Nota critica

L’Occidente s’annoia ancora?
di Alessandra Grandelis

La noia esce nelle librerie il 24 novembre 1960: a dicembre è già alla quarta ristampa e in pochi mesi supererà le 120.000 copie. Al successo editoriale, accompagnato dalla vittoria del Premio Viareggio, si affianca un vivace dibattito critico; tra la fine del 1960 e per tutto il 1961 diverse voci – fra cui quelle di Chiaromonte, Falqui, Leonetti, Pampaloni, Pasolini, Piovene – si confrontano, con posizioni anche contrastanti, sul romanzo di Alberto Moravia. Le opinioni convergono su un aspetto: La noia è un’opera di rottura che congeda la stagione letteraria più vicina al neorealismo, ben rappresentata dalla Ciociara (1957) e dai Racconti e Nuovi racconti romani (1954 e 1959), alla ricerca di una nuova forma di espressione non interessata alle sperimentazioni avanguardistiche. I nove capitoli di cui si compone il testo sono contenuti da un prologo e da un epilogo che esemplificano il tratto distintivo del romanzo: la trama è interrotta da numerose digressioni di ordine riflessivo e argomentativo che conferiscono alla narrazione un carattere astratto evidenziato tra gli altri da un giovane Alberto Arbasino in un inedito biglietto autografo spedito all’autore: “Tutti gli auguri più belli. Finalmente l’ho letto! E oltre a tutto quello che le hanno già detto e che sa già, l’ho trovato scritto in una maniera straordinariamente rapida, svelta, trionfante, e con una vitalità enorme al di là del lato ‘voulu’ dell’astrazione.”

Questo romanzo “di idee connesse a situazioni psicologiche” (Manica 2004, p. 95), così distante dall’immediatezza della narrativa d’argomento popolare, suscita comunque l’interesse dei lettori e non solo perché a scriverlo è uno tra gli scrittori italiani più rappresentativi. La motivazione è un’altra, dichiarata da Moravia: “La noia è un romanzo d’amore.” La potenza del sentimento amoroso diviene il filtro attraverso cui affrontare il tema più profondo dell’opera, caro all’autore fin dagli esordi e riproposto nell’èra della modernizzazione: l’impossibilità di stabilire un rapporto con il reale, fra alienazione e incomunicabilità.

L’amore è quello del pittore astratto Dino per la diciassettenne Cecilia, il “precipitato di un certo sistema economico” (Siciliano 1971, p. 155), desiderata e gelosamente controllata, irraggiungibile come la realtà di cui è il “correlativo oggettivo” (Turchetta 2007, p. XXV). Così Moravia, attento alle sollecitazioni derivate dalle scienze umane che in quel momento si diffondono in Italia, trova nell’amore una lingua universale per tradurre a un livello condivisibile una questione particolarmente viva nel dibattito culturale di quegli anni, quella relativa all’alienazione affrontata dalla teoria critica francofortese e dall’esistenzialismo europeo.

Nell’epoca in cui ha grande sviluppo la narrativa rivolta al mondo industriale (escono nel 1957 e nel 1959 Tempi stretti e Donnarumma all’assalto di Ottiero Ottieri, che ragiona sulla Noia nel saggio romanzesco L’irrealtà quotidiana del 1966); e nel momento in cui la rivista Il Menabò di Vittorini e Calvino ridiscute negli anni del Miracolo economico il ruolo dell’intellettuale e della letteratura rilanciandone la “forte tensione conoscitiva e critica” (Zinato 2015, p. 53), Moravia fa la propria “diagnosi [...] della società neocapitalistica” (Sanguineti 1962, p. 121) con un esame impietoso della condizione individuale, e dunque esistenziale, consumata nella quotidianità. Non a caso l’autore mette in stretta correlazione Gli indifferenti (1929) a La noia, romanzi che esprimono la crisi del soggetto dentro le mutate coordinate storiche e culturali di inizio secolo e degli anni sessanta: l’indifferenza e la noia indicano per Moravia la medesima “angoscia di vivere” alla base della “corrente esistenzialistica” a cui sente di appartenere e da cui deriverebbe il romanzo novecentesco (Moravia 1990, p. 191).

Simone Casini, che ha ricostruito la complessa genesi dell’opera lavorando su diverse e incomplete redazioni dattiloscritte, rileva il primo accenno al romanzo in una lettera a Valentino Bompiani dell’agosto 1957.* Con ogni probabilità è di poco precedente a questa data la prima scaletta, o “schema”, della Noia qui riprodotta (cfr. p. 293). Gli appunti di Moravia presentano molte differenze rispetto al romanzo nella sua versione definitiva; eppure includono i grandi nuclei tematici attorno a cui si sarebbe costruita la trama, riconoscibili in un trittico di parole-chiave, due delle quali isolate sulla pagina in modo da renderle evidenti: Amore, Noia e Denaro. Il denaro, motivo balzachiano per eccellenza che Moravia trascina dentro il decennio sessanta per verificare i nuovi rapporti tra individui e tra individuo e società, è quello con cui il “corruttore” (il futuro Dino) tenta di sedurre la propria amante divisa fra due uomini. La giovane, scissa tra “slanci ideali” e “istinto di conservazione”, prefigura l’ambiguità di Cecilia, “donna e bambina nello stesso tempo”, in un contrasto memore delle “sfingi o arpie” nei cui corpi si fondono elementi umani e animali (La noia, pp. 86 e 254).

È descritta con caratteristiche animali anche la protagonista di Valérie, il racconto uscito parallelamente al romanzo su L’Europa Letteraria e presentato nella prima delle tre Appendici a corredo dell’edizione. Tonino Tornitore ha formulato alcune ipotesi su Un episodio inedito del romanzo “La noia” – Valérie: è possibile che in origine fosse un frammento della Noia nella versione non definitiva oppure un “microcosmo” narrativo da cui sarebbe poi esploso il romanzo (cfr. Tornitore 1999). In ogni caso Valérie fa luce su alcuni aspetti non secondari della Noia.

La donna, a cui si deve il titolo, è blindata dietro un mutismo da interpretarsi quale “sfida” nei confronti del pittore che narra la vicenda, incarna il “sentimento di incomunicabilità” e si muove nel “territorio dell’incomunicabilità”. La ridondanza del concetto nello spazio del racconto si spiega se rapportata al romanzo poiché, nelle riflessioni del prologo, dopo essere stata interpretata come “malattia degli oggetti”, la noia si riassume proprio nell’incapacità di comunicare. Questa impotenza nel creare un legame riduce i due protagonisti del racconto a “oggetti inanimati”, a “due sassi collocati l’uno accanto all’altro”. La metamorfosi viene spiegata con chiarezza da Moravia nella Prefazione all’Uomo come fine, la raccolta saggistica che nel 1963 si pone a “difesa dell’umanesimo” e che si colloca, a un anno dall’uscita dei racconti dell’Automa (1962), all’interno di un percorso artistico dall’assoluta coerenza argomentativa intrapreso con La noia:

L’uomo del neocapitalismo con tutti i suoi frigoriferi, i suoi supermarket, le sue automobili utilitarie, i suoi missili e i suoi set televisivi è tanto esangue, sfiduciato, devitalizzato e nevrotico da giustificare coloro che vorrebbero accettarne lo scadimento quasi fosse un fatto positivo e ridurlo a oggetto tra gli oggetti. [...] Sotto apparenze scintillanti e astratte, si celano, a ben guardare, la noia, il disgusto, l’impotenza e l’irrealtà (Moravia 1963, p. 6).

La Prefazione si rivela utile per attraversare il racconto e alcune pagine del romanzo. L’automobile e la televisione sono “cose” ad alto tasso simbolico nella Noia (cfr. pp. 27-28 e 43); similmente lo è il telefono, che già in Valérie consente l’unico dialogo, anche se l’“imbuto del ricevitore” pare risucchiare ogni traccia di un rapporto reale, come confessato dalla voce narrante: “finiremo così: ai due capi di un filo telefonico senza neppure vederci, nonché udirci o parlarci”, in una regressione degradante.

Sia nella Noia che in Valérie il telefono ha una doppia valenza. Può essere complice dell’ipocrisia: permettendo “l’anonimato, l’ambiguità, l’invisibilità”, è funzionale “nelle storie che svolgono il tema dell’incomunicabilità, come negli Indifferenti”, e tanto più nella Noia; inoltre da Proust in poi – e La noia ha tra i modelli dichiarati À la recherche du temps perdu – il telefono ha un vero e proprio ruolo “nella relazione affettiva [...] e erotica” tra annullamento delle distanze, logoramento nell’attesa e verifiche dettate dalla gelosia (Ricci 2008, pp. 199 e 201). Se tutto questo si presenta in filigrana nel racconto, si mostra con evidenza nel romanzo dove al telefono viene attribuito un ruolo narrativo; è “l’elemento essenziale dei rapporti con Cecilia”, l’oggetto con cui Dino esercita la propria gelosia, insieme conferma “l’inafferrabilità” della donna vissuta come mera voce senza poterne ricomporre integralmente la persona (La noia, pp. 168 e 170). Il telefono sancisce la debolezza del linguaggio, anch’esso colonizzato dalla noia e senza alcuna presa sulla realtà. Per tale motivo quello di Cecilia è di una “semplicità torbida, enigmatica e insufficiente” (La noia, p. 90) ed è costruito, con lo sguardo a Wittgenstein, sulla tautologia che, nella sua verità scontata e paradossale, sottolinea di volta in volta l’inefficacia della parola.

Moravia ritorna su questi argomenti anche nella critica cinematografica, in particolare recensendo per ben due volte La notte (1961), il secondo film della celebre trilogia che Antonioni realizza sul tema dell’incomunicabilità. Gli scritti appaiono sull’Espresso a pochi mesi dalla pubblicazione della Noia, il 19 e il 26 febbraio 1961, e nel momento in cui il romanzo si trova al centro del dibattito letterario, sembrano completare alcune riflessioni trasfigurate nella finzione. In un dialogo fra cinema e letteratura, La notte viene considerato da Moravia “il film forse più perfetto di Antonioni” in grado di convertire sullo schermo “modi e immagini che sono propri alla narrativa e alla poesia moderne”. Soprattutto “il tema dell’incomunicabilità e dell’impotenza ad agire che è proprio oggi alle società dell’Occidente” viene affrontato dal regista mediante un romanziere di successo che, similmente al pittore Dino, ben esprime la crisi della società moderna (Moravia 2010, pp. 379 e 383).

Quest’idea di crisi è riassunta nel titolo emblematico dell’autointervista che Moravia pubblica sull’Espresso quattro giorni prima dell’uscita del romanzo e che per la prima volta è proposta nell’Appendice II. L’Occidente s’annoia rilancia nell’estrema sintesi il tema del tramonto della civiltà occidentale, il cui cammino viene tracciato nel prologo del romanzo all’interno di un progetto ambizioso sulla riscrittura della storia universale da parte di Dino: la vera “molla” della Storia non coinciderebbe con il progresso né con la naturale evoluzione umana, bensì con la noia, motore della nascita e del crollo di ogni civiltà.

Le domande e le risposte moraviane consegnano il romanzo nelle mani dei lettori, collocandolo rispetto alla svolta del proprio percorso narrativo e alla materia trattata. L’intervista, ricca di suggerimenti, si struttura in due parti che riguardano il contenuto e il genere del romanzo.

All’autore preme innanzitutto evidenziare come la noia – argomento di cui si ricorda la lunga tradizione filosofico-letteraria con Pascal e Leopardi – sia “il prodotto d’una determinata società” o, ancora più chiaramente, il risultato oppure il sintomo “di un’alienazione”. Quest’ultimo concetto, con la mediazione di Moravia, si fa chiaro e duplice: l’alienazione esprime in parallelo la crisi dell’individuo con la realtà e la crisi dell’artista con la sua materia. In questa prospettiva la pittura, mentre fornisce un “angolo visuale” da cui guardare la storia d’amore al centro del romanzo, manifesta nel concreto, con la sua plasticità, la crisi che investe “tutti i campi dell’arte”.

Moravia nel corso del tempo si dedica come critico alle arti visive, le declina nella scrittura con modalità e significati differenti. All’interno del romanzo l’astrattismo di Dino, contrapposto alla pittura figurativa del rivale Balestrieri, denuncia implicitamente la perdita di “una credenza nella realtà oggettiva”. Sono gli anni in cui lo scrittore coglie nella pittura informale, rapidamente inclusa nelle mode e nel mercato, una delle forme estetiche omologhe al neocapitalismo.

Ma l’antitesi tra pittura figurativa e pittura astratta è anche un modo per alludere alla ricerca attorno al genere romanzo in quella precisa fase storica, tra realismo e sperimentalismo. La noia viene considerato da Moravia un “romanzo saggistico” necessario per “sfuggire alla crisi”. Già alla fine degli anni venti, durante la scrittura degli Indifferenti e a partire dall’articolo del 1927 C’è una crisi del romanzo?, Moravia si interroga precocemente sulle sorti e sulla forma del romanzo dopo gli esempi di Svevo e Pirandello in Italia, di Proust e Joyce in Europa; il problema si ripropone con la medesima forza a distanza di trent’anni, nell’epoca della mercificazione dell’arte e del declassamento della figura intellettuale, quando lo scrittore oramai maturo prende a riferimento, con una ricerca in apparenza controtempo, proprio quegli autori che hanno fatto dello scavo interiore il loro tratto distintivo. Se il cinema, grazie alla potenza dell’immagine, ha sottratto territori immensi alla rappresentazione letteraria, i grandi narratori della modernità offrono gli strumenti per reagire alla “crisi del romanzo realistico” in quanto “nessun film potrà mai darci le analisi di Proust oppure i contrasti ideologici di Dostoievski”, sprofondando nella vertigine dell’io. Da questa convinzione, espressa già un anno prima nel rispondere all’inchiesta sul romanzo lanciata da Nuovi Argomenti, deriva anche l’uso dell’io narrante che al pari dell’astrattismo nega l’esistenza di una realtà oggettiva e condivisa.

Questa è la lettura che lo scrittore dà dell’opera. Nell’Appendice III si è scelto di inserire due nomi autorevoli che si sono pronunciati sul romanzo.

Il primo è Eugenio Montale che pubblica la sua recensione sul Corriere della Sera il giorno dell’uscita del libro, dopo averlo letto in bozze. Il testo ha le caratteristiche della critica montaliana di stampo giornalistico; lo si coglie tanto nella lunga parte riassuntiva particolarmente attenta alle esigenze del lettore quanto nel dare notizia dell’autointervista moraviana che viene illustrata negli snodi principali.

Per Montale La noia ha “pregio d’arte”, anche per la capacità di descrivere Roma come una “moderna città-tipo”; pur affondando ancora le radici nel romanzo ottocentesco, può essere comparata a Senilità, anche se Dino non dimostra di essere una “figura poetica” al pari di Emilio Brentani forse a causa della pervasività del pensiero, e a Lolita per quanto riguarda la figura di Cecilia, un’altra “bambina cresciuta troppo in fretta e iniziata troppo presto alle esperienze muliebri” (La noia, p. 54).

La recensione offre notevoli spunti di riflessione e non solo sul piano letterario. È il periodo in cui Montale si interroga sulle Magnifiche sorti dell’uomo, accusandolo di integrarsi in una “massicciata collettiva” che impone di “vivere come oggetti” e di salvaguardare la sola “individualità fisica” (Montale 1966, pp. 215 e 219); nel contempo denuncia l’abuso banalizzante dei concetti di alienazione e di noia, frutto quest’ultima “di una supina acquiescenza a tutti gli aspetti peggiori del nostro tempo” (ivi, pp. 235 e 238). Montale crede che l’attività critica non possa prescindere da una prospettiva civile, ed è verificabile anche in occasione dell’uscita della Noia: coglie nel romanzo la presenza di una sorta di “cartella clinica”, quella di una società piagata da una certa “ossessione del brutto”, paralizzante e nichilista. Come spiegherà Moravia nella già citata Prefazione all’Uomo come fine, il male rispecchiato dalle arti coincide con “la scoperta, la rappresentazione, l’espressione, la descrizione e l’ossessione del nulla” del mondo moderno, perlopiù antiumanista (Moravia 1963, p. 6).

A un orizzonte più ampio, e alla convinzione che la letteratura possa rivelare il destino dell’uomo, rimandano anche le pagine di Giacomo Debenedetti estrapolate dal Romanzo del Novecento. All’inizio dell’anno accademico 1961-1962 il critico prende a modello due romanzi in grado di esprimere “alcuni connotati sintomatici del romanzo moderno”: Il Dottor Živago (1957) e La noia.

Debenedetti è convinto che Pasternak, apparentemente legato ad alcuni aspetti romanzeschi riferibili alla grande tradizione ottocentesca in cui è ancora possibile una relazione tra l’io e il mondo, ometta nella scrittura passaggi, situazioni e nessi che determinano “gli incontri” fra i personaggi: in questo modo “i concatenamenti razionali della narrativa realistica” saltano e vengono sostituiti da “combinazioni irrazionali della fiaba”. Pasternak dimostra comunque di privilegiare alcuni fatti e non altri, li sceglie entro la realtà, mentre Moravia li nega. Non valorizza una situazione che merita di essere raccontata, ma ne identifica una fra le possibili dentro il banale quotidiano, i cui limiti riflettono i limiti stessi dell’individuo. Mediante i tipici tratti della sua critica comparativa, Debenedetti chiarisce l’analisi con il ricorso alla fisica moderna: se Pasternak individua ancora una “particolare conflagrazione di atomi [...] avvenuta in una determinata bomba atomica”, come quella di Hiroshima, Moravia addita una “delle innumerevoli conflagrazioni di atomi”, restituendoci un’idea di realtà non conoscibile, frammentata e puntiforme, in cui vige il principio di indeterminazione. In questa dimensione di mancata armonia dell’uomo con se stesso e con il mondo, il personaggio di Dino esprime quello che per Debenedetti è “il compito più vistoso dell’arte: quello di mostrare, di illuminare dei tipici tracciati del destino umano, di rivelarci per immagini sensibili, figure e vicende concrete, il senso della vita” (Debenedetti 1971, p. 469). L’io letterario si fa collettivo, capta i segni del disagio, si contamina con il mondo.

Alberto Moravia non abiura la forza della letteratura negli anni del Miracolo economico; ancora una volta non cela la verità, piuttosto la disseziona non limitandosi alla sola registrazione dei dati oggettivi. Addirittura La noia tenta, nell’epilogo, di proporre un “significato”, espresso nell’autointervista; Dino, dopo aver tentato il suicidio, comprende il valore della contemplazione: questa permette una verifica di ciò che esiste oltre al sé, oltre l’alienazione, rompendo il circolo vizioso del possesso, amoroso e non solo. Non è una semplice rinuncia all’azione poiché nel libro vi è il riconoscimento della necessità vitale dell’esperienza e della conoscenza, anche nella delusione.

La noia è un romanzo che ripropone i conflitti individuali e sociali così vicini a quelli odierni; rilancia questioni, riabilita parole indispensabili per interpretare questo nostro Occidente chiuso e globalizzato, intorpidito e aggressivo, con tutte le sue contraddizioni, da rimuovere perché sempre più evidenti. Forse bisognerebbe chiedersi se l’Occidente si annoia ancora.

La presente edizione è arricchita da tre Appendici che integrano la lettura dell’opera.

L’Appendice I raccoglie Un episodio inedito del romanzo “La noia” – Valérie, il racconto pubblicato poco dopo l’uscita del romanzo sulla rivista L’Europa Letteraria (5-6, dicembre 1960, pp. 15-19) e riproposto a cura di Tonino Tornitore nelle edizioni Tascabili Bompiani a partire dal 1999.

L’Appendice II propone per la prima volta l’autointervista rilasciata da Moravia quattro giorni prima della pubblicazione della Noia: con il titolo L’Occidente s’annoia esce su L’Espresso, 20 novembre 1960, p. 13.

Nell’Appendice III si presentano due autorevoli interventi critici sul romanzo: la prima recensione all’opera firmata da Eugenio Montale sul Corriere della Sera del 24 novembre 1960 (poi confluita in Eugenio Montale, Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, tomo II, a cura di Giorgio Zampa, Milano, Mondadori, 1996, pp. 2350-2355); le pagine che Giacomo Debenedetti dedica alla Noia in Il romanzo del Novecento. Quaderni inediti (presentazione di Eugenio Montale, Milano, Garzanti, 1971, pp. 114-121).

Provengono dalle carte personali dell’autore (Roma, Archivio Associazione Fondo Alberto Moravia) la prima “scaletta” della Noia e il biglietto da visita con aggiunte autografe di Alberto Arbasino a cui si fa riferimento nella Nota critica.

Abbreviazioni bibliografiche

Le abbreviazioni ricorrono nella prima parte della Nota critica.

Casini 2007

Simone Casini, Note ai testi, in Alberto Moravia, Opere/4. Romanzi e racconti 1960-1969, a cura e con cronologia di Simone Casini, introduzione di Gianni Turchetta, Milano, Bompiani, 2007, pp. 1607-1695.

Debenedetti 1971

Giacomo Debenedetti, Il romanzo del Novecento. Quaderni inediti, prefazione di Eugenio Montale, Milano, Garzanti, 1971.

Manica 2004

Raffaele Manica, Moravia, Torino, Einaudi, 2004.

Montale 1966

Eugenio Montale, Auto da fé, Milano, Il Saggiatore, 1966.

Moravia 1963

Alberto Moravia, L’Uomo come fine, Milano, Bompiani, 1963.

Moravia 1986

Alberto Moravia, Breve autobiografia letteraria, in Idem, Opere 1927-1947, a cura e con introduzione di Geno Pampaloni, Milano, Bompiani, 1986, pp. VII-XXXIII.

Moravia 1990

Alberto Moravia, Alain Elkann, Vita di Moravia, Milano, Bompiani, 1990.

Moravia 2010

Alberto Moravia, Cinema italiano. Recensioni e interventi 1933-1990, a cura di Alberto Pezzotta e Anna Gilardelli, Milano, Bompiani, 2010.

Ricci 2008

Francesca Ricci, Telefono, in Oggetti della letteratura italiana, a cura di Gian Mario Anselmi e Gino Ruozzi, Roma, Carocci, 2008.

Sanguineti 1962

Edoardo Sanguineti, Alberto Moravia, Milano, Mursia, 1962.

Siciliano 1971

Enzo Siciliano, La noia, in Alberto Moravia, Enzo Siciliano, Moravia, Milano, Longanesi, 1971; nuova edizione ampliata Enzo Siciliano, Alberto Moravia, vita e opere di un romanziere, Milano, Bompiani, 1982, pp. 149-156.

Tornitore 1999

Tonino Tornitore, Nota a Alberto Moravia, La noia (1960), Milano, Bompiani (Edizione I grandi Tascabili), 19998, pp. 359-362.

Turchetta 2007

Gianni Turchetta, Letteratura come coscienza, introduzione a Alberto Moravia, Opere/4. Romanzi e racconti 1960-1969, a cura e con cronologia di Simone Casini, Milano, Bompiani, 2007, pp. VI-XLII.

Zinato 2015

Emanuele Zinato, L’esperienza del “Menabò”, in Letteratura come storiografia? Mappe e figure della mutazione italiana, Macerata, Quodlibet, pp. 41-53.

Alberto Moravia, “schema” della Noia Archivio Fondo Alberto Moravia

Alberto Moravia, “schema” della Noia
Archivio Fondo Alberto Moravia

* Due stesure della Noia, precedenti a quella definitiva, affiancano il romanzo nel quarto volume dell’opera omnia di Moravia a cura di Simone Casini (Alberto Moravia, Opere/4. Romanzi e racconti 1960-1969, a cura e con cronologia di Simone Casini, introduzione di Gianni Turchetta, Milano, Bompiani, 2007).