Gale Crater on Mars», Nature Geoscience, 8, n. 5 (2015), p. 357.
89. «The Viking Landing Sites: The Questions They’ll Answer», Mars Viking, TRW, Redondo Beach, California 1976.
90. «Yuty Crater in Chryse Planitia, Mars», NASA, 22 giugno 1976.
91. «Site Certification – and Landing», in Ezell ed Ezell, On Mars: Exploration of the Red Planet, cit.
92. «Science: Another Delay for Viking», Time, 19 luglio 1976.
93. Viking 1 entrò in orbita il 19 giugno 1976, ma si capì quasi subito che atterrare il 4 luglio sarebbe stato impossibile. Viking 2 sarebbe dovuto entrare in orbita il 7 agosto. In occasione di un convegno organizzato nel quarantennale, il direttore della missione Tom Young ha dichiarato che, se l’atterraggio di Viking 1 «fosse stato rimandato troppo a lungo, su Marte ci sarebbe stato un traffico che non saremmo stati capaci di gestire». S. McDonald, «‘Viking at 40’ Events Revisit a Giant Step in NASA’s Journey to Mars», NASA, 26 luglio 2016.
94. Sagan, Cosmos, cit., p. 98; vedi anche «Site Certification – And Landing», cit.
95. «Viking 1 Lander», NASA Space Science Data Coordinated Archive, NSSDCA/COSPAR ID: 1975-075C, NASA.
96. Sagan, Cosmos, cit., p. 96.
97. «Viking 1 Lander», cit.
98. Come combustibile era stata scelta l’idrazina (N2H4), che bruciando non produce sostanze organiche; ciò avrebbe ridotto al minimo il rischio che l’atterraggio potesse contaminare la superficie che in seguito sarebbe stata analizzata dal lander.
99. La sonda sovietica Mars 3 riuscì ad atterrare sul pianeta rosso, rimanendo attiva per circa novanta secondi. Anche le sonde sovietiche Venera avevano resistito per un paio d’ore sulla superficie di Venere.
100. Nel quarantennale della missione Viking, Robert Manning avrebbe osservato: «Viking è stato un risultato straordinario. Per quanti lavorano adesso è difficile concepire come sia stato possibile progettare e realizzare questa missione prima della diffusione dei computer. L’abbiamo fatto a mano, lavorando con carta e penna». McDonald, «‘Viking at 40’ Events Revisit a Giant Step in NASA’s Journey to Mars», cit.
101. R. Wright, «Interview with A. Thomas Young», NASA Headquarters Oral History Project, NASA Johnson Space Center History Portal, 2013.
102. «Viking Encounter Press Kit», NASA, 4 giugno 1976, p. 18.
103. L’aneddoto, che ebbe come protagonista Gerry Soffen, scienziato impiegato nel progetto Viking, è riportato da G. Guastaferro, «40 Years Remembered: A Shared Experience in Viking Project Leadership», Viking at 40 Symposium Lectures, 2016. Forse Soffen aveva in mente le parole della canzone di Irving Berlin: «Cieli azzuri mi sorridono, vedo solo cieli azzurri».
104. E.C. Levinthal et al., «Processing the Viking Lander Camera Data», Journal of Geophysical Research, 82, n. 28 (1977), pp. 4412-4420.
105. Poundstone, Carl Sagan: A Life in the Cosmos, cit., p. 207.
106. Ivi, pp. 204-205.
107. Sagan, Cosmos, cit., p. 98.
108. «Big Joe in the Chryse Planitia», NASA JPL, 27 febbraio 1997.
109. Naturalmente, non fu mai rilevato alcun macrobo marziano, nonostante le speciali tecniche informatiche adottate per rivelare movimenti o cambiamenti nel paesaggio e individuare la presenza di oggetti che emettevano luce nella notte. Un anno dopo, in un articolo pubblicato sul Journal of Geophysical Research, si concludeva che non era stata «raccolta alcuna prova, né diretta né indiretta, dell’esistenza di una biologia macroscopica su Marte». D. McNab e J. Younger, The Planets, Yale University Press, New Haven 1999, p. 193; E.C. Levinthal et al., «Lander Imaging as a Detector of Life on Mars», Journal of Geophysical Research, 82, n. 28 (1977), pp. 4468-4478.
110. McNab e Younger, The Planets, cit., p. 191.
111. Sagan, Cosmos, cit., p. 102.
112. G. Levin, «The Viking Labeled Release Biology Experiments», Viking at 40 Symposium Lectures, 2016.
113. Cooper, The Search for Life on Mars, cit., p. 129.
114. Ivi, pp. 161-169.
115. Ivi, pp. 223-240. Fra quanti non pensarono a falsi positivi vi fu anche Gil Levin, capo dell’esperimento «Labeled Release». Vedi G. Levin, «The Viking Labeled Release Experiment and Life on Mars», Instruments, Methods, and Missions for the Investigation of Extraterrestrial Microorganisms, vol. 3111 (1997), pp. 146-161.
116. R. Markley, Dying Planet: Mars in Science and the Imagination, Duke University Press, Durham, North Carolina, 2005, p. 258.
117. W. Sullivan, «How to Search for Undefined ‘Life’ on Mars», The New York Times, 1° agosto 1976.
118. P. Ward, Life As We Do Not Know It: The NASA Search for (and Synthesis of) Alien Life, Penguin, New York 2007, p. 177. Nel 2000 l’area delle grandi dune di sabbia è diventata parco e riserva nazionale.
119. Cooper, The Search for Life on Mars, cit., p. 122.
5. Rocce dal cielo
1. Durante la progettazione del carico utile di Viking, nessuno si rese conto che la stragrande maggioranza dei microbi non sarebbe cresciuta in un brodo ricco di nutrienti, cioè che non potevano essere coltivati. Solo da quando abbiamo cominciato a identificare la vita attraverso i suoi geni – non aspettando che le cellule crescano su una piastra di Petri, ma trovandole in minuscole quantità di terra o in una goccia di acqua oceanica – abbiamo capito che meno dell’1% della vita sulla Terra potrebbe essere coltivato in laboratorio, tanto più in un laboratorio su una navicella spaziale su Marte.
2. E. Clinton Ezell e L. Neuman Ezell, On Mars: Exploration of the Red Planet, 1958-1978, The NASA History Series, Washington 1984, p. 236.
3. H.S. Vishniac e W.P. Hempfling, «Cryptococcus Vishniacii sp. nov., an Antarctic Yeast», International Journal of Systematic and Evolutionary Microbiology, 29, n. 2 (1979), pp. 153-158.
4. P.T. Doran et al., Life in Antarctic Deserts and Other Cold Dry Environments: Astrobiological Analogs, Cambridge University Press, Cambridge 2010, pp. 2-3.
5. E.I. Friedmann e R. Ocampo, «Endolithic Blue-Green Algae in the Dry Valleys: Primary Producers in the Antarctic Desert Ecosystem», Science, 193, n. 4259 (1976), pp. 1247-1249.
6. R.A. Kerr, «Seawater and the Ocean Crust: The Hot and Cold of It», Science, 200, n. 4346 (1978), pp. 1138-1187.
7. La scoperta di una polimerasi termotollerante all’interno delle cellule del Thermus aquaticus avrebbe gettato le basi della moderna biologia molecolare. Infatti, aprì la strada allo sviluppo della reazione a catena della polimerasi (PCR), che avrebbe permesso di decomprimere ad alte temperature un DNA a doppio filamento e di replicarlo, amplificando di milioni di volte un segnale impercettibile. K.B. Mullis, «The Polymerase Chain Reaction (Nobel Lecture)», Angewandte Chemie, 33, n. 12 (1994), pp. 1209-1213; A. Chien et al., «Deoxyribonucleic Acid Polymerase from the Extreme Thermophile Thermus Aquaticus», Journal of Bacteriology, 127, n. 3 (1976), pp. 1550-1557; T.D. Brock e H. Freeze, «Thermus aquaticus gen. n. and sp. n., a Nonsporulating Extreme Thermophile», Journal of Bacteriology, 98, n. 1 (1969).
8. R.Y. Morita, «Survival of Bacteria in Cold and Moderate Hydrostatic Pressure Environments with Special Reference to Psychrophilic and Barophilic Bacteria», in R.G. Gray e J.R. Postgate (a cura di), The Survival of Vegetative Microbes, Twenty-Sixth Symposium of the Society for General Microbiology, Cambridge University Press, Cambridge 1976, pp. 279-298.
9. M.T. Hansen, «Multiplicity of Genome Equivalents in the Radiation-Resistant Bacterium Micrococcus Radiodurans», Journal of Bacteriology, 134, n. 1 (1978), pp. 71-75; B.E.B. Moseley, «Photobiology and Radiobiology of Micrococcus (Deinococcus) Radiodurans», Photochemical and Photobiological Reviews, Springer, Boston 1983, pp. 223-274; J.M. West e I.G. McKinley, «The Geomicrobiology of Nuclear Waste Disposal», MRS Online Proceedings Library Archive, 26 (1983).
10. Per un’affascinante versione della storia di ALH84001, vedi K. Sawyer, The Rock From Mars: A Detective Story on Two Planets, Random House, New York 2006, da cui è tratto molto di quanto narrato in questo capitolo.
11. W.A. Cassidy et al., «Antarctica: A Deep-Freeze Storehouse for Meteorites», Science, 198, n. 4318 (1977), pp. 727-731.
12. Sawyer, The Rock from Mars: A Detective Story, cit., p. 20.
13. Ivi, pp. 49-50.
14. M. Swartz, «It Came from Outer Space», Texas Monthly, 1° novembre 1996.
15. Sawyer, The Rock from Mars: A Detective Story, cit., pp. 51, 58-59.
16. J.F. Kennedy, «Address at Rice University on the Nation’s Space Effort», 12 settembre 1962, J.F. Kennedy Presidential Library and Museum.
17. W.F. Foshag, «Problems in the Study of Meteorites», The American Mineralogist, 26, n. 3 (1941), p. 137.
18. M. Garber, «Thunderstone: What People Thought About Meteorites Before Modern Astronomy», The Atlantic, 15 febbraio 2013.
19. Foshag, «Problems in the Study of Meteorites», cit.
20. Sawyer, The Rock from Mars: A Detective Story, cit., p. 53.
21. Il nome della città indiana è stato nel frattempo cambiato in Sherghati.
22. T.E Bunch e A.M. Reid. «The Nakhlites Part I: Petrography and Mineral Chemistry», Meteoritics, 10, n. 4 (1975), pp. 303-315.
23. D.D. Bogard e P. Johnson, «Martian Gases in an Antarctic Meteorite?», Science, 221 (1983), pp. 651-654; vedi anche A.H. Treiman et al., «The SNC Meteorites Are from Mars», Planetary and Space Science, 48 (2000), pp. 1213-1230.
24. La datazione di ALH84001 è stata rivista da 4,51 a 4,091 miliardi di anni, e una meteorite marziana recentemente scoperta nel Sahara, chiamata Black Beauty, ha sostituito ALH84001 come la più antica proveniente dal pianeta rosso (4,4 miliardi di anni). T.J. Lapen et al., «A Younger Age for ALH84001 and Its Geochemical Link to Shergottite Sources in Mars», Science, 328, n. 5976 (2010), pp. 347-351; M. Humayun et al., «Origin and Age of the Earliest Martian Crust from Meteorite NWA 7533», Nature, 503, n. 7477 (2013), p. 513.
25. D.D. Bogard, «Exposure-Age-Initiating Events for Martian Meteorites: Three or Four?», Lunar and Planetary Science Conference, 26 (marzo 1995).
26. Sawyer, The Rock from Mars: A Detective Story, cit., p. 103.
27. D.S. McKay et al., «Search for Past Life on Mars: Possible Relic Biogenic Activity in Martian Meteorite ALH84001», Science, 273, n. 5277 (1996), pp. 924-930.
28. J.L. Kirschvink, «South-Seeking Magnetic Bacteria», Journal of Experimental Biology, 86, n. 1 (1980), pp. 345-347; W. Lin et al., «Life with Compass: Diversity and Biogeography of Magnetotactic Bacteria», Environmental Microbiology, 16, n. 9 (2014), pp. 2646-2658.
29. K.L. Thomas-Keprta et al., «Magnetofossils from Ancient Mars: A Robust Biosignature in the Martian Meteorite ALH84001», Applied and Environmental Microbiology, 68, n. 8 (2002), pp. 3663-3672.
30. Swartz, «It Came from Outer Space», cit.
31. Sawyer, The Rock from Mars: A Detective Story, cit., p. 111.
32. Ivi, p. 137.
33. Ibid.
34. W.J. Clinton, «Statement Regarding Mars Meteorite Discovery», Office of the Press Secretary, 7 agosto 1996.
35. Sawyer, The Rock from Mars: A Detective Story, cit., p. 186.
36. K. Davidson, «Romancing the Red Planet», San Francisco Examiner, 8 agosto 1996.
37. Swartz, «It Came from Outer Space», cit.
38. J.N. Wilford, «Clues in Meteorite Seem to Show Signs of Life on Mars Long Ago», The New York Times, 7 agosto 1996.
39. Space Studies Board e National Research Council, Size Limits of Very Small Microorganisms: Proceedings of a Workshop, National Academies Press, Washington 1999.
40. M. Crenson, «After 10 Years, Few Believe Life on Mars», The Washington Post, 5 agosto 2006.
41. D.S. McKay et al., «Life on Mars: New Evidence from Martian Meteorites», Instruments and Methods for Astrobiology and Planetary Missions XII, International Society for Optics and Photonics, vol. 7441 (2009), 744102. Vedi anche K.L. Thomas-Keprta et al., «Origins of Magnetite Nanocrystals in Martian Meteorite ALH84001», Geochimica et Cosmochimica Acta, 73 (2009), pp. 6631-6677; E.K. Gibson Jr. et al., «Life on Mars: Evaluation of the Evidence within Martian Meteorites ALH84001, Nakhla, and Shergotty», Precambrian Research, 106, nn. 1-2 (2001), pp. 15-34.
42. Crenson, «After 10 Years, Few Believe Life on Mars», cit.
43. Sawyer, The Rock from Mars: A Detective Story, cit., p. 42; W.K. Stevens, «A ‘Mellow’ Scientist David Stewart McKay», The New York Times, 9 agosto 1996.
44. Sawyer, The Rock from Mars: A Detective Story, cit., p. 236; M. Kaufman, First Contact: Scientific Breakthroughs in the Hunt for Life Beyond Earth, Simon and Schuster, New York 2011, p. 107.
45. Citato in P.E. Tressoldi, «Extraordinary Claims Require Extraordinary Evidence: The Case of Non-Local Perception, a Classical and Bayesian Review of Evidences», Frontiers in Psychology, 2 (2011), p. 117.
46. Carl Sagan, Billions and Billions: Thoughts on Life and Death at the Brink of the Millennium, Ballantine, New York 1998, p. 60 (trad. it. Miliardi e miliardi. Riflessioni di fine millennio sulla Terra e i suoi inquilini, Dalai Editore, Milano 1998).
47. Naturalmente questo era già successo in precedenza: per secoli gli esseri viventi erano stati classificati semplicemente come piante o animali.
48. C.R. Woese et al., «Towards a Natural System of Organisms: Proposal for the Domains Archaea, Bacteria, and Eucarya», Proceedings of the National Academy of Sciences, 87, n. 12 (1990), pp. 4576-4579.
49. Questi microbi hanno dominato la vita sulla Terra per la maggior parte della nostra storia. Si pensa che gli organismi multicellulari si siano evoluti da antenati unicellulari almeno venticinque volte, raggiungendo la massima diversificazione seicento-settecento milioni di anni fa. R.K. Grosberg e R.R. Strathmann, «The Evolution of Multicellularity: A Minor Major Transition?», Annual Review of Ecology, Evolution, and Systematics, 38 (2007), pp. 621-654.
50. K.H.S. Campbell et al., «Sheep Cloned by Nuclear Transfer from a Cultured Cell Line», Nature, 380, n. 6569 (1996), p. 64.
51. Durante il cosiddetto «intenso bombardamento tardivo», i corpi planetari nel nostro sistema solare furono colpiti da una maggiore quantità di materiale; vedi W.F. Bottke e M.D. Norman, «The Late Heavy Bombardment», Annual Review of Earth and Planetary Sciences, 45 (2017), pp. 619-647.
52. Kaufman, First Contact, cit., p. 107.
6. La traversata
1. «Press Kit: Mars Pathfinder Landing», NASA, 7 luglio 1997.
2. H.E. McCurdy, Faster, Better, Cheaper: Low-Cost Innovation in the U.S. Space Program, JHU Press, Baltimora 2001.
3. W.J. Broad, «Scientist at Work: Daniel S. Goldin, Bold Remodeler of a Drifting Agency», The New York Times, 21 dicembre 1993.
4. McCurdy, Faster, Better, Cheaper, cit.
5. J.N. Wilford, «More Than 20 Years After Viking, Craft Is to Land, and Bounce, on Mars», The New York Times, 1° luglio 1997.
6. D.R. Williams, «Mars Pathfinder Atmospheric Entry Strategy», NASA Goddard Space Flight Center, 30 dicembre 2004.
7. «Mars Pathfinder Transmits Dramatic Color Images», CNN, 5 luglio 1997.
8. «Mars Pathfinder Frequently Asked Questions», NASA, 10 aprile 1997.
9. «Rover ‘Holds Hands’ with Barnacle Bill», CNN, 7 luglio 1997.
10. «Mars Curiosity Rover: Wheels and Legs», NASA, https://mars.nasa.gov/msl/spacecraft/rover/wheels/
11. D.M. Nelson e R. Greeley, «Xanthe Terra Outflow Channel Geology at the Mars Pathfinder Landing Site», Journal of Geophysical Research: Planets, 104, n. 4 (1999), pp. 8653-8669.
12. R. Rieder et al., «The Chemical Composition of Martian Soil and Rocks Returned by the Mobile Alpha Proton X-Ray Spectrometer: Preliminary Results from the X-Ray Mode», Science, 278, n. 5344 (1997), pp. 1771-1774.
13. J.N. Wilford, «Mars History: Heat and Cold Leave Marks», The New York Times, 9 luglio 1997.
14. Mentre alla fine degli anni Novanta questi nomi ripresi dai personaggi dei cartoni animati non crearono alcun problema, un decennio più tardi, quando durante la missione Phoenix furono scelti nomi ispirati alle fiabe, l’ufficio legale della NASA si rese conto che l’ente spaziale avrebbe potuto essere citato in giudizio per l’utilizzo di materiale protetto da copyright. Da quel momento, furono ammessi solo nomi di pubblico dominio. R. Pyle, Destination Mars: New Explorations of the Red Planet, Prometheus Books, Amherst, New York, 2012, p. 238.
15. R. Greeley et al., «Aeolian Features and Processes at the Mars Pathfinder Landing Site», Journal of Geophysical Research: Planets, 104, n. E4 (1999), pp. 8573-8584.
16. M. Crenson, «Back on Mars», The Courier-Journal, Louisville, Kentucky, 5 luglio 1997.
17. J.N. Wilford, «Scientists Await Craft’s Plunge to Mars Today», The Courier-Journal, Louisville, Kentucky, 4 luglio 1997.
18. «Mars Pathfinder Science Results: Rotational and Orbital Dynamics», NASA; vedi anche W.M. Folkner et al., «Interior Structure and Seasonal Mass Redistribution of Mars from Radio Tracking of Mars Pathfinder», Science, 278, n. 5344 (1997), pp. 1749-1752.
19. Un campo magnetico devia anche particelle cariche nel vento solare, riducendo la fuga atmosferica nello spazio. Sebbene Venere, ruotando troppo lentamente, non abbia un effetto dinamo, ha mantenuto un’atmosfera densa grazie alla forza di gravità. Marte, avendo una gravità molto più debole, non ha mai avuto una forza di attrazione altrettanto potente.
20. B. Piccard e B. Jones, Around the World in 20 Days: The Story of Our History-Making Balloon Flight, John Wiley & Sons, Hoboken, New Jersey, 1999.
21. M.W. Browne, «Balloon Soars Over Atlantic, Setting Record in Solo Flight», The New York Times, 12 agosto 1998.
22. Biografia di Steve Fossett, National Aviation Hall of Fame.
23. «Signals from Mars from a Balloon», The New York Times, 2 maggio 1909.
24. Nelle pianure dell’altopiano del Colorado, Tesla aveva costruito un laboratorio in un fienile, con una torre alta 24 metri e un cartello sulla porta che diceva: PERICOLO! VIETATO L’INGRESSO. Notte dopo notte, osservava le tempeste nell’oscurità, rilevando i fulmini con la sua nuova attrezzatura. Una volta cominciò persino a captare quelli che supponeva fossero deboli segnali extraplanetari – disturbi che riteneva provenissero da Marte –, che casualmente scomparvero quando Marte tramontò. Forse era stata una tempesta su Giove, oppure erano gli impulsi che in quello stesso momento il suo rivale Marconi stava tentando di inviare attraverso l’Atlantico dalla Cornovaglia al Canada, usando uno dei primi trasmettitori a spinterometro. Vedi W.B. Carlson, Tesla: Inventor of the Electrical Age, Princeton University Press, Princeton, New Jersey, 2013, p. 277 (trad. it. Tesla. L’inventore dell’era elettrica, Hoepli, Milano 2019); M. Seifer, Wizard: The Life and Times of Nikola Tesla, Citadel Press, New York 1998, p. 217.
25. «That Prospective Communication with Another Planet», Current Opinion, marzo 1919, p. 170; M. Brown, «Radio Mars: The Transformation of Marconi’s Popular Image, 1919-1922», in J.E. Winn e S.L. Brinson (a cura di), Transmitting the Past: Historical and Cultural Perspectives on Broadcasting, University of Alabama Press, Tuscaloosa 2005, p. 23.
26. «Signals from Mars from a Balloon», cit.
27. «Offer Balloon to Todd», The New York Times, 7 maggio 1909.
28. Todd aveva chiesto nientemeno che i segnali radio fossero interrotti in tutto il mondo per cercare di captare segnali da Marte. Credeva che questo sarebbe stato l’unico modo per risolvere il problema del sempre più fitto traffico di trasmissioni radio che complicava i suoi tentativi di ascolto. Durante il «Grande Ascolto» Todd si avvalse anche dell’aiuto di Francis Jenkins, l’uomo che avrebbe aperto la prima stazione televisiva in America. Jenkins aveva inventato una sorta di radiotelescopio, che aveva chiamato «macchina di messaggi radiofotografici a trasmissione continua». La pellicola, trattata chimicamente e lunga 9 metri, era stata progettata per la rappresentazione grafica dei segnali radio e sarebbe stata lo strumento ideale per la comunicazione umana con Marte. Quell’agosto, la macchina di Jenkins prodotta al 1515 di Connecticut Avenue mostrava, in «bianco e nero, tutto ciò che era ‘captato’ nell’aria in circa ventinove ore con un apparato ricevente regolato a una lunghezza d’onda di seimila metri». Tre metri e mezzo di riprese – una strana serie di punti e linee – furono trasmessi al responsabile del reparto codici dell’Esercito e al direttore del reparto radio del Bureau of Standards (l’ente nazionale per la normazione). Todd, pur riconoscendo di non essere riuscito a dimostrare l’esistenza di una civiltà aliena capace di comunicare con la Terra via radio, si riservò tuttavia di esprimere un giudizio sui risultati e salutò l’esperimento come una svolta per la scienza. «Ora abbiamo una documentazione permanente che può essere studiata», disse, «e chi può sapere che cosa siano questi segnali finché non li avremo studiati? […] Tre anni fa Marconi diceva di aver captato segnali da Marte. Qualche giorno fa ha detto che era troppo occupato per ascoltare improbabili messaggi da Marte e che si tratta di un’idea ridicola. Si vede che ha cambiato parere, e nessuno sa che cosa ha sentito la prima volta. Ma con i segnali che abbiamo fotografato non dobbiamo più fidarci di quello che qualcuno potrebbe o non potrebbe aver sentito. È una registrazione permanente, che tutti possono studiare. […] L’apparecchio di Jenkins è forse la migliore possibilità per gli eventuali marziani di farsi conoscere sulla Terra. Se anche loro possiedono una macchina in grado di trasmettere verso la Terra i loro ‘primi piani’ di volti, scene, edifici, paesaggi e quant’altro, poiché i loro valori di luce sarebbero convertiti in valori elettrici prima della proiezione, verrebbero sicuramente registrati su questo piccolo, straordinario apparecchio». Vedi «Weird ‘Radio Signal’ Film Deepens Mystery of Mars», The Washington Post, 27 agosto 1924; C.P. Bauer, Unsolved! The History and Mystery of the World’s Greatest Ciphers from Ancient Egypt to Online Secret Societies, Princeton University Press, Princeton 2017, pp. 500-503.
29. Lavorava all’Osservatorio di Meudon e per poco non riuscì a convincere Carl Sagan ad accettare una borsa di studio post dottorato con lui, invece di andare a Berkeley; W. Sheehan e S.J. O’Meara, Mars: The Lure of the Red Planet, Prometheus Books, Amherst, New York, 2001, p. 233; R. Spangenburg et al., Carl Sagan: A Biography, Greenwood Publishing Company, Westport, Connecticut, 2004, p. 42.
30. P. de Latil e T. Margerison, «Planetary Observations by the Multi-Balloon Technique», New Scientist, 7 maggio 1959; L. de Gouyon Matignon, «Audouin Dollfus, The French Aeronaut», Space Legal Issues, 25 maggio 2019.
31. De Latil e Margerison, «Planetary Observations by the Multi-Balloon Technique», cit.
32. Ibid.
33. Ibid.
34. M. Karpel, «The Drifters», Air & Space, agosto 2010.
35. Matignon, «Audouin Dollfus, The French Aeronaut», cit.; Sheehan e O’Meara, Mars: The Lure of the Red Planet, cit., p. 233.
36. Durante quel volo Dollfus riuscì a effettuare altre misurazioni di Venere e della Luna. Un paio d’anni dopo, in una località ad alta quota nelle Alpi svizzere, tentò nuovamente con Marte, installando uno speciale spettroscopio che, grazie all’effetto Doppler, gli permise di separare il segnale da Marte e con cui riuscì finalmente a ottenere un rilevamento positivo. Calcolò che se tutta l’acqua dell’atmosfera marziana si fosse condensata in superficie, avrebbe formato uno strato di meno di 0,2 millimetri di spessore. Per quanto fosse felice di essere riuscito a condurre la sua osservazione, sapeva anche che cosa significava: Marte era estremamente più arido dei luoghi più secchi della Terra e non sarebbe stato facile, anzi sarebbe stato con ogni probabilità assai arduo, per eventuali forme di vita abitare la sua superficie. Vedi Sheehan e O’Meara, Mars: The Lure of the Red Planet, cit., p. 233; Matignon, «Audouin Dollfus, The French Aeronaut», cit.
37. R.E. Arvidson et al., «Aerobot Measurements Successfully Obtained During Solo Spirit Balloon Mission», EOS, 80, n. 14 (1999), pp. 153, 158-159.
38. T. Fitzpatrick, «NASA Payload Part of Cargo on Solo Spirit», Record, 22, n. 15, 11 dicembre 1997.
39. Tribune News Services, «Fossett Lifts Off on 4th Balloon Attempt to Circle the World», Chicago Tribune, 8 agosto 1998.
40. S. Mills, «Balloonist Charting a High-Tech Course», Chicago Tribune, 19 gennaio 1997.
41. M. Knott, «Technology: Up, up and Around the World», New Scientist, 21 dicembre 1996.
42. Arvidson et al., «Aerobot Measurements Successfully Obtained During Solo Spirit Balloon Mission», cit., pp. 153-159.
43. M.W. Browne, «Balloonist to Take It Easy After Stormy Crash at Sea», The New York Times, 18 agosto 1998.
44. J. Jeter, «Storm Ends Balloonist’s Quest in Coral Sea», The Washington Post, 17 agosto 1998.
45. R. Sullivan, «Balloonist Fossett Rescued from Sea», AP News, 17 agosto 1998; «Balloonist Rescued Off Australia», CNN, 17 agosto 1998.
46. Intervista a Steve Fossett, NOVA, Public Broadcasting Corporation.
47. Jeter, «Storm Ends Balloonist’s Quest in Coral Sea», cit.
48. Browne, «Balloonist to Take It Easy After Stormy Crash at Sea», cit.