1 In realtà, negli ultimi anni dell’XI secolo non sembra che alcuna eclisse totale di sole sia stata visibile dalla Toscana. Si segnala solo un’eclisse anulare, che nel 1084 poté esser osservata dalle regioni meridionali della penisola.

2 Si dovrebbe dire «necromante», dalla voce greca che indica colui che usa trarre divinazioni per mezzo dell’evocazione dei defunti. Ma nel latino medievale, non meno che nel volgare italico, la parola si è presto corrotta per attrazione evidente dell’aggettivo niger, «nero»: e non è improbabile che questa confusione sia dovuta alla lontana origine dell’espressione – ambigua ma fortunata – di «magia nera» per indicare la magia cerimoniale diabolica che ha o pretende di avere effetti spaventosi. La confusione, del resto, è più recente di quanto si creda. In pieno VII secolo Isidoro di Siviglia scriveva la parola in modo corretto e ne conosceva con precisione l’etimologia: «Necromantii sunt quorum praecantationibus videntur resuscitati mortui divinare, et ad interrogata respondere. Nekròs enim graece mortuus, manteìa divinatio noncupantur, ad quos sciscitandos cadaveri sanguis adijcitur; nam amare daemones sanguinem dicunt; ideoque, quoties necromantia fit, cruor aqua miscetur, ut colore sanguinis facilius provocentur» (Sancti Isidori, Etymologiarum libri XX, in P.L., LXXXII, col. 312). Il passo isidoriano venne in seguito ripreso: ad esempio, la prima parte della citazione torna, e alla lettera, in Incmaro di Reims (Hincmari Rhemensis Archiepiscopi, De divortio Lotharii et Tetbergae, XV, ibid., CXXV, col. 718). Più tardi la corretta etimologia isidoriana prese a esser fraintesa e la «necromanzia» trasformata in «negromanzia». L’uso doveva essere talmente diffuso già almeno dal Duecento che troviamo, ohimè, la cattiva lezione perfino nella Summa theologica di Tommaso d’Aquino, che cita Isidoro con deplorevole scorrettezza, forse da una copia già corrotta: «Daemones autem expresse invocati solent futura praenuntiare multipliciter. Quandoque quidem praestigiosis quibusdam apparitionibus se aspectui et auditui hominum ingerentes ad praenuntiandum futura. Et haec species vocatur praestigium [...]. Quandoque autem per somnia. Et haec vocatur divinatio somniorum. Quandoque vero per mortuorum aliquorum apparitionem vel locutionem. Et haec specis vocatur nigromantia: quia, ut Isidorus dicit in libro Etymologiarum: – nigrum graece mortuus, mantia divinatio noncupatur – [...]» (Summa theologica, II-II, q. 95, a. 3, pp. 314-315). Sullo statuto della “necromanzia”, cfr. R. Kieckhefer, Forbidden Rites. A Necromancer’s Manual of the Fifteenth Century, University Park PA 1998.

3 Sul vallombrosano Pietro, detto «Igneo», esiste un ormai classico studio, molto bello, di Giovanni Miccoli: ad ogni modo, per l’Ordine vallombrosano, rimandiamo al volume di AA.VV., I vallombrosani nella società italiana dei secoli XI e XII, a cura di G.M. Compagnoni, Vallombrosa, 1995.

4 Non paia arbitrario questo insistere sul rapporto fra le genti del Casentino e i lupi. Ce n’erano parecchi, da quelle parti, un tempo: e se ne occupava perfino un santo locale, Torello da Poppi. Lupi e uomini-lupo popolano anche la grande raccolta di fiabe romantiche casentinesi, Le novelle della nonna di Emma Perodi.

5 Un’udienza giudiziaria; ma in genere, a quel tempo, qualunque assemblea durante la quale si dovesse render conto di qualche dovere nei confronti di un’autorità.

6 Secondo la riforma monetaria avviata da Carlomagno, e poi rimasta sostanzialmente in vigore in tutti i paesi dell’Europa occidentale fino alla Rivoluzione francese (e in Inghilterra fino a tempi recenti), la libbra o lira d’argento (unità di peso e unità monetaria di còmputo) si «tagliava» in 20 soldi, ciascuno dei quali si «tagliava» in 12 denari. Cfr. anche infra, nota 23.

7 Monte Bardone, Mons Bardonis, abitualmente ritenuto corruzione dell’espressione Mons Langobardorum. È, oggi, il valico della Cisa.

8 Veramente questa certezza, universalmente condivisa dall’VIII secolo e ancor fermamente mantenuta da Dante, crollò in pieno Quattrocento quando l’umanista Lorenzo Valla dimostrò la falsità della cosiddetta «Donazione di Costantino».

9 Non è in effetti chiaro se la marchesa abbia o no accompagnato Urbano II fino a Roma, per quanto non manchino studiosi certi che lo abbia fatto: il monaco Donizone, biografo di Matilde, non lo dice esplicitamente, mentre ciò si potrebbe ricavare non senza qualche dubbio da una lettera di Urbano e da una cronaca crociata, proprio quella del nostro Fulcherio di Chartres.

10 Quella del viaggio di Carlo era una leggenda epica, ricca di elementi folclorici e parodistici. Noi la conosciamo da testi antico-francesi del XII secolo, ma non è detto che in versioni orali non circolasse già da molto prima (cfr. Il viaggio di Carlomagno a Oriente, a cura di M. Bonafin, Parma 1987).

11 Non di Costantino si trattava e si tratta, bensì di Marco Aurelio. Sui cosiddetti Mirabilia Urbis e su come la gente dell’XI secolo e anche più tardi considerava l’antichità, il lettore più attento troverà ampie informazioni ed esauriente bibliografia in AA.VV, Memoria dell’Antico nell’arte italiana, a cura di S. Settis, I, Torino 1984.

12 Si presentano qui, rielaborate, varie leggende medievali richiamate, per esempio, in A. Graf, Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, n. ed., Milano 1984, e in D. Comparetti, Virgilio nel Medio Evo, n. ed. a cura di G. Pasquali, 2 voll., Firenze 1941.

13 In effetti, non pare che la credenza in un «Purgatorio» si sia affermata, nella Chiesa latina, prima del 1170: cfr. J. Le Goff, La nascita del Purgatorio, trad. it., Torino 1982, p. 173 sgg.

14 Le vere e proprie «chiusure» cavalleresche non datano a ogni modo, in generale, da prima della metà del XII secolo. Cfr. J. Flori, L’idèologie du glaive. Préhistoire de la chevalerie, Genève 1983.

15 Luca, 1, 52-53.

16 Per l’intera vicenda si veda la Vita di Barbato, a cura di M. Montesano, Parma 1994.

17 Quanto narrato è in stringata sintesi oggetto dell’Apparitio sancti Michaelis, databile secondo alcuni al VI, secondo altri al IX secolo. La questione storico-archeologico-filologica micaelico-garganiana è estremamente ingarbugliata, i suoi specialisti quanto mai litigiosi e noi eviteremo perciò di occuparcene. Sia comunque sufficiente il rinvio a G. Otranto, Siponto e il santuario micaelico del Gargano, in Id., Italia meridionale e Puglia paleocristiane. Saggi storici, Bari 1991, pp. 187-202.

18 Cfr. C. Guyot, La légende de la ville d’Ys d’après les anciens textes, Paris 1926.

19 Si veda per questo G. Sergi, L’aristocrazia della preghiera, Roma 1994, p. 75 sgg.

20 Marco, 11, 9-10.

21 Le nove del mattino, secondo l’antico sistema romano perpetuato nel medioevo.

22 Cioè oltre 400 metri (il braccio di Parma per le misure sul terreno era di ca. 63 cm.).

23 Secondo la riforma monetaria avviata da Carlomagno e basata sul monometallismo argenteo, poi rimasta alla base dei sistemi monetari occidentali fin alla metà circa del XIII secolo (ma, sul piano dei sistemi di còmputo, fino alla Rivoluzione francese), una libbra corrispondeva a ca. 408-410 grammi d’argento. La libbra era naturalmente un’unità di còmputo, che veniva «tagliata» in 20 soldi, ciascuno a sua volta «tagliato» in 12 denari. L’unica moneta a venir originariamente coniata era quindi il denaro, che conteneva ca. un grammo e mezzo d’argento fino: ce ne volevano 240 per fare una libbra. Ma già nell’XI secolo, quando parecchie città europee coniavano denari, il peso e il titolo di ciascuno di essi variava parecchio: il che rendeva facili le falsificazioni, ma arduo il lavoro del cambiavalute. Cfr. supra, nota 6.

24 La Propontide è conosciuta dai moderni come Mar di Marmara.

25 La macchina qui descritta allude con qualche libertà a un orologio ad acqua ideato forse da Erone di Alessandria, la cui descrizione non ci è giunta ma, passando per Ctesibio e per Filone di Bisanzio, è pervenuta al grande ideatore di macchine del primo Duecento, l’arabo al-Jazari (cfr. M.G. Losano, Storie di automi, Torino 1990, pp. 33-34). Un orologio di questo tipo fu realizzato nel XIII secolo a Fez.

26 Il piede fiorentino equivaleva a m. 0,3832; la libbra fiorentina a gr. 339,50.

27 È questo il nome che, con evidente equivoco rispetto alla metropoli mesopotamica non lontana dall’attuale Baghdad, si dava abitualmente nell’Occidente medievale al Cairo.

28 In effetti, la prima descrizione della tecnica del piccione viaggiatore in una fonte occidentale è appunto del cronista normanno Goffredo Malaterra e riguarda proprio le imprese del Gran Conte Ruggero in Sicilia.

29 L’attuale Iznik.

30 1 lettera ai Corinzi, 15, 19-26.

31 Il fiume Sangario si chiama oggi Sakarya; nasce dalle montagne centroanatoliche e, dopo ca. 650 chilometri e molti meandri, sfocia nel Mar Nero a ovest della città di Karasu.

32 L’attuale Eskishehir (in turco, «Città Vecchia»).

33 Località chiamate in turco, rispettivamente, Ankara, Sivas e Kayseri.

34 Oggi rispettivamente Akshehir (la «Città Bianca»), Konya, Eregli.

35 Si calcoli il braccio all’uso milanese (m. 0,594) e la libbra all’uso genovese (gr. 317,66).

36 «Ho paura dei greci, anche quando portano doni.»

37 San Simeone (oggi Suadiye, o Samadang) era il porto di Antiochia, situato quasi al confine con la Siria.

38 Fenomeni di questo genere possono essere stati all’origine della tradizione delle confraternite di poveri dette «Tafuri», che secondo una tradizione epica peraltro tardiva avrebbero agito nella prima crociata.

39 Città della Cappadocia meridionale, oggi Eregli.

40 Questi gli insegnamenti riguardo al sistema delle virtù cavalleresche già secondo le più antiche chansons de geste, per quanto la loro codificazione scritta in forma trattatistica risalga piuttosto ai secoli XII-XIII.

41 Oggi Guksun.

42 Il califfo fatimide d’Egitto, sciita, era in effetti avverso sia al califfo abbaside di Baghdad sia al sultano, entrambi sunniti.

43 Per la verità, sembra più probabile che Boemondo si sia ricongiunto al resto dell’armata solo a Marash; il suo atteggiamento nei confronti di Raimondo di Tolosa era comunque in sintesi quello descritto.

44 Shaizar, o Cesarea di Siria: da non confondersi né con Cesarea-Mazacha o Cesarea di Cappadocia, né con Cesarea di Palestina che si trova più a sud, sulla costa della Giudea.

45 L’antica Mopsuestia.

46 È la cerimonia della defestucatio, con la quale il vassallo simbolizza la rottura del suo rapporto di fides con il signore per colpa di questi.

47 In arabo, «il re di (Nuova) Roma», cioè il basileus di Costantinopoli.

48 Rumi, arabizzazione del termine greco Romaioi, «Romani»: quindi, i greco-bizantini.

49 In arabo, «la Santa»: Gerusalemme.

50 Al-Hakim è invece ancora onorato come fondatore della setta dei drusi.

51 Il braccio fiorentino era di cm. 58 ca.

52 Formula araba di esorcismo: «Mi rifugio in Dio contro Satana il lapidato!».

53 Letteralmente «Castello (o Fortezza) dei Curdi»: è la piazzaforte poi divenuta celebre, una volta fortificata dai franchi e insediata dai cavalieri dell’Ordine ospitaliero di San Giovanni, come il «Crac dei Cavalieri».

54 Un denaro di Provins conteneva ca. gr. 0,49 d’argento fino. Dal momento che il soldo era una moneta di còmputo calcolata pari a 12 denari, e ciascun soldo conteneva quindi gr. 5,88 di metallo pregiato, l’offerta di 10 soldi equivaleva a quella di gr. 58,80 d’argento. Oltre mezz’ettogrammo d’argento era, in termini di potere d’acquisto, una somma discreta: ma i documenti non sono chiari circa l’entità e la durata dell’impegno che il conte richiedeva a fronte di tale cifra. In argento puro, la somma impegnata da Raimondo (21.000 soldi) sarebbe pari a kg. 123,48. Ci si può fare un’idea di quel che essa potesse significare nella Siria del tempo attraverso la consultazione di E. Ashtor, Storia economica e sociale del Vicino Oriente nel medioevo, Torino 1982; per le monete crociate, cfr. M. Matzke, Die sieben Kreuzfahrermuenzen und das Papsttum, «Schweizer Muenzblaetter», 44, 173, 1994, pp. 13-19.

55 Erano davvero tremila i cavalieri ancora a disposizione dei principi? Secondo gli usi del tempo, un guerriero pesantemente armato s’accompagnava abitualmente a tre-cinque serventi: ma è credibile che la spedizione mettesse ancora in campo diecimila armati, anche considerando che ormai parecchi occidentali dovevano esser morti o aver abbandonato l’impresa e che pertanto il seguito di parecchi cavalieri doveva esser costituito da bizantini, siriani, armeni, magari anche da assoldati turchi o arabi? E quanti pellegrini dovremmo ipotizzare seguissero l’armata? Siamo abituati a ritener che gli inermi soverchiassero di molto il numero degli armati: qualcuno ha parlato della proporzione (che appare schematica) di uno a dieci. Ipotizzando che i 3000 armati pesanti fossero comprensivi dei cavalieri e del loro seguito, si dovrebbe pensare a circa 33.000 persone in tutta la spedizione. Ma se tra Antiochia e Maarat guerrieri e pellegrini erano davvero oltre centomila, come appare non impossibile da questo rozzo còmputo, quanti si deve pensare fossero alla partenza dall’Europa? Molti di più, per quanto appaia arduo il crederlo: dal momento che appare molto improbabile come il pur consistente numero di persone che si erano loro aggiunte per strada fosse tale da reintegrare le numerose perdite per abbandono o per decesso rispetto al contingente iniziale. Purtroppo, in questo, le cifre fornite dai cronisti – sia occidentali sia orientali – sono iperboliche e comunque inaffidabili sul piano delle nostre esigenze statistiche e quantitative, né sono del resto tra loro concordi. Anche sul numero degli abitanti dell’Europa fra XI e XII secolo regnano l’incertezza e la discordia tra gli specialisti: sempre a causa dell’eterogeneità e della lacunosità delle fonti. Cifre avanzate, e del tutto induttive, oscillano fra i 20 e i 30 milioni: su grandezze del genere, 100.000 crociati sarebbero molti. Per le congetture degli studiosi moderni riguardo al numero dei crociati alla partenza dall’Europa e all’arrivo in Terrasanta, cfr. S. Runciman, Storia delle crociate, II, Torino 1966, pp. 1106-1110; J. Flori, Un problème de méthodologie. La valeur des nombres chez les chroniqueurs du Moyen Age. A propos des effectifs de la première croisade, «Le Moyen-Age», XCIX, 1993, 3-4, pp. 399-422.

56 Luca, 1, 49-53.

57 In arabo Hebron.

58 Esodo, 13, 15-29.

59 In arabo «Porta della Signora Maria».

60 È la moschea di Umar, detta «Cupola della Roccia» perché costruita nel VII secolo sul luogo tradizionalmente identificato come la roccia su cui Abramo avrebbe preparato il figlio Isacco per il sacrificio poi impedito dall’angelo del Signore.

61 Così i franchi chiamavano, in un curioso sdoppiamento, la moschea al-Aqsa, distinguendola dalla Cupola della Roccia che essi chiamavano Tempio del Signore. Con questa denominazione tautologica, essi risolvevano il fatto che, sulla spianata dell’unico Tempio, gli edifici sacri fossero due.

62 Cfr. Sogni e memorie di un abate medievale. La «Mia Vita» di Guiberto di Nogent, Novara 1986, p. 152 sgg.

63 Giosuè, 6, 21.