Note

Tra i numerosi e validi contributi sulla depressione che hanno influenzato questo libro vorrei citare: A Mood Apart di Peter Whybrow, apprezzabile e agevole; Una mente inquieta e Rapida scende la notte: capire il suicidio di Kay Redfield Jamison, commovente; Sole nero: depressione e malinconia di Julia Kristeva, ermetico e a tratti brillante; Born Under Saturn di Rudolph e Margot Wittkower e Melancholia and Depression di Stanley Jackson, rigoroso. Le citazioni sono tratte da opere edite o da interviste personali effettuate tra il 1995 e il 2000.

Prefazione

1. Anatomy of Melancholy, in «The New Yorker», 12 gennaio 1998.

2. Graham Greene, Vie di scampo, p. 273.

3. L’azienda non ha preso parte alla sintesi del citalopram, sebbene abbia contribuito a produrre l’enantiomero.

4. Kay Redfield Jamison, Martha Manning e Meri Danquah sono tra gli autori che hanno testimoniato la sofferenza legata a queste tematiche.

I. La depressione

1. I termini depressione e melanconia sono molto generici e, malgrado gli sforzi di taluni autori per distinguerli, sono sinonimi. Il termine depressione maggiore, tuttavia, si riferisce a una condizione psichiatrica descritta alla voce Major Depressive Disorder del DSM-IV, pp. 339-45.

2. L’episodio è stato citato in una conferenza di Elaine Pagels.

3. Virginia Woolf, La camera di Jacob, pp. 154 e 185.

4. Sul concetto di «morte legale» cfr. Sherwin Nuland, Come moriamo.

5. Si tratta dell’anedonìa, ossia «l’incapacità di provare piacere», secondo la definizione che ne dà Francis Mondimore in Depression: The Mood Disease, p. 22.

6. Si veda l’edizione del 1989 del Comprehensive Textbook of Psychiatry, p. 870.

7. Entrambe le citazioni di Schopenhauer sono tratte da Essays and Aphorisms, pp. 42 e 43.

8. La cifra compare nel sito Web del National Institute of Mental Health (NIMH): www.nimh.nih.gov/depression/index1.htm. Il fatto che 2,5 milioni di bambini soffrano di depressione può essere dedotto dalle statistiche. The MECA Study di D. Shaffer et al., apparso nel «Journal of American Academy of Child and Adolescent Psychiatry», 35, 7, 1996, ha scoperto che circa il 6,2 per cento dei giovani dai 9 ai 17 anni ha presentato un disturbo dell’umore nell’arco di un semestre, e che il 4,9 per cento ha sofferto di un disturbo depressivo maggiore. Quest’ultima percentuale, riferita alle statistiche del censimento del 1990 per i bambini dai 5 ai 17 anni (circa 45 milioni), porta a una stima approssimativa di 2,5 milioni. Sono debitore di queste informazioni a Faith Bitterolf e alla Sewickley Academy Library.

9. La cifra è tratta dal sito Web dell’NIMH: www.nimh.nih.gov/publicat/manic.cfm.

10. Che la depressione unipolare sia la causa principale d’invalidità negli Stati Uniti e in tutto il mondo per le persone di età superiore ai cinque anni è detto nel sito Web dell’NIMH: www.nimh.nih.gov/publicat/invisible.cfm. Dal sito Web www.nimh.nih.gov/publicat/burden.cfm è invece tratta la statistica che definisce la depressione maggiore la seconda grave malattia dei paesi avanzati.

11. Si veda a questo proposito il World Health Report 2000 dell’Organizzazione mondiale della Sanità, disponibile nel sito: www.who.int/whr/2000/index.htm. L’informazione si trova nella Annex Table 4 ed è valida per i casi di cancro del polmone e della pelle, per determinate fasce di mortalità nelle Americhe e nel Mediterraneo orientale, nonché per tutte le fasce di mortalità in Europa, Asia sudorientale e Pacifico occidentale. Specificamente per la Annex Table 4 si veda il sito: www.who.int/whr/2000/en/statistics.htm.

12. L’idea che la malattia somatica mascheri la depressione è ormai accettata. Jeffrey De Wester, nel suo articolo Recognizing and Treating the Patient with Somatic Manifestations of Depression, pubblicato nel «Journal of Family Practice», 43, suppl. 6, 1996, p. 54, scrive che mentre «è stato stimato che il 77 per cento delle visite psichiatriche negli Stati Uniti avviene in una struttura di assistenza primaria … meno del 20 per cento di questi pazienti lamenta sintomi psicologici o di sofferenza». Elizabeth McCauley et al., nell’articolo The Role of Somatic Complaints in the Diagnosis of Depression in Children and Adolescents, apparso nel «Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry», 30, 4, 1991, riferisce che «la somatizzazione è stata documentata come una delle modalità di manifestazione della depressione, soprattutto negli individui e/o nelle culture dove il riconoscimento e la manifestazione delle emozioni non sono accettate», p. 631. Cfr. anche Remi Cadoret et al., Somatic Complaints. Harbinger of Depression in Primary Care, in «Journal of Affective Disorders», 2, 1980.

13. Le percentuali riferite si possono reperire in D.A. Regier et al., The De Facto Mental and Addictive Disorders Service System. Epidemiologic Catchement Area Prospective 1-year Prevalence Rates of Disorders and Services, in «Archives of General Psychiatry», 50, 2, 1993, p. 91. Secondo lo studio, «quanti soffrono di depressione maggiore unipolare presentano un tasso intermedio di utilizzo del servizio di igiene mentale; di essi circa la metà (il 49 per cento) ha fatto ricorso alla consulenza di professionisti: il 27,8 per cento ha fatto ricorso al settore specialistico [specialista in igiene mentale/dipendenze] e il 25,3 per cento al settore assistenziale primario [medico generico]».

14. L’affermazione è contenuta in Jorgin Thakore e David John, Prescription of Antidepressants by General Practitioners: Recommendations by FHSAs and Health Boards, in «British Journal of General Practice», 46, 1996.

15. Che la depressione venga riconosciuta solo nel 40 per cento dei casi tra gli adulti e solo nel 20 per cento dei casi tra i bambini è stato rilevato da Steven Hyman, il direttore dell’NIMH, intervistato il 29 gennaio 1997.

16. Il dato è tratto da Joseph Glenmullen, Prozac Backlash, p. 15.

17. Gli indici di mortalità per la depressione sono stati ampiamente studiati, ma i risultati non sono del tutto concordi. La percentuale del 15 per cento era stata originariamente indicata da S.B. Guze e E. Robbins in Suicide and Affective Disorders, in «British Journal of Psychiatry», 117, 1970, ed è stata confermata da Frederick Goodwin e Kay Jamison in un’esaustiva analisi di trenta studi contenuta in Malattia maniaco-depressiva. Le percentuali inferiori si basano sul lavoro di G.W. Blair-West, G.W. Mellsop e M.L. Eyeson-Annan: Down-rating Lifetime Suicide Risk in Major Depression, in «Acta Psychiatrica Scandinavica», 95, 1997. Questo studio ha dimostrato che, considerando le stime attuali dei livelli di depressione e applicando una mortalità del 15 per cento, risulterebbe un numero complessivo di suicidi almeno quattro volte maggiore di quanto documentato. Alcuni ricercatori hanno di recente suggerito un tasso del 6 per cento, ma esso è stato stimato in un campione di popolazione che sembra contenere un numero eccessivamente alto, e perciò fuorviante, di pazienti ricoverati (cfr. H.M. Inskip, E. Clare Harris e Brian Barraclough, Lifetime Risk of Suicide for Affective Disorder, Alcoholism, and Schizophrenia, in «British Journal of Psychiatry», 172, 1998). Il lavoro più recente è quello di J.M. Bostwick e S. Pancratz, Affective Disorders and Suicide Risk: a Re-examination, in «American Journal of Psychiatry» (in corso di stampa al momento della pubblicazione di questo libro). Esso calcola una percentuale del 6 per cento per i depressi ospedalizzati, del 4,1 per cento per quanti abbiano subito qualche ricovero e del 2 per cento per i soggetti che non hanno subito alcun ricovero. Va ricordato che tali calcoli comportano problemi statistici complicati e che diversi metodi di stima della mortalità hanno prodotto risultati differenti, perlopiù superiori a quelli di Bostwick e Pancratz.

18. I valori sono tratti da Cross-National Collaborative Group, The Changing Rate of Major Depression, in «Journal of the American Medical Association», 268, 21, 1992, fig. 1, p. 3100.

19. Il fenomeno dell’abbassamento della soglia d’età è rilevato in D.A. Regier et al., Comparing Age at Onset of Major Depression and Other Psychiatric Disorders by Birth Cohorts in Five U.S. Community Populations, in «Archives of General Psychiatry», 48, 9, 1991.

20. Cfr. a questo proposito Naomi R. Wolf, The Beauty Myth.

21. Herman Spitz, The Raising of Intelligence, p. 4: «Nella scala di Wechsler il lieve ritardo è indicato da un QI compreso da 55 a 69, mentre nella scala di Stanford Binet esso varia da 52 a 67».

22. Si tratta di: buspirone e olanzapina (bianche), venlafaxina a effetto immediato (rosa), venlafaxina a effetto ritardato (rosso scuro) e bupropione (turchese).

23. L’affermazione è contenuta in numerosi studi. Si veda per esempio H. Irene Ball et al., Update on the Incidence and Mortality from Melanoma in the United States, in «Journal of the American Academy of Dermatology», 40, 1999, p. 35, dove si rileva che «negli ultimi decenni, il melanoma è diventato molto più comune; l’aumento dei tassi d’incidenza e di mortalità è stato tra i maggiori fra i vari tipi di cancro».

24. Cfr. anche il cap. VIII.

25. Gli orrori dei khmer rossi sono ampiamente documentati e costituiscono anche il tema del film Urla dal silenzio.

26. La citazione compare in Rapida scende la notte: capire il suicidio di Kay Jamison.

II. Le crisi

1. Ho descritto quel periodo nel mio primo libro The Irony Tower e in successivi articoli pubblicati in «The New York Times Magazine»: Three Days in August, 29 settembre 1991, Artist of the Soviet Wreckage, 20 settembre 1992, e Young Russia’s Defiant Decadence, 18 luglio 1993.

2. Si trattava della Middle Russian Elevation.

3. Gerard Richter, The Daily Practice of Painting, p. 122.

4. L’articolo, Defiantly Deaf, venne pubblicato in «The New York Times Magazine», 28 agosto 1994.

5. L’ipotesi è stata avanzata a più riprese e spiegata in Peter Whybrow, A Mood Apart, pp. 153-65.

6. Le percentuali si basano, a mio parere, su studi scientifici complessi e ancora non convalidati, perciò dimostrano ampie discrepanze. Ho tuttavia tratto tali statistiche, indicative del consenso generale, dal saggio di Eric Frombonne Depressive Disorders: Time Trends and Possible Explanatory Mechanisms, in Michael Rutter e David J. Smith, Psychosocial Disorders in Young People, p. 576.

7. Non mi dilungo sulla malattia maniaco-depressiva; è un argomento che richiederebbe un lavoro a sé. Per una trattazione esaustiva si veda Fred Goodwin e Kay Jamison, Malattia maniaco-depressiva.

8. Cfr. Julia Kristeva, Sole nero: depressione e melanconia.

9. La poesia di Emily Dickinson, una delle mie preferite, è contenuta nella raccolta Tutte le poesie, pp. 294-95.

10. La citazione di Daphne Merkin è contenuta nell’articolo intitolato The Black Season, apparso in «The New Yorker», 8 gennaio 2001, p. 37.

11. La poesia è inedita.

12. Leonard Woolf, Beginning again, pp. 163-65.

13. La descrizione di quanto accade durante una fase depressiva è tratta da diverse fonti, troppo numerose per essere citate; lo stesso vale per le innumerevoli interviste a dottori, clinici e specialisti. Per una descrizione essenziale di tali problemi, si veda A Mood Apart di Peter Whybrow, pp. 150-67. Anche l’edizione dell’aprile 1999 di Psychology Today offre una sintesi dei meccanismi biologici della depressione. L’articolo sulla neurobiologia della depressione di Charles Nemeroff The Neurobiology of Depression, apparso in «Scientific American» del giugno 1998, illustra in modo molto dettagliato, ma chiaro e non accademico, le complesse questioni che qui sono state messe in rilievo.

14. L’ipotesi è suggerita da Fred Goodwin e Kay Jamison in Malattia maniaco-depressiva.

15. Oggi numerosi ricercatori sostengono che le forme depressive si aggravano nell’arco della vita. Ho discusso la questione in dettaglio con Robert Post dell’NIMH e con John Greden dell’Università del Michigan.

16. Kay Jamison, Rapida scende la notte: capire il suicidio, p. 177.

17. La tesi è in gran parte ispirata dal lavoro di Suzanne Weiss e Robert Post. Sul fenomeno e sul suo utilizzo quale modello per i disturbi affettivi si veda il loro articolo: Kindling: Separate vs. Shared Mechanisms in Affective Disorder and Epilepsy, in «Neuropsychology», 38, 3, 1998.

18. Juan López et al., Regulation of 5-HT Receptors and Hypothalamic-Pituitary-Adrenal Axis: Implications for the Neurobiology of Suicide, in «Annals of the New York Academy of Science», 836, 1997. Per quanto concerne depressione, sistema monoaminico e cortisolo cfr. Juan López et al., Neural Circuits Mediating Stress, in «Biological Psychiatry», 46, 1999.

19. La descrizione delle risposte allo stress nella depressione si basa sul lavoro svolto da Juan López ed Elizabeth Young presso l’Università del Michigan, e da Ken Kendler presso il Medical College of Virginia di Richmond. Le spiegazioni concernenti la depressione sono tante quante le stelle del cielo, ma credo che il modello dello stress sia particolarmente convincente.

20. Cfr. O.M. Wolkowitz et al., Antiglucocorticoid Treatment of Depression: Double-blind Ketoconazole, in «Biological Psychiatry», 45, 8, 1999.

21. La ricerca sui babbuini è stata condotta da Robert Sapolsky e mi è stata illustrata durante un’intervista a Elizabeth Young. Per l’indagine sui controllori di volo cfr. R.M. Rose et al., Endocrine Activity in Air Traffic Controllers at Work. II. Biological, Psychological and Work Correlates, in «Psychoneuroendocrinology», 7, 1982.

22. Che il cuore si indebolisca dopo un infarto miocardico è noto. Tuttavia, la gravità del danno dipende dalle dimensioni dell’area di tessuto cardiaco necrotico. Se i dati indicano che le lesioni isolate non aumentano le probabilità di recidiva in un malato, per le cardiopatie diffuse è quasi certamente così. Ciononostante, le condizioni cardiache di chiunque abbia subito un infarto vanno monitorate con attenzione; in tali casi vanno inoltre attuate le terapie atte a prevenire le recidive. Ringrazio il dottor Joseph Hayes della Cornell University per l’assistenza fornitami al riguardo.

23. Juan López et al., Regulation of 5-HT1A Receptor, Glucocorticoid and Mineralcorticoid Receptor in Rat and Human Hippocampus: Implications for the Neurobiology of Depression, in «Biological Psychiatry», 43, 1998. Il lavoro sui livelli di cortisolo e sull’aumento di adrenalina nei suicidi è pubblicato in: Regulation of 5-HT Receptors and the Hypothalamic-Pituitary-Adrenal Axis: Implications for the Neurobiology of Suicide, in «Annals of the New York Academy of Sciences», 836, 1997.

24. Le conseguenze dello stress continuato sul cervello sono descritte in molti articoli, parecchi a firma di Robert Sapolsky. Per la risposta del cervello allo stress si veda Robert Sapolsky et al., Hippocampal Damage Associated with Prolonged Glucocorticoid Exposure in Primates, in «Journal of Neuroscience», 10, 9, 1990. Per l’interazione tra stress biologico e stato sociale si veda, dello stesso autore, Stress in the Wild, in «Scientific American», 262, 1, 1990, e Social Subordinance as a Marker of Hypercortisolism: Some Unexpected Subtleties, in «Annals of the New York Academy of Sciences», 771, 1995. Le argomentazioni di Greden sull’epidemiologia della depressione maggiore sono contenute nell’articolo di Barbara Burns, et al., General Medical and Specialty Mental Health Service Use for Major Depression, in «International Journal of Psychiatry in Medicine», 30, 2, 2000.

25. La letteratura sugli antidepressivi si basa principalmente su studi a breve termine e indica che l’effetto degli antidepressivi inizia dopo due, quattro settimane e diviene ottimale entro sei settimane. Secondo la mia esperienza personale, occorrono invece molti mesi per ottenere risultati ottimali.

26. Cfr. Mary Whooley e Gregory Simon, Managing Depression in Medical Outpatients, in «New England Journal of Medicine», 343, 26, 2000.

27. L’amico è Dièry Prudent, la cui storia è raccontata nel cap. V.

28. Lo studio di George Brown è pubblicato in varie riviste accademiche; la bibliografia ne riporta una selezione. Per un’introduzione particolarmente valida al problema raccomando il suo saggio Loss and Depressive Disorders, pubblicato in Adversity, Stress and Psychopathology, a cura di B.P. Dohrenwend.

29. Questa fondamentale tesi di Kay Jamison è ben riassunta in una frase del suo libro Rapida scende la notte: capire il suicidio: «La disperazione assoluta della depressione suicida è per sua natura contagiosa e rende impotenti quelli che vorrebbero essere d’aiuto», pp. 260 e sgg.

30. L’idea che il primo episodio depressivo sia strettamente correlato con gli eventi esistenziali e che le ricorrenze della malattia siano via via sempre meno dipendenti da essi è stata espressa in primo luogo da Emil Kraepelin in Manic-Depressive Insanity and Paranoia. La tesi è stata studiata con attenzione, con risultati piuttosto coerenti. Una delle indagini più recenti (cfr. Ken Kendler et al., Stressfull Life Events and Previous Episodes in the Etiology of Major Depression in Women: an Evaluation of the “Kindling” Hypothesis, in «American Journal of Psychiatry», 157, 8, 2000) esamina la letteratura sull’argomento e conferma la scoperta di una «prova forte e coerente di un’interazione negativa. In altre parole, a ogni nuovo episodio depressivo l’associazione tra gli eventi esistenziali stressogeni e l’insorgenza di una crisi depressiva maggiore diventa sempre più debole».

31. Le considerazioni di Tommaso d’Aquino sulla paura sono tratte da Summa Theologie, I-II, q. 25. Ringrazio il dottor John F. Wippel e il dottor Kevin White della Catholic University of America per avermi aiutato a individuare, tradurre e interpretare questi passi.

32. L’interrelazione tra disturbi emotivi, alcolismo e genetica è molto complessa. Per un valido riepilogo dei più recenti studi, posizioni e conclusioni si veda Frederick Goodwin e Kay Jamison, Alcol e uso di droghe nella malattia maniaco-depressiva, in Malattia maniaco-depressiva. Cfr. anche David McDowell e Henry Spitz, Substance Abuse, e Marc Galanter e Herbert Kleber, Trattamento dei disturbi da uso di sostanze: manuale dell’American Psychiatric Association.

33. Si veda l’articolo di Stephen Hall, Fear Itself, in «New York Times Magazine», 28 febbraio 1999, p. 45.

34. Per una trattazione più dettagliata della correlazione tra ansia e sonno si veda T.A. Mellman e T.W. Uhde, Sleep and Panic and Generalized Anxiety Disorders, in The Neurobiology of Panic Disorder, a cura di James Ballanger.

35. Sylvia Plath, La campana di vetro, p. 8.

36. Jane Kenyon, Having It Out with Melancholy, in Constance, p. 25.

37. L’anedonìa, «l’incapacità di provare piacere», secondo la definizione che ne dà Francis Mondimore in Depression: The Mood Disease, p. 22. Si veda al cap. I, la nota 5.

38. Daniil Kharms, Incidence, p. 4.

39. La citazione di Artaud è tratta dal titolo di un suo disegno. Cfr. il catalogo della mostra Antonin Artaud: Works on Paper, 1996, Museum of Modern Art, New York.

40. F. Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby, in Romanzi, p. 846.

41. Jane Kenyon, Back, in Constance, p. 32.

42. Cfr. Emergency Medicine: Concepts and Clinical Practice, a cura di Peter Rosen et al.

III. I trattamenti

1. T.M. Luhrmann, Of Two Minds, p. 7.

2. Idem, p. 290.

3. Russ Newman, dell’American Psychological Association, scrive in una lettera all’editore del «U.S. News & World Report», il 26 aprile 1999: «La ricerca ha rivelato chiaramente che in molti casi di depressione la terapia d’elezione è in realtà costituita da “terapie d’elezione”, ovvero da una combinazione di psicoterapia e farmacoterapia» (p. 8). Uno studio recente è giunto a risultati analoghi; cfr. Martin Keller et al., A Comparison of Nefazodone, the Cognitive Behavioral-Analysis System of Psychotherapy, and their Combination for the Treatment of Chronic Depression, in «New England Journal of Medicine», 342, 20, 2000. Per una sintesi di questa ricerca nella stampa divulgativa, si veda l’articolo di Erica Goode: Chronic-Depression Study Backs the Pairing of Therapy and Drugs, in «The New York Times», 18 maggio 2000. Ellen Frank ha compiuto una serie di studi confrontando le psicoterapie con la farmacoterapia in diversi gruppi specifici. Nella sua indagine geriatrica (Nortriptyline and Interpersonal Psychotherapy as Maintenance Therapies for Recurrent Major Depression, in «Journal of the American Medical Association», 281, 1, 1999) conclude: «Le terapie combinate che si avvalgono di entrambe [le strategie] sembrano essere la soluzione ottimale ai fini del recupero del paziente». Le ricerche iniziali in questo campo (cfr. Gerald Klerman et al., Treatment of Depression by Drugs and Psychotherapy, in «American Journal of Psychiatry», 131, 1974; e Myrna Weissman e Eugene Paykel, The Depressed Woman: A Study of Social Relationships) confermano la miglior efficacia della terapia combinata.

4. Per una descrizione dei metodi della terapia cognitivo-comportamentale si veda Aaron Beck, Depression. Fra le pubblicazioni più recenti, si veda in particolare Mark Williams, The Psychological Treatment of Depression.

5. L’espressione è di Martin Seligman e fa da titolo al suo libro (Learned Optimism) del 1990.

6. La metodologia di base della terapia interpersonale è descritta in Myrna Weissman, John Markowitz e Gerald Klerman, Comprehensive Guide to Interpersonal Psychotherapy.

7. Cfr. Hans Strupp e Suzanne Hadley, Specific vs. Nonspecific Factors in Psychotherapy: A Controlled Study of Outcome, in «Archives of General Pschiatry», 36, 10, 1999. Scrivono gli autori: «I risultati di questa indagine sono semplici e convincenti. I pazienti sottoposti a psicoterapia da parte dei docenti del college hanno dimostrato, mediamente, un tasso di miglioramento pari a quello dei pazienti trattati da psicoterapeuti professionali» (p. 1134).

8. La sezione dedicata ai livelli dei neurotrasmettitori nei depressi è stata ispirata da libri, articoli ed interviste troppo numerosi per poter essere menzionati. Molte di queste idee, tuttavia, sono chiaramente illustrate in A Mood Apart di Peter Whybrow.

9. T. Delgado et al., Serotonin Function and the Mechanism of Antidepressant Action: Reversal of Antidepressant by Rapid Depletion of Plasma Tryptophan, in «Archives of General Psychiatry», 47, 1990; e K. Smith et al., Relapse of Depression After Rapid Depleiton of Tryptophan, in «Lancet», 349, 1997.

10. Per una trattazione chiara ed esaustiva della sintesi e della funzione della serotonina, si veda Peter Whybrow, A Mood Apart, pp. 224-27.

11. La teoria dei recettori è esaurientemente spiegata da David Healey in The Antidepressant Era, pp. 161-63 e 173-77.

12. La funzione indiretta delle sostanze che agiscono sui neurotrasmettitori e il problema dell’omeostasi vengono discussi provocatoriamente da Peter Whybrow in A Mood Apart, pp. 150-67.

13. Gli effetti degli SSRI sul sonno REM sono stati descritti nella relazione di Michael Thase: Sleep and Depression all’APA 2000, la conferenza annuale dell’American Psychiatric Association, il 14 maggio 2000 a Chicago. Gli effetti degli SSRI sulla temperatura cerebrale rientrano nella chimica più complessa della depressione. Si è notato che nella depressione la temperatura corporea è spesso elevata, soprattutto di notte. Si tratta però di un aumento relativo: in realtà nei depressi, di notte, essa si abbassa in misura minore di quanto accade normalmente. Questa temperatura notturna più elevata durante la depressione si associa con altri sintomi di ipereccitazione, come l’insonnia. Che gli antidepressivi la riducano è probabilmente positivo, una sorta di normalizzazione. Alcuni di questi argomenti vengono discussi nella sezione Biological Processes in Depression: An Updated Review and Integration, di Michael Thase e Robert Howland, in The Handbook of Depression, a cura di E. Edward Beckham e William Leber, pp. 213-79.

14. La maggioranza delle informazioni che riguardano le ricerche sugli animali, la separazione dalla madre, l’aggressività e l’alterazione neurobiologica sono tratte da Suicide Research Workshop, un incontro sponsorizzato dall’NIMH, tenutosi il 14-15 novembre 1996. In questo campo esistono tuttavia molte pubblicazioni; quale introduzione al tema raccomando in particolare Gary Kraemer et al., Rearing Experience and Biogenetic Amine Activity in Infant Rhesus Monkeys, in «Biological Psychiatry», 40, 5, 1996.

15. Sono stati condotti molti studi sulla separazione dalla madre e sul cortisolo; si veda Gayle Byrne e Stephen Suomi, Social Separation in Infant Cebus Apella: Patterns of Behavioral and Cortisol Response, in «International Journal of Developmental Neuroscience», 17, 3, 1999; e David Lyons et al., Separation Induced Changes in Squirrel Monkey Hypothalamic-Pituitary-Adrenal Physiology Resemble Aspects of Hypercortisolismin in Humans, in «Psychoneuroendocrinology», 24, 1999. Come gli antidepressivi riescano ad alleviare questa condizione viene spiegato da Pavel Hrdina et al. in Pharmacological Modification of Experimental Depression in Infant Macaques, in «Psychopharmacology», 64, 1979.

16. Lo studio è contenuto in Michael Raleigh et al., Social and Environmental Influences on Blood Serotonin Concentrations in Monkeys, in «Archives of General Psychiatry», 41, 1984. Il fatto che l’aumento della serotonina riduca tali disturbi viene discusso da Michael Raleigh e Michael McGuire in Bidirectional Relationship between Tryptophan and Social Behavior in Vervet Monkeys, in «Advances in Experimental Medicine and Biology», 294, 1991 e da Michael Raleigh et al. in Serotonergic Mechanisms Promote Dominance Acquisition in Adult Male Vervet Monkeys, in «Brain Research» 559, 1991.

17. Cfr. P.T. Mehlman et al., Low CSF 5-HIAA Concentrations and Severe Aggression and Impaired Control in Nonhuman Primates, in «American Journal of Psychiatry», 151, 1994.

18. Michael McGuire e Alfonso Troisi, Darwinian Psychiatry, pp. 93-94 e 172-74.

19. Sanchez et al., The Role of Serotonergic Mechanisms in Inhibition of Isolation-Induced Aggression in Male Mice, in «Psychopharmacology», 110, 1-2, 1993.

20. La frequenza degli effetti collaterali dovuti agli SSRI, soprattutto alla fluoxetina, è controversa. Secondo la maggior parte dei medici e dei clinici, essa è stata radicalmente sottovalutata dalle industrie farmaceutiche nei loro test iniziali, in particolare per quanto riguarda la riduzione del desiderio sessuale e l’anorgasmia.

21. Cfr. Epidemiology, Classification, and Assessment of Sexual Dysfunction, relazione presentata il 13 maggio all’APA 2000 di Chicago.

22. H. George Nurnberg, Management of Antidepressant-Associated Sexual Dysfunction, relazione presentata il 13 maggio all’APA 2000 di Chicago.

23. Per l’elenco completo si veda in idem.

24. Gli l’effetti del sildenafil sulle erezioni notturne e quelli dell’assunzione quotidiana sono descritti in idem.

25. Andrew Nierenberg, Prevalence and Assessment of Antidepressant-Associated Dysfunction; Julia Warnock, Hormonal Aspects of Sexual Dysfunction in Women: Improvement with Hormone Replacement Therapy. Entrambe le relazioni sono state presentate il 13 maggio all’APA 2000 a Chicago.

26. Si deve prestare particolare attenzione nel prescrivere antidepressivi di qualsiasi genere a individui affetti da disturbi maniaco-depressivi. In genere costoro hanno bisogno di assumere uno stabilizzatore dell’umore – il litio o un antiepilettico – insieme con gli antidepressivi.

27. Ringrazio il dottor David McDowell della Columbia University per il suo contributo sul tema della dipendenza da benzodiazepine.

28. I dati sull’efficacia dell’elettroshock variano: Peter Whybrow nel suo libro A Mood Apart cita un valore dell’85-90 per cento (p. 216). Francis Mondimore, in Depression: The Mood Disease, stima un tasso superiore al 90 per cento (p. 65). I numeri che ho citato sono una media approssimativa delle diverse percentuali pubblicate.

29. In Harold Sackein et al., A Prospective, Randomized, Double Blind Comparison of Bilateral and Right Unilateral Electroconvulsive Therapy at Different Stimulus Intensities, in «Archives of General Psychiatry», 57, 5, 2000, si sostiene che l’elettroshock unilaterale destro è meno dannoso, sebbene ugualmente efficace, di quello bilaterale. Si riferisce inoltre che l’elettroshock unilaterale destro, se somministrato al 500 per cento della soglia convulsiva, è efficace quanto quello bilaterale, ma causa meno di un sesto degli effetti collaterali cognitivi del medesimo.

30. Per una discussione generale sulle tecniche dell’elettroshock si veda Francis Mondimore, Depression: The Mood Disease, ed Elliot Valenstein, Cure disperate: illusioni e abusi nel trattamento delle malattie mentali.

31. Stacey Pamela Patton, Electrogirl, in «Washington Post», 19 settembre 1999.

32. Richard Abrams, Electroconvulsive Therapy, p. 75.

33. La Manning stessa mi ha descritto i picchetti, composti da gruppi organizzati, che distribuivano volantini contro «il controllo elettronico delle mente». Un caso simile si registrò a Northampton, nel Massachusetts, durante una manifestazione sponsorizzata da una libreria privata e svoltasi nella biblioteca dello Smith College.

34. Il brano di Ted Kaczynski, noto come Unabomber, è stato tratto dal suo manifesto. Vorrei ribadire che ammiro le sue analisi pur disapprovando in pieno i suoi metodi.

35. Juliet Barker, The Brontës, p. 599. Ringrazio Elaine Reichek, un’artista, per avermi indicato questa citazione.

IV. Le alternative

1. L’osservazione di Čechov è tratta dall’epigrafe alla poesia di Jane Kenyon: Having It Out with Melancholy, in Constance, p. 21.

2. Esistono numerosi studi sulla correlazione tra attività fisica e depressione: uno dei più rigorosi è quello di J.A. Blumenthal et al., Effects of Exercise Training on Older Patients with Major Depression, in «Archives of Internal Medicine», 159, 1999.

3. Per uno studio di agevole lettura sul ruolo antidepressivo della dieta si veda The Food Doctor di Viki Edgson e Ian Marber, pp. 62-65.

4. Il rapporto tra olio di pesce, acidi grassi omega-3 e sintomi depressivi è illustrato da J.R. Calabrese in Fish Oils and Bipolar Disorder, in «Archives of General Psychiatry», 56, 1999.

5. Alla TMS e alla rTMS sono stati attribuiti indici di scarsa efficacia e alti tassi di recidive della depressione. Per un’introduzione generale alla procedura, alla teoria e al metodo della TMS, si veda Eric Hollander, TMS, in «CNS Spectrums», 2, 1, 1997. Per un approccio più specificamente accademico e orientato alla ricerca, si veda W.J. Triggs et al., Effects of Left Frontal Transcranial Magnetic Stimulation on Depressed Mood, Cognition and Corticomotor Threshold, in «Biological Psychiatry», 45, 11, 1999; e Alvaro Pascual-Leone et al., Rapid-Rate Transcranial Magnetic Stimulation of Left Dorsolateral Prefrontal Cortrex in Drug-Resistant Depression, in «Lancet», 348, 1996.

6. Cfr. Norman Rosenthal, Winter Blues.

7. I dati sono tratti da Michael J. Norden, Beyond Prozac: Brain Toxic Lifestyles, Natural Antidotes and New Generation Antidepressants, p. 36. Si calcolano 300 lux per l’illuminazione domestica interna, 10.000 lux per fonti di luce bianca artificiale e 100.000 lux per un giorno di sole.

8. La letteratura sull’EMDR è eterogenea, ma il testo migliore in materia, poiché fa riferimento alla depressione, è Extending EMDR, a cura di Philip Manfield.

9. A Sedona ho soggiornato all’Enchantment Resort.

10. Le interessanti idee di Callahan sono riassunte in Energy Psychology di Fred Gallo. Per la trattazione delle sue tecniche con riferimento ai traumi, si veda Roger J. Callahan e Joanne Callahan, Stop the Nightmares of Trauma: Thought Field Therapy. Non sono convinto che l’opera abbia un valore clinico, ma le sue concezioni sono utili a quanti praticano terapie più convenzionali.

11. Il passo di Kurt Hahn è tratto da Readings from the Hurricane Island Outward Bound School, p. 71, una splendida raccolta di brani d’autore, pubblicata dalla Hurricane Island Outward Bound e venduta nel suo negozio, la School Locker.

12. Michael Yapko, Hypnosis and the Treatment of Depression.

13. Per le teorie del sonno e della depressione, si veda lo studio di Michael Thase all’Università di Pittsburgh e di David Dingle all’Università della Pennsylvania. Anche Thomas Wehr dell’NIMH è un esperto in questo campo. La descrizione dell’alterazione delle fasi del sonno è tratta da diverse fonti, sia scritte sia orali. Di Thomas Wehr si vedano: Phase Advance of the Circadian Sleep-Wake Cycle as an Antidepressant, in «Science», 206, 1979; Reply to Healy, D., Waterhouse, J.M.: The Circadian System and Affective Disorders: Clocks or Rhythms, in «Chronobiology International», 7, 1990; Improvement of Depression and Triggering of Mania by Sleep Deprivation, in «Journal of the American Medical Association», 267, 4, 1992. E inoltre: M. Berger et al., Sleep Deprivation Combined with Consecutive Sleep Phase Advance as Fast-Acting Therapy in Depression, in «American Journal of Psychiatry», 154, 6, 1997. Per gli approfondimenti sull’argomento si veda Michael Thase e Robert Howland, Biological Process in Depression: An Updated Review and Integration, in The Handbook of Depression, cit., pp. 213-79.

14. F. Scott Fitzgerald, L’incrinatura, in Romanzi, p. 1378. La citazione mi è stata segnalata dalla sempre attenta Claudia Swan.

15. Cfr. la relazione di A.S. Blix in Symposium of Living in the Cold, a cura di André Malan and Bernard Canguilhem.

16. Esiste un’ampia letteratura sull’erba di San Giovanni, per lo più ripetitiva, in parte sensazionalistica, in parte presuntuosa. Qui ho fatto riferimento al libro di Norman Rosenthal St. John’s Wort. Le informazioni che riguardano l’iperico e l’interleuchina-6 sono tratte dal sito Web del National Institutes of Health’s National Center For Complementary and Alternative Medicine: www.nccam.nih. gov/nccam/fcp/factsheets/stjohns wort/stjohnswort.htm.

17. Trovo lo stile di Andrew Weil molto sgradevole, perciò non raccomando nessuno dei suoi scritti. Le sue idee sull’argomento sono ben sintetizzate nel libro di Jonathan Zuess The Natural Prozac Program, pp. 66-67.

18. Secondo Thomas Brown della Tulane University, l’erba di San Giovanni viene illogicamente elogiata da molti come un preparato naturale e quindi sicuro: cfr. Thomas Brown, Acute St. John’s Wort Toxicity, in «American Journal of Emergency Medicine», 18, 2, 2000. Come altri antidepressivi, l’iperico può causare episodi di mania acuta: cfr. Andrew Nierenberg et al., Mania Associated with St. John’s Wort, in «Biological Psychiatry», 46, 1999. È inoltre dimostrato che, a dosi elevate, la pianta provoca ipersensibilità cutanea nelle mucche e nelle pecore: cfr. O.S. Araya e E.J. Ford: An Investigation of the Type of Photosensitization Caused by the Ingestion of St. John’s Wort (Hypericum perforatum) by Calves, in «Journal of Comprehensive Pathology», 91, 1, 1981, pp. 135-41.

19. Per informazioni sull’interazione tra l’erba di San Giovanni e i farmaci cfr. il sito Web dell’NIMH: www.nimh.nih.gov/events/stjohnswort.cfm. Cfr. inoltre Herbdrug Interactions, in «Lancet», 355, 9198, 2000.

20. Per l’elenco dei farmaci la cui efficacia viene ridotta dall’erba di San Giovanni cfr. Emotional «Asprin»?, in «Consumer Reports», dicembre 2000, pp. 60-63.

21. Per gli studi sulla S-adenosilmetionina (SAMe), cfr. G.M. Bressa, S-Adenosyl-l-methionine (SAMe) as Antidepressant: Meta-analysis of Clinical Studies, in «Acta Neurologica Scandinavica», 89, suppl. 154, 1994.

22. Cfr. Emotional «Asprin»?, in «Consumer Reports», cit.

23. Stop Depression Now, pp. 74-75.

24. L’ipotesi è suggerita da Joseph Lipinski et al. in Open Trial of S-adenosylmethionine for Treatment of Depression, in «American Journal of Psychiatry», 143, 3, 1984.

25. Si veda il sito Web del National Institutes of Health’s National Center for Complementary and Alternative Medicine: www.nccam.nih.gov/nccam/fcp/factsheets/acupuncture/acupuncture.htm.

26. L’omeopata di Claudia Weaver era Pami Singh.

27. Il libro di Hellinger che vale la pena segnalare è Love’s Hidden Symmetry. Reinhard Lier gestisce il Linderhof Therapy Center in Baviera, dove svolge la maggior parte della sua attività. La sua visita in America fu organizzata da Regine Olsen.

28. Le citazioni di Frank Rusakoff sono tratte da manoscritti inediti.

29. Per quanto riguarda la stregoneria tra i senegalesi, si veda Eyes of the Night di William Simmons.

30. La reboxetina ha superato tutti i test sperimentali e attende di essere approvata dalla Food and Drug Administration (FDA). In una recente e-mail, Pharmacia scrive: «In ordine alla reboxetina, non abbiamo ricevuto l’approvazione dalla FDA negli Stati Uniti e non possiamo prevedere la data in cui questo medicinale sarà disponibile. In base a una lettera d’approvazione giunta a Pharmacia dalla FDA il 23 febbraio 2000, dovranno essere effettuate ulteriori indagini cliniche prima che il prodotto possa essere approvato». Per ulteriori informazioni consiglio di visitare il sito Web di Pharmacia: www2.pnu.com.

31. Per maggiori informazioni sulla sostanza P si veda il sito Web della Merck: www.dupontmerck.com. Per un’introduzione sulla sostanza P quale antidepressivo si veda il lavoro di David Nutt, Substance-P antagonists: A New Treatment for Depression?, in «Lancet», 352, 1998.

32. Rilevo il dato «circa trentamila» da un lavoro pubblicato in «Science» il 16 febbraio 2001, in cui si legge: «Le analisi della sequenza del genoma hanno rivelato 26.588 trascrizioni di codici proteici dimostrate in modo affidabile e ulteriori 12.000 geni derivati per calcolo negli equivalenti di topo o con altre deboli prove di sostegno». Ringrazio Edward R. Winstead per aver sottoposto l’articolo alla mia attenzione e Polly Shulman per la sua consulenza sul significato matematico delle dieci variazioni per ciascuno dei trentamila geni.

V. La popolazione

1. Il dato è ribadito in tutta la letteratura specifica. Uno studio statistico a sostegno di questa affermazione è stato condotto a livello internazionale da Myrna Weissman della Columbia University e pubblicato con il titolo Cross-National Epidemiology of Major Depression and Bipolar Disorder, in «Journal of the American Medical Association», 276, 4, 1996.

2. Si tratta di un’opinione generalmente riconosciuta e prevalente nella maggior parte della letteratura sull’argomento (cfr. Susan Nolen-Hoeksema, Sex Differences in Depression).

3. Se le argomentazioni sulla componente biologica della depressione femminile non sono persuasive, è innegabile il fatto che gli effetti dell’umore siano conseguenza delle variazioni di estrogeni e di progesterone nei sistemi ormonali dell’ipotalamo e dell’ipofisi. Su tali tematiche cfr. idem, pp. 64-76.

4. E. Clare Harris e Brian Barraclough, Suicide as an Outcome for Medical Disorders, in «Medicine», 73, 1994.

5. I dati sulla depressione postparto sono ricavati da una gamma estremamente ampia di ricerche effettuate sul tema. Nella quantificazione del fenomeno si incorre in due problemi. Anzitutto, lo standard di rigore con cui si definisce la depressione postparto ne altera l’apparente frequenza. In secondo luogo, molti sintomi affini a quelli depressivi possono insorgere quali ripercussioni fisiologiche del parto. In Sex Differences in Depression, pp. 62-65, Susan Nolen-Hoeksema cita uno studio in cui «i tassi di depressione nelle neomamme, all’apparenza alti, sono imputabili alla consapevolezza dei dolori e alle turbe del sonno legati alla gravidanza e al parto, piuttosto che alla presenza di una gamma completa di sintomi depressivi». L’autrice continua: «Le stime della prevalenza di depressione non psicotica nelle donne durante il periodo postparto variano dal 3 al 33 per cento» e indica una media dell’8,2 per cento. Nel suo libro sulla depressione postparto, Rock-A-By Baby, Verta Taylor riferisce che la percentuale di neomamme che sviluppa la malattia varia dal 10 al 26 per cento.

6. Susan Nolen-Hoeksema, Sex Differences in Depression, pp. 62-64. La depressione menopausale è descritta alle pp. 70-71.

7. Simeon Margolis e Karen L. Swartz, Sex Differences in Brain Serotonin Production, in «The Johns Hopkins White Papers», 1998, p. 14.

8. La questione della mancata emancipazione della donna quale causa della depressione femminile viene ampiamente trattata in vari libri e pubblicazioni, tra cui: Susan Nolen-Hoeksema, Sex Differences in Depression; Jill Astbury, Crazy for You e Dana Crowley Jack, Rompere il silenzio: il complesso fenomeno della depressione femminile.

9. Susan Nolen-Hoeksema, Sex Differences in Depression, p. 68. La successiva citazione della scrittrice è alle pp. 60-61 del libro.

10. Idem, pp. 26-28.

11. Myrna Weissman, Cross-National Epidemiology of Major Depression and Bipolar Disorder, cit. Il lavoro si basa sugli studi epidemiologici dell’autrice (cfr. la nota n. 1 di questo capitolo). Il dato indicante che le donne hanno un più elevato tasso di disturbi da panico e alimentari, e che gli uomini presentano incidenze più alte di autismo, deficit dell’attenzione con iperattività e alcolismo è stato discusso in un colloquio personale con Steven Hyman.

12. La natura della mancata emancipazione femminile non è citata testualmente in alcuna fonte. Numerosi autori hanno descritto e spiegato il fenomeno in modo diverso. Il mio elenco non deve essere inteso come definitivo o esauriente. A chi sia interessato a spiegazioni più approfondite raccomando ancora i testi citati alla nota n. 8 di questo capitolo: Susan Nolen-Hoeksema, Sex Differences in Depression; Jill Astbury, Crazy for You e Dana Crowley Jack, Rompere il silenzio: il complesso fenomeno della depressione femminile.

13. Le due tesi femministe e le informazioni sulla correlazione tra la depressione e lo stato coniugale si possono trovare in Susan Nolen-Hoeksama, Sex Differences in Depression, pp. 96-101.

14. George Brown ha anche condotto ricerche molto interessanti sul «ruolo degli eventi esistenziali nell’insorgenza dei disturbi depressivi». Molti studi suoi e di suoi colleghi hanno rilevato che l’umiliazione e la sensazione di intrappolamento sono i fattori chiave, responsabili degli episodi depressivi nelle donne (cfr. Loss, Humiliation and Entrapment among Women Developing Depression: A Patient and Non-patient Comparison, in «Psychological Medicine», 25, 1995). Altre scoperte dei ricercatori circa l’importanza dei ruoli al fine di definire la depressione sono riportate in numerosi articoli. Che l’ansia di una donna per la prole sia un tipico evento fonte di depressione è coerente con i ruoli tradizionali dei sessi. Tuttavia un articolo osserva che «quando nella pratica anche l’uomo è coinvolto in misura significativa a livello domestico, tale differenza di ruolo tra i sessi è irrilevante ai fini dell’insorgenza del disturbo». Per maggiori informazioni si veda J.Y. Nazroo et al., Gender Differences in the Onset of Depression Following a Shared Life Event: A Study of Couples, in «Psychological Medicine», 27, 1997, p. 9.

15. Ho ricavato le teorie evoluzionistiche di Myrna Weissman sulla depressione femminile da una mia intervista alla studiosa.

16. Gemma Gladstone et al., Characteristics of Depressed Patients Who Report Childhood Sexual Abuse, in «American Journal of Psychiatry», 156, 3, 1999, pp. 431-37.

17. Christine Pollice et al., Relationship of Depression, Anxiety, and Obsessionality to State of Illness in Anorexia Nervosa, in «International Journal of Eating Disorders», 21, 1997, e Kenneth Altshuler et al., Anorexia Nervosa and Depression: A Dissenting View, in «American Journal of Psychiatry», 142, 3, 1985, pp. 328-32.

18. Cfr. Fragment of an Analysis of a Case of Hysteria, in The Standard Edition of the Complete Psychological Works of Sigmund Freud, VII [Il caso Dora, in Opere di Sigmund Freud]. Ne ha discusso Jill Astbury in Crazy for You, pp. 109-32.

19. Per un dibattito sulle idee di femminilità e depressione, si veda Susan Nolen-Hoeksema, Sex Differences in Depression. Per una discussione sulle aspettative della maternità e sulla depressione postparto, si veda Verta Taylor, Rock-A-By Baby, pp. 35-58.

20. Cfr. Dana Crowley Jack, Rompere il silenzio: il complesso fenomeno della depressione femminile.

21. Jill Astbury, Crazy for You, pp. 2-3.

22. Si veda Eric Marcus, Why Suicide?: «Delle circa 30.000 persone all’anno che si tolgono la vita, 24.000 sono uomini e 6000 donne», p. 15.

23. Myrna Weissman et al., Cross-National Epidemiology of Major Depression and Bipolar Disorder, cit.

24. Bruce Bower, Depression: Rates in Women, Men… and Stress Effects across the Sexes, in «Science News», 3 giugno 1995, p. 346.

25. Marian Radke-Yarrow et al., Affective Interactions of Depressed and Nondepressed Mothers and Their Children, in «Journal of Abnormal Child Psychology», 21, 6, 1993. Si veda anche Anne Riley, Effects on Children of Treating Maternal Depression, p. 32 (uno studio finanziato dall’NIMH).

26. L’articolo di Bruce Bower Depressive Aftermath for New Mothers, in «Science News», 25 agosto 1990, riferisce una varietà di studi che hanno individuato la depressione infantile all’età di soli tre mesi.

27. Gli effetti della depressione materna sul figlio appaiono immediati e gravi. Tiffany Field, esperta in questo campo, che per oltre due decenni ha pubblicato vari lavori, parla di una depressione quasi «neonatale»: «I bambini mostrano delle “anomalie” comportamentali, fisiologiche e biochimiche, che probabilmente hanno origine da un’esposizione prenatale agli squilibri biochimici della madre» (Tiffany Field, Maternal Depression: Effects on Infants and Early Interventions, in «Preventive Medicine», 27, 1998, p. 200). Sfortunatamente, questi effetti negativi sembrano perdurare. Nancy Aaron Jones et al. (EEG Stability in Infants/Children of Depressed Mothers, in «Child Psychiatry and Human Development», 28, 2, 1997) illustra uno studio in cui i bambini di madri depresse sono stati seguiti dai tre mesi fino ai tre anni d’età. Sette bambini su otto che da neonati avevano dimostrato un’asimmetria dell’elettroencefalogramma la presentavano ancora a tre anni d’età. Tuttavia, gli studi hanno anche indicato che la minima attenzione e interazione materna può alleviare il problema. L’articolo di Martha Peláez-Nogueras et al., Depressed Mothers’ Touching Increases Infants’ Positive Affect and Attention in Still-Face Interaction, in «Child Development», 67, 1996, afferma che l’interazione della mamma attraverso un contatto affettuoso e calmo col neonato può avere effetti straordinariamente positivi sull’umore e sulla socievolezza del bambino. Altri studi, come quello di Sybil Hart et al., Depressed Mothers’ Neonates Improve Following the MABI and Brazelton Demonstration, in «Journal of Pediatric Psychology», 23, 6, 1998, e quello di Tiffany Field et al., Effects of Parent Training on Teenage Mothers and Their Infants, in «Pediatrics», 69, 6, 1982, dimostrano che la cura dei genitori può riparare considerevolmente il danno provocato dalla depressione materna.

28. Catherine Lee e Ian Gotlib, Adjustment of Children of Depressed Mothers: A 10-Month-Follow-Up, in «Journal of Abnormal Psychology», 100, 4, 1991.

29. Myrna Weissman et al., Offspring of Depressed Parents, in «Archives of General Psychiatry», 54, 1997.

30. Anne Riley, Effects on Children of Treating Maternal Depression, p. 32.

31. Leonard Milling e Barbara Martin: Depression and Suicidal Behavior in Preadolescent Children, in Walker e Roberts, Handbook of Clinical Child Psychology, pp. 319-39. Cfr. anche David Fassler e Lynne Dumas, Help Me, I’m Sad: Recognizing, Treating, and Preventing Childhood Depression.

32. Sameroff et al., Early Development of Children at Risk for Emotional Disorder, in «Monographs of the Society for Research in Child Development», 47, 7, 1982.

33. A.C. Guyton et al., Circulation: Overall Regulation, in «Annual Review of Physiology», 34, 1972 (a cura di J.M. Luck e V.E. Hall), tabella a p. 12.

34. René Spitz, Anaclitic Depression, in «Psychoanalitic Study of the Child», 2, 1946. Per un caso tipico si veda René Spitz, Anaclitic Depression in an Infant Raised in an Institution, in «Journal of the American Academy of Child Psychiatry», 4, 4, 1965.

35. Il concetto di «mancato sviluppo» è tratto da interviste a Parmjit T. Joshi del Johns Hopkins e a Deborah Christie della Adolescent Medical Unit dell’University College London e Middlesex Hospital.

36. Dell’1 per cento parlano E. Poznanski et al. in Childhood Depression: Clinical Characteristics of Overtly Depressed Children, in «Archives of General Psychiatry», 23, 1970; del 60 per cento T.A. Petti, Depression in Hospitalized Child Psychiatry Patients: Approches to Measuring Depression, in «Journal of the American Academy of Child Psychiatry», 22, 1978.

37. Leonard Milling e Barbara Martin, Depression and Suicidal Behavior in Preadolescent Children, cit., p. 328. Secondo le statistiche del 1997, tratte dal sito Web dell’NIMH, il suicidio è la terza causa di morte tra i bambini dai dieci ai quattordici anni d’età.

38. Il fatto che i triciclici non siano efficaci nei bambini e negli adolescenti viene riferito in N.D. Ryan et al., Imipramine in Adolescent Major Depression: Plasma Level and Clinical Response, in «Acta Psychiatrica Scandinavica», 73, 1986. Esistono meno studi su MAOI e depressione infantile e adolescenziale, in gran parte perché, come scrivono Christopher Kye e Neal Ryan in Pharmacologic Treatment of Child and Adolescent Depression (in «Child and Adolescent Psychiatric Clinics of North America», 4, 2, 1995, p. 276), questi farmaci «richiedono una sensibilità particolarmente elevata per l’impulsività, la compliance e la maturità degli adolescenti depressi». L’idea generale sostenuta oggi dalla maggioranza dei clinici è ben sintetizzata da Paul Ambrosini in A Review of the Pharmacotherapy of Major Depression in Children and Adolescents, in «Psychiatric Services», 51, 5, 2000, p. 632: gli studi fino a oggi compiuti «sembrano suggerire che i disturbi affettivi tra i bambini e gli adolescenti costituiscono un’entità biologica distinta che presenta modelli di risposta diversi alla terapia farmacologica».

39. Myrna Weissman et al., Depressed Adolescent Grown Up, in «Journal of the American Medical Association», 281, 18, 1999, pp. 1707-13.

40. Solo dopo Freud si è indagata la depressione infantile, ma oggi essa è ben documentata come realtà clinica. Tuttavia il numero dei depressi sembra aumentare sensibilmente durante l’adolescenza. Myrna Weissman et al. scrivono in idem: «Adesso è chiaro che la maggior parte dei disturbi depressivi ha spesso inizio nell’adolescenza». Che circa il 5 per cento degli adolescenti soffra di depressione è un dato noto, che ho tratto dall’articolo di Patricia Meisol The Dark Cloud, apparso in «The Sun», 1° maggio 1999.

41. Raccomando in particolare il video Day for Night: Recognizing Teenage Depression, prodotto dalla Depression and Related Affective Disorders Association (DRADA) in collaborazione con la Johns Hopkins University School of Medicine. Si tratta di un documento chiaro e illuminante sui tipi di depressione che affliggono i giovani d’oggi.

42. L’atteggiamento si deduce da una serie di studi e dati statistici. Howard Chua-Eoan, in How to Spot a Troubled Kid («Time», 153, 21, 1999, pp. 46-47), rivela che: «il 57 per cento degli adolescenti che hanno tentato il suicidio soffrivano di depressione maggiore. Ma solo il 13 per cento dei genitori dei suicidi pensava che il figlio fosse depresso».

43. George Howe Colt, The Enigma of Suicide, p. 39.

44. Lo studio innovativo di Myrna Weissman e di altri esperti ha iniziato a far luce sulla realtà clinica della depressione infantile e dell’età evolutiva. Molti ricercatori stanno iniziando a considerare gli effetti a lungo termine della diagnosi precoce. Nell’articolo Depressed Adolescents Grown Up (cit., p. 1171) la Weissman osserva: «I dati principali sono un esito infausto del disturbo depressivo maggiore a insorgenza adolescenziale, nonché la continuità e specificità del medesimo che insorge e perdura fino all’età adulta».

45. Il moltiplicatore nella correlazione tra la depressione precoce e la depressione dell’adulto è tratto dal saggio di Eric Fombonne, Depressive Disorders: Time Trends and Possible Explanatory Mechanisms, in Michael Rutter e David J. Smith, Psychosocial Disorders in Young People, p. 573.

46. Si veda Leonard Milling e Barbara Martin, Depression and Suicidal Behavior in Preadolescent Children, in Walker e Roberts, Handbook of Clinical Child Psychology, p. 325.

47. La tesi che l’abuso sessuale causi depressione è discussa in Jill Astbury, Crazy for You, pp. 159-91. Gemma Gladstone et al., in Characteristics of Depressed Patients Who Report Childhood Sexual Abuse, cit., pp. 431-37, cita l’abuso sessuale quale causa indiretta della depressione.

48. Citato da Margaret Talbot in Attachment Theory: The Ultimate Experiment, in «New York Times Magazine», 24 maggio 1998.

49. Che gli anziani depressi siano di rado trattati è rilevato in una serie di articoli e studi, sia accademici che divulgativi. Sara Rimer esplora cause e conseguenze del fenomeno in Gaps Seen in Treatment of Depression in Elderly, in «New York Times», 5 settembre 1999. Nell’articolo Ira Kratz, responsabile di geriatria psichiatrica presso la facoltà di medicina dell’Università della Pennsylvania, sostiene: «Più di un paziente su sei che si rivolge al medico di base presenta un livello di depressione clinicamente significativo, ma solo uno su sei di costoro riceve una terapia adeguata». George Zubenko et al., in Impact of Acute Psychiatric Inpatient Treatment on Major Depression in Late Life and Prediction of Response, in «American Journal of Psychiatry», 151, 7, 1994, spiegano: «Si è osservato che la diagnosi della depressione maggiore negli anziani è difficile perché l’umore depresso appare meno evidente nei pazienti più vecchi che in quelli più giovani. Inoltre, il peso dei disturbi organici che aumenta con l’avanzare dell’età complica la diagnosi differenziale della depressione maggiore nell’anziano, specialmente se si effettua una valutazione trasversale».

50. Cfr. C.G. Gottfries et al., Treatment of Depression in Elderly Patients with and without Dementia Disorders, in «International Clinical Psychopharmacology», suppl. 6, 5, 1992.

51. Ibid.

52. Ibid.

53. Per la diffusione sociale della depressione senile e l’importanza di avere valide amicizie, si veda l’articolo di Judith Hays et al., Social Correlates of The Dimension of Depression in the Elderly, in «Journal of Gerontology», 53B, 1, 1998.

54. C.G. Gottfries et al., Treatment of Depression in Elderly Patients with and without Dementia Disorders, cit.

55. Ibid.

56. Che la diminuzione della serotonina con l’avanzare dell’età non abbia necessariamente conseguenze gravi viene suggerito in una serie di studi. B.A. Lawlor et al. in Evidence for a Decline with Age in Behavioral Responsivity to the Serotonin Agonist, M-Chlorophenylpiperazine, in Healthy Human Subjects, in «Psychiatry Research», 29, 1, 1998, dicono apertamente: «Il significato funzionale delle alterazioni della serotonina nel cervello (5HT) associate al normale invecchiamento sia negli animali che negli uomini è completamente sconosciuto».

57. George Zibenko et al., Impact of Acute Psychiatric Inpatient Treatment on Major Depression in Late Life and Prediction of Response, cit.

58. Ibid.

59. Ibid.

60. I sintomi della depressione nell’anziano sono descritti da Diego de Leo e René F.W. Diekstra in Depression and Suicide in Late Life, pp. 21-38.

61. Il termine «incontinenza emozionale» è impiegato da Nathan Herrmann et al. in Behavioral Disorders in Demented Elderly Patients, in «CNS Drugs», 6, 4, 1996.

62. Myron Weiner et al., Prevalence and Incidence of Major Depression in Alzheimer’s Disease, in «American Journal of Psychiatry», 151, 7, 1994.

63. Ibid.

64. Cfr. Alan Cross et al., Serotonin Receptor Changes in Dementia of the Alzheimer Type, in «Journal of Neurochemistry», 43, 1984 e Alan Cross, Serotonin in Alzheimer-Type Dementia and Other Dementing Illnesses, in «Annals of the New York Academy of Sciences», 600, 1990.

65. C.G. Gottfries et al., Treatment of Depression in Elderly Patients with and without Dementia Disorders, cit.

66. M. Jackuelyn et al., Recognition and Treatment of Depression in Alzheimer Disease, in «Geriatrics», 44, 12, 1989, p. 26, è la fonte da cui ho tratto le informazioni sull’uso a lungo termine di bassi dosaggi degli SSRI. Secondo gli autori, «generalmente i pazienti colpiti da Alzheimer richiedono dosaggi più bassi e trial farmacologici più lunghi rispetto ai pazienti più giovani sottoposti a terapia antidepressiva».

67. Behavioral Disorders in Demented Elderly Patients, cit.

68. Idem.

69. Per informazioni e dati su depressione e ictus, si veda Allan House et al., Depression Associated with Stroke, in «Journal of Neuropsychiatry», 8, 4, 1996.

70. Ibid.

71. Citato in Grethe Andersen, Treatment of Uncontrolled Crying after Stroke, in «Drugs & Aging», 6, 2, 1995, pp. 105-11.

72. Ibid.

73. Ian Hacking, I viaggiatori folli, pp. 1-5.

74. Meri Danquah, Willow Weep for Me, pp. 18-19.

75. L’articolo di Shawn Tan Little Boy Blue è apparso nell’ultima edizione del 1999 di «Brave».

76. I paragrafi sulla depressione tra gli omosessuali sono tratti in gran parte dalle ricerche di Richard C. Friedman e Jennifer Downey, in particolare da Internalized Homophobia and the Negative Therapeutic Reaction (in «Journal of the American Academy of Psychoanalysis», 23, 1, 1995) e da Internal Homophobia and Gender-Valued Self-Esteem in the Psychoanalysis of Gay Patients (in «Psychoanalytic Review», 86, 3, 1999). Gli studi in questione verranno ampliati e raccolti nel volume Psychoanalysis and Sexual Orientation: Sexual Science and Clinical Practice. Mi sono consultato per un certo periodo con Richard Friedman, che mi ha fornito ulteriori informazioni in attesa della pubblicazione del libro; le mie citazioni coordinano spesso i due articoli secondo un criterio e un linguaggio approvati da Friedman e Downey.

77. R. Herrel et al., Sexual Orientation and Suicidality: A Co-Twin Control Study in Adult Men, in «Archives of General Psychiatry», 56, 1999. L’indagine si è basata su una documentazione redatta durante la guerra in Vietnam, che confrontava i soggetti esclusivamente eterosessuali con quelli omosessuali. Oltre al tasso spaventosamente alto dei tentati suicidi, lo studio indica che mentre gli eterosessuali presentavano un tasso di idee suicide del 25,5 per cento, tra i gay esso era del 55,3 per cento.

78. Le due ricerche sono state condotte da Cochran e Mays. La prima, che ha preso in considerazione coorti di 3648 individui scelti a caso, è stata pubblicata col titolo Lifetime Prevalence of Suicide Symptoms and Affective Disorders among Men Reporting Same-Sex Sexual Partners: Results from NHANES III, in «American Journal of Public Health», 90, 4, 2000. La seconda, usando un database diverso costituito da coorti di 9908 individui, ha considerato i disturbi da panico nei soggetti eterosessuali e in quelli che avevano avuto partner omosessuali nell’anno precedente, ed è stata pubblicata col titolo Relation between Psychiatric Syndromes and Behaviorally Defined Sexual Orientation in a Sample of the U.S. Population, in «American Journal of Epidemiology», 151, 5, 2000. Dei soggetti considerati in quest’ultima indagine, 2479 erano stati scartati poiché (cosa piuttosto deprimente, mi sembra) non avevano avuto partner sessuali nell’ultimo anno.

79. Cfr. D.M. Fergusson et al., Is Sexual Orientation Related to Mental Health Problems and Suicidality in Young People?, in «Archives of General Psychiatry», 56, 10, 1999. I ricercatori, che hanno chiesto alle coorti di commentare la loro inclinazione sessuale e le loro relazioni sessuali dall’età di sedici anni in poi, hanno messo in luce i fattori di rischio per molti disturbi.

80. Si veda T.G. Sandfort et al., Same-Sex Sexual Behavior and Psychiatric Disorders: Findings from the Nederlands Mental Health Survey and Incidence Study (NEMESIS), in «Archives of General Psychiatry», 58, 1, 2001. Condotta nel 1999, l’indagine è stata effettuata su coorti di 5998 individui, e negli omosessuali, sia maschi sia femmine, è stata formulata almeno una diagnosi psichiatrica (in base al DSM-III-R) più spesso che negli eterosessuali. I gay di sesso maschile presentavano tassi di depressione e di ansia maggiori al momento dello studio e nell’arco dell’intera vita. Le donne omosessuali avevano una prevalenza superiore di depressione maggiore, di dipendenza da alcol e da stupefacenti.

81. La ricerca ha preso in esame 36.254 studenti dalla settima alla dodicesima classe ed è stata pubblicata da G. Remafedi et al. col titolo The Relationship between Suicide Risk and Sexual Orientation: Results of a Population-Based Study, in «American Journal of Public Health», 88, 1, 1998. Essa non ha rilevato variazioni del tasso di tentati suicidi tra donne omosessuali ed eterosessuali, ma ha indicato che mentre gli uomini eterosessuali presentavano un tasso del 4,2 per cento di idee suicide, quelli gay ne avevano uno del 28,1 per cento.

82. Si veda R. Garofalo et al., Sexual Orientation and Risk of Suicide Attempts among a Representative Sample of Youth, in «Archives of Pediatrics and Adolescents Medicine», 153, 1999. Lo studio, basato su coorti di 3365 individui, rileva che i maschi omosessuali sono più inclini a tentare il suicidio (6,5 volte in più rispetto ai maschi eterosessuali).

83. Si veda A.H. Faulkner e K. Cranston, Correlates of Same-Sex Sexual Behavior in a Random Sample of Massachusetts High School Students, in «American Journal of Public Health», 88, 2, 1998. L’indagine, basata su coorti di 1563 individui, ha riferito che il 7,3 per cento degli omosessuali ha compiuto quattro tentativi di suicidio rispetto all’1 per cento degli eterosessuali. Gli studenti omosessuali/bisessuali hanno rivelato una maggiore incidenza di idee suicide rispetto agli studenti eterosessuali: il 12 per cento degli omosessuali ha tentato il suicidio rispetto al 2,3 per cento degli eterosessuali e il 7,7 per cento degli omosessuali ha tentato il suicidio e ha avuto bisogno delle cure mediche conseguenti negli ultimi dodici mesi rispetto all’1,3 per cento degli eterosessuali. L’indagine ha inoltre rivelato che gli studenti gay presentavano un rischio elevato di lesioni, malattie, morte violenta, abuso di sostanze e comportamenti suicidi.

84. Si veda C.L. Rich et al., San Diego Suicide Study I: Young vs. Old Subjects, in «Archives of General Psychiatry», 43, 6, 1986. Lo studio non è stato riscontrato. Altri ricercatori hanno tentato di riprodurre i dati nell’area di New York City nel 1995 (cfr. D. Shaffer et al., Sexual Orientation in Adolescents Who Commit Suicide, in «Suicide and Life Threatening Behaviors», 25, suppl. 4, 1995), ma senza successo. Essi hanno però considerato solo il suicidio giovanile e tratto le informazioni sull’orientamento sessuale da familiari e amici, che in molti casi non conoscono, o sono riluttanti ad ammettere, le tendenze sessuali dei ragazzi.

85. Gli articoli di Richard C. Friedman e Jennifer Downey sono Internalized Homophobia and the Negative Therapeutic Reaction e Internal Homophobia and Gender-Valued Self-Esteem in the Psychoanalysis of Gay Patients, cit. Il lavoro sulla socializzazione dei gay di sesso maschile, sull’educazione dei bambini in ambienti omofobici e l’acquisizione precoce di atteggiamenti omofobici è contenuto in A.K. Maylon, Biphasic Aspects of Homosexual Identity Formation, in «Psychotherapy: Theory, Research and Practice», 19, 1982.

86. Si veda R. Garofalo et al., The Association between Health Risk Behaviors and Sexual Orientation among a School-Based Sample of Adolescents, in «Pediatrics», 101, 1998. Gli autori hanno scoperto che gli omosessuali del gruppo erano anche più predisposti ad abusare di molteplici sostanze stupefacenti, nonché a tenere comportamenti sessuali ad alto rischio e altre condotte pericolose.

87. In Charlotte Salomon: Life? Or Theatre?, p. 10. Una più ampia trattazione dell’argomento è contenuta nei pannelli allestiti all’inizio del 2001 per la mostra delle opere della Salomon presso The Jewish Museum. Ringrazio Jennie Livingston per avermi segnalato questo materiale e per avermi suggerito il legame tra la tendenza al suicidio degli ebrei nella Germania prenazista e la tendenza suicida dei gay in America.

88. Il questionario è stato elaborato da Hendrik Hertzberg ed è contenuto in The Narcissus Survey, in «The New Yorker», 5 gennaio 1998.

89. Gli ultimi re di Thule di Jean Malaurie, sebbene molto criticato negli ultimi anni, offre un resoconto particolarmente emozionante e appassionato della tradizionale vita inuit in Groenlandia.

90. Tine Curtis e Peter Bjerregaard, Health Research in Greenland, p. 31.

91. Cfr. Alfred Alvarez, Il dio selvaggio.

92. Le descrizioni dell’isteria polare, della sindrome del vagabondo e dell’ansia da kayak sono tratte da Inge Lynge, Mental Disorders in Greenland, in «Man & Society», 21, 1997. Ringrazio John Hart per avermi suggerito il paragone con l’amok.

93. Jean Malaurie, Gli ultimi re di Thule.

VI. La dipendenza

1. Il dato relativo all’esistenza di circa venticinque sostanze di abuso di uso comune è ricavato dal sito Web del National Institute of Drug Abuse: www.nida.nih.gov/DrugsofAbuse.

2. Il meccanismo è descritto in David McDowell e Henry Spitz, Substance Abuse, p. 19.

3. Per una sintesi chiara delle interazioni tra la cocaina e la dopamina si veda Peter Whybrow, A Mood Apart, p. 213. Un’analisi più approfondita è in Marc Galanter e Herbert Kleber, Trattamento dei disturbi da abuso di sostanze: il manuale dell’American Psychiatric Association.

4. Idem.

5. Idem.

6. Craig Lambert, Deep Cravings, in «Harvard Magazine», 102, 4, 2000.

7. Nora Volkow, Imaging Studies on the Role of Dopamine in Cocaine Reinforcement and Addiction in Humans, in «Journal of Psychopharmacology», 13, 4, 1999.

8. Nora Volkow et al., Addiction, a Disease of Compulsion and Drive: Involvement of Orbitofrontal Cortex, in «Cerebral Cortex»,10, 2000.

9. James Anthony et al., Comparative Epidemiology of Dependence on Tobacco, Alcohol, Controlled Substances, and Inhalants: Basic Findings from the National Comorbidity Survey, in «Experimental and Clinical Psychopharmacology», 2, 3, 1994, pp. 244-68.

10. David McDowell e Henry Spitz, Substance Abuse, pp. 22-24.

11. H.D. Abrahams et al., Order of Onset of Substance Abuse and Depression in a Sample of Depressed Outpatients, in «Comprehensive Psychiatry», 40, 1, 1999, pp. 44-45.

12. Gli studi mediante PET che hanno riportato una guarigione limitata perfino dopo un periodo di tre mesi sono stati condotti da Nora Volkow. Si veda per esempio Long-Term Frontal Brain Metabolic Changes in Cocaine Abusers, in «Synapse», 11, 1992. Che l’uso cronico di stupefacenti abbia conseguenze neurologiche persistenti viene illustrato da Alvaro Pascual-Leone et al. in Cerebral Atrophy in Habitual Cocaine Abusers: A Planimetric CT Study, in «Neurology», 41, 1991, e da Roy Mathew e William Wilson in Substance Abuse and Cerebral Blood Flow, in «American Journal of Psychiatry», 148, 3, 1991. Per informazioni sui danni cognitivi, compresi i deficit di memoria, attenzione e astrazione, si veda Alfredo Ardila et al., Neuropsychological Deficits in Chronic Cocaine Abusers, in «International Journal of Neuroscience», 57, 1991, pp. 73-79, e William Beatty et al., Neuropsychological Performance of Recently Abstinent Alcoholics and Cocaine Abusers, in «Drug and Alcohol Dependence», 37, 1995.

13. Una revisione approfondita delle molteplici cause delle lesioni negli alcolizzati viene fornita da Michael Charness in Brain Lesions in Alcoholics, in «Alcoholism: Clinical and Experimental Research», 17, 1, 1993. Per una rassegna più recente sul rapporto tra alcol e danno cerebrale si veda Marcia Barinaga, A New Clue to How Alcohol Damages Brains, in «Science», 11 febbraio 2000. Che la perdita della memoria sia un problema per questa fascia di popolazione viene riferito da Andrey Ryabinin in Role of Hippocampus in Alcohol-Induced Memory Impairment: Implications from Behavioral and Immediate Early Gene Studies, in «Psychopharmacology», 139, 1998.

14. David McDowell e Henry Spitz, Substance Abuse, p. 220. Mark Gold e Andrew Slaby non concordano, tuttavia, con questo approccio. Si veda il loro libro Dual Diagnosis in Substance Abuse, in cui alle pp. 210-11 scrivono: «Gli antidepressivi non dovrebbero essere prescritti agli alcolisti attivi perché la terapia più idonea è probabilmente un periodo di sobrietà».

15. L’aumento della latenza REM è stato da tempo individuato quale segno caratteristico della depressione. Si veda Francis Mondimore, Depression: The Mood Disease, pp. 174-78, per una valida trattazione del legame tra depressione e sonno. I dati su sonno REM, alcolismo e depressione sono stati ricavati da due studi: D.H. Overstreet et al., Alcholism and Depressive Disorder, in «Alcohol & Alcoholism», 24, 1989, e P. Shiromani et al., Acetylcholine and the Regulation of REM Sleep, in «Annual Review of Pharmacological Toxicology», 27, 1987.

16. Mark Gold e Andrew Slaby, Dual Diagnosis in Substance Abuse, pp. 7-10.

17. Idem, pp. 108-09.

18. Le percentuali dei depressi con etilismo secondario e viceversa sono state tratte da Barbara Powell et al., Primary and Secondary Depression in Alcoholic Men: An important Distinction?, in «Journal of Clinical Psychiatry», 48, 3, 1987. Per maggiori informazioni su questo complesso problema, si veda Bridget Grant et al., The Relationship between DSM-IV Alcohol Use Disorders and DSM-IV Major Depression: Examination of the Primary-Secondary Distinction in a General Population Sample, in «Journal of Affective Disorders», 38, 1996.

19. Boris Segal Jacqueline Steward, Substance Use and Abuse in Adolescence: An Overview, in «Child Psychiatry and Human Development», 26, 4, 1996. A p. 196, molto lucidamente, gli autori scrivono: «Analizzando in dettaglio i fattori epidemiologici, si nota che l’adolescenza è il periodo più a rischio per l’inizio dell’uso di sostanze; i soggetti che non hanno sperimentato droghe lecite o illecite prima dei 21 anni, difficilmente lo faranno dopo».

20. Mark Gold e Andrew Slaby, Dual Diagnosis in Substance Abuse, p. 108: «Gli etilisti che entrano in depressione nei periodi di sobrietà riprendono a bere con maggiore frequenza di quelli con umore normale».

21. Le tesi di R.E. Meyer citate compaiono in Psychopathology and Addictive Disorder, pp. 3-16.

22. La remissione di sintomi chiaramente schizofrenici (paranoia, deliri, allucinazioni, ecc.) in pazienti con problemi di depressione e di abuso di stimolanti viene correlata con il fatto che la mania può essere spesso aggravata da un eccesso di dopamina. L’astinenza dall’uso di stimolanti può contribuire a controllare tali eccessi. Per maggiori informazioni sulla relazione tra stimolanti, mania e psicosi si consulti Robert Post et al., Cocaine, Kindling, and Psychosis, in «American Journal of Psychiatry», 133, 6, 1976, e John Griffith et al., Dextroanphetamine: Evaluation of Psychomimetic Properties in Man, in «Archives of General Psychiatry», 26, 1972.

23. Mark Gold e Andrew Slaby, Dual Diagnosis in Substance Abuse.

24. Idem, pp. 105-15.

25. A.A. Ghadirian e H.E. Lehmann in Enviroment and Psychopathology, p. 112. Mark Gold e Andrew Slaby in Dual Diagnosis in Substance Abuse, p. 14, affermano: «Il tasso dei tentati suicidi segnalati spontaneamente aumenta in modo progressivo all’aumento dell’uso di sostanze lecite o illecite».

26. Che spesso la depressione diminuisca a causa dell’astinenza può essere dedotto da numerose ricerche. Mark Gold e Andrew Slaby in idem, pp. 107-08, dichiarano: «Per la maggior parte di questi alcolisti primari i sintomi di depressione secondaria tendono a svanire entro la seconda settimana di terapia e continuano a diminuire più gradualmente nel giro di tre o quattro settimane d’astinenza».

27. Secondo un principio cardine della terapia antidepressiva, i picchi di assorbimento aggravano gli effetti collaterali.

28. L’efficace osservazione di Howard Shaffer sul vizio dei dadi è contenuta in Craig Lambert, Deep Cravings, cit. Nello stesso articolo compaiono anche i commenti di Bertha Madras.

29. J.C. Aguirre et al., Plasma Beta-Endorphin Levels in Chronic Alcoholics, in «Alcohol», 7, 5, 1990, pp. 409-12.

30. David McDowell e Henry Spitz, Substance Abuse.

31. I dati su alcolisti e astemi in Irlanda e in Israele mi sono stati forniti dal dottor Herbert Kleber durante un’intervista avvenuta il 9 marzo 2000.

32. T.S. Eliot, Gerontion, in Poesie, Milano, Mondadori, 1966, p. 211.

33. Si veda Mark Gold e Andrew Slaby, Dual Diagnosis in Substance Abuse, p. 199.

34. La storia è riferita da Sue Macartney-Snape, che ha trascorso molto tempo in Nepal e ha intervistato molti conducenti di elefanti.

35. Si veda Marc Galanter e Herbert Kleber, Trattamento dei disturbi da uso di sostanze: il manuale dell’American Psichiatric Association, p. 216.

36. Si veda David Gilbert, Smoking, pp. 49-59.

37. Per ulteriori particolari sulla mia vita con gli artisti russi, si veda The Irony Tower: Soviet Artists in a Time of Glasnost.

38. Cfr. Håkan Leifman e Mats Ramstedt dello Sweedish Institute of Social Research on Alcohol and Drugs (SoRAD). I dati statistici vengono forniti in un’indagine di prossima pubblicazione sul supplemento di «Addiction», intitolato Alcohol and Suicide in 14 European Countries, di Mats Ramstedt. Per altre informazioni sul rapporto tra consumo d’alcol e suicidio si veda George Murphy, Suicide in Alcoholism, e I. Rossow, Alcohol and Suicide – Beyond the Link at the Individual Level, in «Addiction», 91, 1996.

39. David McDowell e Henry Spitz, Substance Abuse, pp. 45-46.

40. Idem, pp. 46-47.

41. Donald Goodwin, Alcoholism in Facts, p. 52.

42. David McDowell e Henry Spitz, Substance Abuse, pp. 41-42.

43. Il ruolo della serotonina e del cortisolo nell’inibizione del consumo di alcol viene discusso da Marc Galanter e da Herbert Kleber in Trattamento dei disturbi da uso di sostanze: il manuale dell’American Psychiatric Association.

44. Le informazioni sui recettori GABA sono tratte dalla corrispondenza personale con Steven Hyman e David McDowell. Per un dibattito approfondito su alcol, GABA, e altri neurotrasmettitori cerebrali, si veda di Marc Galanter e Herbert Kleber: Trattamento dei disturbi da uso di sostanze: il manuale dell’American Psychiatric Association. Lo studio sul rinforzo del consumo di alcol da parte della serotonina è Drugs of Abuse and Addiction di R.J.M. Niesink et al., pp. 134-37.

45. La superiorità delle terapie psicodinamiche per i pazienti con diagnosi duplice sembra essere più una realtà clinica che un fatto scientificamente provato. La maggior parte dei clinici con cui ho parlato hanno espresso la convinzione che tali pazienti, per poter guarire, dovrebbero comprendere come l’abuso incida sulla depressione e viceversa. In Trattamento dei disturbi da uso di sostanze: il manuale dell’American Psychiatric Association Marc Galanter e Herbert Kleber sostengono che per i pazienti con problemi affettivi la terapia psicodinamica potrebbe risultare particolarmente preziosa.

46. Il programma è denominato STARS (Substance Treatment and Research Service).

47. Una gran quantità di materiale è stata pubblicata sul disulfiram. Per una descrizione più dettagliata della sua modalità d’azione, si veda David McDowell e Henry Spitz, Substance Abuse, pp. 217-19.

48. Sull’uso del naltrexone per l’astinenza da alcol e da eroina, si veda idem, pp. 48-51.

49. Per la storia della marijuana, si veda idem, p. 68.

50. Cfr. Marc Galanter e Herbert Kleber, Trattamento dei disturbi da uso di sostanze: il manuale dell’American Psychiatric Association.

51. Mark Gold e Andrew Slaby, Dual Diagnosis in Substance Abuse, p. 18.

52. David McDowell e Henry Spitz, Substance Abuse, p. 93.

53. R.A. Yokel et al., Amphetamine-type Reinforcement by Dopaminergic Agonists in Rat, in «Psychopharmacology», 58, 1978. Sono stati condotti anche numerosi studi su scimmie, con lo stesso risultato. Si veda per esempio T.G. Aigner et al., Choice Behavior in Rhesus Monkeys: Cocaine Versus Food, in «Science», 201, 1978, pp. 534-35.

54. La neurofisiologia del crash da cocaina è illustrata da Mark Gold e David Slaby, Dual Diagnosis in Substance Abuse, pp. 109-10.

55. Gli effetti generali delle anfetamine e della cocaina sui neurotrasmettitori sono descritti da R.J.M. Niesink et al., Drugs of Abuse and Addiction, pp. 159-65.

56. Mark Gold e Andrew Slaby, Dual Diagnosis in Substance Abuse, p. 110.

57. Bruce Rounsaville et al., Psychiatric Diagnosis of Treatment-Seeking Cocaine Abusers, in «Archives of General Psychiatry», 48, 1991.

58. Mark Gold e Andrew Slaby, Dual Diagnosis in Substance Abuse, p. 110, dove si dice: «Gli studi su animali hanno documentato talora degenerazioni neuronali dopaminergiche a seguito di somministrazione cronica di stimolanti».

59. Thomas Kosten et al., Depression and Stimulant Dependence, in «Journal of Nervous and Mental Disease», 186, 12, 1998.

60. A.A. Ghadirian e H.E. Lehmann, Environment and Psychopathology, pp. 110-11.

61. Mark Gold e Andrew Slaby, Dual Diagnosis in Substance Abuse, p. 110.

62. Craig Lambert, Deep Cravings, cit., p. 67.

63. Lo studio sull’ecstasy e gli assoni della serotonina è sintetizzato da R.J.M. Niesink et al. in Drugs of Abuse Addiction, pp. 164-65. Il fatto che l’ecstasy riduca i livelli di serotonina del 30-35 per cento è citato in U. McCann et al., Serotonin Neurotoxicity after 3,4-Methylenedioxymethamphetamine: A Controlled Study in Humans, in «Neuropsychopharmacology», 10, 1994. Per maggiori informazioni sull’ecstasy e le monoamine, si veda S.R. White et al., The Effects of Methylenedioxymethamphetamine on Monoaminergic Neurotransmission in the Central Nervous System, in «Progress in Neurobiology», 49, 1996. Per una discussione ampia e brillante sull’ecstasy e sulla neurotossicità, si veda J.J.D. Turner e A.C. Parrot, Is MDMA A Human Neurotoxin?: Diverse Views from the Discussants, in «Neuropsychobiology», 42, 2000.

64. Per le benzodiazepine ho fatto riferimento alla ricerca del dottor Richard A. Friedman della Cornell, e in particolare a interviste effettuate nella primavera del 2000.

65. Mark Gold e Andrew Slaby, Dual Diagnosis in Substance Abuse, pp. 20-21.

66. Per una descrizione dettagliata di questi sedativi si veda David McDowell e Henry Spitz, Substance Abuse, pp. 65-66.

67. Craig Lambert, Deep Cravings, cit., p. 60.

68. Per una breve storia dell’ecstasy si veda David McDowell e Henry Spitz, Substance Abuse, pp. 59-60.

69. L’articolo si intitola A Very Fine Line, ed è apparso su «The New York Times Magazine» il 12 settembre 1999.

70. Cfr. il brillante libro di Dave Hickey, Air Guitar. Ringrazio il sempre aggiornato Stephen Bitterolf per avermi segnalato l’osservazione di Richards.

VII. Il suicidio

1. L’idea che spesso non esista un legame chiaro tra la depressione e il suicidio è espressa da un numero di autori esperti di entrambi i fenomeni. Come scrive George Howe Colt in Enigma of Suicide, p. 43, il suicidio non viene più inteso come «l’ultima fermata della depressione».

2. Idem, p. 312.

3. Il fatto che più del 40 per cento dei soggetti che hanno commesso suicidio sia stato ricoverato per terapie psichiatriche è citato da Jane Pirkis e da Philip Burgess in Suicide and Recency of Health Care Contacts: A Systematic Review, in «British Journal of Psychiatry», 173, 1998, p. 463.

4. Le osservazioni di Alfred Alvarez sono tratte da Il dio selvaggio, pp. 92 e 75.

5. Amleto, III, 1. Non esiste un’interpretazione chiara e univoca del monologo di Amleto. Cfr. per esempio C.S. Lewis, Studies in Words, dove un intero capitolo è dedicato al rapporto tra «coscienza» e «conscio», o la brillante e lucida interpretazione fornita da Harold Bloom in Shakespeare: l’invenzione dell’uomo.

6. Albert Camus, Il mito di Sisifo.

7. Arthur Schopenhauer, On suicide, in The Works of Schopenhauer, p. 437.

8. Citato in The Encyclopedia of Suicide di Glen Evans, p. II.

9. L’osservazione di Freud è tratta da un discorso pronunciato a una conferenza della Società psicanalitica viennese dedicata al suicidio, tenutasi il 20-27 aprile 1910. L’ho trascritta così come è citata nel saggio di Litman Sigmund Freud on Suicide, in Essays in Self-Distruction, a cura di Edwin Shneidman, p. 330.

10. Albert Camus, Il mito di Sisifo.

11. La citazione di Plinio si trova in The Works of Schopenhauer, p. 433.

12. John Donne, Biathanatos, p. 39.

13. Arthur Schopenhauer, Essays and Aphorisms, p. 78.

14. Thomas Szasz, The Second Sin, p. 67.

15. Herbert Hendin, Suicide in America, p. 216.

16. Edwin Shneidman, The Suicidal Mind, pp. 58-59.

17. L’osservazione di Edwin Shneidman è citata da George Howe Colt in The Enigma of Suicide, p. 341.

18. Il dato è stato calcolato in base al numero complessivo di suicidi all’anno, fornito dall’NIMH (31.000 nel 1996): 524.160 minuti all’anno diviso 31.000 suicidi all’anno equivale a un suicidio ogni 16,9 minuti.

19. Il fatto che il suicidio venga classificato al terzo posto tra le cause di morte fra i giovani è tratto dai siti Web dell’NIMH Suicide Facts (le statistiche si riferiscono all’anno 1996). L’informazione che il suicidio sia al secondo posto tra le cause di morte degli studenti dei college è presa da Kay Jamison, Rapida scende la notte: capire il suicidio, da cui sono tratte anche le statistiche comparative sul suicidio, l’AIDS e le cifre sui ricoveri per tentati suicidi, pp. 28, 50-51, 94-95.

20. La statistica dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) sul suicido è tratta da The World Health Report, 1999. Lo studio che ha rilevato l’aumento del 260 per cento di suicidi in un’area geografica circoscritta è U. Åsgård et al., Birth Cohort Analysis of Changing Suicide Risk by Sex and Age in Sweden 1952 to 1981, in «Acta Psychiatrica Scandinavica», 76, 1987, pp. 456-63.

21. Kay Jamison, Rapida scende la notte: capire il suicidio, p. 100.

22. M. Oquendo et al., Suicide: Risk Factors and Prevention in Refractory Major Depression, in «Depression and Anxiety», 5, 1997, p. 203.

23. George Howe Colt, The Enigma of Suicide, p. 311.

24. Il documento è Depression di Aaron Beck. A pagina 57, in un esame degli studi sul suicidio, Beck cita due indagini che riportano dati radicalmente diversi. Il primo studio «suggerisce che il rischio di suicidio in un paziente ricoverato per depressione è pari a circa cinquecento volte la media nazionale». Il secondo, presentato nel paragrafo seguente, constata: «Il tasso di suicidio tra i pazienti depressi era perciò venticinque volte maggiore rispetto al tasso che ci si aspettava».

25. Si veda il sito Web: www.nimh.nih.gov/publicat/harmaway.cfm.

26. Che di lunedì e di venerdì ci sia un tasso più alto di suicidi è riferito da Eric Marcus in Why suicide?, p. 23.

27. M. Gallerani et al., The Time for Suicide, in «Psychological Medicine», 26, 1996.

28. David Lester, Making Sense of Suicide, p. 153.

29. Il fatto che le donne abbiano un tasso di suicidio più alto durante la prima settimana del ciclo mestruale viene discusso da Richard Wetzel e James McClure Jr. in Suicide and the Menstrual Cycle: A Review, in «Comprehensive Psychiatry», 13, 4, 1972. Gli autori valutano anche gli studi che riportano tassi elevati di suicidio durante l’ultima settimana (fase lutea) del ciclo mestruale. Tuttavia la validità metodologica di molte di queste indagini è controversa. Per una revisione critica della letteratura sull’argomento, si veda Enrique Baca-García et al., in The Relationship between Menstrual Cycle Phases and Suicide Attempts, in «Psychosomatic Medicine», 62, 2000, pp. 50-60. Gli effetti della gravidanza e del parto sulla propensione materna al suicidio sono riferiti da E.C. Harris e Brian Barraclough in Suicide as an Outcome for Medical Disorders, in «Medicine», 73, 1994.

30. Il testo rivoluzionario di Émile Durkheim venne pubblicato nel 1897 col titolo Le suicide. La mia discussione sulla classificazione di Durkheim è tratta da Steve Taylor, Durkheim and the Study of Suicide.

31. Ho letto la citazione di Charles Bukowski su un tabellone nel Sunset Boulevard, ma non sono riuscito a trovarne la precisa collocazione nell’opera dello scrittore. Sconsiglio di guidare sul Sunset Boulevard durante le ore di punta cercando di individuarla.

32. Alexis de Tocqueville, La democrazia in America.

33. Steve Taylor, Durkheim and the Study of Suicide, p. 21.

34. La nozione che gli adulti, i ragazzi e le persone affette da malattie mentali che commettono suicidio abbiano una probabilità doppia o tripla di avere un’anamnesi familiare positiva per suicidio risulta da oltre trenta indagini ed è riferita da Kay Jamison in Rapida scende la notte: capire il suicidio, pp. 147-54.

35. Paul Wender et al., in Psychiatric Disorders in the Biological and Adoptive Families of Adopted Individuals with Affective Disorder, in «Archives of General Psychiatry», 43, 1986, riferiscono tassi di suicidio più alti tra le famiglie biologiche che tra quelle adottive. Per una panoramica degli studi sui gemelli monozigoti e il suicidio, si veda Alec Roy et al., Genetics of Suicide in Depression, in «Journal of Clinical Psychiatry», suppl. 2, 1999.

36. Kay Jamison, Rapida scende la notte: capire il suicidio, pp. 247-49.

37. Il suicidio epidemico in seguito alla pubblicazione de I dolori del giovane Werther è descritto da Paolo Bernardini in un manoscritto inedito dal titolo: «Melancholia gravis»: Robert Burton’s «Anatomy» (1621) and the Links between Suicide and Melancholy

38. George Howe Colt, The Enigma of Suicide, pp. 90-91.

39. Kay Jamison, Rapida scende la notte: capire il suicidio, pp. 240-43.

40. Rise Goldstein et al., The Prediction of Suicide, in «Archives of General Psychiatry», 48, 1991. A p. 421 si dice: «Siamo stati in grado di dimostrare che non solo un’anamnesi positiva per tentati suicidi, ma anche il numero dei tentativi è critico, poiché il rischio di suicidio aumenta a ogni tentativo».

41. Maria Oquendo et al., Inadequacy of Antidepressant Treatment for Patients with Major Depression who Are at Risk for Suicidal Behavior, in «American Journal of Psychiatry», 156, 2, 1999, p. 193.

42. Kay Jamison, Rapida scende la notte: capire il suicidio, pp. 213 sgg.

43. Leonardo Tondo et al., Lithium Maintenance Treatment Reduces Risk of Suicidal Behavior in Bipolar Disorder Patients, in Lithium: Biochemical and Clinical Advances, a cura di Vincent Gallicchio e Nicholas Birch, pp. 161-71.

44. Jerome Motto, Clinical Considerations of Biological Correlates of Suicide, in The Biology of Suicide, a cura di Ronald Maris.

45. La definizione è citata in numerosi scritti di Freud. In Mourning and Melancholia [Lutto e melanconia] si dice: «Sappiamo da molto, è vero, che nessun nevrotico cova pensieri suicidi se non ha rivolto su di sé gli impulsi omicidi indirizzati agli altri».

46. George Howe Colt, The Enigma of Suicide, p. 196.

47. La concezione freudiana dell’istinto di morte è descritta nel saggio di Robert Litman, Sigmund Freud on Suicide, in Essays in Self-Destruction, a cura di Edwin Shneidman, p. 336.

48. George Howe Colt, The Enigma of Suicide, p. 201.

49. Glen Evans e Norman L. Farberow, The Encyclopedia of Suicide, p. II.

50. Gli effetti dello stress cronico sui neurotrasmettitori sono stati studiati da molti. Una sintesi eccellente è fornita da Kay Jamison in Rapida scende la notte: capire il suicidio, pp. 163-64. Per maggiori informazioni sulla risposta del cervello allo stress, si veda Robert Sapolsky et al., Hippocampal Damage Associated with Prolonged Glucocorticoid Exposure in Primates, in «Journal of Neuroscience», 10, 9, 1990.

51. I rapporti tra suicidio e colesterolemia sono ben sintetizzati in Kay Jamison, Rapida scende la notte: capire il suicidio, pp. 173-76.

52. Per quanto riguarda i livelli di serotonina, l’alto numero dei suoi recettori, l’inibizione e la predisposizione al suicidio si rimanda al testo di John Mann, uno dei pionieri in questo campo, The Neurobiology of Suicide, in «Lifesavers», 10, 4, 1998. Il saggio di Herman Van Praag, Affective Disorders and Aggression Disorders: Evidence for a Common Biological Mechanism, in The Biology of Suicide, cit., è un’eccellente rassegna delle scoperte finora effettuate. Si veda anche Alec Roy, Possible Biologic Determinants of Suicide, in Current Concepts of Suicide, a cura di David Lester.

53. M. Virkkunen et al., Personality Profiles and State Aggressiveness in Finnish Alcoholics, Violent Offenders, Fire Setters, and Healthy Volunteers, in «Archives of General Psychiatry», 51, 1994.

54. Ci sono innumerevoli studi sul rapporto tra riduzione della serotonina e comportamento a rischio negli animali. Un saggio particolarmente incisivo è quello di P.T. Mehlman et al., Low CSF 5-HIAA Concentrations and Severe Aggression and Impaired Impulse Control in Nonhuman Primates, in «American Journal of Psychiatry», 151, 1994. Ho tratto materiale anche da numerosi articoli pubblicati nei bollettini di Across Species Comparison and Psychopathology (ASCAP).

55. I livelli di noradrenalina nel cervello dopo il suicidio sono stati studiati da molti ricercatori. Kay Jamison fornisce una sintesi eccellente dei dati in Rapida scende la notte: capire il suicidio, pp. 163-64.

56. Per ulteriori notizie sulla riduzione dei neurotrasmettitori essenziali, si veda di John Mann, The Neurobiology of Suicide, in «Lifesavers 10», 4, 1998.

57. Marie Åsberg, Neurotransmitters and Suicidal Behavior: The Evidence from Cerebrospinal Fluid Studies, in «Annals of the New York Academy of Sciences», 836, 1997, pp. 158-81.

58. D. Nielsen et al., Suicidality and 5-Hidroxindoleacetic Acid Concentration Associated with Tryptophan Hydroxylase Polymorphism, in «Archives of General Psychiatry», 51, 1994.

59. Le scimmie cresciute senza madre sono state studiate da Gary Kraemer. Ho consultato in particolare la sua ricerca: The Behavioral Neurobiology of Self-Injurious Behavior in Rhesus Monkeys: Current Concepts and Relations to Impulsive Behavior in Humans, in «Annals of the New York Academy of Sciences», 836, 363, 1977, presentata all’NIMH’s Suicide Research Workshop il 14-15 novembre 1996.

60. Joan Kaufman et al., Serotonergic Functioning in Depressed Abused Children: Clinical and Familial Correlates, in «Biological Psychiatry», 44, 10, 1998.

61. Kay Jamison, Rapida scende la notte: capire il suicidio, p. 162.

62. Simeon Margolis e Karen L. Swartz, Sex Differences in Brain Serotonin Production, in «The Johns Hopkins White Papers: Depression and Anxiety», 1998, p. 14. Per informazioni più approfondite riguardo al sesso e al sistema monoaminico del cervello, si veda Uriel Halbreich e Lucille Lumley, The Multiple Interactional Biological Processes That Might Lead to Depression and Gender Differences in Its Appearance, in «Journal of Affective Disorders», 29, 2-3 (1993).

63. Kay Jamison, Rapida scende la notte: capire il suicidio, p. 146 sgg.

64. Il nesso tra l’accessibilità alle armi e il suicidio è descritto in molti studi. Ho consultato in particolare quello di M. Boor et al., intitolato Suicide Rates, Handgun Control Laws, and Sociodemographic Variables, in «Psychological Reports», 66, 1990.

65. George Howe Colt, The Enigma of Suicide, p. 335.

66. La notizia che ogni anno sono più gli americani che si uccidono con le armi di quelli ammazzati con lo stesso mezzo è tratta da Kay Jamison in Rapida scende la notte: capire il suicidio, p. 254 sgg. I tassi di suicidio correlati con le leggi sul controllo delle armi e la citazione di David Oppenheim sono tratti da George Howe Colt, The Enigma of Suicide, p. 336.

67. Le statistiche sul numero di americani che si uccidono ogni anno con le armi è fornita dai Centers for Disease Control (CDC). Una pubblicazione on-line ha presentato il seguente dato (di cui però non ho trovato la fonte sul sito Web del CDC): «Le cifre pubblicate il 18 novembre dal CDC indicano che il numero dei suicidi con armi da fuoco era di 17.767 nel 1997». Si veda: www.stats.org/statswork/gunsuicide.htm. Una stima approssimativa può essere calcolata usando le informazioni presenti sul sito Web del CDC. Delle 30.535 persone che si sono suicidate nel 1997, il CDC stima che «quasi tre su cinque» hanno usato un’arma da fuoco. Le stime basate su questo dato hanno rivelato che il numero totale di suicidi con armi da fuoco è 18.321. I 18.000 da me citati sono una media approssimativa. Si veda il sito Web del CDC: www.cdc.gov/ncipc/factsheets/suifacts.htm.

68. Kay Jamison, Rapida scende la notte: capire il suicidio, pp. 49 e 125.

69. Idem, p. 123.

70. Idem, p. 161.

71. George Howe Colt, The Enigma of Suicide, p. 266.

72. Karl Menninger, Man Against Himself, p. 184.

73. Gli esperimenti sui ratti sono stati condotti da Juan López, Delia Vásquez, Derek Chalmers e Stanley Watson e presentati all’NIMH’s Suicide Research Workshop, 14-15 novembre 1996.

74. Il lavoro sulle scimmie allevate senza madre è di Gary Kraemer. Mi riferisco in particolare al suo studio The Behavioral Neurobiology of Self-Injurious Behavior in Rhesus Monkeys, cit., presentato all’NIMH’s Suicide Research Workshop, 14-15 novembre 1996.

75. Il caso del polpo suicida è menzionato da Marie Åsberg.

76. L. Moss e D. Hamilton, The Psychotherapy of the Suicidal Patient, in «American Journal of Psychiatry», 122, 1956.

77. I dati sui tentati suicidi e quelli che collocano il suicido al terzo posto tra le principali cause di morte nella fascia tra i quindici e i ventiquattro anni d’età negli Stati Uniti sono riportati da D.H. Hoyert et al., Deaths: Final data for 1997. National Vital Statistics Report, pubblicato per il National Center for Health Statistics. Le informazioni sono disponibili sul sito Web: www.cdc.gov/ncipc/osp/states/10lc97.htm. I tentati suicidi sono stati valutati usando le statistiche dell’NIMH, dove si dice che «si stimano tra otto e venticinque tentati suicidi per uno riuscito». Il numero di 80.000 tentati suicidi è, purtroppo, sottostimato. Il rapporto dell’NIMH può essere consultato al sito Web: www.nimh.nih.gov/publicat/harmaway.cfm.

78. George Howe Colt, The Enigma of Suicide, p. 49.

79. Herbert Hendin, Suicide in America, p. 55.

80. Philip Patros e Tonia Shamoo, Depression and Suicide in Children and Adolescents, p. 41.

81. Diego de Leo e René F.W. Diekstra, Depression and Suicide in Late Life, p. 188.

82. Idem.

83. Idem.

84. Idem, p. 24.

85. Laura Musetti et al., Depression Before and After Age 65: A Reexamination, in «British Journal of Psychiatry», 155, 1989, p. 330.

86. I tassi internazionali di suicidio, che pongono l’Ungheria in cima alla lista con un tasso del 40 per 100.000 e la Giamaica all’ultimo posto con lo 0,4 per 100.000 sono contenuti in Why Suicide? di Eric Marcus, pp. 25-26.

87. Kay Jamison, Rapida scende la notte: capire il suicidio, pp. 119-20.

88. Si veda il rapporto OMS Prevention of Suicide, Public Health Paper n. 35, Ginevra, 1968.

89. Kay Jamison, Rapida scende la notte: capire il suicidio, p. 41.

90. Alfred Alvarez, Il dio selvaggio, p. 105.

91. Albert Camus, Il mito di Sisifo.

92. Julia Kristeva, Sole nero: depressione e melanconia, p. 11.

93. Edwin Shneidman, The Suicidal Mind, pp. 58-59.

94. Kay Jamison, Rapida scende la notte: capire il suicidio, p. 105.

95. Idem, p. 277. L’autrice ha anche pubblicato un libro autobiografico sulle sue battaglie con i disturbi maniaco-depressivi, intitolato Una mente inquieta.

96. Kay Jamison, Rapida scende la notte: capire il suicidio, p. 71 sgg.

97. Edna St. Vincent Millay, Sonnet in Dialectic, in «Collected Sonnets», p. 159.

98. Ho scritto molto sulla morte di mia madre. Ne ho accennato in un pezzo per il «The New Yorker» sull’eutanasia ed essa ha ispirato l’XI capitolo del mio romanzo A Stone Boat. Ho deciso di parlarne ancora qui, spero per l’ultima volta, poiché quell’evento fa parte della mia vita, raccontata in questo libro. Mi appello all’indulgenza dei lettori che già conoscono le mie opere precedenti.

99. Fëdor Dostoevskij, I demoni, p. 114.

100. Il caso dell’anoressica diabetica è emerso da un’intervista con la dottoressa Deborah Christie, che lo aveva seguito. Si veda Deborah Christie e Russell Viner, Eating disorders and self-harm in adolescent diabetes, in «Journal of Adolescent Health», 27, 2000.

101. Alfred Tennyson, Tithonus, in Tennyson’s Poetry, p. 72, vv. 66-71.

102. «Nam Sibyllam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent: “Síbylla tí théleis”; respondebat illa: “Apothaneîn thélo”

103. I versi di Emily Dickinson sono in Tutte le poesie.

104. E.M. Cioran, A Short History of Decay, p. 36.

105. Il biglietto di Virginia Woolf è in The Letters of Virginia Woolf, pp. 486-87.

106. Virginia Woolf, The Diary of Virginia Woolf, pp. 110-11.

107. Ronald Dworkin, Life’s Dominion, p. 93.

108. Rainer Maria Rilke, Per un’amica, in Requiem e altre poesie.

109. Alfred Alvarez, Il dio selvaggio, p. 91.

110. La citazione da Nadezhda Mandelstam è in idem, pp. 151-52.

111. Primo Levi, I sommersi e i salvati, p. 51.

112. Che i medicinali siano responsabili del suicidio di Primo Levi viene suggerito dall’introduzione di Peter Bailey all’edizione britannica de I sommersi e i salvati.

113. In Al di là del bene e del male: preludio a una filosofia dell’avvenire, Nietzsche scrive che il pensiero del suicidio è un potente sollievo mediante il quale è possibile superare le brutte notti.

VIII. La storia

1. Sebbene non sia stato in grado di trovare nessuna fonte secondaria che trattasse la storia della depressione in modo del tutto convincente, desidero riconoscere il merito di avermi fornito nozioni fondamentali a Melancholia and Depression di Stanley Jackson.

2. L’etimologia della parola depressione è tratta da The Oxford English Dictionary.

3. Samuel Beckett, Aspettando Godot, in Teatro: Aspettando Godot, L’ultimo nastro di Krapp, Giorni felici.

4. Stanley Jackson, Melancholia and Depression, pp. 7-12.

5. Per le citazioni dal Corpus Hippocraticum cfr. Opere di Ippocrate. Su Ippocrate si veda anche il rigoroso libro di Giuseppe Roccatagliata, Storia della psichiatria antica, pp. 99-128.

6. Bennett Simon, Mind and Madness in Ancient Greece, p. 235.

7. Ibid.

8. Iliade, 6, vv. 200-03.

9. Giuseppe Roccatagliata, Storia della psichiatria antica, pp. 104-06. L’opinione di Ippocrate che «tutti i filosofi abbiano scritto sulle scienze naturali cose che non appartengono alla medicina più di quanto non appartengano alla pittura» è citata anche da Iago Gladstone in Historic Derivations of Modern Psychiatry, p. 12.

10. Le diverse posizioni di Socrate, Platone e Ippocrate nonché il modello platonico della psiche umana sono descritti da Bennett Simon in Mind and Madness in Ancient Greece, pp. 224-27. Un interessante paragone fra le idee di Platone e quelle di Freud si trova in Historic Derivations of Modern Psychiatry di Iago Gladstone, pp. 14-16. Le tesi di Platone riguardanti l’importanza dell’infanzia e della famiglia nello sviluppo del bambino sono discusse da Simon in Mind and Madness in Ancient Greece, pp. 171-72.

11. Giuseppe Roccatagliata, Storia della psichiatria antica, p. 241.

12. Idem, pp. 150-53.

13. Idem, pp. 129-46.

14. Aristotele, Problemata, 30.

15. Bennet Simon, Mind and Madness in Ancient Greece, p. 231.

16. Citato da Rudolph e Margot Wittkower, Born Under Saturn, p. 99.

17. Comicorum Atticorum Fragmenta, framm. 18.

18. Giuseppe Roccatagliata, Storia della psichiatria antica, pp. 163 sgg.

19. Idem, pp. 163-65.

20. Idem, pp. 158-60.

21. Stanley Jackson, Melancholia and Depression, pp. 35-39, dove si riporta anche la ricetta per il «sacro rimedio».

22. L’usanza dei tubi gocciolanti e delle amache è riportata in idem, p. 35. La prescrizione di cibi dal colore delicato e di latte umano si trova nella dissertazione inedita di Barbara Tolley, The Languages of Melancholy in “Le Philosophe Anglais”, p. 17.

23. Giuseppe Roccatagliata, Storia della psichiatria antica, pp. 227-38.

24. Esiste una gran quantità di materiale su Galeno, sia nelle storie di medicina generale sia in monografie della psichiatria antica. Mi sono avvalso in gran parte di Melancholia and Depression di Stanley Jackson e di Storia della psichiatria antica di Giuseppe Roccatagliata, pp. 255-90.

25. Tzvetan Todorov, La conquista dell’America. Ringrazio Elena Phipps per avermi segnalato questo materiale.

26. Sui filosofi stoici e sul loro contributo alla pratica medica si veda Giuseppe Roccatagliata, Storia della psichiatria antica, pp. 80 sgg.

27. Per quanto concerne sant’Agostino e le ripercussioni del suo pensiero si veda Judith Neaman, Suggestion of the Devil, pp. 51-56.

28. Daniele 4,30.

29. La frase «il demone del mezzogiorno» ricorre nella letteratura in questione e sembra derivare da una sintesi di diversi passi biblici primari. La Bibbia di Gerusalemme (Salmi 91,6) traduce fedelmente l’originale ebraico: «lo sterminio che devasta a mezzogiorno». La frase «il demone del mezzogiorno» è una delle varie traduzioni dell’espressione latina daemonio meridiano che compare nella Vulgata (attribuita a san Gerolamo e comunemente utilizzata durante tutto il Medioevo nell’Occidente latino), a sua volta tratta dalla Bibbia greca o dei Settanta (Salmi 90,6) che recita daimoniou mesembrinou. Da qui potrebbe derivare la traduzione di Cassiano (citata da Stanley Jackson in Melancholia and Depression; Jackson stesso la usa nella presentazione di Cassiano). Ringrazio il dottor Kevin White della Catholic University of America per l’aiuto fornitomi in materia.

30. Su Evagrio e l’uso dell’espressione «demone di mezzogiorno» Reinhard Kuhn scrive in The Demon of Noontide (p. 43): «Degli otto vizi considerati da Evagrio nel libro omonimo, all’accidia viene dedicata particolare attenzione. Evagrio, come molti suoi seguaci, ha descritto l’accidia come il daemon qui etiam meridianus vocatur, ossia il “demone di mezzogiorno” dei Salmi». Kuhn usa entrambe le espressioni inglesi demon of noontide e noontide demon, ma la frase è traducibile anche con noonday demon. Stanley Jackson scrive, a p. 66 di Melancholia and Depression, che l’accidia, come indicato da Evagrio, «era caratterizzata da spossatezza, svogliatezza, tristezza o abbattimento, irrequietezza, avversione alla cella e alla vita ascetica, nonché da brama di una vita normale e di una famiglia».

31. Su pazzia e inquisizione si veda Historic Derivations of Modern Psychiatry di Iago Gladstone, pp. 19-22.

32. Su Tommaso d’Aquino e la melanconia si veda idem, pp. 31-34. Si è scritto moltissimo (forse anche più del necessario) su Tommaso d’Aquino e il dualismo.

33. Geoffrey Chaucer, I racconti di Canterbury, X, pp. 1003-06.

34. Stanley Jackson, Melancholy and Depression, pp. 65-77.

35. Idem, p. 326.

36. Rudolph e Margot Wittkower, Born Under Saturn, pp. 108-13.

37. Per una più ampia trattazione di Marsilio Ficino, si veda Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino di Paul Kristeller, da cui sono tratte molte citazioni. Altre ancora sono contenute in Melancholy, Genius, and Utopia in the Renaissance, di Winfried Schleiner, pp. 24-26; in Saturno e la melanconia: studi di storia della filosofia naturale, religione e arte di Klibansky et al.; nella disquisizione inedita di Barbarta Tolley, The Languages of Melancholy in «Le Philosophe Anglais», pp. 20-23; e in Elizabethan Malady, di Lawrence Babb, pp. 60-61.

38. Winfried Schleiner, Melancholy, Genius, and Utopia in the Renaissance, pp. 26-27.

39. I commenti di Vasari sulla depressione degli artisti sono presentati in modo bizzarro ed esoterico in entrambe i volumi di Le vite dei più celebri pittori, scultori, architetti. Nel primo volume Vasari parla di Paolo Uccello, descrivendolo come «solitario, eccentrico, melanconico e povero» poiché si «riempie la testa di problemi difficili». Di Correggio, scrive: «era diventato molto melanconico nell’esercizio della sua arte alla quale si era dedicato incessantemente». Per un’eccezionale fonte secondaria sulla tradizione della melanconia e del genio artistico, specialmente con riferimento al grande Albert Dürer e al Rinascimento tedesco, si veda: Saturno e la melanconia: studi di storia della filosofia naturale, religione e arte, di Raymond Klibansky, Erwin Panofsky e Fritz Saxl.

40. L’«intervento o l’ingerenza di angeli malvagi» sono menzionati nel Discourse of Melancholike Diseases di Andreas du Laurens, citato da Lawrence Babb in The Elizabethan Malady, p. 49.

41. Lawrence Babb, The Elizabethan Malady, p. 53.

42. Winfried Schleiner, Melancholy, Genius and Utopia in the Renaissance, p. 182.

43. Le discussioni su Jan Wier, noto anche col nome di Johann Weyer, si trovano in idem, pp. 181-87, e anche in The Elizabethan Malady, di Lawrence Babb, pp. 54-56.

44. L’osservazione è in The Standard Edition of the Complete Psychological Works of Sigmund Freud, IX, p. 245.

45. Lawrence Babb, The Elizabethan Malady, pp. 55-56, e Winfried Schleiner, Melancholy, Genius and Utopia in the Renaissance, pp. 183-87.

46. Winfried Schleiner, Melancholy, Genius and Utopia in the Renaissance, p. 189.

47. Idem, p. 190.

48. Le considerazioni di Montaigne sulla melanconia sono un argomento complesso che meriterebbe una lunga discussione a parte. Per il materiale qui riportato si veda idem, pp. 179 e 184. Per una trattazione più approfondita si veda M.A. Screech, Montaigne & Melancholy.

49. Andreas du Laurens è anche conosciuto come Laurentius. Si veda Stanley Jackson, Melancholy and Depression, pp. 86-91, e T.H. Jobe, Medical Theories of Melancholia in the Seventeenth and Early Eighteenth Centuries, in «Clio Medica», 11, 4, 1976, pp. 217-21.

50. I medici sono rispettivamente Richard Napier e John Archer. Si veda Michael MacDonald, Mystical Bedlam, pp. 159-60.

51. Lawrence Babb, The Elizabethan Malady, p. 62.

52. Dalla commedia Midas di John Lyly. La frase è citata in Mystical Bedlam di Michael MacDonald, p. 151.

53. Il medico è Richard Napier. Le statistiche sono in idem, p. 151. Il resoconto di Napier sulla sua attività è molto completo ed è il più accurato tra il materiale del periodo. Napier pare avere una notevole sensibilità per i disturbi mentali, che descrive in maniera eloquente.

54. Il fatto che gli individui gravemente colpiti dalla melanconia godessero di simpatia e rispetto è sostenuto nelle opere di Timothy Rogers. Nel suo Discourse del 1691 l’autore illustra estesamente la considerazione e la comprensione che si dovrebbe dimostrare ai depressi. «Non sollecitate i vostri amici che soffrono sotto il Male della Melanconia a compiere cose che non possono fare» afferma. «Sono come persone con le ossa rotte e si trovano in grande dolore e angoscia, di conseguenza sono incapaci di agire… se fosse possibile, in qualche modo semplice, distrarli, fareste loro del bene.» Si veda A Discourse Concerning Trouble of the Mind and the Disease of Melancholy, alcune sezioni del quale sono state ristampate in 300 Years of Psychiatry di Richard Hunter e Ida Macalpine, pp. 248-51.

55. John Milton, Il pensieroso, vv. 11-14, 168-69, e 173-76.

56. Anatomia della melanconia, di Robert Burton, è un’eccellente lettura pregna di grande saggezza. I commenti su Burton sono numerosi. Per una sintesi breve e concisa della sua vita e della sua opera si veda Stanley Jackson, Melancholia and Depression, pp. 95-99. Per una trattazione più ampia si vedano Lawrence Babb, The Elizabethan Malady; Eleanor Vicari, The View of Minerva’s Tower; Vieda Skultan, English Madness, e Rudolph e Margot Wittkover, Born Under Saturn. Mi sono anche avvalso del manoscritto inedito di Paolo Bernardini, Melancholia gravis: Robert Burton’s “Anatomy” (1621) and the Links between Suicide and Melancholy. Le citazioni riportate nel testo provengono da Anatomia della melanconia. I passi usati nella discussione su Burton e sul suicidio sono tratti direttamente dal manoscritto di Paolo Bernardini.

57. F.F. Blok, Caspar Barlaeus, pp. 105-21.

58. Per quanto riguarda Cartesio e la salute mentale, si veda il saggio di Theodore Brown, Descartes, Dualism, and Psychosomatic Medicine, in The Anatomy of Madness, a cura di W.F. Bynum, Roy Porter e Michael Shepherd, I, pp. 40-62. Brani scelti da Le passioni dell’anima di Cartesio si trovano in 300 Years of Psychiatry, di Richard Hunter e Ida Macalpine, pp. 133-34.

59. Thomas Willis, Two Discourses Concerning the Soul of Brutes, pp. 179, 188-221 e 209. Cfr. anche T.H. Jobe, Medical Theories of Melancholia in the Seventeenth and Early Eighteenth Centuries, in «Clio Medica», 11, 4, 1976, e Allan Ingram, The Madhouse of Language.

60. Allan Ingram, The Madhouse of Language, pp. 24-25.

61. Boerhaave aveva specificamente rifiutato la teoria umorale e sostenuto una tesi secondo cui il corpo sarebbe una massa fibrosa alimentata dall’azione di pompaggio del sangue. Le cause primarie della melanconia secondo Boerhaave erano: «Tutto ciò che consolida, esaurisce o mescola i secreti nervosi del cervello; come incidenti grandi e inaspettatamente spaventosi, grandi fatiche di ogni genere, amore forte, solitudine giornaliera, paura, affezioni isteriche». Altre cause da prendere in considerazione erano: «i rapporti sessuali eccessivi, il bere, le carni essiccate, affumicate o salmistrate, i frutti acerbi, i farinacei non fermentati». Chi favoriva lo squilibrio del sangue con stravizi o consumi smodati produceva sostanze acide e la bile andava incontro a decomposizione: da ciò aveva origine un liquido pericolosamente caustico che, circolando, provocava disturbi in tutto il corpo. Nel cervello un acido coagulante solidificava il sangue che cessava così di circolare nelle zone cruciali.

62. Hermann Boerhaave, Aphorisms. Sulle teorie di Boerhaave abbondano le fonti secondarie. Tra le migliori: Stanley Jackson, Melancholia and Depression, pp. 119-21, e T.H. Jobe, Medical Theories of Melancholia in the Seventeenth and Early Eighteenth Centuries, in «Clio Medica», 11, 4, 1976, pp. 224-27, da cui sono tratti alcuni brani.

63. Boerhaave ebbe molti sostenitori e discepoli. È interessante vedere in che modo ha influenzato, per esempio, Richard Mead. Nel suo magnum opus, pubblicato nel 1751, Mead si attiene all’idea dei meccanismi ma li sposta dal sistema sanguigno agli «spiriti animali» che si muovono lungo i nervi. «Niente sconvolge la mente come l’amore e la religione» osserva. Per Mead, come per Boerhaave, il cervello è «evidentemente una grande ghiandola» e i nervi sono «canali escretori», e tutto ciò che scorre nei nervi è un «fluido sottile di grande forza ed elasticità». Anche in questo la descrizione è molto vicina alla realtà: qualcosa giunge dal cervello e viaggia lungo i nervi, cioè i neurotrasmettitori. Le prime due citazioni di Richard Mead sono in Medical Precepts and Cautions, pp. 76 e 78, mentre le ultime tre sono tratte da The Medical Works of Richard Mead, M.D., p. XXI.

64. Aram Vartanian, La Mettrie’s l’Homme Machine. La citazione è a p. 22.

65. Nel 1783 Friedrich Hoffman affermò che il sangue diventava denso per via della «debolezza del cervello, in seguito a un prolungato dolore, paura o amore». Secondo la sua tesi, inoltre, la mania e la depressione, a lungo trattate come problemi distinti, «sembrano essere due diversi stadi di uno solo; la mania essendo propriamente un’esacerbazione della melanconia, lascia il paziente melanconico negli intervalli di maggior calma». Egli si rifà alle idee di Boerhaave sostenendo che la melanconia sia «un ritardo nella circolazione» e la mania «una sua accelerazione». Si veda Friedrich Hoffman, A System of the Practice of Medicine, pp. 298-303.

66. Baruch Spinoza, Etica.

67. Per ulteriori informazioni su Bedlam, si veda di Marlene Arieno Victorian Lunatics, specialmente le pp. 16-19. Su Bicêtre e il suo famoso dottor Philippe Pinel, si veda di Dora Weiner’s «Le geste de Pinel»: The History of a Psychiatric Myth, in Discovering the History of Psychiatry, a cura di Mark Micale e Roy Porter.

68. Roy Porter, Mind-Forg’d Manacles, p. 73.

69. Esiste una grande quantità di libri generici sulla pazzia nel Settecento e nel primo Ottocento. La mia descrizione è stata influenzata da molti di questi, tra cui Andrew Scull, Social Order/Mental Disorder, Michel Foucault, Storia della follia, e Roy Porter, Mind-Forg’d Manacles.

70. Andrew Scull, Social Order/Mental Disorder, p. 59.

71. Le descrizioni di alcuni tra i più inquietanti strumenti di tortura del primo Settecento si trovano in idem, pp. 69-72.

72. Per i commenti di Boswell sulla malattia mentale, i suoi diari e la corrispondenza cfr. Allan Ingram, The Madhouse Language, pp. 146-49.

73. L’apprezzamento di Samuel Johnson per Burton è citato in Roy Porter, Mind-Forg’d Manacles, pp. 75-77. Per quanto concerne il «Cane nero», cfr. Max Byrd, Visits to Bedlam, p. 127.

74. Allan Ingram, The Madhouse of Language, pp. 149-50. I versi sono tratti da Lines Written During a Period of Insanity, in The Poetical Works of William Cowper, p. 290.

75. Edward Young, The Complaint, or Night-Thoughts, I, p. 11.

76. La descrizione che Tobias Smollet fa di se stesso è contenuta nelle note finali di Roy Porter, Mind-Forg’d Manacles, p. 345.

77. Jerome Zerbe e Cyril Connolly, Les Pavillons of the Eighteenth Century, p. 21.

78. Per quanto riguarda Johnson e la Scozia si veda Max Byrd, Visit to Bedlam, p. 126.

79. Le osservazioni sprezzanti di John Brown sul clima britannico e quelle di Edmund Burke sono contenute in idem, p. 126. Si potrebbe continuare con interi volumi di commenti sulla melanconia del XVIII secolo. Jonathan Swift, anch’egli vittima della depressione, era poco indulgente con tali resoconti, e preferiva l’atteggiamento del «tirarsi su e farcela da solo»: «Capitava talvolta che a uno yahoo saltasse il ticchio di ritirarsi in un angolo e star lì disteso a gemere, a piagnucolare, a tirar calci a tutti quelli che s’avvicinavano, eppure era giovane e scoppiava di salute, non gli mancava né da mangiare né da bere, e il servo non riusciva a capire che male avesse. Essi avevano trovato che l’unico rimedio era di sottoporlo a un lavoro molto faticoso, dopo di che tornava sempre in senno» (I viaggi di Gulliver, cap. 8, p. 210).

80. Voltaire, Candido, ovvero l’ottimismo, p. 145.

81. Roy Porter, Mind-Forg’d Manacles, p. 241. La questione del nesso tra geografia e depressione sorse per la prima volta in questo periodo. William Rowley scrisse: «L’Inghilterra, in conformità alla sua grandezza e al numero di abitanti, genera e ospita più malati di qualsiasi altro paese in Europa e il suicidio è più diffuso. I turbamenti della passione, la libertà di pensare e di agire con meno limitazioni che in altri paesi fanno affluire una gran quantità di sangue alla testa e producono una maggiore varietà di pazzia in questo paese rispetto a quanto si osserva negli altri. La tolleranza civile e religiosa causa pazzia politica e religiosa, ma laddove non esiste questa tolleranza non esiste una malattia simile» (Max Byrd, Visits to Bedlam, p. 129).

82. La citazione di Thomas Gray è in Elegia scritta su un cimitero campestre. I versi sono tratti da Ode on a Distant Prospect of Eton College, in The Complete Poems of Thomas Gray.

83. The Collected Letters of Samuel Taylor Coleridge, a cura di Earl Leslie Griggs, I, lettera 68, p. 123.

84. Cfr. Immanuel Kant, Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime.

85. Sulla salute mentale nelle colonie americane si veda Mary Ann Jimenez, Changing Faces of Madness.

86. La tendenza a spiegare la depressione in ambito religioso è rappresentata da William Thompson, vissuto in Massachusetts nel XVII secolo, che divenne tanto depresso da dover lasciare la sua attività; sembrava «il ritratto vivente della Morte / Una tomba che cammina, un sepolcro vivo / In cui la melanconia nera si sotterrava». Era il diavolo che «gli tormentava la mente con assalti diabolici e frecce orribili e infernali». Il poema su William Thompson, scritto da «parenti e amici», si trova in idem, p. 13.

87. Idem, pp. 13-15.

88. Cotton Mather, The Angel of Bethesda, pp. 130-33.

89. Le osservazioni di Henry Rose si trovano nel suo An Inaugural Dissertation on the Effects of the Passions upon the Body, p. 12. Altri autori americani importanti che hanno pubblicato dissertazioni sul tema della depressione sono: Nicholas Robinson, William Cullen e Edward Cutbush. Nicholas Robinson veniva letto parecchio nelle colonie; le sue spiegazioni meccaniche della melanconia dominarono il pensiero sino a metà del XVIII secolo. Per ulteriori approfondimenti si veda, di Mary Ann Jimenez, Changing Faces of Madness, pp. 18-20. William Cullen, un umanista libero da vincoli religiosi che pubblicò il suo The First Lines of the Practice of Physic a Filadelfia nel 1790, pensava che i «tessuti più asciutti e duri nella sostanza midollare del cervello», per via di «una mancanza di fluido in tale sostanza», causassero la melanconia (III, p. 217). Edward Cutbush parla della melanconia nelle colonie come di una «pazzia atonica» in cui «la mente generalmente si fissa su un soggetto; molti sono meditativi, silenziosi, cupi e immobili come statue; altri vagano fuori dalla loro abitazione in cerca di luoghi solitari, rifiutano la pulizia, i loro corpi sono generalmente freddi, cambiano colorito e hanno la pelle secca; tutte le varie secrezioni appaiono molto diminuite, il polso è debole e lento». Egli riteneva il cervello in movimento costante (come il cuore e i polmoni) e pensava che la pazzia derivasse da «un eccesso o un difetto di movimento in una o più parti del cervello». Si chiedeva inoltre se tali difetti provenissero dal sangue o dal fluido dei nervi, come affermava Boerhaave, da disturbi chimici, come suggeriva Willis, o da «un fluido elettrico o elettroide» capace di causare «gli attacchi periodici di follia» in caso di «accumulo di tale elettricità nel cervello». Sosteneva inoltre che una sovreccitazione del cervello potesse danneggiarlo: «La prima impressione provoca un’agitazione tanto profonda nel cervello da precludere ogni altro moto dell’animo o da coinvolgerlo in un grande vortice, e la follia con i suoi concitati fenomeni concomitanti sconvolgerà la sovranità della ragione» (An Inaugural Dissertation on Insanity, pp. 18, 24, 32-33).

90. Per quanto riguarda l’«anoressia nervosa evangelica», si veda di Julius Rubin, Religious Melancholy and Protestant Experience in America, pp. 82-124, 156-76. L’espressione starving perfectionists (perfezionisti del digiuno) si trova a p. 158.

91. Le osservazioni di Kant sono riportate in The Philosophy of Kant, p. 4.

92. Goethe, Faust, parte I, p. 131.

93. I versi di Wordsworth sono tratti da Resolution and Indipendence, in The Prelude: Selected Poems and Sonnets, p. 138.

94. In Keats il tema della morte che dà sollievo ricorre in Ode a un usignolo, in Poesie. Per la citazione da Ode alla melanconia si veda idem.

95. La citazione di Shelley è tratta da Mutabilità, in Poesie, p. 52.

96. Giacomo Leopardi, A se stesso, in Poesie.

97. Ecclesiaste 12,8.

98. Goethe, I dolori del giovane Werther, pp. 93, 114.

99. Charles Baudelaire, I fiori del male, p. 43.

100. Bernard de Morlaix, monaco cluniacense, ha scritto la sua famosa opera De contemptu mundi, una delle più pregnanti riflessioni sull’apocalisse, nel XII secolo.

101. La citazione di Hegel, dalle Lezioni sulla filosofia della storia, è riportata in Melanconia e società di Wolf Lepenies.

102. Tutto ciò che scrisse Kierkegaard sembra riguardare in un modo o nell’altro la depressione. I brani riportati sono tratti, rispettivamente, da L’anima e le forme di György Lukács, e da La malattia mortale di Kierkegaard.

103. I commenti di Schopenhauer sulla melanconia si trovano soprattutto nei suoi saggi anziché nelle sue opere maggiori. Vorrei richiamare l’attenzione in particolare su quelli intitolati On the Sufferings of the World, On the Vanity of Existence e On suicide. Le citazioni sono tratte dal primo saggio; in Complete Essays of Schopenhauer, pp. 3-4.

104. Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza.

105. Philippe Pinel, A Treatise on Insanity, pp. 107, 132, e 53-54.

106. Le citazioni di Samuel Tuke sono contenute in Andrew Scull, Social Order/Mental Disorder, p. 75.

107. Idem, p. 77.

108. Marlene Arieno, Victorian Lunatics, p. 11.

109. Idem, pp. 15-17.

110. L’acuta osservazione di Thomas Beddoes è riferita da Stanley Jackson in Melancholia and Depression, p. 186.

111. J.E.D. Esquirol, per esempio, era uno fedele seguace di Pinel. Agli inizi del XIX secolo si era battuto per ricoveri che offrissero un ambiente umano, convinto che i pazienti dovessero essere trattati «in un clima secco e temperato, con un cielo sereno, una temperatura piacevole, una situazione gradevole, paesaggi diversi», come pure con l’esercizio fisico, il viaggiare e i lassativi. Per quanto riguarda le cause della melanconia, ne fornisce una lista sbalorditiva che include i problemi domestici, la masturbazione, i problemi di autostima, le contusioni al capo, la predisposizione ereditaria e il libertinaggio. In ordine ai sintomi affermava che: «Non è una malattia che produce agitazione, lamenti, urla e pianti, ma silenziosa, senza lacrime, immobile» (cfr. il suo Mental Maladies, p. 226 e la dissertazione inedita di Barbara Tolley, The Languages of Melancholy in «Le Philosophe Anglais», p. 11). Mentre alcuni si concentravano sull’aspetto «umano» della cura, altri mettevano a fuoco la natura della malattia stessa. James Cowles Prichard riprese il concetto di Nietzsche quando la definì una malattia molto vicina alla sanità mentale, dando origine all’approccio moderno alla depressione. «È forse impossibile» scrisse «determinare la linea tra la predisposizione e la malattia; ma esiste un grado di questo disturbo che sicuramente determina la malattia mentale, e questa malattia esiste senza che alcun delirio interferisca con la facoltà del raziocinio. La capacità della ragione non è deteriorata, ma un sentimento costante di melanconia e tristezza rabbuia tutte le prospettive della vita. Questa inclinazione a rendere morbosa la tristezza e la melanconia, poiché non distrugge la comprensione, si lascia spesso controllare quando appare per la prima volta e probabilmente assume il suo particolare carattere dallo stato mentale precedente dell’individuo» (cfr. James Cowles Prichard, A Treatise on Insanity and Other Disorders Affecting the Mind, p. 18).

112. Benjamin Rush, Medical Inquiries and Observations, pp. 61-62, 78, 104-08.

113. Le idee di Griesinger sono menzionate in numerose fonti primarie e secondarie. Il suo Mental Pathology and Therapeutics fornisce un’eccellente panoramica delle sue idee. Melancholia and Depression di Stanley Jackson contiene una sintesi illuminante delle tesi di Griesinger.

114. Le concezioni di Foucault sono esposte nel suo Storia della follia, un libro che con la sua speciosità compromise significativamente la causa dei malati di mente verso la fine del Novecento.

115. Nella maggior parte delle sue opere Charles Dickens rivendica le riforme sociali. Esemplare in tal senso è Nicholas Nickleby.

116. Per i temi dell’ingiustizia e dell’alienazione sociale in Victor Hugo, si veda I miserabili.

117. Oscar Wilde esprime lo spirito di alienazione della sua epoca in La ballata del carcere di Reading, in Opere.

118. Joris-Karl Huysmans coglie lo spirito dell’alienazione della tarda decadenza nel suo famoso Controcorrente.

119. La prima citazione è in Sartor Resartus, la seconda è tratta dal saggio di William James Volontà di credere.

120. Le idee di William James sulla melanconia caratterizzano tutta la sua opera. I brani qui citati sono tratti dal suo Volontà di credere. Si veda anche Le varie forme dell’esperienza religiosa.

121. Matthew Arnold, Dover Beach, in The Poems of Matthew Arnold, pp. 239-43.

122. Henry Maudsley, The Pathology of the Mind, pp. 164-68. Negli Stati Uniti John Charles Bucknill e Daniel H. Tuke ripresero la tematica di Maudsley («il disturbo dell’intelletto non è» osservarono «parte essenziale della patologia»). E proseguirono rilevando che le terapie esterne della melanconia, molte già vecchie, avevano un effetto diretto sul cervello. «Per tutti gli organi del corpo, tranne che per il cervello, sono stati compiuti molti progressi nella conoscenza delle leggi fisiologiche. Ma non è lo stesso per il nobile organo che comanda su tutto il resto del corpo. Il principio fisiologico sul quale dobbiamo costruire il sistema della patologia celebrale è che la salute mentale dipende dal dovuto nutrimento, dalla stimolazione e dal rilassamento del cervello, cioè dal rapporto tra usura e riparazione della sostanza nervosa mantenuta in uno stato sano e normale.» Suggerirono inoltre che l’oppio potesse essere efficace per rilassare il cervello (cfr. Charles Bucknill e Daniel H. Tuke, A Manual of Psychological Medicine, pp. 152, 341-42). Anche Richard von Krafft-Ebing identificò la malattia: «Quando vengono prese in considerazione le innumerevoli cause lievi, che non portano al ricovero in ospedale del malato, si può parlare di melanconia. Numerosi casi simili guariscono senza che si verifichino deliri o alterazioni dei sensi» (cfr. Richard von Krafft-Ebing, Text-Book of Insanity, p. 309).

123. George H. Savage, Insanity and Allied Neuroses, pp. 130, 151-52.

124. Le osservazioni di Freud sono tratte dal suo Extract from the Fliess Papers, in The Standard Edition of the Complete Psychological Works of Sigmund Freud, I, pp. 204-06 [Lettere a Wilhelm Fliess, 1887-1904].

125. Si tratta di Notes on the Psycho-analytical Investigation and Treatment of Manic-Depressive Insanity and Allied Conditions, in Selected Papers of Karl Abraham, pp. 137, 146, 156.

126. Da Mourning and Melancholia, in A General Selection from the Works of Sigmund Freud, pp. 125-27, 133, 138-39 [Lutto e melanconia].

127. L’articolo si intitola Managing Depression in Medical Outpatients, ed è apparso in «The New England Journal of Medicine», 343, 26, 2000.

128. Per quanto concerne la risposta di Abraham a Freud, si veda il suo ultimo saggio Development of the Libido, in Selected Papers of Karl Abraham, p. 456.

129. Melanie Klein, The Psychogenesis of Manic-Depressive States, in The Selected Melanie Klein, p. 145. Tra gli psicoanalisti che hanno affrontato l’argomento c’è il grande revisionista freudiano Sandor Rado, che ha messo a punto il profilo del melanconico. Costui è «molto felice quando vive in un’atmosfera permeata di libido», ma ha anche la tendenza a pretendere troppo da chi ama. La depressione, secondo Rado, è «un grande, disperato urlo d’amore». Essa evoca ancora una volta la prima ricerca del seno materno, quella soddisfazione che Rado ha brillantemente definito «orgasmo alimentare». Il depresso vuole, a partire dall’infanzia, ogni tipo d’amore. L’amore erotico, l’amore materno, l’amor proprio sono tutte forme di appagamento del suo bisogno. «Il processo della melanconia» scrisse Rado «rappresenta un tentativo di riparazione (cura) su vasta scala, messo in atto con una coerenza psicologica di ferro» (cfr. Sandor Rado, The Problem of Melancholia, in Psychoanalysis of Behavior, pp. 49-60).

130. Jacques Hassoun, The Cruelty of Depression.

131. La lettura di Kraepelin è piuttosto noiosa. I brani qui citati sono tratti da Melancholia and Depression di Stanley Jackson, pp. 188-95. Un’eccellente panoramica delle tesi di Kraepelin è contenuta anche in Myer Mendelson, Psychoanalytic Concepts of Depression.

132. La frase di sir William Osler, tratta dal suo Aequanimitas, è riferita da Peter Adams in The Soul of Medicine, p. 67.

133. Leggere Adolf Meyer è un piacere. Devo gran parte degli spunti su di lui a Stanley Jackson, Melancholia and Depression, Myer Mendelson, Psychoanalytic Concepts of Depression, e Jacques Quen ed Eric Carlson, American Psychoanalysis. I brani citati, secondo l’ordine con cui appaiono nel testo, sono in: Myer Mendelson, Psychoanalytic Concepts of Depression, p. 6; Jacques Quen ed Eric Carlson, American Psychoanalysis, p. 24; Adolf Meyer, Psychobiology, p. 172; Adolf Meyer, The Collected Papers of Adolf Meyer, II, pp. 598-99; Theodore Lidz, Adolf Meyer and the Development of American Psychiatry, in «American Journal of Psychiatry», 123, 1966, p. 326 e Adolf Meyer, Psychobiology, p. 158.

134. Su Mary Brooks Meyer si veda Theodore Lidz, Adolf Meyer and the Development of American Psychiatry, cit., p. 328.

135. Le citazioni sugli obiettivi della medicina sono trattei dall’ultimo saggio di Adolf Meyer, The «Complaint» as the Center of Genetic-Dynamic and Nosological Thinking in Psychiatry, in «New England Journal of Medicine», 199, 1928.

136. Jean-Paul Sartre, La nausea, pp. 25, 151, 187, 252.

137. I brani di Beckett sono tratti rispettivamente da Malone muore e da L’innominabile, entrambi in La trilogia.

138. La storia della scoperta degli antidepressivi viene citata di continuo. Una versione interessante si trova in Listening to Prozac di Peter Kramer, una più tecnica in A Mood Apart di Peter Whybrow. Mi sono avvalso di entrambe e anche dell’accurato resoconto in The Antidepressant Era di David Healy. Ho inoltre incluso informazioni tratte da interviste.

139. Sul dibattito Kline/Lurie-Salzer/Kuhn cfr. David Healy, The Antidepressant Era, pp. 43-77.

140. Idem, pp. 145-47.

141. L’articolo di A. Pletscher et al. è Serotonin Release as a Possible Mechanism of Reserpine Action, in «Science», 122, 1955.

142. David Helay, The Antidepressant Era, p. 148.

143. Idem, pp. 152-55.

144. Idem, pp. 155-61.

145. Joseph Schildkraut, The Catecholamine Hypothesis of Affective Disorders: A Review of Supporting Evidence, in «American Journal of Psychiatry», 122, 1965, pp. 509-22.

146. Ringrazio David Helay per l’analisi critica dell’ipotesi di Schildkraut.

147. Gli scienziati scozzesi che hanno elaborato la teoria dei recettori sono George Ashcroft e Donald Eccleston e i membri del loro gruppo (cfr. David Healy, The Antidepressant Era, p. 162).

148. Su Carlsson, Wong e la serotonina cfr. idem, pp. 165-69.

149. La storia della sintesi dei vari farmaci è citata nei siti Web delle rispettive aziende produttrici.

IX. La povertà

1. Il fenomeno è confermato da una serie di studi. L’effetto della depressione sulla capacità di guadagnarsi da vivere viene analizzato da Sandra Danziger et al. in Barriers to Employment of Welfare Recipients, pubblicato dal Poverty Research and Training Center of Ann Arbor, Michigan. Lo studio riferisce che tra le fasce più povere chi ha una diagnosi di depressione maggiore non riesce in genere a lavorare più di venti ore alla settimana. Che la loro depressione tenda ad aggravarsi lo si deduce dalle indagini che dimostrano la scarsità di terapie erogate ai poveri e ai senzatetto (cfr. per esempio Bonnie Zima et al., Mental Health Problems among Homeless Mothers, in «Archives of General Psychiatry», 53, 1996; Emily Hauenstein, A Nursing Practice Paradigm for Depressed Rural Women: Theoretical Basis, in «Archives of Psychiatric Nursing», 10, 5, 1996). Per un’ottima discussione sui rapporti tra povertà e salute mentale si veda John Lynch et al., Cumulative Impact of Sustained Economic Hardship on Physical Cognitive, Psychological, and Social Functioning, in «New England Journal of Medicine», 337, 1997.

2. Si veda in questo libro il cap. V.

3. Cfr. Kay Jamison, Toccato dal fuoco.

4. Un caso di depressione tra atleti è descritto nell’articolo di Buster Olney, Harnisch Says He Is Being Treated for Depression, in «New York Times», 26 aprile 1997.

5. Si veda in questo libro il cap. VI.

6. Che i poveri abbiano tassi elevati di depressione lo si può dedurre dalle statistiche, secondo le quali i fruitori del sistema assistenziale hanno un’incidenza di depressione tre volte maggiore rispetto agli altri soggetti (cfr. K. Olsen e L. Pavetti, Personal and Family Challenges to the Successful Transition from Welfare to Work, pubblicato dall’Urban Institute, 1996). Sandra Dazinger et al., in Barriers to the Employment of Welfare Recipients, cit., sostengono che i depressi che fruiscono di sussidi sono probabilmente più incapaci di conservare un lavoro, il che contribuisce al circolo vizioso della povertà e della depressione. Robert DuRant et al., in Factors Associated with the Use of Violence among Urban Black Adolescents, in «American Journal of Public Health», 84, 1994, mettono in luce una correlazione tra la depressione e la violenza. Ellen Bassuk et al., in Prevalence of Mental Health and Substance Use Disorders among Homeless and Low-Income Housed Mothers, in «American Journal of Psychiatry», 155, 11, 1998, passano in rassegna numerosi studi che segnalano un livello elevato di abuso di sostanze tra i depressi.

7. L’efficacia della maggior parte delle terapie farmacologiche e psicodinamiche non sembra presentare differenze tra le varie classi. L’intervento tra gli indigenti dovrebbe quindi avere gli stessi tassi di efficacia che tra la popolazione in generale. La difficoltà con questa categoria di persone sta, nel sistema corrente, nella modalità di erogazione della terapia ai pazienti.

8. W.A. Anthony et al., Predicting the Vocational Capacity of the Chronically Mentally Ill: Research and Implications, in «American Psychologist», 39, 1984, pp. 537-44; e Supported Employment for Persons with Psychiatric Disabilities: An Historical and Conceptual Perspective, in «Psychosocial Rehabilitation Journal», 11, 2, 1982, pp. 5-24.

9. Bruce Ellis e Judy Garber, Psychosocial Antecedents of Variation in Girls’ Pubertal Timing: Maternal Depression, Stepfather Presence, and Marital and Family Stress, in «Child Development», 71, 2, 2000.

10. Lorah Dorn et al., Biopsychological and Cognitive Differences in Children with Premature vs. On-Time Adrenarche, in «Archives of Pediatric Adolescent Medicine», 153, 2, 1999. Per un quadro più ampio della letteratura sulla pubertà precoce, sulla promiscuità e l’attività sessuale, si veda Jay Belsky et al., Childhood Experience, Interpersonal Development, and Reproductive Strategy: An Evolutionary Theory of Socialization, in «Child Development», 62, 1991.

11. Per tutto quanto si riferisce ai servizi di Medicaid e i malati mentali si veda Lillian Cain, Obtaining Social Welfare Benefits for Persons with Serious Mental Illness, in «Hospital and Community Psychiatry», 44, 10, 1993; Ellen Hollingsworth, Use of Medicaid for Mental Health Care by Clients of Community Support Programs, in «Community Mental Health Journal», 30, 6, 1994; Catherine Melfi et al., Access to Treatment for Depression in a Medicaid Population, in «Journal of Health Care for the Poor and Underserved», 10, 2, 1999; Donna McAlpine e David Mechanic, Utilization of Specialty Mental Health Care among Persons with Severe Mental Illness: The Roles of Demographics, Need, Insurance and Risk, in «Health Services Research», 35, 1, 2000.

12. Per alcuni esempi dell’efficacia di tali programmi si veda Carol Bush et al., Operation Outreach: Intensive Case Management for Severely Psychiatrically Disabled Adults, in «Hospital and Community Psychiatry», 41, 6, 1990; José Arana et al., Continuous Care Terms in Intensive Outpatient Treatment of Chronic Mentally Ill Patients, in «Hospital and Community Psychiatry», 42, 5, 1991, pp. 503-06. Per informazioni su tali programmi destinati ai senzatetto, si veda Gary Morse et al., Experimental Comparison of the Effects of Three Treatment Programs for Homeless Mentally Ill People, in «Hospital and Community Psychiatry», 43, 10, 1992.

13. L. Lamison-White, U.S. Bureau of the Census: Current Populations Report, e Jeanne Miranda e Bonnie L. Green, Poverty and Mental Health Services Research, p. 4.

14. K. Moore et al., The JOBS Evaluation: How Well Are They Faring? AFDC Families with Preschool-Aged Children in Atlanta at the Outset of the JOBS Evaluation, pubblicato dall’U.S. Department of Health and Human Services, 1995.

15. J.C. Quint et al., New Chance: Interim Findings on a Comprehensive Program for Disadvantaged Young Mothers and Their Children, pubblicato dalla Manpower Demonstration Research Corporation, 1994.

16. R. Jayakody e H. Pollack, Barriers to Self-Sufficiency among Low-Income, Single Mothers: Substance Use, Mental Health Problems, and Welfare Reform. Il lavoro venne presentato all’Association for Public Policy Analysis and Management a Washington D.C., nel novembre del 1997.

17. Si veda il Green Book del 1998 dell’U.S. House of Representatives Committee on Ways and Means. A p. 411 si cita una spesa governativa pari a 11,1 miliardi di dollari e una spesa statale pari a 9,3 miliardi di dollari per i sussidi AFDC. Le cifre non comprendono 1,6 miliardi di dollari per i costi amministrativi federali e altri 1,6 miliardi di dollari per quelli statali. Le uscite federali a copertura dei sussidi TANF (Temporary Assistence for Needy Families) sono pari a 23,5 miliardi di dollari per i buoni viveri e a 2 miliardi di dollari per l’amministrazione. La spesa amministrativa dei governi statali e locali ammonta a 1,8 miliardi di dollari. Le statistiche sul TANF sono a p. 927.

18. Per i problemi del servizio assistenziale, in questo caso di assistenza all’infanzia, si veda Alvin Rosenfeld et al., Psychiatry and Children in the Child Welfare System, in «Child and Adolescent Psychiatric Clinics of North America», 7, 3, 1998. Gli autori scrivono: «Diversamente dal servizio di igiene mentale, spesso l’assistenza all’infanzia è gestita da personale non medico … La maggior parte dei bambini adottati avrebbe probabilmente bisogno di una perizia psichiatrica, ma solo pochi la ottengono» (p. 527).

19. Jeanne Miranda è una pioniera in questo campo. La sue pubblicazioni più importanti comprendono: Kennet Wells et al., Impact of Disseminating Quality Improvement Programs for Depression in Managed Primary Care: A Randomized Controlled Trial, in «Journal of the American Medical Association», 283, 2, 2000; Jeanne Miranda et al., Unmet Mental Health Needs of Women in Public-Sector Gynecologic Clinics, in «American Journal of Obstetrics and Gynecology», 178, 2, 1998; Introduction to the Special Section on Recruiting and Retaining Minorities in Psychotherapy Research, e Recruiting and Retaining Low-income Latinos in Psychotherapy Research, in «Journal of Consulting Clinical Psychologists», 64, 5, 1996.

20. L’aspetto relativo ai costi è stato da me discusso personalmente con i ricercatori. Le cifre esatte sono molto difficili da calcolare e confrontare, a causa della diversità dei programmi terapeutici, dei protocolli e dei servizi. Jeanne Miranda ha stimato i suoi costi inferiori a 100 dollari per paziente; Emily Hauenstein calcola 638 dollari a persona per cicli che comprendono anche trentasei sedute terapeutiche. Nel caso di Glenn Treisman i costi si basano sulle cifre fornitemi per e-mail il 30 ottobre 2000. Treisman ha stimato i costi operativi tra i 250.000 e 350.000 dollari all’anno per l’istituzione di un servizio d’assistenza a un numero di pazienti che va da 2500 a 3000. Il costo medio per paziente è quindi pari a circa 109 dollari.

21. Che la depressione tra i poveri non si manifesti solitamente nell’ambito cognitivo dei sensi di fallimento e di colpa ma piuttosto mediante somatizzazione è riferito da Marvin Opler e S. Mouchly Small in Cultural Variables Affecting Somatic Complaints and Depression, in «Psychosomatics», 9, 5, 1968.

22. L’articolo è di John Lynch et al. e si intitola Cumulative Impact of Sustained Economic Hardship on Physical, Cognitive, Psychological, and Social Functioning, in «The New England Journal of Medicine», 337, 1997.

23. Martin Seligman, Imparare l’ottimismo.

24. Carl Cohen, Poverty and the Course of Schizophrenia: Implications for Research and Policy, in «Hospital and Community Psychology», 44, 10, 1993.

25. Il «buco» dell’ozono nell’Antartico viene definito come una «zona che ha meno di 220 unità dobson (DU) di ozono nella colonna soprastante (cioè tra il suolo e lo spazio)». Come affermato nel sito Web della Environmental Protection Agency: «Il termine buco è improprio; si tratta in realtà di un assottigliamento significativo o di una riduzione delle concentrazioni di ozono, che riflette una distruzione fino al 70 per cento dell’ozono che normalmente si trova sopra l’Antartide». A p. 135 di One Earth, One Future: Our Changing Global Environment, si legge: «Il primo segno inequivocabile di cambiamento causato dall’uomo nell’ambiente terrestre è giunto nel 1985, quando un’équipe di scienziati inglesi pubblicò i dati che sbalordirono la comunità mondiale dei chimici atmosferici. Joseph Farman, del British Meteorological Survey, e i suoi colleghi hanno riferito nel periodico scientifico Nature che nel mese di ottobre, il primo mese di primavera nell’emisfero australe, tra il 1977 e il 1984 le concentrazioni di ozono stratosferico sopra l’Antartide erano diminuite di oltre il 40 per cento rispetto ai valori di riferimento degli anni Sessanta. La maggior parte degli scienziati ha accolto la notizia con incredulità». Si veda il sito Web dell’EPA dedicato al buco dell’ozono: www.epa.gov/ozone/science/hole/holehome.html. Il British Antarctic Survey pubblica annualmente gli ultimi dati sullo stato dell’ozono antartico. Per informazioni aggiornate si veda il sito www.nbs.ac.uk/public/icd/jds/ozone/index.html.

X. La politica

1. Per un quadro generale del cambiamento delle strategie governative nel campo della salute mentale, si veda uno dei numerosi siti Web specializzati. Raccomando in particolare i siti del National Institute of Mental Health (www.nimh.nih.gov), della National Alliance for the Mentally Ill (www.nami.org), del Treatment Advocacy Center (www.psychlaws.org), della National Depressive & Manic-Depressive Association (www.ndmda.org) e dell’American Psychiatric Association (www.psych.org).

2. Si veda l’intervista di Tipper Gore, Strip Stigma from Mental Illness, pubblicata in «USA Today», 7 maggio 1999.

3. Su Mike Wallance e la sua depressione esiste una vera pletora di articoli. Si veda Jolie Solomon, Breaking the Silence, in «Newsweek», 20 maggio 1996; Walter Goodman, In Confronting Depression the First Target is Shame, in «New York Times», 6 gennaio 1998; Jane Brody, Despite the Despair of Depression, Few Men Seek Treatment, in «New York Times», 30 dicembre 1997.

4. Le memorie di William Styron, intitolate Un’oscurità trasparente, sono una delle prime testimonianze moderne della malattia depressiva.

5. La National Alliance for Mentally Ill (NAMI) fornisce esaurienti informazioni sull’ADA. L’indirizzo Web è: www.nami.org/helpline/ada.htm.

6. Il Civil Aeromedical Institute (CAMI) è la struttura preposta alla certificazione, ricerca e preparazione medica dello U.S. Department of Transportation Federal Aviation Administration. Per tutte le informazioni sulle regole della FAA, si veda il sito Web del CAMI: www.cami.jccbi.gov/AAM-300/part67.html.

7. Richard Baron, Employment Programs for Persons with Serious Mental Illness: Drawing the Fine Line between Providing Necessary Support and Promoting Lifetime Economic Dependence, manoscritto inedito, pp. 5-6, 18, 21.

8. Per informazioni sull’NIH, nonché sui suoi diversi dipartimenti e bilanci, si veda il sito Web: www.nih.gov.

9. I sei vincitori del premio Nobel che hanno parlato al Congresso in quell’occasione avevano partecipato a un’udienza annuale dell’House Subcommittee on Labor, Health and Human Services, and Education, agli inizi degli anni Novanta. John Porter ha descritto l’evento in numerose interviste.

10. Jeffrey Buck et al., Behavioral Health Benefits in Employer-Sponsored Health Plans, 1997, in «Health Affairs», 18, 2, 1999.

11. Il dettaglio è il seguente: sedici visite dallo psicofarmacologo al costo di 250 dollari l’una, cinquanta visite dallo psichiatra (circa tre ore la settimana) a 200 dollari l’ora, e la spesa per i farmaci pari a circa 3500 dollari l’anno.

12. Robert Hirschfeld et al., The National Depressive and Manic-Depressive Association Consensus Statement on the Undertreatment of Depression, in «Journal of the American Medical Association», 227, 4, 1997, p. 335.

13. Il Mental Health Parity Act del 1996 è entrato in vigore il 1° gennaio 1998.

14. Il dato è citato in una lettera che John F. Sheils, vicepresidente della Lewin Group, Inc., ha inviato a Richard Smith, vicepresidente del settore Public Policy and Research dell’American Association of Health Plans, il 17 novembre 1997. Naturalmente la stima varia a seconda della «polizza considerata». La lettera mi è stata fornita dalla Lewin Group, Inc.

15. Le conseguenze economiche della parificazione assicurativa sono estremamente complesse e si basano su troppe variabili per poter essere considerate in un singolo studio. Se molti esperti sembrano concordare sul fatto che la parità assicurativa aumenterà i costi assicurativi totali di una percentuale inferiore all’1 per cento (il dato viene citato regolarmente dalla stampa specialistica e divulgativa), molti studi riportano altre cifre. Il Rand Corporation Study sostiene che con la parificazione «i costi aumenterebbero soltanto di un dollaro circa per dipendente». Un rapporto del National Advisory Mental Health Council’s Interim Report on Parity Costs menziona una gamma di possibilità diverse (dalla diminuzione dello 0,2 per cento all’aumento di meno dell’1 per cento). Una ricerca della Lewin Group sulle assicurazioni del New Hampshire non ha rilevato alcun aumento. Per maggiori informazioni si veda il sito Web dell’NAMI: www.nami.org/pressroom/costfact.html.

16. Robert Pear, Insurance Plans Skirt Requirement on Mental Health, in «New York Times», 26 dicembre 1998.

17. E. Fuller Torrey e Mary Zdanowicz, Why Deinstitutionalization Turned Deadly, in «Wall Street Journal», 4 agosto 1998.

18. Depression: The Spirit of the Age, in «The Economist», 19 dicembre 1998, p. 116.

19. Lo studio del MIT è Workplace Performance Effects from Chronic Depression and its Treatment, di Ernst Berndt et al., pubblicato in «Journal of Health Economics», 17, 5, 1998.

20. E.S. Rogers et al., A Benefit-cost Analysis of Supported Employment Model for Persons with Psychiatric Disabilities, in «Evaluation and Program Planning», 18, 2, 1995, e R.E. Clark et al., A Cost-effectiveness Comparison of Supported Employment and Rehabilitation Day Treatment, in «Administration and Policy in Mental Health», 24, 1, 1996.

21. Il McCarran-Ferguson Act è stato approvato nel 1945. Il dottor Scott Harrington, nel suo The History of Federal Involvement in Insurance Regulation (in Optional Federal Chartering of Insurance, a cura di Peter Wallison), ne cita il testo là dove afferma che «nessuna legge del Congresso “verrà istituita per invalidare, alterare o soppiantare” qualsiasi legge statale in vigore allo scopo di regolare o tassare l’assicurazione».

22. Il bilancio proposto da Clinton per l’anno fiscale 2000 si trova on-line al sito Web dell’NIMH: www.nimh.nih.gov/about/2000budget.cfm. Secondo tale ente, il bilancio per l’anno fiscale 2000 verrà definito all’inizio del 2001.

23. Il dato è citato in «NAMI E-News 99-74», 2 febbraio 1999.

24. A livello nazionale la terapia obbligatoria della tubercolosi si basa sul programma DOT (Directly Observed Treatment, terapia diretta sotto osservazione), diffuso dal dipartimento antitubercolosi del Center for Disease Control. Il DOT prevede incontri settimanali con operatori sanitari che somministrino la terapia e verifichino le complicanze del protocollo terapeutico (cfr. il sito: www.cdc.gov/nchstp/tb/faqs/qa.htm). Sebbene tutti i cinquanta Stati abbiano accolto il sistema DOT, a livello statale e cittadino esso è attuato in base a esigenze locali. Nello Stato di New York, per esempio, ne è responsabile il New York State Department of Health in collaborazione con gli enti locali, e il programma DOT prevede la «somministrazione diretta sotto osservazione di farmaci antitubercolari ai soggetti refrattari o incapaci di attenersi agli schemi terapeutici prescritti» (cfr. anche il sito: www.health.state.ny.us/nysdoh/search/index.htm). Nello Stato di New York più dell’80 per cento dei tubercolotici rientrano in un programma DOT. A New York City l’ente preposto alla lotta alla TBC dichiara di lavorare per «facilitare l’adesione dei pazienti alla terapia antitubercolare e per salvaguardare la salute pubblica. La maggior parte degli individui acconsente al trattamento quando viene informata in ordine alla tubercolosi e riceve incentivi o facilitazioni, assistenza per trovare un alloggio, maggiori servizi sociali e programmi, a domicilio o sul territorio, di terapia diretta sotto osservazione (DOT). Tuttavia, se le misure sembrassero fallire o fallissero, la Commissione sanitaria è autorizzata dall’art. 11,47(d) del Codice sanitario di New York City a impartire qualsiasi direttiva necessaria per salvaguardare la salute pubblica» (cfr. il sito Web del New York City Department of Health: www.ci.nyc.ny.us/html/doh/html/tb/tb5a.html). Per un’analisi statistica della profilassi contro la tubercolosi a New York City, si veda Rose Gasner et al., The Use of Legal Action in New York City to Ensure Treatment of Tubercolosis, in «New England Journal of Medicine», 340, 5, 1999.

25. Robert M. Levy e Leonard S. Rubinstein, The Rights of People with Mental Disabilities, p. 25.

26. Cfr. anche David e Sheila Rothman, The Willowbrook Wars.

27. Il dettaglio del bilancio per le spese di igiene mentale della Veterans Administration è citato nella dichiarazione dell’American Psychiatric Association al Department of Veterans Affairs del 13 aprile 2000, reperibile sul sito Web dell’APA: www.psych.org cliccando su «Public Policy and Advocacy» e poi su «APA Testimony».

28. Ho avuto dal deputato Marcy Kaptur la prova aneddotica che i disturbi psichiatrici sono spesso più frequenti tra i veterani.

29. Il dato è tratto dalla dichiarazione dell’American Psychiatric Association al Department of Veterans Affairs del 13 aprile 2000, reperibile sul sito Web dell’APA: www.psych.org cliccando su «Public Policy and Advocacy» e poi su «APA Testimony».

30. Il dato è tratto dal sito Web della Veteran Administration, dove si legge quanto segue: «La Veteran Administration è attualmente affiliata a 105 facoltà di medicina, a 54 facoltà di odontoiatria e a più di 1140 facoltà in tutto il paese. Più della metà di tutti i medici negli Stati Uniti ha effettuato parte degli studi nel sistema sanitario VA. Ogni anno circa 100.000 professionisti fanno il tirocinio in un centro medico VA». Si veda il sito Web: www.va.gov./About_VA/Orgs/vha/index.htm.

31. L’articolo di Kevin Heldamn è 7 Days, pubblicato in «City Limits», giugno/luglio 1998.

32. Joanne Atay et al., in Additions and Resident Patients at End of Year, State and County Mental Hospitals, by Age and Diagnosis, by State, United States, 1998, pubblicato dall’U.S. Department of Health and Human Services nel maggio del 2000. A p. 53 il lavoro rileva che i disturbi affettivi sono la seconda malattia prevalente tra i pazienti internati (12,7 per cento). Per gli esterni la percentuale sale al 22,7 per cento (p. 3).

33. Il dato è stato fornito dalla Mental Health Association of Southeastern Pennsylvania. Ringrazio Susan Rogers, dell’associazione, per il suo impegno nel rintracciare questo e numerosi altri dati.

34. A proposito dell’efficacia di tali programmi, essi «sono sempre più efficaci dei servizi istituzionali per quanto concerne i risultati», come riferito in Amici Curiae Brief for the October 1998 Supreme Court Case of Tommy Olmstead, Commissioner of the Department of Human Resources of State of Georgia, et al., vs. L.C. and E.W., Each by Jonathon Zimring, as Guardian ad Litem and Next Friend, preparato dal National Mental Health Consumers’ Self-Help Clearinghouse et al. (p. 24). La relazione cita numerosi studi a sostegno di tale tesi, due dei quali sono particolarmente rilevanti: A. Kiesler, Mental Hospitals and Alternative Care: Noninstitutionalization as Potential Public Policy for Mental Patients, in «American Psychologist», 349, 1982, e Paul Carling, Major Mental Illness, Housing, and Supports, in «American Psychologist», agosto 1990.

35. Le idee di Thomas Szasz sono espresse nei suoi numerosi scritti. I suoi libri Cruel Compassion e Primary Values and Major Contentions rappresentano un buon approccio al suo pensiero.

36. La vicenda dell’azione legale contro Thomas Szasz viene raccontata da Kay Jamison in Rapida scende la notte: capire il suicidio, p. 226-27.

37. L’articolo si intitola Mentally Ill or Just Feeling Sad? ed è stato scritto da Sally L. Satel per il «New York Times», 15 dicembre 1999.

38. I programmi di formazione dell’industria farmaceutica sono molti. All’incontro annuale dell’American Psychiatric Association (APA), i forum sponsorizzati dalle industrie presentano relazioni dei più importanti psichiatri negli Stati Uniti, molti dei quali ricevono contributi per la ricerca dalle stesse aziende farmaceutiche. Gli informatori commerciali dell’industria farmaceutica spesso finiscono per trasferire ai medici la parte migliore della loro formazione continua; il loro operato mantiene i medici aggiornati sulle terapie disponibili. Ma la loro informazione è sicuramente di parte.

39. Per le strategie di ricerca e di «proprietà intellettuale» si veda Jonathan Rees, Patents and Intellectual Property: A Salvation for Patient-oriented Research?, in «Lancet», 356, 2000.

40. David Healey, The Antidepressant Era, p. 169.

41. Myrna Weissman et al., Cross-National Epidemiology of Major Depression and Bipolar Disorder, in «Journal of the American Medical Association», 276, 4, 1996.

42. David Healy, The Antidepressant Era, p. 163.

43. L’idea di togliere l’obbligo di prescrizione per gli antidepressivi è menzionata in idem, pp. 256-65.

44. J.T. Barbey e S.P. Roose, SSRI Safety in Overdose, in «Journal of Clinical Psychiatry», 59, suppl. 15, 1998. Gli autori scrivono: «Sovradosaggi moderati, pari a circa trenta volte la dose giornaliera, sono associati a sintomi minori o nulli». Solo «dosi molto elevate, pari a settantacinque volte la normale dose giornaliera» causano danni più seri «tra cui ictus, variazioni dell’ECG e diminuzione dello stato di coscienza».

XI. L’evoluzione

1. Michael McGuire e Alfonso Troisi, Darwinian Psychiatry, pp. 150-57.

2. Charles S. Sherrington, The Integrative Action of the Nervous System, p. 22.

3. C.U.M. Smith, Evolutionary Biology and Psychiatry, in «British Journal of Psychiatry», 162, 1993, p. 150.

4. La sagace osservazione di Jack Kahn è citata da John Price in Job’s Battle with God, in «ASCAP», 10, 12, 1997. Per ulteriori informazioni si veda, di Jack Kahn, Job’s Illness: Loss, Grief and Integration: A Psychological Interpretation.

5. Cfr. Anthony Stevens e John Price, Evolutionary Psychiatry.

6. Sull’orangutan come essere solitario si veda Nancy Collinge, Introduction to Primate Behavior, pp. 102-04.

7. Sul concetto di maschio dominante si veda idem, pp. 143-57.

8. Esiste un’ampia letteratura sul tema generico della depressione e delle società gerarchiche. Adaptive Function of Depression: Psychotherapeutic Implications, di Leon Sloman et al., in «American Journal of Psychotherapy», 48, 3, 1994, è forse una delle prime formulazioni di una teoria coerente.

9. Cfr. John Britchnell, How Humans Relate.

10. Le teorie di Russell Gardner sui meccanismi alterati di dominanza nei mammiferi superiori sono descritte in numerose pubblicazioni. Per una trattazione esaustiva delle sue idee sulla depressione e l’interazione sociale si veda John Price et al., The Social Competition Hypothesis of Depression, in «British Journal of Psychiatry», 164, 1994. Per approfondire il tema si veda di Russell Gardner, Psychiatric Syndromes as Infrastructure for Intra-Specific Communication, in Social Fabrics of the Mind, a cura di M.R.A. Chance, e Mechanisms in Manic-Depressive Disorder, in «Archives of General Psychiatry», 39, 1982.

11. Thomas Wehr, Reply to Healy, D., Waterhouse, J.M., The Circadian System and Affective Disorders: Clocks or Rhythms, in «Chronobiology International», 7, 1990.

12. Michael McGuire e Alfonso Troisi, Darwinian Psychiatry, p. 41.

13. Il libro di J.H. Van den Berg fu in origine pubblicato col titolo Metabletica, che io preferisco. Le idee qui espresse vengono sviluppate in tutto il testo.

14. Per quanto riguarda i problemi della libertà si veda il classico di Erich Fromm Fuga dalla libertà. Anche Ernst Becker affronta il problema della libertà e del suo rapporto con la depressione in The Denial of Death, pp. 213 sgg.

15. George Howe Colt, The Enigma of Suicide, p. 50.

16. Regina Schrambling, Attention Supermarket Shoppers!, in «Food and Wine», ottobre 1995, p. 93.

17. Le tesi di Paul J. Watson e Paul Andrews sono tratte soprattutto dal loro manoscritto inedito An Evolutionary Theory of Unipolar Depression as an Adaptation for Overcoming Constraints of the Social Niche. Una versione ridotta del lavoro è stata pubblicata in «ASCAP», 11, 5, 1998, con il titolo Niche Change Model of Depression.

18. Randolph Nesse, Evolutionary Explanations of Emotions, in «Human Nature», 1, 3, 1990. Su depressione ed evoluzione si veda il suo Is Depression an Adaptation?, in «Archives of General Psychiatry», 57, 1, 2000.

19. Erica Goode, Viewing Depression as a Tool for Survival, in «New York Times», 1° febbraio 2000.

20. L’ipotesi è descritta da Paul J. Watson e Paul Andrews nei loro scritti inediti An Evolutionary Theory of Unipolar Depression as an Adaptation for Overcoming Constraints of the Social Niche e Unipolar Depression and Human Social Life: An Evolutionary Analysis.

21. Edward Hagen, The Defection Hypothesis of Depression: A Case Study, in «ASCAP», 11, 4, 1998.

22. Per quanto riguarda il nesso tra la depressione e la sensibilità interpersonale si veda K. Sakado et al., The Association between the High Interpersonal Sensitivity Type of Personality and a Lifetime History of Depression in a Sample of Employed Japanese Adults, in «Psychological Medicine», 29, 5, 1999. Per il rapporto tra la depressione e la sensibilità ansiosa si veda Steven Taylor et al., Anxiety and Sensitivity and Depression: How Are They Related?, in «Journal of Abnormal Psychology», 105, 3, 1996.

23. Cfr. Paul MacLean, The Triune Brain in Evolution.

24. Le idee di Timothy Crow sono espresse in un gran numero di lavori, perlopiù citati in bibliografia. Per una trattazione semplice dei suoi principi linguistici e delle sue teorie sull’asimmetria cerebrale si veda A Darwinian Approach to the Origins of Psychosis, in «British Journal of Psychiatry», 167, 1995.

25. Per quanto riguarda il linguaggio come funzione dell’asimmetria cerebrale si vedano anche Marian Annett, Left, Right, Hand and Brain: The Right Shift Theory, e Michael Corballis, The Lopsided Ape: Evolution of the Generative Mind.

26. Per i dati sui sordi e gli ictus dell’emisfero sinistro si veda Oliver Sacks, Vedere voci: un viaggio nel mondo dei sordi.

27. Cfr. Noam Chomsky, Riflessioni sul linguaggio.

28. Per gli effetti specifici degli ictus sull’emisfero destro si veda Susan Egelko et al., Relationship Among CT Scans, Neurological Exam, and Neuropsychological Test Performance in Right-Brain-Damaged Stroke Patients, in «Journal of Clinical and Experimental Neuropsychology», 10, 5, 1988.

29. Timothy Crow, Is Schizophrenia the Price That Homo Sapiens Pays for Language?, in «Schizophrenia Research», 28, 1997.

30. Su asimmetrie della corteccia prefrontale e depressione si veda Carrie Ellen Schaffer et al., Frontal and Parietal Electroencephalogram Asymmetry in Depressed and Nondepressed Subjects, in «Biological Psychiatry», 18, 7, 1983.

31. Gli studi che riportano le anomalie del flusso sanguigno nella corteccia prefrontale dei pazienti depressi sono: J. Soares e J. Mann, The Functional Neuroanatomy of Mood Disorders, in «Journal of Psychiatric Research», 31, 1997, e M. George et al., SPECT and PET Imagining in Mood Disorders, in «Journal of Clinical Psychiatry», 54, 1993.

32. Si veda per esempio P.S. Eriksson, Neurogenesis in the Adult Human Hippocampus, in «Nature Medicine», 4, 1998.

33. Sulla TMS si veda Eric Hollander, TMS, in «CNS Spectrums», 2, 1, 1997.

34. Per la resilienza acquisita, un campo in cui si sta appena ora cominciando a raccogliere dati, si veda Richard Davidson, Affective Style, Psychology and Resilience: Brain Mechanisms and Plasticity, di prossima pubblicazione in «American Psychologist».

35. Per quanto concerne l’attivazione e l’inattivazione della corteccia sinistra si veda, di Richard Davison et al., Approach-Withdrawal and Cerebral Asymmetry: Emotional Expression and Brain Physiology, I, in «Journal of Personality and Social Psychology», 58, 2, 1990. Per lo studio sull’asimmetria cerebrale e il sistema immunitario si veda Duck-Hee Kang et al., Frontal Brain Asymmetry and Immune Function, in «Behavioral Neuroscience», 105, 6, 1991. Per la ricerca di Richard Davidson sui neonati e la separazione dalla madre si veda Richard Davidson e Nathan Fox, Frontal Brain Asymmetry Predicts Infants’ Response to Maternal Separation, in «Journal of Abnormal Psychology», 98, 2, 1989.

36. A sostegno dell’asserzione che nella maggioranza degli individui è attivato l’emisfero sinistro si veda, di A.J. Tomarken, Psychometric Properties of Resting Anterior EEG Asymmetry: Temporal Stability and Internal Consistency, in «Psychophysiology», 29, 1992.

37. N.H. Kalen et al., Asymmetric Frontal Brain Activity, Cortisol, and Behavior Associated with Fearful Temperament in Rhesus Monkeys, in «Behavioral Neuroscience», 112, 1998.

38. I lavori di Timothy Crow sull’uso preferenziale di una mano rispetto all’altra valutano le correlazioni col linguaggio, la manualità e l’affetto. Si veda Location of the Handedness Gene on the X and Y Chromosomes, in «American Journal of Medical Genetics», 67, 1996, ed Evidence for Linkage to Psychosis and Cerebral Asymmetry (Relative Hand Skill) on the X Chromosome, in «American Journal of Medical Genetics», 81, 1998.

39. Amleto, II, 2, v. 561.

40. Che l’evoluzione getti luce nella nebbia della psichiatria moderna è una delle principali tesi sostenute da Michael McGuire e Alfonso Troisi in Darwinian Psychiatry (si veda in particolare la p. 12).

XII. La speranza

1. Angel fu trasferita da Norristown, l’ospedale psichiatrico per lungodegenti, al centro rieducativo Community Residential Rehab (CRR) di Pottstown, e poi a South Keim Street, una residenza protetta destinata a chi esce dal CRR.

2. Cfr. Thomas Nagel, La possibilità dell’altruismo.

3. Shakespeare, Racconto d’inverno, IV, 4, vv. 86-96.

4. Per quanto concerne il controllo della propria situazione così come il depresso la percepisce, si veda Illusioni: quando e perché l’autoinganno diventa la strategia più giusta di Shelley E. Taylor. Mi riferisco anche a una serie di esperimenti che mi sono stati illustrati dal documentarista Roberto Guerra.

5. Il riferimento di Freud è tratto dal suo fondamentale saggio del 1917, Mourning and Melancholia, in A General Selection from the Works of Sigmund Freud, p. 128 [Lutto e melanconia].

6. Cfr. Shelley E. Taylor, Illusioni: quando e perché l’autoinganno diventa la strategia più giusta.

7. Si veda Emmy Gut, Productive and Unproductive Depression, in particolare il cap. 3.

8. I dati sono tratti da Joseph Glenmullen, Prozac Backlash, p. 15.

9. L’informazione mi è stata fornita da un amico che ha perso un parente nell’incidente aereo del luglio 1996.

10. George Eliot, Daniel Deronda, p. 245.

11. Emily Dickinson, Con te non posso vivere, in Tutte le poesie.

12. John Milton, Areopagitica, p. 27.

13. John Milton, Paradiso perduto, IX, vv. 1070-73, p. 435; XI, vv. 137-40, p. 509; XII, vv. 641-49, p. 583.

14. Cfr. Fëdor Dostoevskij, L’idiota.

15. Per un approfondimento su Heidegger e sulla relazione tra l’angoscia e il pensiero, si veda la sua opera Essere e tempo.

16. Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling, On the Essence of Human Freedom [Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana], in Saemmtliche Werke, 7, p. 339. Ringrazio Andrew Bowie per l’aiuto fornitomi nell’interpretare il brano. Per ulteriori informazioni si veda, di Andrew Bowie, Schelling and Modern European Philosophy.

17. Julia Kristeva, Sole nero: depressione e melanconia, pp. 12 sgg.

18. Arthur Schopenhauer, On the Sufferings of the World, in Essays and Aphorisms, p. 45.

19. L’aspra risposta di Tennessee Williams si trova in Five O’Clock Angel: Letters of Tennessee Williams to Maria St. Just, 1948-1982, p. 154. Ringrazio l’attenta Emma Lukic per averla reperita.

20. Ossia, secondo la definizione dell’Oxford English Dictionary, «un’intensa sensazione di piacere, causata da un senso di benessere o soddisfazione; il sentimento o la condizione d’essere sommamente contenti e deliziati; esultanza dello spirito, letizia, contentezza».